“IL SEGRETO DI PIAZZA FONTANA”: UN’OCCASIONE PERSA.
“IL SEGRETO DI PIAZZA FONTANA”: UN’ OCCASIONE PERSA
di Francesco “baro” Barilli e Saverio Ferrari
“Il segreto di Piazza Fontana”, scritto da Paolo Cucchiarelli e uscito per l’editore Ponte alle Grazie (pag. 704, € 19,80), è un lavoro interessante e inquietante nella prima parte, sconcertante e irritante nella seconda. Fonde elementi di inchiesta a voli pindarici dell’autore – che si fanno via via più fantasiosi, depotenziandone il contenuto – e appare viziato alla base da un difetto: il cadere in ricostruzioni azzardate, con concessioni alla più sfrenata dietrologia. Un limite che rende il libro non una sorta di verità definitiva sulla “madre di tutte le stragi”, come è stato pubblicizzato, ma un contributo che rischia di mettere in ombra persino la parte di verità già accertata.
Le due bombe nella banca, quelle “scomparse” e “l’ingenuità” degli anarchici.
Quel giorno, alla Banca nazionale dell’agricoltura, sarebbero state portate due bombe. Una di matrice anarchica; dotata di timer e trasportata nella banca da Pietro Valpreda, era destinata a un attentato dimostrativo, dovendo esplodere quando gli uffici erano già chiusi e privi di persone. La seconda, più potente, sarebbe stata portata dai fascisti; dotata di accenditore a strappo e di una miccia, fu fatta esplodere prima di quella anarchica, innescando forzatamente pure questa. Fu l’ordigno a miccia a causare la strage, e la strategia era finalizzata ad addossare l’attentato alla sinistra. Più precisamente, i fascisti non intendevano fermare il proprio depistaggio a poche schegge dell’ambiente anarchico, ma volevano arrivare fino all’editore Giangiacomo Feltrinelli.
In questa ottica Valpreda, pur restando sostanzialmente innocente, torna ad essere figura assai discutibile: ingenuo burattino dei fascisti, stragista involontario, testa calda che si accompagnava a frequentazioni dubbie, mentitore per necessità. Un conto è però ricordare Valpreda come un ingenuo (anche commentatori più benevoli con l’anarchico lo ricordano così), ben altra cosa è descriverlo come una marionetta teleguidata che segue indicazioni altrui senza porsi domande o dubbi: il suo comportamento, nella ricostruzione di Cucchiarelli, rasenta più l’imbecillità che l’ingenuità. Si pensi solo che avrebbe ritirato la bomba, da collocare alla banca, nella sede degli studenti greci simpatizzanti col regime dei colonnelli…
Gli attentati certi del 12 dicembre ’69 furono 5. A Milano, oltre che in Piazza Fontana, un ordigno venne ritrovato inesploso alla Banca commerciale italiana di Piazza della Scala. Fu fatto frettolosamente brillare, con la conseguente compromissione di materiali che potevano rivelarsi utili nelle indagini. Altre tre bombe furono collocate a Roma. Una esplose nei sotterranei della Banca nazionale del lavoro. Le altre due scoppiarono in successione presso l’Altare della Patria.
Secondo Cucchiarelli quel giorno a Milano sarebbero falliti altri due attentati. Questa voce fu riportata già da alcuni quotidiani nei giorni successivi il 18 dicembre 69: i giornali riferirono di una conferenza stampa tenuta il giorno precedente dagli anarchici del circolo del Ponte della Ghisolfa. Secondo tale fonte, la sera del 12 dicembre sarebbero stati ritrovati altri due ordigni inesplosi, uno in una caserma militare e uno in un grande magazzino; la Questura milanese smentì la circostanza. Ne “Il segreto di Piazza Fontana” si ipotizza che anche questi due ordigni fossero di matrice anarchica, e che pure questi dovessero essere manomessi o raddoppiati dai fascisti, per rendere più pesante il bilancio stragista.
E qui si torna alla “stupidità” degli anarchici, che doveva essere, se si vuol credere al libro, una loro caratteristica endemica: secondo l’autore è Giovanni Ventura a portare l’11 dicembre due bombe ai coniugi Corradini, e sempre secondo Cucchiarelli si tratta proprio dei due ordigni “scomparsi”. Va sottolineato che i Corradini erano attivisti anarchici tornati in libertà solo il 7 dicembre, dopo mesi di carcere per gli attentati del 25 aprile, un’accusa per cui buona parte del loro gruppo era ancora detenuta. In questo contesto appare inverosimile che due persone da poco scarcerate si espongano con leggerezza a una simile operazione: per i Corradini si andrebbe oltre l’imbecillità…
Il ruolo di Pinelli e la sua morte.
Pure il ferroviere anarchico dal libro esce innocente, ma non privo di macchie. Quel giorno Pinelli avrebbe intuito la trappola fascista in cui stavano per cadere i suoi compagni e si sarebbe adoperato per evitare che le altre due bombe scoppiassero a Milano. Per questo avrebbe fornito un alibi falso a chi lo interrogava, facendo insorgere sospetti sul suo conto; nella concitazione dell’interrogatorio, sarebbe nata una colluttazione, sfociata nella mortale caduta dal quarto piano della Questura milanese.
Nel caso Pinelli, la ricostruzione della dinamica della caduta appare valida, anche se non viene aggiunto nulla di nuovo al panorama, che già contemplava la colluttazione e la morte “incidentale” tra le ipotesi.
Da sottolineare – anche se a livello di pura aneddotica – che se gli altri anarchici sono rappresentati come sciocche marionette, secondo Cucchiarelli Pinelli avrebbe mandato messaggi cifrati su Valpreda addirittura utilizzando l’enigmistica (pag. 246)! Ci sfugge, in un simile ambiente, chi avrebbe potuto coglierli: certo non i suoi compagni.
Quando la dietrologia inganna.
Come già accennato, Cucchiarelli ha sicuramente svolto un grande lavoro di documentazione, e – almeno per quanto riguarda la prima parte del libro – si può supporre che le intenzioni fossero sincere. In un video sul web (C6.tv) ha dichiarato “Gli anarchici sono rimasti vittime di una trappola, predisposta nel tempo (durante tutto il 69, con l’aiuto e la copertura dello stato e dei servizi segreti) affinchè fossero il capro espiatorio, coloro che dovevano pagare per questa trappola”. Affermazione nella sostanza condivisibile, ma non c’era bisogno di un lavoro così imponente per formularla. Il lavoro giudiziario su Piazza Fontana è stato già notevole: certo, incompleto sul piano degli esiti penali e per questo deludente, ma molte cose sono state appurate, specie nell’ultima istruttoria, conclusa in Cassazione il 3 maggio 2005. In Veneto fu costituito, nell’alveo di Ordine Nuovo, un gruppo eversivo che aveva cervelli e manovalanza principalmente nelle cellule di Padova e Mestre. E’ in questo ambito che vengono realizzati gli attentati del ’69, da quelli incruenti della primavera-estate fino a quello tragico del 12 dicembre. Per quanto riguarda responsabilità personali nessuno è stato condannato, ma su Franco Freda e Giovanni Ventura, principali esponenti padovani del gruppo, tutti e tre i gradi di giudizio hanno espresso una valutazione – citando un commento del Giudice Salvini scritto il 15 maggio 2005 per il periodico dell’ANPI – di “colpevolezza storica, anche se non traducibile in una sentenza di condanna”, essendo i due soggetti già stati assolti in un altro processo e per il noto principio giuridico secondo cui nessuno può essere processato due volte per lo stesso reato, se nel frattempo è stata già emessa una sentenza definitiva di assoluzione. In questo quadro fa eccezione Carlo Digilio, e sul particolare correggiamo un errore – formale ma di un certo rilievo – di Cucchiarelli. Ne “Il segreto di Piazza Fontana” l’autore annovera pure Digilio fra gli assolti (per prescrizione). In realtà l’artificiere di fiducia di Ordine Nuovo nel Veneto fu condannato in primo grado: si riconobbe che aveva svolto, come confessato, una consulenza tecnica sull’esplosivo poi usato nella strage. Appello e Cassazione non hanno smentito quella sentenza, a cui l’interessato non oppose ricorso. La prescrizione, in questo caso, non inficia la condanna, che è passata in giudicato rendendo Digilio tecnicamente l’unico colpevole processualmente accertato per la strage.
I finti scoop.
In un’inchiesta complessa come quella su Piazza Fontana (intricata di suo, inquinata dai noti depistaggi, ormai appesantita da anni che la rendono ancora più difficoltosa) è normale affidarsi, oltre che ai fatti, a ragionamenti logico deduttivi o a intuizioni. L’importante è non farsi accecare dalla voglia di giungere a un risultato, spacciando le ultime per fatti acclarati. Purtroppo è proprio in questo tranello che cade “Il segreto di Piazza Fontana”.
Tutta la spiegazione sulla doppia bomba alla Banca dell’agricoltura resta una teoria non sorretta da elementi solidi. Peraltro, c’è un dato storico che a Cucchiarelli sembra sfuggire: che i fascisti abbiano ideato una strategia complessa per addossare la strage agli anarchici è cosa ormai condivisa da tutti, e così pure che questa sia risultata efficace per lungo tempo. Perché i fascisti avrebbero dovuto renderla ancora più intricata di quanto già non sia apparsa negli anni?
