Il matematico che non da’ i numeri
Avevo programmato una serie di simulazioni sul futuro della Grecia. Stallo. Perché sono in stallo le trattative con l’EU. Anzi, per dirla tutta, è proprio un dialogo tra sordi. Con i greci, proprio loro, con l’acqua alla gola, ma che parlano d’altro. Osserva Stavros Teodorakis, leader del partito d’opposizione Potami: “Some people in the government are preparing for Monday’s Eurogroup with the mentality of the student who tries to fool the teacher”. Non sarà mica che ingannano se stessi? O un giorno o l’altro – ma devono spicciarsi, il tempo è contro di loro – giocheranno la briscola? Va a sapere.
Nei confusi, per non dire, imperscrutabili passaggi, che si sono susseguiti, dai primi di febbraio ad oggi, risalta la figura di Yanis Varoufakis, ministro delle finanze. I giornali da un po’ lo stanno prendendo di mira per essersi costantemente messo in rotta di collisione con le istituzioni comunitarie, portando minacce e impegni peregrini. L’ultima minaccia è di fare il referendum. Su che? “Rompere lo stallo”, è stata la risposta. Pardon, la non risposta. Poi ha smentito tutto, i soliti giornalisti… ma lo scopo? Perché l’EU si doveva spaventare del referendum? Quanto alle misure per ottenere nuovo credito, l’ultima trovata è stata di costituire pattuglie di casalinghe, studenti e turisti per cogliere in flagrante i negozianti, che non pagano le imposte dirette. La fantasia non gli manca. Recupero evasione e gettito ottenibile? Non si pronuncia.
E proprio su questo vorrei proporre una riflesssione: minacce e lusinghe sono il sale di ogni negoziazione, ma devono andare allo scopo. Minacce a vuoto e nessuna lusinga irritano solo l’avversario e, spesso, lo rendono più forte. Quanto agli impegni, ben venga la fantasia, ma bisogna quantificarne gli effetti, oltretutto quando hai davanti una torma di contabili arrabbiati. Eppure Varoufakis nasce bene su entrambi i fronti: quello dei numeri e quello della negoziazione.
I numeri.
Laurea in matematica e statistica. Professore di economia in università inglesi, australiane, greche e americane. Giornalista per testate prestigiose. In politica comincia come consigliere economico di Papandreu, nel 2004. Nel 2015 l’incarico con Tsipras, anche se non iscritto al partito, Syriza. Oggi ha 53 anni. Se anche la sua carriera accademica non produce nulla di memorabile, in termini strettamente scientifici, Varoufakis appare più che attrezzato per sostenere ogni confronto possibile con dei contabili, servendosi del loro stesso linguaggio. Invece il suo approdo alla politica, praticamente un’eredità della sua ricca famiglia, lo porta sul terreno dell’ideologia, con solo qualche richiamo, per me vago, a radici logiche. Anche lui una vestale della Politica, quella che bisogna scrivere con la P maiuscola? Vediamo.
Definendosi un incostante Marxista, Varoufakis elenca i pro e i contro della sua adesione a quella fede, in un articolo del 18/2/2015. “A Carlo Marx devo la prospettiva con cui vedo il mondo dove vivo, dall’infanzia ad oggi”, dichiara. Condizione che non confessa, perché gli farebbe perdere seguito, ma neppure è in grado di negare, anzi sente spesso il bisogno di parlarne, unito a quello di resistervi in una varietà di modi. Insomma, si sente un marxista incostante. “Nella mia intera carriera accademica ho sempre ignorato Marx, né è possibile descrivere le mie decisioni in politica, come marxiste. Ma allora perché sento affiorare il Marxismo? La risposta è semplice: anche le mie teorie economiche non Marxiste sono il frutto di un approccio Marxista”. Che letterariamente è assai bello, ma non spiega un amato cavolo di niente.
Rendendosene probabilmente conto, Varoufakis riparte subito dal mondo: “Il pensiero radicale sociale” – evidentemente se lo sente nella pelle – “ha due modi per sfidare i pilastri del pensiero corrente in economia: accettarne gli assiomi e farne esplodere le contraddizioni interne o costruire teorie alternative, sperando di farle accettare. La prima strategia fu applicata da Marx per indebolire l’economia britannica, accettando gli assiomi di Adam Smith e David Ricardo per dimostrare che il capitalismo era un sistema contraddittorio”. Sostiene lui. Convinto che il Potere non può essere incrinato da assunti a lui estranei, è chiaro che Varoufakis si pone nei confronti della società odierna, abbracciando la prima strategia.
