Venezuela: aggiornamenti a un quarto di secolo dalla Rivoluzione Bolivariana

Sempre con piacere ed affetto, ospito i contributi sul Venezuela dell’amico e studioso Angelo Zaccaria. Buona lettura! A.G.

Ad un quarto di secolo esatto dal fallito Golpe del “4F” che diede l’avvio alla Rivoluzione Bolivariana.

In un mio precedente contributo di fine Ottobre, prendendo spunto dalla decisione del CNE, l’Ente venezuelano che gestisce i processi elettorali, di sospendere il procedimento di indizione del referendum presidenziale revocatorio voluto dalla opposizione anti-chavista, intravedevo la possibilità che l’eredità lasciata dal defunto presidente Chavez fosse in pericolo.

Il pericolo esiste tuttora e per varie ragioni. La prima è che presto o tardi l’opposizione riprenda il potere, senza nemmeno bisogno di colpi di mano ma per via elettorale, e non è inutile ricordare la vocazione autoritaria, classista, elitista, razzista ed iper-liberista, di componenti importanti di questa opposizione.

Ma la seconda ragione è che siano proprio errori e scelte del governo bolivariano ad aggravare questo pericolo: già si è detto sulla sospensione del referendum revocatorio. Questa sospensione si inserisce in una tendenza più generale, che accomuna il governo  venezuelano ad altri governi del mondo di ben altro segno, vedasi Francia ma non solo, a governare secondo criteri emergenziali.

Basti pensare ai reiterati “decreti di emergenza economica”, oppure al fatto che di fronte al contrasto di potere con l’Assemblea Nazionale controllata dalla opposizione, il bilancio dello stato del 2017 sia stato approvato dal Tribunale Supremo di Giustizia. Lo stesso Tribunale Supremo che aveva dichiarato nulli tutti gli atti compiuti dalla Assemblea, a seguito della incorporazione di tre deputati sui quali pendevano accuse di brogli elettorali.

Intendiamoci, il governo non sta usando questi poteri eccezionali solo per perpetuarsi al potere, ma anche per tentare di recuperare consenso ed affrontare alcuni dei problemi che più condizionano la vita quotidiana della popolazione: si vedano gli sforzi fatti nel campo degli approvvigionamenti alimentari e di altri prodotti di prima necessità a prezzi calmierati. Ma sta di fatto che tutto questo non ha risolto la crisi sociale e politica in atto.

Un altro fronte insidioso di scontro che si è aperto fra il governo e l’opposizione, è ora quello della mancata indizione delle elezioni dei governatori degli stati.

Il Venezuela è una repubblica presidenziale di tipo federale, articolata in 23 stati più il Distretto della Capitale, governati da 23 governatori ai quali si aggiunge il sindaco della Grande Caracas. La Costituzione venezuelana all’articolo 160 stabilisce chiaramente che i governatori degli stati vengono eletti per un  periodo di 4 anni.

Le ultime elezioni dei governatori si son tenute il 16 Dicembre del 2012, e quindi il mandato dei governatori è già scaduto da oltre un mese e mezzo. Il CNE in Ottobre ha dichiarato che le suddette elezioni si celebreranno entro il primo semestre del 2017, ma senza avviare ancora alcun passo concreto o annuncio di date precise. Il governo invece ufficialmente se ne lava le mani, rimbalzando la palla delle decisioni in materia al CNE medesimo.

Nel frattempo alcuni esponenti chavisti del PSUV, hanno candidamente dichiarato che sino a che il Venezuela vivrà in uno stato di “guerra economica”, il governo non vincerà più nessuna elezione. Guerra economica che indubbiamente esiste, ma che altrettanto indubbiamente non è condotta solo dall’opposizione anti-madurista, ma anche da una parte della stessa classe dirigente chavista, sia civile che militare, sotto forma di corruzione, sprechi, inefficienze etc..