Come ha ricordato Sofri nel suo ultimo libro (“La notte che Pinelli”), le indagini si orientarono verso gli anarchici, e su Valpreda in particolare, ben prima del “riconoscimento” di quest’ultimo, avvenuto la mattina del 16 dicembre: addirittura dal tardo pomeriggio del 12 dicembre, quando Pinelli viene invitato in Questura. Pinelli segue da via Scaldasole col proprio motorino il Commissario Calabresi che, con la propria vettura, carica con sé Sergio Ardau, un altro anarchico. E’ lo stesso Ardau a ricordare che Calabresi e Panessa (funzionario di polizia che avrà un ruolo chiave nella successiva caduta del ferroviere anarchico) gli parlarono già durante il viaggio, accennando già in quel momento alla matrice anarchica dell’attentato e alle responsabilità di Valpreda. I fascisti, insomma, potevano seminare su un terreno già pronto al raccolto, senza complicarsi la vita fra doppie bombe, ordigni scomparsi, manovalanza inconsapevole (Valpreda) e consapevole (il vero attentatore); tutti elementi che, aggiungendosi a una tela già fitta, rischiavano di indebolirla invece di consolidarla. Da notare anche che ne “Il segreto di Piazza Fontana” si affronta pure un’altra ipotesi che per anni ha affascinato storici e magistrati: quella del “sosia di Valpreda”, ossia del neofascista che sarebbe stato prescelto per compiere l’attentato proprio per la sua somiglianza con l’anarchico. Cucchiarelli in proposito arriva a una conclusione bizzarra: essendo due le bombe da depositare nella Banca, ci fu sì Valpreda, ma pure il suo sosia, entrambi arrivati sul posto con due distinti taxi. Anche in questo caso si tratta non solo di un particolare poco spiegabile (se si aveva la certezza di far compiere l’attentato a Valpreda e di incastrarlo con un riconoscimento, perché anche l’altro attentatore doveva essere un sosia dell’anarchico?), ma pure di un appesantimento organizzativo che poteva mettere a repentaglio l’operazione.
Peraltro, la coltre di silenzi e depistaggi gravante su Piazza Fontana in questi quarant’anni si è parzialmente disgregata anche nell’ambiente neofascista e ordinovista, e pure questo è un elemento non tenuto in debita considerazione da Cucchiarelli. Specie nell’inchiesta Salvini, iniziata alla fine degli anni 80 e sfociata nel processo concluso nel 2005, molti “camerati” hanno parlato, alcuni dando un contributo alla ricostruzione dell’eversione nera e stragista. Digilio, Siciliano, Bonazzi, Vinciguerra e altri hanno aperto il proprio album dei ricordi, alcuni vagamente, altri in modo preciso e circostanziato. Pure sull’intenzione di far ritrovare in una villa di Giangiacomo Feltrinelli timer analoghi a quelli usati il 12 dicembre Cucchiarelli non svela niente di nuovo: nell’ultima istruttoria ne hanno parlato Giusva Fioravanti, Bonazzi, Calore e persino Giannettini (l’agente Zeta del Sid, pesantemente implicato nelle indagini fin dagli anni 70). Dunque, perché mai in questo mare di rivelazioni (molte delle quali fatte da persone ormai non perseguibili penalmente, quindi contrassegnate da minori margini di ambiguità) non è emerso nulla sulla pista della doppia bomba? Se nell’immediato si trattava di particolari da sottrarre accuratamente alle indagini, i motivi di un’uguale riservatezza in rivelazioni di trent’anni successive non paiono spiegabili.
Considerazioni a parte sono invece dovute a un altro particolare che Cucchiarelli evidenzia nel libro: il ritrovamento di un pezzo di miccia, menzionato nella fase iniziale delle indagini e poi inspiegabilmente uscito di scena, che fa pensare a un ordigno il cui innesco fosse di tipologia diverso da quello ormai consolidato nella storia di Piazza Fontana (ossia: un innesco a miccia in luogo del famoso timer). Questo particolare è forse il più rilevante fra quelli apparsi nella prima e più interessante parte del volume, nonché difficile da controdedurre. Resta però un elemento solitario, da solo insufficiente per avallare ricostruzioni alternative a quella che la Magistratura ha già puntualmente descritto, pur senza arrivare a responsabilità personali. Un elemento che invece Cucchiarelli utilizza davvero come una miccia, per accendere il motore che lo porterà su un percorso che, da qui in poi, si fa arbitrario.
I timer: ricostruzione interessante, conclusioni discutibili.
Cucchiarelli fa una lunga dissertazione sui timer (da 60 e 120 minuti) comprati dal gruppo di Freda e Ventura per Piazza Fontana e in generale per l’operazione del 12 dicembre. In particolare si sofferma sull’intercambiabilità e sulla modificabilità dei “dischi orari”. Il suo intento è dimostrare che un timer da 120 minuti potesse essere trasformato in uno da 60, ingannando così un potenziale “attentatore in buona fede”, il quale si sarebbe convinto di posare un ordigno la cui esplosione era stata programmata due ore dopo l’innesco, mentre in realtà il tempo concesso alla detonazione era dimezzato.
La riflessione sulla manomissione dei dischi-tempo è interessante, ma crea alcuni buchi logici nella stessa ricostruzione di Cucchiarelli, di cui l’autore sembra non accorgersi o liquida con superficialità.
Se la bomba “anarchica” era destinata a esplodere per induzione, cioè grazie a quella posata accanto dai fascisti e con l’innesco a miccia, perché si doveva modificare il timer? A quel punto sarebbe andato benissimo il temporizzatore da due ore, il risultato sarebbe stato analogo. Anzi, tutto sommato sarebbe stata una metodologia persino più sicura: si sarebbero evitate operazioni ridondanti (la modifica del timer) scongiurando pure l’ipotesi – seppure remota – che l’attentatore potesse accorgersi della manomissione.
Inoltre, l’ipotesi di alterazione dell’orario di scoppio sembra accordarsi, più che con la teoria cara a Cucchiarelli del doppio attentatore, con quella del gesto singolo. Si tenga conto che anche nell’ambiente ordinovista molti attentati, almeno fino al dicembre 69, erano puramente dimostrativi. In questo contesto, la sostituzione del timer poteva essere funzionale a vincere eventuali resistenze – etiche o semplicemente pragmatiche – di un singolo esecutore materiale, pedina parzialmente inconsapevole di una regia superiore, che avrebbe portato la bomba nella banca convinto di non causare una strage. Questa ipotesi spiegherebbe pure le voci, circolate per molto tempo anche nell’estrema destra, della “strage per errore”: pur essendosi rivelata una convinzione errata (e probabilmente da certuni fatta circolare ad arte) non è escluso che nell’ambiente ci fosse chi aveva validi motivi per essersela formata. Questa soluzione manterrebbe la strage nel solo alveo fascista, e sarebbe pure coerente col quadro organizzativo generale ordinovista, laddove, è bene ricordarlo, era presente una compartimentazione piuttosto rigida, in cui non sempre la “bassa manovalanza” era pienamente consapevole delle decisioni assunte ai livelli superiori.
Cucchiarelli pare accorgersi dell’incongruenza, ma la liquida con poche parole: “con i timer contraffatti con le manopole da 120 minuti ci si era assicurati che il disastro avvenisse, anche se fosse esplosa solo la bomba anarchica”. Un po’ poco per supportare la teoria.
Anche nel caso dei timer la ricostruzione de “Il segreto di Piazza Fontana” risente di due limiti. In primo luogo, si allunga la filiera organizzativa dell’attentato, andando a supporre una ricchezza di elementi che – seppure concatenati razionalmente – rendono la strategia dei fascisti troppo machiavellica, quando una più lineare sarebbe stata non solo ugualmente funzionale, ma soprattutto maggiormente priva di rischi d’intoppo: raddoppiando gli ordigni si aumentano il personale necessario e i margini di incertezza (basta il ritardo o l’anticipo di pochi minuti nell’entrare nella banca, e tutto diventa più difficile da gestire), in definitiva si aumenta la possibilità di venire scoperti. In secondo luogo, Cucchiarelli denota un limite che permea pure il resto del lavoro: nel seguire una propria deduzione non tiene conto del fatto che le intuizioni spesso portano a strade alternative. L’autore, invece, in questo come in altri casi ne segue una sola, quasi che – affascinato da un solo percorso – abbia trascurato ogni alternativa che lo possa portare a conclusioni diverse. Ad esempio, tutta la vicenda delle due bombe scomparse potrebbe avere ben altra spiegazione: il loro ritrovamento potrebbe essere stato impedito per lo stesso motivo per cui fu fatta brillare la bomba alla Commerciale Italiana, ossia per evitare che si risalisse in breve tempo alla matrice fascista degli attentati.
Le fonti e la loro attendibilità.
Lo ribadiamo: dopo un inizio interessante, è nella seconda parte del libro che Cucchiarelli perde il senso della misura. A un certo punto sembra abbandonare l’approccio investigativo (inizialmente seguito meticolosamente, pur se con conclusioni discutibili) per scegliere quello fantapolitico. Ma nel cambio di registro narrativo lo scrittore fa di peggio, avvicinandosi non alla fantapolitica lucida e metaforica di Orwell, ma a quella molto meno nobile di Dan Brown. Lo schema è lo stesso: un segreto inconfessabile a conoscenza di pochi all’origine di una battaglia nascosta tra uomini e apparati. Alcuni vengono assassinati per il segreto che hanno scoperto. Cucchiarelli decodifica segni e messaggi indecifrabili, raccoglie verità da personaggi ancora nell’ombra…
Ma chi sono le fonti rivelatrici delle nuove “verità” di Cucchiarelli? Innanzitutto, Silvano Russomanno, ex dirigente del Sisde, ossia un funzionario di quei servizi segreti che operavano anche infiltrando neofascisti negli ambienti di sinistra, in particolare in quelli anarchici. E poi c’è Mister X, nella descrizione di Cucchiarelli “un fascista operativo, uno che sapeva e che agiva”. In altre parole, un pezzo grosso della destra extraparlamentare dell’epoca, che protetto dall’anonimato conduce il libro alle “scoperte” più eclatanti. E’ Mister X a confermare l’esistenza delle bombe anarchiche e della miccia, a rivelare il particolare del doppio taxi e del doppio attentato, a ricostruire il percorso delle borse… E’ dunque un personaggio anonimo a tracciare trama ed essenza del libro: lasciamo al lettore ogni valutazione circa la necessità di altri riscontri oggettivi o circa l’attendibilità che possa attribuirsi a tale fonte.
