Italicum: bravo Di Maio!

Il vice presidente della Camera Di Maio ha rilasciato una  brevissima dichiarazione di cui c’era assoluto bisogno e che fa piazza pulita di troppe voci che andavano in giro. Ha detto che il M5s non è affatto chiuso ad una discussione sulla legge elettorale se si tratta di discutere su una proposta di maggioritario con correzioni proporzionali, come era il “Democratellum” presentato due anni fa dal M5s, ma non è disponibile a rimasticature dell’Italicum (reintrodurre le coalizioni, abbassare la soglia per il premio al primo turno, ecc) per di più pensate in funzione di svantaggiare il M5s.

Era proprio quello che c’era bisogno di dire, e Di Maio lo ha detto con il minor numero di parole possibile. Bravissimo!

Insomma, con quale faccia si può chiedere a qualcuno di partecipare all’approntamento della forca su cui lo si vuole appendere? Ma, nello stesso tempo, non si chiude la discussione su una porcheria di legge elettorale solo perché, momentaneamente ci avvantaggia.

E così, anche quelli che pensavano di ricavare un argomento per il Si al referendum (“Avete visto? Quando si tratta di una cosa che gli conviene, il M5s cambia subito idea! E  gli conviene anche abolire il Senato!”) sono serviti: non solo il M5s tiene ferma la sua battaglia di principio che riguarda insieme riforma costituzionale e riforma elettorale, ma non è così stupido da cadere in una trappola tanto infantile: se vince il Si è la promessa per la vittoria del Pd alle politiche, altro che convenienza!

Dunque, la battaglia contro la riforma piduista della Costituzione resta in piedi e per nulla indebolita. E’ quello che volevamo sentire.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (5)

  • «Forse è però eccessivo supporre che, nell’atto di votare, l’elettore compia ragionamenti a lunga portata. La sua psicologia è sostanzialmente semplice. L’elettore medio è come le pecore che, dove l’una va e le altre vanno.» — Luigi Einaudi (quando era Presidente della Repubblica Italiana)

    Un giorno qualcuno spiegherà perché in un paese con Costituzione con principi antidiscriminatori sia possibile interferire nei diritti politici di minoranze tramite leggi elettorali eufemisticamente democratiche per via dei condizionamenti e forzature che introducono sulle scelte mirate a selezionare chi concorrerà a determinare la “politica nazionale”.

    “uno vale uno” ma la legge elettorale deve essere filomaggioritaria?

    Il Porcellum superò brillantemente le pregiudiziali di costituzionalità in una assemblea parlamentare eletta col Mattarellum (maggioritario a correzione proporzionale) ed in cui l’esercizio della “disciplina di partito” era considerato rispettoso dell’art 67 Cost.

    In fondo il teorema della giuria di Condorcet parte da valutazioni ottimistiche sulle capacità decisionali dei singoli e c’è chi dice che si possono dare indicazioni di voto e mandati imperativi perché nessuno ha la verità in tasca.

    Perché cambiare quello che si può interpretare magistralmente?

    Ex falso quodlibet. Adesso sappiamo che tre legislature sono state elette con legge elettorale incostituzionale e che leggi elettorali incostituzionali non influiscono in alcun modo sulla legittimità delle legislature e dei loro atti.

    Possiamo dirla dunque Repubblica paraconsistente.

    PS: Il “diritto di tribuna” applicato alle sole leggi elettorali è concetto interessante visto quello che nei media la legge sulla parcondicio “concede” alle minoranze: i dati sul M5S -che minoranza non risulterebbe- lo dimostrano bene (opentg.it).