Come nel PSUV anche nel governo venezuelano esiste una tendenza favorevole, formatasi dopo la pesante sconfitta chavista alle elezioni parlamentari del Dicembre 2015, a bloccare o dilazionare i processi elettorali, nella speranza che la situazione economica e sociale migliori, che i prezzi del petrolio salgano, che nelle casse dello stato inizino ad affluire gli introiti derivanti dal massiccio piano di sfruttamento minerario della “Fascia dell’Orinoco”.

L’esistenza di questa tendenza è stata certificata nei fatti, proprio dalla scelta di congelare il procedimento del referendum presidenziale revocatorio, scelta che sarebbe troppo ingenuo attribuire al solo CNE.
Io personalmente auspico che le elezioni dei governatori si tengano prima possibile, e per le medesime ragioni, che non starò qui a ripetere, per le quali ho ritenuto discutibile la scelta di bloccare il referendum revocatorio.

Ciò che qualifica l’esperimento bolivariano in corso in Venezuela da quasi 20 anni, ciò che lo ha reso e ancora lo rende uno dei pochi esempi positivi e rivendicabili presenti nello sconfortante panorama delle istituzioni statali presenti nel pianeta, è la volontà e capacità di tenere insieme il piano della trasformazione economica e sociale, il piano del consenso misurato secondo i parametri della democrazia rappresentativa, ed infine partendo da queste basi il piano della sperimentazione e costruzione di forme di autogoverno e di democrazia più avanzate. Questo pacchetto è un tutto unico, e non si può spacchettare senza snaturarlo o privarlo di senso.

E’ contro questo pacchetto confezionato fra gli altri dal buon Hugo Chavez, che da quasi 20 anni si esercita la fiera ostilità non solo delle destre latinoamericane, ma anche delle oligarchie politiche, sia progressiste che conservatrici, per non parlare di quelle economiche e finanziarie, dell’intero occidente. Perché agli USA e consoci piacciono i nemici di comodo, quelli impresentabili, magari alleati più o meno occulti sino al giorno prima, ma sempre utili a tenere in piedi il tritacarne di quella guerra permanente così essenziale a mantenere il loro dominio.

Quello che invece più teme il potere, sono proprio gli esempi positivi, quelli replicabili e rivendicabili, magari addirittura capaci di offrire spunti positivi persino a quelle sinistre alternative europee, italiana in primis, sia istituzionali che movimentiste, talvolta afflitte da stati confusionali o depressivi di varia natura.

Che poi questi esempi positivi provengano non solo da singole esperienze o movimenti di massa locali per quanto importanti, ma anche dall’azione di stati di medie dimensioni, dotati di rilevanti risorse naturali e con 30 milioni di abitanti, rende tali esempi potenzialmente più insidiosi.

Per tutte queste ragioni mi auguro che l’esperimento chavista e bolivariano prosegua, e che in Venezuela non siano condannati 100 anni dopo a ripetere, magari in farsa, se mi si perdona il paragone audace, la tragedia di altre rivoluzioni gloriose. Quella rivoluzione dove si era partiti con l’ambizione di costruire uno Stato di tipo nuovo, fondato sui Soviet, e dove anche una cuoca, la famosa cuoca di Lenin, fosse in grado di occuparsi della cosa pubblica, ma dove poi, inseguiti ed assediati dalle urgenze e dalle priorità del breve periodo, prima fra tutte quella di “difendere la rivoluzione” e quindi di sopravvivere, si è finiti piano piano per distorcere e negare gli scopi nobili e gli orizzonti utopici del periodo lungo.