Su “Il segreto di Piazza Fontana” l’impressione complessiva è che Cucchiarelli si sia fatto prendere la mano dalle sue ricerche, in una specie di bulimia investigativa che gli fa vedere segreti dove segreti non esistono, che gli fa scambiare la dietrologia, solo perché ben documentata, il mezzo più opportuno per risolvere non solo Piazza Fontana, ma pure il caso Pinelli, l’uccisione di Mauro Rostagno (secondo l’autore ucciso da Lotta Continua, conclusione in contrasto con evidenze giudiziarie emerse di recente), la morte di Feltrinelli e l’omicidio Calabresi (ad avviso di Cucchiarelli assassinato, per aver scoperto “il segreto”, da Lotta Continua in combutta con i servizi segreti). Decisamente troppo per un libro che denuncia il proprio limite fin dalla copertina, dove si afferma “finalmente la verità sulla strage”, con un’enfasi che del volume sottolinea, più che la natura, i limiti di una scarsa umiltà. “Il segreto di Piazza Fontana” è, se non un depistaggio, un’occasione mancata. O forse un’operazione politica utile a ingenerare confusione e mettere in ombra importanti acquisizioni giudiziarie, tra cui l’innocenza degli anarchici, approfittando di un clima revisionista e cialtronesco che oggi rende possibile far rientrare dalla finestra veleni e sospetti già da tempo usciti dalla porta principale della storia.
Francesco Barilli e Saverio Ferrari
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Ernesto
Se puo’ interessare i lettori, ho trovato un’interessante risposta di Cucchiarelli sul Gruppo FaceBook “Il segreto di Piazza Fontana”
Non ricordo il link, ma dall’articolo originale c’e’ un commento che rinvia al gruppo
http://francescobarilli.splinder.com/post/20785382/%22Il+segreto+di+Piazza+Fontana%22
Paolo Cucchiarelli
“Il segreto di Piazza Fontana”: un’occasione persa
Francesco “baro” Barilli e Saverio Ferrari
– La risposta di Paolo Cucchiarelli
“Il segreto di Piazza Fontana”, scritto da Paolo Cucchiarelli e uscito per l’editore Ponte alle Grazie (pag. 704, € 19,80), è un lavoro interessante e inquietante nella prima parte, sconcertante e irritante nella seconda.
CUC: Il libro è diviso in quattro parti, non in due.
Fonde elementi di inchiesta a voli pindarici dell’autore – che si fanno via via più fantasiosi, depotenziandone il contenuto – e appare viziato alla base da un difetto: il cadere in ricostruzioni azzardate, con concessioni alla più sfrenata dietrologia.
CUC: Ci sono 560 note. Non un elemento non è stato vagliato e ci si basa su una griglia di elementi tutti controllati e controllabili.
Un limite che rende il libro non una sorta di verità definitiva sulla “madre di tutte le stragi”, come è stato pubblicizzato, ma un contributo che rischia di mettere in ombra persino la parte di verità già accertata.
CUC:Non c’e’ alcuna verità accertata. Ce ne e’ una politica, una giudiziaria, una storica, quella dei singoli protagonisti. Su 14 processati lo Stato ha condannato solo Maletti, La Bruna, la nonna e la zia di Valpreda (come mai?) e, in effetti, anche Digilio.
Lo Stato ha gettato la spugna e ha bacchettato quei giudici e quegli investigatori che volevano andare avanti. Perché non si vedono le mie critiche a D’Ambrosio presenti nel libro?
Le due bombe nella banca, quelle “scomparse” e “l’ingenuità” degli anarchici
Quel giorno, alla Banca nazionale dell’agricoltura, sarebbero state portate due bombe. Una di matrice anarchica; dotata di timer e trasportata nella banca da Pietro Valpreda, era destinata a un attentato dimostrativo, dovendo esplodere quando gli uffici erano già chiusi e privi di persone. La seconda, più potente, sarebbe stata portata dai fascisti; dotata di accenditore a strappo e di una miccia, fu fatta esplodere prima di quella anarchica, innescando forzatamente pure questa. Fu l’ordigno a miccia a causare la strage, e la strategia era finalizzata ad addossare l’attentato alla sinistra. Più precisamente, i fascisti non intendevano fermare il proprio depistaggio a poche schegge dell’ambiente anarchico, ma volevano arrivare fino all’editore Giangiacomo Feltrinelli. In questa ottica Valpreda, pur restando sostanzialmente innocente, torna ad essere figura assai discutibile: ingenuo burattino dei fascisti, stragista involontario, testa calda che si
accompagnava a frequentazioni dubbie, mentitore per necessità.
-CUC: A Valpreda sono dedicate molte pagine, tutte tratte da documenti giudiziari e rigorosamente riscontrate. Perche’ non riportate il giudizio (Spia o provocatore) che diede Pinelli, quello di Pisolini, come spiegare che nel settembre del 1969 ( dato riscontrato dalle affermazioni di Veraldo Rossi, capo del Bakunin a Roma) Valpreda si recò a Carrara per partecipare al congresso anarchico con 6 fascisti tutti aderenti al circolo “XXII marzo” che diventerà con il tempo il “22 marzo “ di Valpreda e Merlino. Questi passeranno tutte le informazioni a Delle Chiaie ( il tutto e’ in una sentenza definitiva). Perché Valpreda dice nel suo diario: “ l’11 sera qualcuno da Roma ha telefonato a Milano”; come sapevano i ragazzi anarchici di Roma ( a parte fascisti, uomini della questura e del Sid) che quel venerdì sarebbero esplose delle bombe. Poi andare avanti per ore.Rinvio alla lettura della mia inchiesta e a critiche fondate.
Un conto è però ricordare Valpreda come un ingenuo (anche commentatori più benevoli con l’anarchico lo ricordano così), ben altra cosa è descriverlo come una marionetta teleguidata che segue indicazioni altrui senza porsi domande o dubbi: il suo comportamento, nella ricostruzione di Cucchiarelli, rasenta più l’imbecillità che l’ingenuità. Si pensi solo che avrebbe ritirato la bomba, da collocare alla banca, nella sede degli studenti greci simpatizzanti col regime dei colonnelli…
-CUC: Guardate che c’e’ scritto che venne “innescata” in quella sede, non che Valpreda la ritirò in quel locale.
Gli attentati certi del 12 dicembre ’69 furono 5. A Milano, oltre che in Piazza Fontana, un ordigno venne ritrovato inesploso alla Banca commerciale italiana di Piazza della Scala. Fu fatto frettolosamente brillare, con la conseguente compromissione di materiali che potevano rivelarsi utili nelle indagini.
– Spiego chiaramente che, come è stato confermato in sede giudiziaria, quell’ordigno non poteva esplodere e doveva “teleguidare” le indagini e fornire quel “modello” capace di far cadere eventuali dubbi sulla presenza di doppie bombe.
Altre tre bombe furono collocate a Roma. Una esplose nei sotterranei della Banca nazionale del lavoro. Le altre due scoppiarono in successione presso l’Altare della Patria.
Secondo Cucchiarelli quel giorno a Milano sarebbero falliti altri due attentati. Questa voce fu riportata già da alcuni quotidiani nei giorni successivi il 18 dicembre 69: i giornali riferirono di una conferenza stampa tenuta il giorno precedente dagli anarchici del circolo del Ponte della Ghisolfa. Secondo tale fonte, la sera del 12 dicembre sarebbero stati ritrovati altri due ordigni inesplosi, uno in una caserma militare e uno in un grande magazzino; la Questura milanese smentì la circostanza.
CUC: Non furono due giornali qualsiasi ma Il Popolo e l’Unità ( ci sono anche le foto nel libro). L’Unità fu perentoria “ sappiamo con assoluta certezza”. Quanto agli anarchici il tutto e’ chiaramente riportato nel libro. Gli anarchici dissero che c’erano altre du bombe che dovevano esplodere quel giorno. Lo riportarono diversi giornali e l’hanno confermato anarchici che furono presenti a quella conferenza stampa.
Ne “Il segreto di Piazza Fontana” si ipotizza che anche questi due ordigni fossero di matrice anarchica, e che pure questi dovessero essere manomessi o raddoppiati dai fascisti, per rendere più pesante il bilancio stragista.
CUC: Si dimentica di dire che dimostro sulla base delle perizie che c’erano due borse e due bombe alla Bna e alla Bnl. In perfetta simmetria tra quelle depositate con fini dimostrativi dagli anarchici e quelle “ stragiste” dei fascisti.
E qui si torna alla “stupidità” degli anarchici, che doveva essere, se si vuol credere al libro, una loro caratteristica endemica: secondo l’autore è Giovanni Ventura a portare l’11 dicembre due bombe ai coniugi Corradini, e sempre secondo Cucchiarelli si tratta proprio dei due ordigni “scomparsi”. Va sottolineato che i Corradini erano attivisti anarchici tornati in libertà solo il 7 dicembre, dopo mesi di carcere per gli attentati del 25 aprile, un’accusa per cui buona parte del loro gruppo era ancora detenuta. In questo contesto appare inverosimile che due persone da poco scarcerate si espongano con leggerezza a una simile operazione: per i Corradini si andrebbe oltre l’imbecillità…
CUC: Questa non e’ la sola testimonianza su questo fatto, che peraltro si incastra perfettamente con tutto il resto. In futuro potreste mangiarvi le mani per essere stato cosi’ sicuri e perentori. Rinvio a quel momento.
Il ruolo di Pinelli e la sua morte
Pure il ferroviere anarchico dal libro esce innocente, ma non privo di macchie. Quel giorno Pinelli avrebbe intuito la trappola fascista in cui stavano per cadere i suoi compagni e si sarebbe adoperato per evitare che le altre due bombe scoppiassero a Milano. Per questo avrebbe fornito un alibi falso a chi lo interrogava, facendo insorgere sospetti sul suo conto; nella concitazione dell’interrogatorio, sarebbe nata una colluttazione, sfociata nella mortale caduta dal quarto piano della Questura milanese.
