“Il segreto di Piazza Fontana” e il dibattito sul doppio stato: un intervento di Fabio Cuzzola, insegnante di italiano e latino nei licei

L’intervento di Fabio Cuzzola, insegnante di italiano e latino nei licei

Ho letto e studiato alacremente l’ultima fatica di Paolo Cucchiarelli; complice lo scarso coinvolgimento  che vivo per l’ordinaria burocrazia degli esami di stato e l’interesse che nutro per le vicende in questione sin dai tempi della mia formazione universitaria.
Ho utilizzato il verbo “studiare”, perché come tento di insegnare ai giovani,  qualsiasi cosa vogliamo scoprire e criticare, è necessario prima esaminarla, conoscerla e poi giudicarla.

Premetto inoltre, che non avendo vissuto quella stagione politica, non porto gli “occhiali” deformanti dell’ideologia manichea, anzi nella mia quotidianità educo a liberarsi da ogni dogmatismo  per ricercare da sè libertà e giustizia.
Alla chiusura del libro le prime considerazioni sono legate ad un vecchio adagio filosofico: “La creatura ha finito per divorare il creatore!”.

Come tutte le opere storiche, che hanno la pretesa di essere monumentali, il libro di Cucchiarelli finisce per snocciolare materiali su materiali, a dir vero molto interessanti nella prima parte del volume, senza però badare all’impianto delle fondamenta rappresentato dalle fonti.
L’autore stesso in fase introduttiva comunica al lettore le sue scelte in questo campo, sottolineando di aver preferito le fonti archivistiche, documentali-giornalistiche a quelle orali.
Tuttavia alla fine, l’impianto del “radoppio dell’ attentato” è verificabile sulle dichiarazioni rese allo stesso autore dal dottor  Russomanno e da un tale “Mister X”.
Il primo, mio conterraneo, nato a Reggio Calabria nel 1924, ha trascorso tutta la sua vita a depistare e creare, come lui stesso ha affermato in passato, elementi di deviazione come “il Grande Vecchio”; penso non sia credibile un agente dei servizi segreti che ancora oggi afferma, riferendosi agli storici che: “la strategia della tensione e’ una invenzione vostra”.1
La seconda fonte orale di peso è quella rappresentata da una persona della quale non si vuol far conoscere l’identità; questo può andare bene per il giornalismo, ove la deontologia professionale suggerisce la riservatezza delle fonti, non dovrebbe essere così per lo storico.

Per chi si cimenta con la storia le fonti più sono condivisibili, più gli  studi hanno credibilità.
In tal senso mentre il giornalista deve fare lo “scoop”, lo storico deve suscitare interesse, stimolare altre ricerche, inaugurare altri filoni di studio.
Il giornalista lavora sull’oggi, lo storico per il domani.
A questo proposito anche la scelta del  titolo sensazionalistico dell’opera: “Il segreto di Piazza Fontana. Finalmente la verità sulla strage……”, avrebbe la pretesa di mettere il punto esclamativo in materia, se Bloch avrebbe avuto la stessa pretesa di verità, nessuno di noi negli ultimi sessantenni avrebbe mai scritto nulla sulla società feudale.
L’approccio alla ricerca da parte dell’autore e “milanocentrico” ovvero, non credendo alla strategia della tensione, e basandosi molto su quella degli opposti estremismi, sfronda molti elementi utili per ricostruire il contesto del prima e del dopo.

In particolare viene espunto tutto quello che è lo scenario meridionale.
Solo qualche esempio.
I timers di Freda, arrivano in  quantità in Calabria; parte di essi vengono utilizzati per gli attentati ai treni dei sindacati del 22 ottobre del ’72; un’altra partita verrà scoperta dalla guardia di finanza in un deposito  clandestino di Avanguardia Nazionale a Reggio ancora nel 1976.2
Lo stesso Freda che in pieno processo a Catanzaro verrà aiutato nella sua fuga-latitanza dalla ‘ndrangheta, a conferma che i rapporti nord-sud esistevano a cominciare dal ’68, passando per la rivolta di Reggio.
Per ritornare a Milano quei giorni, così come ricostruiti da Cucchiarelli, sembrano più la cronaca di una maratona.
Ventura gira con due borse da portare ai coniugi  Corradini, Pinelli corre per bloccare la trappola tesa agli anarchici, l’agente segreto Fusco corre da Roma per bloccare la strage, insomma quanti sapevano e non hanno fermato quest’orrendo misfatto??!!

Il tutto poi per che cosa? Per incastrare Feltrinelli! Già sembra dalla ricostruzione del  libro che  la strage di Piazza Fontana sia stata ordita per incastrare Feltrinelli!
E’ vero che rileggendo le carte delle mie ricerche per i libro:  “Cinque anarchici del Sud”,  tutti gli interrogatori dei fermati anche a Reggio partivano con la domanda: “Conosci Feltrinelli??”, ma pensare che il raddoppio sia stato effettuato per incastrare l’editore rivoluzionario mi sembra una reductio.