    • La scoperta degli opinion makers di einaudiana memoria non penso che passerà alla storia. Ancor meno la sua interpretazione astrologica del corpo elettorale fatto anche di capricorni e arieti. Da buon liberale Einaudi aveva una leggera amnesia per quel che riguardava i partiti, i sindacati e gli altri corpi intermedi. Le fortune elettorali del fu PLI sono li a testimoniarlo, come d’altronde la fondazione omonima.
      Forse la miglior risposta ad Einaudi è stata data da un altro liberale, manco a farlo a posta torinese, cioè da Norberto Bobbio, per il quale la filosofia dell’ottocento poteva essere ridotta tutta a classici del pensiero.
      Mutatis mutandis, anche le opere più politiche di Einaudi possono essere considerate un classico del pensiero.
      Anche Hegel quando teneva il corso di storia della filosofia considerava la tomistica un classico del pensiero, salvo aggiungere che non c’era tempo per studiarla e che, quand’anche ci fosse stato, gli studenti non se ne sarebbero accorti.

  • Sul referendum, Di Maio ha ribadito l’ovvio: non collaborerà a modificare la legge elettorale nel senso di penalizzare il Movimento Cinque Stelle. Nell’intervista al Corriere della Sera dice anche altro:

    “E cosa pensa del possibile spacchettamento del referendum sulla riforma costituzionale?
    «Che è da miserabili. Se lo si voleva fare lo si poteva fare quando è stato proposto dai radicali prima delle Amministrative. Oggi è fatto in malafede».”.

    Sembra dimenticare che lo “spacchettamento” lo aveva proposto anche Danilo Toninelli, che poi è andato a parlarne anche a Radio Radicale.
    Forse a Di Maio l’Italicum va bene così com’è. Ed è comprensibile: per un partito che rifiuta categoricamente e programmaticamente qualsiasi alleanza, l’Italicum offre un’occasione più unica che rara: il lavoro sporco di proporlo e approvarlo è in carico agli avversari, gli eventuali benefici saranno per il Movimento. Che cosa pensi veramente il Movimento dell’Italicum lo vedremo dall’impegno e dal tono nella campagna per il no. Se sarà quello che ha messo in atto per il sì contro le trivellazioni, allora è chiaro che l’Italicum a loro va sostanzialmente bene così.

    Di Maio sembra sempre di più il candidato ideale alla successione di Renzi.

    Il suo programma, per quello che ci è stato detto ora, è la continuazione e l’estensione in senso liberista di quello realizzato dai governi italiani negli ultimi anni.
    Tra i vari punti, ai primi posti c’è il reddito di cittadinanza: già teorizzato da Von Hayek per proteggere il sistema liberista, oltre che per necessità contingente, ma non certo per “giustizia sociale”:

    “Assicurare un reddito minimo a tutti, o un livello sotto cui nessuno scenda quando non può più provvedere a se stesso, non soltanto è una protezione assolutamente legittima contro rischi comuni a tutti, ma è un compito necessario della Grande Società in cui l’individuo non può rivalersi sui membri del piccolo gruppo specifico in cui era nato … un sistema che invoglia a lasciare la relativa sicurezza goduta appartenendo ad un gruppo ristretto, probabilmente produrrà forti scontenti e reazioni violente, quando coloro che ne hanno goduto prima i benefici si trovino, senza propria colpa, privi di aiuti, perché non hanno più la capacità di guadagnarsi da vivere”
    (F. Von Hayek, “Legge, legislazione e libertà”).

    Il reddito di cittadinanza dà l’occasione alle élite per smantellare quello che c’è rimasto del welfare senza però allarmare la gente che lo considererebbe addirittura una conquista sociale. Serve inoltre a sminuire il valore del lavoro e a comprimere i salari verso il basso, con il vantaggio che quando la gente se ne accorgerà, sarà troppo tardi.

    C’è poi l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti: è la condizione praticamente necessaria affinché le lobby prendano definitivamente in mano il controllo della vita politica, come già da tempo avviene ad esempio negli Stati Uniti. A chi rimane fuori da certi finanziamenti rimarrebbe un semplice “volontariato” con cui qualcuno potrebbe illudersi di partecipare al dibattito politico, ma non avrebbe in realtà alcuna possibilità di successo, se non, al massimo, su questioni locali del tutto marginali e inoffensive. Naturalmente, i partiti controllati dalle lobby potrebbero sempre dire che c’è libertà e pluralismo perché almeno la forma rimarrebbe salva, ma in realtà solo quella. Se poi, nonstante tutto, qualcuno dovesse diventare troppo fastidioso, una bella e costosa campagna di delegittimazione risolverebbe il problema.