Nel caso Pinelli, la ricostruzione della dinamica della caduta appare valida, anche se non viene aggiunto nulla di nuovo al panorama, che già contemplava la colluttazione e la morte “incidentale” tra le ipotesi.
Da sottolineare – anche se a livello di pura aneddotica – che se gli altri anarchici sono rappresentati come sciocche marionette, secondo Cucchiarelli Pinelli avrebbe mandato messaggi cifrati su Valpreda addirittura utilizzando l’enigmistica (pag. 246)! Ci sfugge, in un simile ambiente, chi avrebbe potuto coglierli: certo non i suoi compagni.
CUC: Me lo fa pensare il fatto che Pinelli citi un Ivan e Paolo Erda, due fratelli che non sono mai esistiti. E’ esistito Ivan Guarnieri, esponente del Ponte. Non Paolo Erda. Perché questa bugia? Ivan Paolo Erda = Valpreda
Pinelli li indica come coloro che avrebbe incontrato al Ponte nel primo Verbale. Pinelli si dilettava di enigmistica.
Quando la dietrologia inganna
Come già accennato, Cucchiarelli ha sicuramente svolto un grande lavoro di documentazione, e – almeno per quanto riguarda la prima parte del libro – si può supporre che le intenzioni fossero sincere. In un video sul web (C6.tv) ha dichiarato “Gli anarchici sono rimasti vittime di una trappola, predisposta nel tempo (durante tutto il 69, con l’aiuto e la copertura dello stato e dei servizi segreti) affinchè fossero il capro espiatorio, coloro che dovevano pagare per questa trappola”. Affermazione nella sostanza condivisibile, ma non c’era bisogno di un lavoro così imponente per formularla.
CUC: Perché non dite che se Pinelli muore, come avete sostenuto, per le altre due bombe in piu’ e’ logico che tutta l’operazione fosse “doppia” – come dimostro – e che il capitolo Pinelli e strettamente connesso a Valpreda. Come fate ha dividere le due cose visto che lo logica della operazione e’ unitaria?
C’e’ un glaciale imbarazzo sul capitolo su Pinelli ( per me Calabresi e’ nella stanza, questa è dietrologia?) perché se si accetta quello si deve accettare tutta la vicenda. Invece , come fa Giannuli, la si spezzetta e non si tiene conto che ha una sua logica interna.
Il lavoro giudiziario su Piazza Fontana è stato già notevole: certo, incompleto sul piano degli esiti penali e per questo deludente, ma molte cose sono state appurate, specie nell’ultima istruttoria, conclusa in Cassazione il 3 maggio 2005. In Veneto fu costituito, nell’alveo di Ordine Nuovo, un gruppo eversivo che aveva cervelli e manovalanza principalmente nelle
cellule di Padova e Mestre. E’ in questo ambito che vengono realizzati gli attentati del ’69, da quelli incruenti della primavera-estate fino a quello tragico del 12 dicembre. Per quanto riguarda responsabilità personali nessuno è stato condannato, ma su Franco Freda e Giovanni Ventura, principali esponenti padovani del gruppo, tutti e tre i gradi di giudizio hanno espresso una valutazione – citando un commento del Giudice Salvini scritto il 15 maggio 2005 per il periodico dell’ANPI – di “colpevolezza storica, anche se non traducibile in una sentenza di condanna”, essendo i due soggetti già stati assolti in un altro processo e per il noto principio giuridico secondo cui nessuno può essere processato due volte per lo stesso reato, se nel frattempo è stata già emessa una sentenza definitiva di assoluzione. In questo quadro fa eccezione Carlo Digilio, e sul particolare correggiamo un errore – formale ma di un certo rilievo – di Cucchiarelli. Ne “Il
segreto di Piazza Fontana” l’autore annovera pure Digilio fra gli assolti (per prescrizione). In realtà l’artificiere di fiducia di Ordine Nuovo nel Veneto fu condannato in primo grado: si riconobbe che aveva svolto, come confessato, una consulenza tecnica sull’esplosivo poi usato nella strage. Appello e Cassazione non hanno smentito quella sentenza, a cui l’interessato non oppose ricorso. La prescrizione, in questo caso, non inficia la condanna, che è passata in giudicato rendendo Digilio tecnicamente l’unico colpevole processualmente accertato per la strage.
CUC: Va bene su Digilio. Per il resto vi basta la verità politica anche se le bome che avevano in mano i fascisti e per cui questi vengono assolti sono proprio quelle destinate al “raddoppio”. Ma siete così ipocriti (politicamente parlando, naturalmente!)
I finti scoop
In un’inchiesta complessa come quella su Piazza Fontana (intricata di suo, inquinata dai noti depistaggi, ormai appesantita da anni che la rendono ancora più difficoltosa) è normale affidarsi, oltre che ai fatti, a ragionamenti logico deduttivi o a intuizioni. L’importante è non farsi accecare dalla voglia di giungere a un risultato, spacciando le ultime per fatti acclarati. Purtroppo è proprio in questo tranello che cade “Il segreto di Piazza Fontana”.
-CUC:Dove? Le doppie bombe? l’esplosivo in mano a Ventura, ai fascisti di On in Veneto e ai fascisti di Brescia prima della strage di Piazza della Loggia, oppure le 100 pagine che spiegano come e perché e’ morto Pinelli? Dite. Dove? In quale pagina?
Tutta la spiegazione sulla doppia bomba alla Banca dell’agricoltura resta una teoria non sorretta da elementi solidi.
-CUC: Ci sono quasi 200 pagine di dimostrazioni scientifiche.O le contestate punto per punto o non la dovete buttare in “politica”. Mi fa specie poi di Ferrari che sfruttando un mio suggerimento di qualche anno fa si e’ chiesto su internet ( controllate) “Quante erano le bombe il 12 dicembre?” tranne ora contestare il tutto se la cosa non gli conviene nel passaggio su Valpreda. Questo modo di ragionare ha inquinato e distrutto la sinistra.
Peraltro, c’è un dato storico che a Cucchiarelli sembra sfuggire: che i fascisti abbiano ideato una strategia complessa per addossare la strage agli anarchici è cosa ormai condivisa da tutti, e così pure che questa sia risultata efficace per lungo tempo. Perché i fascisti avrebbero dovuto renderla ancora più intricata di quanto già non sia apparsa negli anni?
– CUC:Non è intricata ma tipica dei servizi segreti. La si è già visto a Portella della Ginestra, Dallas . Fu Bocca a definire Valpreda “un ingenuo Oswald”. Questo modulo “ a trappola” è tipico dell’Aginter Press e di on. Nulla di nuovo, è vero. Quello che è chiaro è il passaggio da un discorso “politico” ad una di fatti che debbono essere contestati sul piano dei fatti o respinti al mittente.
Come ha ricordato Sofri nel suo ultimo libro (“La notte che Pinelli”), le indagini si orientarono verso gli anarchici, e su Valpreda in particolare, ben prima del “riconoscimento” di quest’ultimo, avvenuto la mattina del 16 dicembre: addirittura dal tardo pomeriggio del 12 dicembre, quando Pinelli viene invitato in Questura. Pinelli segue da via Scaldasole col proprio motorino il Commissario Calabresi che, con la propria vettura, carica con sé Sergio Ardau, un altro anarchico. E’ lo stesso Ardau a ricordare che Calabresi e Panessa (funzionario di polizia che avrà un ruolo chiave nella successiva caduta del ferroviere anarchico) gli parlarono già durante il viaggio, accennando già in quel momento alla matrice anarchica dell’attentato e alle responsabilità di Valpreda. I fascisti, insomma, potevano seminare su un terreno già pronto al raccolto, senza complicarsi la vita fra doppie bombe, ordigni scomparsi, manovalanza inconsapevole (Valpreda) e
consapevole (il vero attentatore); tutti elementi che, aggiungendosi a una tela già fitta, rischiavano di indebolirla invece di consolidarla.
CUC: Rinvio a quanto scritto su Sofri e sul suo ultimo libro.
Non fate osservazioni così banali, questo non si fa, questo indebolisce la causa ecc.
Da notare anche che ne “Il segreto di Piazza Fontana” si affronta pure un’altra ipotesi che per anni ha affascinato storici e magistrati: quella del “sosia di Valpreda”, ossia del neofascista che sarebbe stato prescelto per compiere l’attentato proprio per la sua somiglianza con l’anarchico. Cucchiarelli in proposito arriva a una conclusione bizzarra: essendo due le bombe da depositare nella Banca, ci fu sì Valpreda, ma pure il suo sosia, entrambi arrivati sul posto con due distinti taxi.
-CUC: Indico il nome e il cognome del tassista. La logica della sua presenza, chi agì per far disperdere questa pista e sopratuto perché questa doveva scomparire. Quella che precede è semplicemente una osservazione falsa
Anche in questo caso si tratta non solo di un particolare poco spiegabile (se si aveva la certezza di far compiere l’attentato a Valpreda e di incastrarlo con un riconoscimento, perché anche l’altro attentatore doveva essere un sosia dell’anarchico?), ma pure di un appesantimento organizzativo che poteva mettere a repentaglio
l’operazione.
CUC: Vedi sopra
Peraltro, la coltre di silenzi e depistaggi gravante su Piazza Fontana in questi quarant’anni si è parzialmente disgregata anche nell’ambiente neofascista e ordinovista, e pure questo è un elemento non tenuto in debita considerazione da Cucchiarelli.
-CUC:Perché? Spiego che la logica dei depistagli dello Stato e dei fascisti ( tutti rigorosamente affrontati) era proprio quella di far scomparire la presenza “doppia” dei fascisti ( vedi le vorse) e di lasciare sul campo solo quella dei “rossi”.