Ma andiamo ora alla parte secondo me  più incerta, quella che riguarda il movimento anarchico.
Inizialmente il tutto muove, interpellando vari testimoni presenti all’epoca, della conferenza stampa tenuta  dai giovani anarchici, spesso appellati erroneamente “neoanarchici”, per distinguerli dai “vecchi” , subito dopo la strage.
Viene virgolettata la frase che parla di altre bombe, ma non si riesce ad attribuire con certezza a nessuno dei presenti tale affermazione.
Il tentativo di attribuire agli anarchici la scia degli attentati del 1969 non è nuovo nella storiografia, è certo però che il movimento anarchico non aveva la struttura per architettare l’ondata di attentati dell’epoca.
In tal senso invece una tra le poche certezze processuali a nostra disposizione è che  per gli attentati del 25 aprile  del ’69 a Milano  è stato condannato nel processo di Catanzaro  del 1981 in neofascista Giovanni Ventura!
Non è chiara  poi all’autore la distanza politica  tra Feltrinelli e gli anarchici, forse accomunati solo in quanto responsabili di attentati, ma Feltrinelli era marxista e fliocastrista, anni luce dall’anarchia.
Come  ancora meno plausibile il ruolo di Roberto Mander descritto trait d’union fra Pinelli e Valpreda, Mander all’epoca aveva solo diciassette anni!
Il nome di Mander riporta  al circolo del “22 marzo”, al quale viene dedicato ampio spazio, perché nel libro protagonista degli attentati romani del 12 dicembre.
Se è vero che il gruppo, nel quale era stato accolto il milanese Valpreda, venne   costituito nel giorno della famosa intervista a Ciao 2001, il 19 novembre del ’69, meno di un mese prima degli attentati, risulta improbabile l’ organizzazione di attentati di tale portata.
Il “22 marzo” nasce già con il “virus” di Merlino e Ippoliti al suo interno, ed è falso  che Valpreda abbia intrattenuto rapporti politici precedenti a quella data con  neofascisti o agenti infiltrati.

A supporto della sua tesi, Cucchiarelli cita il convegno internazionale degli anarchici tenutosi a Carrara nel settembre del ’68, sostenendo  di una nutrita  presenza di neofascisti infiltrati all’evento.
Aggiunge inoltre che fra questi molti avevano partecipato al famoso “viaggio – premio” organizzato dall’estrema destra in Grecia nell’aprile del ’68.3
Sarebbe bastato paragonare l’elenco degli anarchici presenti  a Carrara, con quello dei giovani neofascisti  in Grecia per verificare l’ infondatezza della prova.
Presente era Valpreda  con il  gruppo di Milano; Merlino aveva già avuto mandato di infiltrarsi fra i maoisti dopo la spaccatura dovuta agli di Valle Giulia.
Valpreda sbandato e hippie venditore di collanine viene paragonato da Cucchiarelli  a Lee Oswald, ma non sono sicuro che gli Stati Uniti abbiano fatto i conti fino  in fondo con il caso Kennedy.
Risibile è infine la storia di  Pinelli che informa la polizia della strage; s’immagini la scena: “Pronto polizia!?? Sono Pinelli, abbiamo messo due bombe, correte a disinnescarle!!”, il virgolettato è mio, ma potrebbe essere una battuta degna del miglior Dario Fo se non si stesse trattando di una ricostruzione storica e non satirico-romanzesca!
Ed è così che a furia di una verità tra mille piste di ricerca e di confronti incrociati che nasce l’incertezza del libro; nei paragrafi concernenti la figura di Pinelli e il “doppio” ferroviere, ho contato, sarà per deformazione professionale, venticinque proposizioni interrogative ed altrettanti periodi ipotetici,  il che mi fa pensare più ad una ricostruzione di Carlo Lucarelli, che onestamente pone dubbi nelle sue trasmissioni divulgative, piuttosto che ad un lavoro storico.

Se cadiamo  e crediamo in queste sabbie mobili, la deriva  è quella  di cancellare il confine tra vittime e carnefici, preparandoci ad un quarantesimo anniversario della strage, più lontano dalla verità e dalle responsabilità.
Mi piace ricordare una frase di Vittorini che uno studente anonimo ha scritto in una classe della mia scuola: “Non ogni uomo è uomo, allora. Uno perseguita e uno è perseguitato; e genere umano non è tutto il genere umano, ma quello soltanto del perseguitato.”

Fabio Cuzzola, docente di Italiano e Latino nei licei, 8 luglio ’09

P.S. La storia della vicenda di Piazza Fontana, vera cesura storica della nostra storia contemporanea, ha catturato l’attenzione di numerosi studiosi e credo continuerà a farlo per molto tempo, proprio perché credo che la storia sia una verità sempre aperta, e con il passare degli anni, l’apertura di nuovi archivi, e speriamo la fine del “segreto di stato”, molto ancora ci toccherà in dono da studiare.

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Aldo Giannuli

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