Milano, 4 Febbraio 2017
Angelo Zaccaria, autore del libro “La Revolucion Bonita” (2011) e dei relativi “Aggiornamenti”  (2015, pdf scaricabile)     http://www.colibriedizioni.it/

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Aldo Giannuli

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Comments (20)

  • Caro Angelo,
    grazie di questo aggiornamento ricco di spunti. La questione venezuelana trova le sue radici nell’annoso problema del cosiddetto “sottosviluppo”, come si diceva nel secolo scorso, aggravato da ciò che, sempre tanto tempo fa, era stato definito “neocolonialismo”. Il cosiddetto “socialismo bolivariano” era una risposta, forse l’unica praticabile dopo il crollo dell’URSS restando in ambito marxistico. Di socialismi ce ne sono tanti, così ci hanno insegnato hanno provato anche a propinarci che c’erano tanti marxismi, finché il brand era di moda: poi, crollata l’URSS, il brand è scaduto, ci han detto che neppure Gramsci era così comunista, giusto per continuare a studiarlo dappertutto fuorché in Italia, e così via. Personalmente, dovrò leggere attentamente il tuo libro, perché sono una capra in materia, con quell’infarinatura storicamente data da qualche manifesto, qualche liberazione, qualche le monde diplomatique, e immagini a gogo di telesur che prendo tutt’ora dal satellite.
    Tuttavia, resto tutt’ora ammirato dalla soluzione bolivariana: alla fine, una volta raggiunto il potere, cosa non sarebbe costato in meno alla nuova classe dirigente un bel percorso alla cinese!
    1. si nazionalizza e si parte con “alcune” zone economiche speciali
    2. capitalismo selvaggio nelle stesse e valvola di sfogo per padroni locali irriducibili
    3. capitali esteri che approdano a fiotti, grazie ai salari da fame, alla carta bianca e alla stabilità che solo uno stato di polizia può avere
    4. bastone e carota nel resto del Paese ed estensione progressiva delle z.e.s.
    5. veicolazione progressiva del “mercato” in tutte le fasi della vita economica e sociale
    6. sdoganamento dei padroni dentro al partito come “forze economiche progressive”…
    7. partecipazione degli stessi (11 fra i maggiori!) alla stesura, l’anno scorso, dell’ultimo “piano quinquennale” (sic!)
    Facile, no? Invece, la rivoluzione bolivariana è stata, e rappresenta, qualcosa di diverso: non il comunismo da caserma di Mao, e neppure il capitalismo monopolistico di stato attuale. Per questo ho e avrò sempre il massimo di stima e ammirazione per i compagni venezuelani.
    Un’unica notazione, visto che hai evocato il centenario: a mio parere, in URSS, c’è stato tanto bambino e poca acqua sporca; se ne sono accorti, ben presto, anche loro, al punto da definire oggi il processo iniziato con la cosiddetta “ristrutturazione” (perestroika) la peggiore catastrofe economica mondiale del secolo scorso (Katasonov, Raspad SSSR kak ekonomiceskaja katastrofa, 2016 http://www.fondsk.ru/news/2016/11/26/raspad-sssr-kak-ekonomicheskaja-katastrofa-43110.html). Riguardo alla kuharka di Lenin (каждая кухарка должна научиться управлять государством), l’URSS fu lo Stato con il grado di mobilità sociale maggiore al mondo, se non altro perché dovette ripartire da zero per ben due volte nella sua breve storia, e cavarsela da solo: contadini e operai conobbero un’avanzamento sociale impensabile, sia ricoprendo ruoli politici, sociali, culturali, economici e militari inaccessibili fino ad allora, sia partecipando direttamente alla definizione delle linee generali e specifiche dei processi decisionali a essi correlati: tutto questo, dalla fine della NEP in poi, aumentando i salari dei più capaci e meritevoli (da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro), ma impedendo fermamente la formazione di una classe di capitalisti (Giulietto Chiesa, in Roulette Russa, dimostra e riporta ampiamente come gli oligarchi siano nati come classe DOPO il crollo dell’URSS e lo smantellamento di tutti dispositivi disposti a blocco di tali meccanismi distorsivi).
    Completamente d’accordo sulla condizione cadaverica della sinistra attuale, zombie, più che spettro che si aggira per l’europa.
    Grazie ancora
    Paolo