Specie nell’inchiesta Salvini, iniziata alla fine degli anni 80 e sfociata nel processo concluso nel 2005, molti “camerati” hanno parlato, alcuni dando un contributo alla ricostruzione dell’eversione nera e stragista. Digilio, Siciliano, Bonazzi, Vinciguerra e altri hanno aperto il proprio album dei ricordi, alcuni vagamente, altri in modo preciso e circostanziato. Pure sull’intenzione di far ritrovare in una villa di Giangiacomo Feltrinelli timer analoghi a quelli usati il 12 dicembre Cucchiarelli non svela niente di nuovo: nell’ultima istruttoria ne hanno parlato Giusva Fioravanti, Bonazzi, Calore e persino Giannettini (l’agente Zeta del Sid, pesantemente implicato nelle indagini fin dagli anni 70).
Dunque, perché mai in questo mare di rivelazioni (molte delle quali fatte da persone ormai non perseguibili penalmente, quindi contrassegnate da minori margini di ambiguità) non è emerso nulla sulla pista della doppia bomba?
-CUC:Semplicemente perché sarebbe la definitiva conferma della pista fascista e della sua responsabilità. Cosa che lo Stato si è impegnato negli anni a non far scoprire o confermare.
Se nell’immediato si trattava di particolari da sottrarre accuratamente alle indagini, i motivi di un’uguale riservatezza in rivelazioni di trent’anni successive non paiono spiegabili.
Considerazioni a parte sono invece dovute a un altro particolare che Cucchiarelli evidenzia nel libro: il ritrovamento di un pezzo di miccia, menzionato nella fase iniziale delle indagini e poi inspiegabilmente uscito di scena, che fa pensare a un ordigno il cui innesco fosse di tipologia diverso da quello ormai consolidato nella storia di Piazza Fontana (ossia: un innesco a miccia in luogo del famoso timer). Questo particolare è forse il più rilevante fra quelli apparsi nella prima e più interessante parte del volume, nonché difficile da controdedurre.
-CUC:Non è solo questo! C’e’ il timer ( sostenuto dal Sid) e la miccia, poi la miccia, repertata, identificata, di marca italiana, che bruciava ad una certa velocità scompare, cosi’ come vengono fatti sparire i reperti a Roma ( silenzio su questo) e tute le tracce che delineerebbero una ben diversa dinamica.Rinvio al capitolo
Resta però un elemento solitario, da solo insufficiente per avallare ricostruzioni alternative a quella che la Magistratura ha già puntualmente descritto, pur senza arrivare a responsabilità personali. Un elemento che invece Cucchiarelli utilizza davvero come una miccia, per accendere il motore che lo porterà su un percorso che, da qui in poi, si fa arbitrario.
-CUC:Ci sono i capitoli sulle borse, sulla Commerciale borsa e bomba “modello”, quella sui “vetrini”, le bombe in piu’, il “7” stampigliato, il finto manifesto anarchico ( pubblicato per la prima volta), tuta la storia dei depistagli di Roma, il fatto che Russomanno dica che già la sera, mentre il questore Guida inviava il primo telegramma al governo in cui si parla di miccia utilizzata, gli Affari riservati sapevano tutto sul timer. Fecero aprire a tarda notte un grossista di timer per lavatrici. La sera del 12 lo Stato sa tutto e come ricostruisco dettagliatamente si da’ da fare. Non riducete il tutto a banalità.
I timer: ricostruzione interessante, conclusioni discutibili
Cucchiarelli fa una lunga dissertazione sui timer (da 60 e 120 minuti) comprati dal gruppo di Freda e Ventura per Piazza Fontana e in generale per l’operazione del 12 dicembre. In particolare si sofferma sull’intercambiabilità e sulla modificabilità dei “dischi orari”. Il suo intento è dimostrare che un timer da 120 minuti potesse essere trasformato in uno da 60, ingannando così un potenziale “attentatore in buona fede”, il quale si sarebbe convinto di posare un ordigno la cui esplosione era stata programmata due ore dopo l’innesco, mentre in realtà il tempo concesso alla detonazione era dimezzato.
La riflessione sulla manomissione dei dischi-tempo è interessante, ma crea alcuni buchi logici nella stessa ricostruzione di Cucchiarelli, di cui l’autore sembra non accorgersi o liquida con superficialità.
Se la bomba “anarchica” era destinata a esplodere per induzione, cioè grazie a quella posata accanto dai fascisti e con l’innesco a miccia, perché si doveva modificare il timer? A quel punto sarebbe andato benissimo il temporizzatore da due ore, il risultato sarebbe stato analogo. Anzi, tutto sommato sarebbe stata una metodologia persino più sicura: si sarebbero evitate operazioni ridondanti (la modifica del timer) scongiurando pure l’ipotesi – seppure remota – che l’attentatore potesse accorgersi della manomissione.
Inoltre, l’ipotesi di alterazione dell’orario di scoppio sembra accordarsi, più che con la teoria cara a Cucchiarelli del doppio attentatore, con quella del gesto singolo. Si tenga conto che anche nell’ambiente ordinovista molti attentati, almeno fino al dicembre 69, erano puramente dimostrativi. In questo contesto, la sostituzione del timer poteva essere funzionale a vincere eventuali resistenze – etiche o semplicemente pragmatiche – di un singolo esecutore materiale, pedina parzialmente inconsapevole di una regia superiore, che avrebbe portato la bomba nella banca convinto di non causare una strage. Questa ipotesi spiegherebbe pure le voci, circolate per molto tempo anche nell’estrema destra, della “strage per errore”: pur essendosi rivelata una convinzione errata (e probabilmente da certuni fatta circolare ad arte) non è escluso che nell’ambiente ci fosse chi aveva validi motivi per essersela formata. Questa soluzione manterrebbe la strage nel solo
alveo fascista, e sarebbe pure coerente col quadro organizzativo generale ordinovista, laddove, è bene ricordarlo, era presente una compartimentazione piuttosto rigida, in cui non sempre la “bassa manovalanza” era pienamente consapevole delle decisioni assunte ai livelli superiori.
Cucchiarelli pare accorgersi dell’incongruenza, ma la liquida con poche parole: “con i timer contraffatti con le manopole da 120 minuti ci si era assicurati che il disastro avvenisse, anche se fosse esplosa solo la bomba anarchica”. Un po’ poco per supportare la teoria.
-CUC:Ho gia’ spiegato a Giannuli ( ed e’ scritto nel libro) che i fascisti non avevano la certezza di poter “raddoppiare” la bomba di Valpreda. Quella era la “seconda carta” che si doveva giocare tra mille rischi e una logica da “commando” ( le parole che usa Delfo Zorzi) se le cose fossero andate bene. A Roma non si colloca la bomba nel salone della Bnl ( come era preevisto) e i fascisti sono costretti a “ raddoppiare” ( vedere la dimostrazione) nel sotterraneo. Quella bomba, con il trucco del dischetto ( ecco perché ne viene fatto ritrovare una da 60 fuori dalla borsa che non poteva esplodere alla Commerciale) sarebbe comunque esplosa dopo 60 minuti invece di 120 come credeva Valpreda e ci sarebbero stati morti (pochi) addebitabili direttamente a Valpreda. Questo perché se doveva esserci un golpe i morti dovevano essere comunque messi in conto. E’ il golpe non c’e’ ( come spiega Vinciguerra) non perché ci sono 17 morti ma perché non si arriva ai 100 che erano stati programmati.
Anche nel caso dei timer la ricostruzione de “Il segreto di Piazza Fontana” risente di due limiti. In primo luogo, si allunga la filiera organizzativa dell’attentato, andando a supporre una ricchezza di elementi che – seppure concatenati razionalmente – rendono la strategia dei fascisti troppo machiavellica, quando una più lineare sarebbe stata non solo ugualmente funzionale, ma soprattutto maggiormente priva di rischi d’intoppo: raddoppiando gli ordigni si aumentano il personale necessario e i margini di incertezza (basta il ritardo o l’anticipo di pochi minuti nell’entrare nella banca, e tutto diventa più difficile da gestire), in definitiva si aumenta la possibilità di venire scoperti.
In secondo luogo, Cucchiarelli denota un limite che permea pure il resto del lavoro: nel seguire una propria deduzione non tiene conto del fatto che le intuizioni spesso portano a strade alternative. L’autore, invece, in questo come in altri casi ne segue una sola, quasi che – affascinato da un solo percorso – abbia trascurato ogni alternativa che lo possa portare a conclusioni diverse.
-CUC:Ho lavorato anni a scartare ipotesi, vagliare dati, leggere e meditare. Alla fine e’ questa quella che ha retto a tute verifiche anche perché le bombe che ha in mano Delfo Zorzi (tutti tacciono su questo) erano proprio quelle del “raddoppio” per questo il gruppo è stato assolto.
Ad esempio, tutta la vicenda delle due bombe scomparse potrebbe avere ben altra spiegazione: il loro ritrovamento potrebbe essere stato impedito per lo stesso motivo per cui fu fatta brillare la bomba alla Commerciale Italiana, ossia per evitare che si risalisse in breve tempo alla matrice fascista degli attentati.
Le fonti e la loro attendibilità
Lo ribadiamo: dopo un inizio interessante, è nella seconda parte del libro che Cucchiarelli perde il senso della misura.
-CUC:Solo perche’ dimostro che Valpreda non aveva uno straccio di alibi il 12 dicembre e che è stato smentito anche dal suo avvocato sul dato, allora fondamentale, del cappotto?
A un certo punto sembra abbandonare l’approccio investigativo (inizialmente seguito meticolosamente, pur se con conclusioni discutibili) per scegliere quello fantapolitico.
Dove? In quale punto? In quale capitolo? Su quale tema? In quale nota?
Ma nel cambio di registro narrativo lo scrittore fa di peggio, avvicinandosi non alla fantapolitica lucida e metaforica di Orwell, ma a quella molto meno nobile di Dan Brown. Lo schema è lo stesso: un segreto inconfessabile a conoscenza di pochi all’origine di una battaglia nascosta tra uomini e apparati. Alcuni vengono assassinati per il segreto che hanno scoperto.
CUC:Certo un “segreto politico” che ha molti “paretecipanti” e che ha retto proprio per questo.