    La questione morale è un altro caposaldo dei Cinque Stelle e del loro aspirante “premier”. Sanno tutti che è facile essere onesti se non si ha la possibilità di rubare, ma molto difficile se si ricoprono incarichi importanti e si è inseriti in un certo sistema. Quindi chi è onesto prima di essere eletto forse potrebbe non esserlo dopo. Allora, se si volesse veramente ostacolare comportamenti illeciti, sarebbe molto più utile la trasparenza e il controllo sulle attività degli eletti: l’esatto contrario delle primarie on line gestite da una società privata e spacciate come un’utile innovazione oggi permessa dal progresso tecnologico o delle espulsioni notificate via email, magari senza firma.
    Sull’efficacia della questione morale nel rovesciare sistemi esistenti ricordo appena quello che è successo in Italia nel 1992 (Antonio Di Pietro) e in Brasile nel 2016 (Sergio Moro), passando per tutte le rivoluzioni colorate intermedie targate Open Society (Ucraina compresa).

    Poi c’è la concezione del nuovo “politico”. E’ preso dal nulla, tra militanti spesso in buona fede ed animati dalle migliori intenzioni, poi formato all’interno del Movimento e gettato nella mischia anche ai massimi livelli istituzionali previa promessa di non ricandidarsi oltre i due mandati e di accontentarsi di un salario di quasi sussistenza (in confronto ai suoi “pari”) devolvendo tutto il resto al Movimento. Implicito è che al minimo cenno di ribellione o solo di sospetto di inadeguatezza, l’espulsione è sicura: tanto uno così, dal punto di vista politico, polvere era e polvere ritornerà, non avendo a disposizione nessun pacchetto di voti suo. Una figura simile va benissimo in un parlamento di nominati in cui gli unici veri obiettivi sono il mantenimento di una formale parvenza di Istituzione e la solerte approvazione di quanto deciso in certi consigli di amministrazione unita all’impermeabile rifiuto di qualunque altra mediazione politica.

    Naturalmente, oltre ai “buoni propositi” prima descritti, chi conta vuole conoscere dal vivo la persona che dovrà poi appoggiare. Ed ecco i viaggi nella City di Londra, nei consolati Statunitensi (e in Madrepatria), in Israele, nelle Università (ottimo tramite, come anche recenti vicene insegnano, tra società civile e mondo che conta). Poi, posizioni “morbide” ed accomodanti verso l’Unione Europea, grande moderazione nel linguaggio politico sempre politicamente corretto e via di questo passo, vestiti di un grigiume perbenisticamente rassicurante.

    Attenzione, quindi: è vero che tatticamente il Movimento Cinque Stelle targato di Maio può essere una facile occasione per rovesciare il PD e gran parte del sistema collegato, ma poi i problemi politici che pone una forza così spiccatamente di destra liberista al potere, per giunta percepita come il nuovo tanto atteso, si faranno sentire e sarano molto difficili da affrontare.

    Non vedo allora scorciatoie: la democrazia vera e non solamente formale necessita di un popolo ben informato, libero e consapevole.
    Perpariamoci e prepariamo la gente fin da ora ad affrontare non solo il PD, ma anche il Movimento Cinque Stelle al potere.

  • Però mi piacerebbe sapere come coincidono un sistema maggioritario (anche se con correzione proporzionale, come quello usato per due legislature) e la retorica della “democrazia diretta” e dell'”uno vale uno”.
    Evidentemente la real politik per arrivare al potere sta prevalendo.

    • be non c’entra, quello è il sistema elettorale per il Parlameno (che per sua natura è un organo di democrazia rappresentativa e non diretta) che è stato votato dagli aderenti, non è il modello di democrazia diretta che il movimento fa suo

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