    • Per fare riferimento all’epoca successiva ai processi di indipendenza dell’America latina avvenuti nel s.XIX, anziché ‘neocolonialismo’, forse sarebbe più giusto parlare di ‘postcolonialismo’, se non fosse che i territori d’oltremare non furono mai stati considerati come colonie, ma un’estensione della Spagna… Io preferisco invece ‘neocacicchismo’, da cacicco, bellissima parola proprio di origine caribica per appellare un’epoca così bizzarra che è stato necessario inventare un genere narrativo apposito, il romanzo del dittatore, per tentare di capirla…

  • Hai perfettamente ragione, Foriato. Un conto sono state le lotte per l’indipendenza in Africa (e anche lì si potrebbe differenziare fra colonie britanniche e francesi, per esempio), un altro conto quanto avvenuto un secolo prima in America Latina. Diciamo che con quel termine troppo generico intendevo i meccanismi di dipendenza economica di quei Paesi da multinazionali, culminanti in genere con monocolture (caffè, canna da zucchero, cacao, ecc.) o sfruttamento di risorse naturali (petrolio, diamanti, metalli rari). In questo senso, il rame cileno o i diamanti sudafricani rappresentano, purtroppo, sconcertanti analogie. Resta il fatto che poi si rischi la solita notte dove tutte le vacche sono nere. Perciò, grazie mille per il tuo appunto. Recepito! 🙂
    Ciao
    Paolo

    • Pucoci, Paolo. Grazie a Lei per la generosità e l’entusiamo che trasmettono i suoi commenti, sempre splendidamente documentati.
      Ciao zen!

      • Xiexie, anzi, arigato Foriato-san! 🙂 Vorrei tanto essere un po’ più zen, ma questo maledetto mondo mi piace troppo per vederlo col distacco che si conviene a un buon tiratore coll’arco, di quelli giapponesi che beccano il centro a occhi chiusi… diciamo che esserne consapevoli è già un primo passo, mettiamola così! 🙂
        Un caro saluto e… un bell’ aummm collettivo!
        Paolo

  • Mi limito a tre punti. Il modello cinese. Quello venezuelano resta un ibrido sul piano politico generale, ma su quello economico è proprio al modello cinese che si ispira sempre di più per risolvere almeno in parte la storica dipendenza dalla rendita petrolifera. Si vedano i progetti di zone a sviluppo economico speciale e le aperture agli investimenti esteri, anche se preferibilmente non USA. Sull’ URSS. Temo che il bambino abbia iniziato a soffrire per l’acqua sporca sin dai primi anni, e se ne accorse per primo lo stesso Lenin nei suoi ultimi anni di vita, pur in presenza di situazioni e “deviazioni” che allora eran ben poca cosa rispetto ai successivi sviluppi staliniani. Molte e molto dibattute le spiegazioni di ciò legate al contesto storico, ma non sarà un caso se il denominatore comune di molti tentativi fatti dagli anni’60 in poi in Europa di riproporre il tema dell’alternativa al capitalismo, fu proprio quello che “non si doveva fare come in URSS”. Sul neocacicchismo, battute a parte ….mi pare un concetto che rischia di esser fuorviante. Il Cacique nel contesto latinoamericano era anzitutto un capo indigeno, e non mi pare che le comunità indigene abbian goduto di tutta questa influenza nei successivi sviluppi nel continente dal momento della formale conquista dell’indipendenza dalle potenze coloniali in poi.

    • Caro Angelo,
      i venezuelani si ispirano ai cinesi che dicevano di ispirarsi (sic!) alla NEP. Ognuno si ispira a qualcosa… ma a cambiare sono forme e contenuti. Posso aprire ai capitali stranieri sotto forma di microcredito solidale (e qui faccio anche un po di reclame ad amici del mio paese http://microsol-onlus.org/), o sotto forma di investimenti miliardari per creare zone industriali funzionali pienamente alla riproduzione controllata di rapporti neanche capitalistici, proprio imperialistici. Lenin, si pose questo problema quando si chiese, introducendo necessariamente la NEP dopo due anni di comunismo di guerra, quel “kto pobedit”, chi vincerà, fra socialismo e capitalismo. Pose così due modi di produzione a confronto, e in competizione, fra loro. I cinesi hanno fatto altro.
      Un caro saluto.
      Paolo
      PS In quegli anni c’era anche chi, come Boffito, proponeva modelli di sperimentazione di meccanismi di mercato non intrusivi, non lesivi della proprietà sociale dei mezzi di produzione e della pianificabilità dell’economia, ovvero non buttava via il bambino con l’acqua sporca.