Cucchiarelli decodifica segni e messaggi indecifrabili, raccoglie verità da personaggi ancora nell’ombra…
Ma chi sono le fonti rivelatrici delle nuove “verità” di Cucchiarelli?
Chi ragiona così e’ in malafede. Come racconto sono stato da Digilio con Salvini quando ancora il magistrato indagava , quindi prima del 98. Gli incontri di Russomanno sono andato come racconto. Non una parola di piu’. Le “verità” si guadagnao con le inchieste e non si hanno in “regalo”. E’ una questione di metodo e degnita’ professionale. Russomanno e’ così importante che lo metto in appendice. Onesta intellettuale = onestà politica.
Innanzitutto, Silvano Russomanno, ex dirigente del Sisde, ossia un funzionario di quei servizi segreti che operavano anche infiltrando neofascisti negli ambienti di sinistra, in particolare in quelli anarchici. E poi c’è Mister X, nella descrizione di Cucchiarelli “un fascista operativo, uno che sapeva e che agiva”. In altre parole, un pezzo grosso della destra extraparlamentare dell’epoca, che protetto dall’anonimato conduce il libro alle “scoperte” più eclatanti. E’ Mister X a confermare l’esistenza delle bombe anarchiche e della miccia, a rivelare il particolare del doppio taxi e del doppio attentato, a ricostruire il percorso delle borse… E’ dunque un personaggio anonimo a tracciare trama ed essenza del libro: lasciamo al lettore ogni valutazione circa la necessità di altri riscontri oggettivi o circa l’attendibilità che possa attribuirsi a tale fonte.
-CUC:Questa è pura malafede politica. L’analisi si è sviluppata su novità guadagnate dall’analisi e solo quando erano state guadagnate “confrontate” con questa fonte in pochi incontri. Questo è l’unico modo per avere conferme. Guadagnarle in proprio solo con l’analisi e il giornalismo investigativo. Ma questo vale sempre, anche quando dimostra che Valporeda non ha alibi, non solo su Pinelli o sul Vitezit.
Su “Il segreto di Piazza Fontana” l’impressione complessiva è che Cucchiarelli si sia fatto prendere la mano dalle sue ricerche, in una specie di bulimia investigativa che gli fa vedere segreti dove segreti non esistono, che gli fa scambiare la dietrologia, solo perché ben documentata, il mezzo più opportuno per risolvere non solo Piazza Fontana, ma pure il caso Pinelli, l’uccisione di Mauro Rostagno (secondo l’autore ucciso da Lotta Continua, conclusione in contrasto con evidenze giudiziarie emerse di recente), la morte di Feltrinelli e l’omicidio Calabresi (ad avviso di Cucchiarelli assassinato, per aver scoperto “il segreto”, da Lotta Continua in combutta con i servizi segreti).
-CUC:E’ la ricerca che si è sviluppata e “sistematizzata” una volta che si sono posti i presupposti di tutti quegli oggetti sottratti alla indagine, come dimostro. Ogni storia, anche la piu’ contorta, ha una sua coerenza interna. Per chi come me ha lavorato a lungo sullo “Stato parallelo” questo logica operativa “doppia” non è stata una sorpresa. Lo è invece per chi la sostiene a “corrente alternata”.
Decisamente troppo per un libro che denuncia il proprio limite fin dalla copertina, dove si afferma “finalmente la verità sulla strage”, con un’enfasi che del volume sottolinea, più che la natura, i limiti di una scarsa umiltà. “Il segreto di Piazza Fontana” è, se non un depistaggio, un’occasione mancata.
-CUC:Indicare nome, fatti, foto, documenti un depistaggio. Incredibile caro ‘Baro’.
O forse un’operazione politica utile a ingenerare confusione e mettere in ombra importanti acquisizioni giudiziarie, tra cui l’innocenza degli anarchici, approfittando di un clima revisionista e cialtronesco che oggi rende possibile far rientrare dalla finestra veleni e sospetti già da tempo usciti dalla porta principale della storia.
Questo e’ proprio una scopiazzatura mal fatta dal Manifesto e da Giannuli che denuncia,nella scelta delle parole, la sua povertà di argomenti a fronte di fatti.
Paolo Cucchiarelli
Francesco Barilli
Aggiungo una cosa:
a questo link potete trovare una mia risposta alla replica di Paolo C.:
http://francescobarilli.splinder.com/post/20796009/La+risposta+di+Paolo+Cucchiare
saluti
Francesco “baro” Barilli
AldoGiannuli.it » Blog Archive » il dibattito sul doppio stato…
[…] *AGGIORNAMENTO*:Riceviamo e volentieri pubblichiamo un contributo di Francesco Barilli e Saverio Ferrari sul “… […]
giorgio gazzotti
Il libro di Paolo Cucchiarelli
E’ un peccato che un così encomiabile lavoro di ricerca e documentazione abbia prodotto un libro così deludente, forse per la ricerca a tutti i costi dell’eclatante, dello scoop.
Nel merito, al di là della tesi della colpevolezza degli anarchici, il resto è confuso, spesso contraddittorio, a volte incomprensibile.
Nel metodo (a parte alcuni apprezzabili approfondimenti) la maggior parte del libro si regge su un castello di ipotesi, illazioni, congetture al di là dell’accettabile. Le fonti sono troppo spesso articoli di giornale, mezze frasi fuori contesto, voci, rivelazioni di anonimi. La tecnica ripetutamente usata è quella di partire con un sospetto e una conseguente domanda. Che dopo qualche pagina diventa un’ipotesi, al condizionale. Qualche altra pagina e il condizionale è un indicativo. Qualche pagina ancora e si tramuta in certezza.
Già molti hanno scritto cose molto giuste, non voglio dilungarmi in analisi, mi limito ad alcune obiezioni nello specifico. Tralascio quelle avanzate dal prof Giannuli, che condivido.
Il grande segreto
La pretesa di aver svelato, finalmente, il grande segreto del mi pare infondata.
Il vero buco nero nella storia della repubblica è il coinvolgimento, in un ruolo di complicità e regia occulta con il terrorismo stragista, degli apparati dello Stato (non certo deviati) e di alcuni politici. Cosa già compresa allora e che poi ha trovato importanti conferme nelle indagini degli anni 90. (Colpisce al proposito come Cucchiarelli ignori quasi del tutto il ruolo dei servizi miliatri Usa). Se anche qualche anarchico avesse avuto un qualche ruolo quel giorno, non cambierebbe granchè il corso di quegli eventi nè la sostanza politica e morale di quei morti.
La borsa della Comit
Uno dei punti cardine del libro è la tesi che la bomba della Comit fu lasciata apposta non innescata, perchè doveva depistare. Nascondere cioè l’esistenza delle seconde bombe.
1) L’autore dà per assodato il fatto che l’ordigno fosse disinnescato. Ma non è così. La cosa è possibile, ma non è stata mai accertata, essendo che fu fatto esplodere. La tesi fu all’epoca usata come cavillo giuridico per derubricare il reato a trasporto di esplosivi e portare le indagini a Roma.
2) Il presunto depistaggio sarebbe servito a nascondere l’esistenza delle borse anarchiche e ad indirizzare (attraverso, borsa, cassetta Juwell e timer) le indagini sui neofascisti Freda e Ventura, cioè i veri autori. Francamente faccio fatica a capire il senso del depistaggio, visto che lo stesso autore sostiene che l’obiettivo era dare la colpa agli anarchici.
3) Non si capisce neppure perchè polizia e servizi fecero poi di tutto per cancellare o inquinare le prove che da quella borsa erano scaturite. Depistavano un depistaggio, all’oscuro del piano dei fascisti? Dunque terroristi e servizi non avevano rapporti, contatti, nessuna complicità? Peccato però che anche i fascisti fecero di tutto per cancellare quegli indizi.
Le bombe scomparse
Altro architrave dello scoop sono le due ulteriori bombe che sarebbero state messe quel giorno a Milano dagli anarchici (in un grande magazzino e vicino a una caserma) e poi fatte sparire
1) Unica prova della loro esistenza qualche articolo di giornale. Per il resto nulla, neanche il più labile accenno è mai emerso. Eppure nella vicenda sarebbero stati coinvolti, poliziotti, vigili urbani, forse qualche teste oculare e naturalmente un certo numero di anarchici. Ma nessuno in 40 anni ha mai detto una parola.
2) A supporto Cucchiarelli cita una frase detta da Zorzi a Digilio e da questi poi rivelata. . Ecco la prova, le bombe inesplose sono quelle sparite!! Peccato che Digilio abbia spiegato chiaramente che Zorzi si riferiva alla bomba della Comit e a quelle inesplose nei mesi precedenti (ufficio istruzione Milano, palazzo giustizia Torino). Cucchiarelli non può non saperlo.
3) Anche l’ipotetica ricostruzione del fatto è francamente inverosimile. Gli anarchici, capito che era una trappola, hanno avvertito qualcuno, che ha spedito le forze dell’ordine. Ma se gli ordigni erano già depositati era anche già innescati. Dunque le forze dell’ordine si precipitano in (o davanti a) un grande magazzino (pieno di gente), prendono l’ordigno senza far evacuare nessuno, si fidano ciecamente della telefonata e non pensano per nulla ad una possibile trappola, lo aprono, lo disinnescano, senza che nessuno dei molti presenti si accorga di niente, lo richiudono, lo rimettono al suo posto, se ne vanno e telefonano ai vigili urbani che lo ritrovano oppure aspettano che lo ritrovino casualmente. Poi intervengono di nuovo e lo fanno sparire. Perchè non lo facciano sparire subito è un mistero.
Altra ipotesi è che a neutralizzare le bombe sia stato Pinelli. Ma perchè le disinnesca e poi le lascia lì? Doppio mistero.
4) Ma ecco un’altra prova della loro esistenza: . Non si capisce però cosa si aspettava, visto che la cassetta fu fatta esplodere dopo le 21 e le due presunte bombe sarebbero state trovate neutralizzate attorno alle 16,30.
5) Scrive Cucchiarelli E Ancora .
Perchè cinque bombe con strage sono robetta da ballerini, insufficienti ad innescare alcunchè. E sette sarebbero invece state una macchinazione complessa e pericolosissima, tale da innescare un golpe o qualcosa di simile, non si riesce a capire. E perchè poi quelle due in più avrebbero coinvolto tutta la sinistra extraparlamentare? Mah!
Come non si capisce perchè dovevano rimanere un segreto indicibile, anche a costo, secondo l’autore, di ignorare il falso alibi di Pinelli. Quale sarebbe stato il problema? Anche se non esplosero il ritrovamento avrebbe potuto essere sfruttato ugualmente. E perchè poi i falsi volantini potevano essere messi solo sulle due bombe scomparse? Non sarebbe stato più efficace metterli alla Bna, nella borsa della Comit e a Roma?
La seconda linea
Pagina 42: .
L’autore si rifà, forzandolo, a quanto detto da Ventura a D’Ambrosio nel marzo 73.
Ad essere precisi Ventura disse che la strategia della seconda linea era già operante e non fu inaugurata quella sera. Ma sono i fatti a smentire la tesi del e . Tutti gli attentati successivi a quel 18 aprile (Fiera di Milano e Ufficio cambi Milano;, Corte Cassazione e Procura a Roma, tribunale a Torino; palazzo di giustizia a Milano; treni dell’8 agosto, scuola slovena di Trieste e cippo di Gorizia) furono opera solo di uomini di On, che quindi agivano in prima fila e non dietro le quinte.
La miccia
L’esplosione alla Bna fu provacata da una miccia, ne fu trovato anche uno spezzone.
Il perito Cerri disse: .
1) Innanzitutto una miccia di 24 cm impiega 30 sec e non un minuto. Solo un aspirante kamikaze metterebbe una bomba di quel tipo con 30 sec di margine. Se miccia era era più lunga.
2) La fonte anonima dice: fu usata una miccia con margine da 3 a 5 min. Ma è impossibile. Una miccia che brucia fa puzza e fumo e 3/5 minuti sono un’eternità Tutti se ne sarebbero accorti. In più una miccia così è lunga oltre un metro e mezzo e non è davvero facile sistemarla dentro una borsa, col rischio che il fuoco si propaghi per contatto.
3) Se era 24 cm e ne sono rimasti 12, significa che non è bruciata tutta. E allora come ha fatto a provocare l’esplosione?
4) A prescindere dalla lunghezza, solo un pazzo può pensare di innescare un ordigno con una miccia in un luogo chiuso ed affollato. Infatti mi azzardo a dire che non si danno casi in letteratura. Il rischio è troppo alto: occorre armeggiare nella borsa e si può essere visti. C’è poco tempo per scappare, basterebbe un banale intoppo per saltare con la bomba
5) Se Valpreda, come pensa Cucchiarelli, ha preso il taxi di Rolandi alle 16 e depositato la bomba tra le 16,04 e le 16,06, perchè i fascisti aspettano ben 30 minuti per far esplodere la seconda bomba, col rischio che la prima borsa venga notata e rimossa?
6) Non è chiaro se Cucchiarelli ritiene che il timer nella borsa di Valpreda fosse attivato o meno. In un passaggio dice di sì, per essere sicuri che l’esplosione ci fosse comunque. Ma se è così, a conti fatti, visto che prima di prendere il taxi Valpreda avrebbe fatto un giro a piedi, si può presumere che l’ordigno fu innescato tra le 15,40 e le 15,45. A maggior ragione allora non si capisce perchè i fascisti avrebbero aspettato mezz’ora, arrivando a collocare la loro bomba pochissimo prima dell’esplosione di quell’altra, correndo grossi rischi.
Io non so spiegare la presenza della miccia, ma visto che D’Ambrosio scriverà che tutte le bombe anarchiche precedenti erano con miccia, non è possibile che qualcuno abbia pensato che la presenza di una miccia fosse un ottimo indizio per la pista anarchica? Tra l’altro Valpreda aveva detto ai compagni di avere della miccia e sicuramente Merlino lo aveva riferito.
Ventura
L’autore dà per assodata la presenza di Ventura a Milano il 12-12, sulla base di quanto detto da Digilio e sulla base del falso alibi.
Digilio in realtà ha parlato di responsabilità di Ventura nel fallito attentato alla Comit, che potrebbe anche solo voler dire che Ventura preparò la bomba, non che la mise. Il giudice Salvini nella sua sentenza conclude per la presenza di Ventura a Milano. Ciò è anche possibile. Non spiega però come questo si concilia con le numerose testimonianze (Giannola, Toma, Sestili) che attestano che Ventura era a Roma nel pomeriggio del 12-12.
Il falso alibi non c’entra nulla, anzi depone a favore ella presenza a Roma. Perchè, per nascondere di essere stato a Milano, Ventura avrebbe dovuto dire che era a Roma, città dove ugualmente c’erano state bombe? Inventandosi un falso alibi, che avrebbe aumentato ancor di più i sospetti su di lui. Non era meglio dire che era in un altra città? La balla che era andato nella capitale perchè il fratello aveva avuto un attacco epilettico (cosa avvenuta invece il 14) lascia pensare che fosse realmente e Roma.
I due taxi
La tesi è che la mente, davvero diabolica, avrebbe mandato alla banca Valpreda e anche un suo sosia su un altro taxi per essere sicuro che almeno uno dei due tassisti lo riconoscesse. Quando però Rolandi, la sera stessa della strage, sarebbe arrivato in questura, gli dicono di tornare perchè non sono pronti, perchè non sanno se arriverà anche l’altro tassista.
Francamente che in un piano così ingegnoso e perfetto non avessero previsto che un tassista si sarebbe presentato già venerdì e gli chiedono di ripassare, fa un po’ ridere.
Il taxi
Una delle obiezioni principali alla presenza di Valpreda sul taxi di Rolandi fu l’assurdità di un viaggio in taxi per poche decine di metri. Cucchiarelli però rilancia la vecchia pista Rolandi, confortato dal solito mister X che gli ha rivelato che fu fatto prendere il taxi a Valpreda perchè poteva essere riconosciuto attraversando la piazza. Poi l’autore aggiunge che non è strano usare un taxi per un attentato perchè .
1) Ma prima si è detto che l’intenzione era quella di far riconoscere Valpreda, ora invece che non lo si voleva far riconoscere. Bisognerebbe decidersi.
2) Dire che il taxi è un buon mezzo per un attentato è una sciocchezza. E’ un ottimo mezzo per farsi riconoscere, soprattutto se lo si usa per fare pochi metri, si scende con una borsa e si torna senza. Non solo, ma di un viaggio in taxi resta traccia, sul taxi possono restare impronte e così via. Inoltre non era affatto un mezzo veloce, infatti quel pomeriggio la zona era intasata di traffico.
3) Edgardo Bonazzi ha riferito di aver appreso, prima da Freda e poi da Azzi, Giannettini e Concutelli, che a prendere il taxi fu un sosia di Valpreda, indicando Sottosanti. La rivelazione trova una conferma in una informativa di Rovelli –Bolena alla Dar, che indica in Sottosanti il passeggero. La cosa non è implausibile anche se neppure del tutto convincente. Certo è che questa ipotesi ha il pregio di spiegare perfettamente la stranezza del viaggio e il comportamento del passeggero: lo scopo era infatti quello di farsi notare.
Rolandi.
Cucchiarelli, come già detto, ritiene che Valpreda fosse sul taxi di Rolandi, che lo avrebbe riconosciuto. Ma che l’identikit non fu fatto sulla sua descrizione, ma su una foto di Valpreda. Foto però di alcuni anni prima, quindi molto diversa dal Valpreda del 69.
1) La testimonianza di Rolandi fu per certi versi abbastanza sospetta. Una cosa però appare certa: quello descritto dal tassista non era Valpreda. Due erano le carratteristiche che più avrebbero dovuto colpire l’attenzione: le basette molto lunghe e una notevole erre moscia oltre ad un forte accento milanese. Rolandi invece dice che aveva basette regolari, nessuna inflessione, voce normale. E uno che ha descritto un numero impressionante di dettagli fisici e di abbigliamento non poteva non notare queste due cose. In più scaglia l’altezza di quasi 10 cm e definisce l’anarchico: e, tutto si poteva dire di Valpreda, ma questi erano gli ultimi aggettivi a venire in mente. Ma Cucchiarelli , che ama i dettagli infinitesimali e improbabili e ignora le cose evidenti, arriva a dire che forse essendo uomo di palcoscenico aveva impostato la voce, solo che Valpreda faceva il ballerino non l’attore e non si balla con la voce.
La testimonianza di Rolandi però sembra sincera, altrimenti la descrizione sarebbe stata più precisa. Bastava suggerirgli almeno la erre moscia o le basette. E se non era Valpreda, chi era? Il sosia?
2) La storia della foto è poco credibile. Perchè la polizia, avendo avuto 3 giorni di tempo e tutte le foto di Valpreda, avrebbe usato una foto vecchia e così diversa? Facendo perdere credibilità alla testimonianza? Forse è avvenuto l’inverso, vista la descrizione del passeggero poco somigliante al Valpreda del 12-69 è stata trovata una foto vecchia che assomigliasse di più alla descrizione.
Valpreda
Ma se andò davvero Valpreda in banca, pedinato da più persone, e lo scopo era incastrare gli anarchici. Sarebbe stato semplicissimo mettere insieme prove schiaccianti della sua colpevolezza. Bastava farlo incontrare dentro la banca da qualcuno che lo conosceva, fare in modo che l’incontro fosse notato da più persone, addirittura fotografarlo. Invece nulla, solo un tassista che descrive anche una persona diversa. Incomprensibile.