    • Come Lei sa, le parole non hanno solo origine ed etimologia, ma anche usanza, accezioni e talvolta derivazioni. ‘Cacique’, oltre ad essere un rhum venezuelano passabile e dignitoso, ha più significati di quanto segnala, alcuni dei quali, malgrado la sua origine eminentemente locale, raggiungono valori quasi universali. Allego, ad esempio, definizione proposta da doña María Moliner nel suo benedetto Diccionario de Uso de la Lengua Española: Persona che esercita un’autorità abusiva in una colletività; particolarmente, quel che si impadronisce della politica e della amministrazione, avvalendosi del suo denaro o della sua influenza. In vista della quale si potrebbe affermare, senza tema di errore, che i lobbisti di Bruxelles sono tutti discendenti yanomamo. Riguardo al termine ‘neocaciquismo’, cazzatine a parte, ho cercato su google e come diceva Sandro Giacobbe, “mi scusi tanto, non l’ho inventata io”.
      Cordialmente.

      • Peppiniello Pernacchione

        Foriatito parli del rum venezuelano e non solo non scrivi ron,imperdonabile per uno che discetta di etimi spagnoleggianti,derivazioni e neocazzatismi vari,ma sarebbe stato passabile scritto senza la h come si usa in italiano(quale sei tu) o nella lingua della terra dove fu distillato per la prima volta ,a londra,no lui ce lo scrive alla francese alla haitiana ahahahaha lui che fa tanto il purista….ora sappiamo che forse ti piace di piu’ l’agricole ? Ma ci facci il piacereeeee foriacique ahahahah

    • Per caciquismo storicamente si intende il metodo usato dagli spagnoli per governare le province colonizzate, cioè dare un certo potere al capo locale che governava con metodi clientelari per conto dei viceré. Una sorta di kapò, o di tiranno in sedicesimi.

      • Per quanto ne so, mi correga se sbaglio, sebbene i ‘caciques’ partecipavano all’amministrazione del ‘cabildo’ (comune) all’epoca dell’impero, ‘caciquismo’ è invece termine relativamente recente che fa riferimento al clientelismo rurale nella Spagna del s.XIX. Comunque, il paragone tra ‘caciques’ e kapò sembra poco azzeccato.

  • Ma neanche un accenno di critica alla nefasta conduzione di Maduro (talmente incapace da invocare il fantasma di Chavez a mò di protezione) e l’avvelenata eredità del chavismo? Tutti i problemi del Venezuela vanno imputati a fattori esterni? D’accordo, sappiamo bene ciò che rappresenta l’opposizione, ma agitarla come spauracchio non risolve i problemi di quel paese, in cui la classe popolare è stretta nella morsa tra quell’opposizione serva del neoliberismo e un regime inetto ed autoritario.

  • Gentile Riccardo…Credo che le sue osservazioni sulla mancanza di minimo accenno critico a Maduro non sian rivolte a me. Da parte mia di accenni critici ce ne son anche troppi e basta dare un occhio a tutto quanto da me pubblicato su questo sito, a partire da questo ultimo pezzo e andando a ritroso. Sul Neocacicchismo: come detto da Foriato, i significati son molti e legati anche ad usi e linguaggio corrente che cambia da paese a paese. A prova di ciò un link venezuelano, http://www.aporrea.org/ddhh/n292689.html, qui il termine “cacique” viene riferito ad un leader indigeno brutalmente assassinato, Sabino Romero…Il dibattito quindi è giusto che resti aperto, ma i miei dubbi fan parte del dibattito.

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