I cappotti
Valpreda arriva a Milano con un giaccone tre quarti verde con cappuccio e fodera di pelo, vecchio e sporco. La sera di venerdìì la zia va a casa dei genitori a prendere un cappotto marrone perchè il nipote possa andare dal giudice vestito meglio. Secondo Cucchiarelli è un indizio di colpevolezza, il cappotto infatti gli serviva per sostituire quello usato per la strage. Anche Andreotti non molto tempo fa riprese questa tesi.
1) Ma la cosa è illogica, per non dire assurda. Dunque Valpreda va a mettere la bomba con un cappotto marrone, torna a casa e, si presume si disfi del cappotto. La cosa più logica e semplice è che rindossi il vecchio giaccone, che certo non si confonde col cappotto. Invece no, manda la nonna a prendere un cappotto marrone molto simile a quello fatto sparire. Non era molto furbo.
2) Ma non è finita. Il 16-1 la ps va a perquisire la casa della zia e trova il giaccone e solo quello. Ma Valpreda dice al magistrato che aveva un terzo cappotto verde. E Cucchiarelli: . A parte il fatto che è verde e non marrone e Rolandi che aveva notato il colore dei pantaloni appena intravisti se ne sarebbe accorto. Ma soprattutto non è vero che Valpreda l’ha tenuto nascosto, anzi è stato lui a rivelarne l’esistenza. Ora la cosa sarebbe questa: da settimane si discute di cappotti per sostenere che Valpreda era sul taxi. La perquisizione dà esito negativo, ma lui salta fuori a dire: guardate però che io ho un terzo cappotto, sapendo che era quello usato per mettere la bomba. Più che anarchico un idiota sesquipedale. Assurdo. Il comportamento di Valpreda è la migliore prova della sua innocenza.
Lorenzon
Le confidenze di Ventura a Lorenzon sarebbero state un depistaggio.
Non si capisce bene la ragione. Essendo strano un depistaggio a favore degli anarchici e verso se stesso. E perchè allora, pochi giorni dopo, lui e Freda spinsero Lorenzon a ritrattare?.
Zio Otto
Visto che è tutto doppio, borse, taxi, ecc. Cucchiarelli raddoppia anche zio Otto. Il vero esplosivista sarebbe un romano chiamato Otto.
1) Ancora una volta però sulla base di elementi che a dir vaghi è poco. Un’intervista di Sestili, che però parla solo delle bombe romane e non fa il nome Otto. Sappiamo quanto poco attendibili siano le interviste. Poi una battuta di Maggi, uno che non ha mai detto nulla di utile ed attendibile e che però parla di un certo , che non è Otto. Infine un Bonazzi che dice di non ricordare. Non si capisce da dove esca il nome Otto del romano.
2) Cucchiarelli chiama allora in soccorso Ventura. Che, sempre nell’interrogatorio del 3-73, disse che lui e Freda si incontrarono a Milano la sera del 23-8-69 con un romano (che però non si chiamava Otto), mandato da Delle Chiaie, che arrivò con le bombe e che fu lui collocarne una all’Ufficio Istruzione. Sorprende che Cucchiarelli prenda per oro colato tutto quel che disse Ventura, quand’è accertato che raccontò cose vere, ma anche un bel po’ di balle. In particolare quella relativa al romano. L’incontro non ci fu mai, il romano se lo era inventato per scagionare Freda e sè stesso. Anche Siciliano, teste attendibile, ha confermato che fu Freda a mettere quella bomba.. Ventura disse anche che era stato Delle Chiaie ad aver concepito e organizzato gli attentati ai treni dell’8-8, ma si è accertato che a organizzare e compiere quegli attentati fu On veneto.
Potrei continuare a lungo. Mi limito solo ad elencare un po’ di inesattezze trovate nel testo.
Cucchiarelli scrive che la notizia del presunto ritorno a Roma di Valpreda il 13 e 14 dicembre, comparve sul Tempo il 19-12.
Nella sentenza di Catanzaro si dice però che la notizia sul Tempo è di fine gennaio.
A me risulta che Catenacci non diventa capo della Dar durante le indagini ma alla fine del 68
Gianfranco Bertoli frequentava Pinelli a gli anarchici dopo la strage volevano farlo fuggire in Svizzera. (pag 274)
Una frase che lascia sospettare di un qualche coinvolgimento nelle bombe. In realtà Bertoli fugge oltre un anno dopo (gennaio 71) e a seguito di una condanna per rapina.
Anche alcuni degli ordigni collocati sui treni erano contenuti in custodie per libri. Questo per ricollegare gli attentati alla consegna di libri a Sottosanti da parte di Di Luia (pag 383)
Ma dalle indagini è risultato che tutti gli ordigni sui treni erano in cassette di legno con fondo e coperchio di masonite. Era la cassetta messa il 12-5-69 al trib di Torino che era camuffata da contenitore per libri.
Saverio Molino è indicato come capo della questura di Padova, in realtà era capo dell’Ufficio politico.
Cucchiarelli scrive che l’ufficiale dei CC Pietro Rossi nel 69 era a Padova, dove si occupò delle borse venduta alla valigeria Al Duomo, della vicenda Juliano, della morte del portiere Muraro e che proveniva dll’esperienza dell’Alto Adige.
La cosa mi ha sosrpreso e non ho trovato alcun riscontro. Ma probabilmente è una mia ignoranza. Mi risulta però che delle borse e di Muraro si occupò la questura e mi sembra molto strano che un carabiniere si sia occupato di una vicenda interna alla polizia. A occuparsi di tutto ciò e ad avere avuto un ruolo in Alto Adige fu invece il commissario Saverio Molino, non è che Cucchiarelli si è confuso?
A Castelfranco Veneto furono trovati una decina di candelotti di dinamite e 35 candelotti di esplosivo gelatinoso, in casse di cui alcune erano marchiate Nato.
Le armi erano in una sola cassetta e non risulta che fosse marchiata Nato. I candelotti erano in un anfratto di roccia, 35 in tutto, 20 di semigel D e 15 di poltiglia di gelignite.
Rotelli non vendette i candelotti di gelignite jugoslava a Zorzi nel 69, ma sicuramente dopo il 70 e probabilmente nel 72, non erano 200, ma una quarantina, non furono portati al casolare di Paese, ma in quello di Spinea. (pag 490)
Le cassette viste da Digilio al casolare di Paese e poi utilizzate per gli attentati di Trieste e Gorizia non avevano scritte Nato, ma scritte in inglese.
L’idea di mettere i timer di Pzza Fontana in una villa di Feltrinelli. Si legge a pag 591: .
La cosa giunge totalmente nuova. La storia della provocazione ai danni di Feltrinelli emerse dal ritrovamento del memoriale Azzi e fu confermata da Izzo, Calore, Bonazzi. Ma tutti dissero che il progetto non fu realizzato, come risulta dalla sentenza Salvini del 95.
Scusate la lunghezza, ma avrei avuto molte altre cose da scrivere
Giorgio Gazzotti
Francesco Spinelli
Pure il ferroviere anarchico dal libro esce innocente, ma non privo di macchie. Quel giorno Pinelli avrebbe intuito la trappola fascista in cui stavano per cadere i suoi compagni e si sarebbe adoperato per evitare che le altre due bombe scoppiassero a Milano.
Perchè dovrebbe essere una macchia aver ”
intuito la trappola fascista in cui stavano per cadere i suoi compagni e si sarebbe adoperato per evitare che le altre due bombe scoppiassero a Milano “.
Altro che macchia è la dimostrazione di un grande coraggio e per questo ha pagato con la vita.
Fabrizio Paccagnini
Buonasera, mi sembra che il dottor Giannuli nella sua critica al libro di Paolo Cucchiarelli riguardo la figura di Valpreda non consideri la possibilità, a mio avviso, più ovvia: Pietro Valpreda non è mai stato un anarchico. Lo pensa, lo dice(alla moglie) e lo scrive Giuseppe Pinelli; lo dice Calabresi ad Ardau; Lo dicono e lo scrivono i rappresentanti della FAI; Lo ripete, citando anche l’episodio del Festival di San Remo, Vincenzo Vinciguerra. A mio modesto parere, Valpreda è stato un infiltrato-provocatore che eseguiva ordini che provenivano da D’Amato, passando per Delle Chiaie e Merlino. Ha provato ad infiltrarsi nel circolo Bakunin, ma è stato cacciato come probabile provocatore. Ha fondato con Merlino il circolo “22 marzo” a Roma e “gli Iconoclasti” a Milano. Visti i precedenti, non sembra poi così strano che abbia potuto accettare di collocare un ordigno dimostrativo in una banca che riteneva sarebbe stata chiusa al momento dell’esplosione, come probabilmente ha fatto il suo amico Merlino a Roma. Perchè gli è stato consigliato di prendere un taxi? Perchè a Piazza Fontana lo conoscevano in tanti avendo vissuto per un periodo all’ex hotel Commercio. Visto che comunque ci doveva andare, sarebbe stato più facile “gestire” un solo eventuale testimone. Perchè il sosia nel secondo taxi? Perchè il centro dell’operazione era far ricadere la responsabilità su un puro ed ignaro anarchico(favola che evidentemente ancora regge) e creare nella sinistra quel senso di ingiustizia che avrebbe portato alla ribellione e quindi alla “giusta repressione”. Poteva l’inteligentissimo D’amato rischiare, per una indecisione o defezione dell’ultimo momento di Valpreda, considerato il suo carattere, che saltasse tutto lo schema? Certamente no; quindi affianca a Valpreda un uomo che gli somiglia molto e che sale con una borsa, senza esplosivo, su un’altro taxi, alla stessa ora. Magari proprio su quello di Rolandi? E’ per questo che la deposizione del tassista vacilla?
Fabrizio Paccagnini
In effetti se io avessi in mano una bomba innescata, mi farei portare proprio davanti alla banca (come dice di aver fatto Bartomioli), anche dentro se si potesse. Mentre se dovessi portare una borsa con, che ne so, dei documenti non avrei problemi a far fermare il taxi in una via laterale( come dice Rolandi).