Se questo non lo rende ancora Marxista, si richiama alla sua storia personale, che ha vissuto il Marxismo come la sceneggiatura di un’epica della storia dell’umanità, corretta dalla possibilità di una salvezza, basata su un’autentica spiritualità. Per lui, Marx ha creato una narrativa, fatta di lavoratori, capitalisti, burocrati e scienziati, che si sforzano di imbrigliare ragione e scienza, con l’obiettivo di potenziare l’intera umanità, finendo per scatenare, contro le proprie intenzioni, forze demoniache, in grado di usurpare e sovvertire la propria originale libertà ed umanità.
“Tale prospettiva dialettica”, continua Varoufakis “dove ogni condizione tende a liberare la sua opposta e nella quale l’occhio di Marx scoprì il potenziale di cambiamento delle strutture sociali, mi aiutò a capire le grandi contraddizioni dell’era capitalista. Dissolse inoltre il paradosso di un’epoca, che generò la più straordinaria ricchezza e insieme la più sordida povertà. Gran parte degli esperti, che guardano la crisi di oggi degli Stati Uniti e la stagnazione a lungo termine del capitalismo giapponese, non riescono a riconoscere il processo dialettico in atto. Vedono la montagna di debiti e perdite bancarie. Ma trascurano l’altra faccia della stessa moneta: la montagna di risparmio sprecato, congelato dalla paura e impotente a trasformarsi in investimenti produttivi. Solo un’attenzione al concetto Marxista di opposti binari, cioè a grandezze di portata antitetica, ma originate insieme, potrebbe aprire loro gli occhi. Ma non ci riusciranno mai, perché non sono in grado di intendere la dialettica della “produzione congiunta” di indebitamento e surplus, di crescita e disoccupazione, di ricchezza e povertà, di bene e male.”
I pro al Marxismo sono tutti qui, anche se tira avanti ancora per parecchie pagine, senza però dirci mai come la trappola dialettica degli opposti possa essere spezzata. E con un audace salto logico, meglio, ancora letteratura, e neanche male, ne deduce la medicina: elettricità gratis ai poveri (e chi potrebbe obiettare, ma allora perché non un reddito di cittadinanza?) E trattare il lavoro come creazione di valore aggiunto inquantificabile (la quantificazione è ipso facto mercificazione). Come arrivarci? Non si sa.
Neanche Marx però si salva dall’incostante eccentrico Marxista. Avrebbe commesso due errori marchiani.
Il primo: non applicò la dialettica al suo stesso pensiero. Risultato la degenerazione del marxismo quando ha preso il potere, vedere i casi di Stalin e Pol Pot. Interessante. Ma c’è da chiedersi ancora una volta quali siano le contromisure. Perché se Yanis Varoufakis andasse al potere, cosa potrebbe diventare?
Il secondo torto di Marx fu l’aver fatto un modello matematico della sua teoria, necessariamente basato sui sistemi algebrici molto semplici ottocenteschi. Lui che ha dato suo grosso contributo a questa scienza, soprattutto al calcolo differenziale, e per questo non sarà mai dimenticato, anche se la sua teoria politica dovesse tramontare. Così il meschino (Marx) è stato portato a quantificare – orrore, per Varoufakis – il lavoro. E indurre gli epigoni a correggere quel modello, grazie all’evoluzione della matematica, dimenticandosi di scendere in campo e addirittura soffocando quell’indicibile ineffabile anelito di libertà, senza il quale nessuna teoria sulla società può cambiarla. Glielo diciamo, benedetto pentito dei numeri, che forse si è baloccato solo con modelli di tipo ottimizzante, non in grado di trattare sistemi complessi? Infatti, se li nomina, parla sempre di econometria, e sembra non conoscere per nulla la system dynamics, con la sua clamorosa diffusione, quale supporto strategico, in ambienti molto rigorosi ed esigenti. E soprattutto che oggi non chiediamo ai modelli la soluzione, ma la sola sperimentazione di ipotesi alternative, allo scopo di ridurre, non certo annullare, l’incertezza, che permea l’intero sapere umano, compreso quello di Marx e il suo. Ma qui ci fermiamo, pur non potendo fare a meno di chiedergli come pensa di sopraffare le istituzioni comunitarie, che hanno già mostrato di essere estremamente ostiche alla letteratura, all’enfasi, al teatro e agli altri mezzi tribunizi. Con che non si vuol certo dire che a Bruxelles abbiano ragione, però il coltello dalla parte del manico ce l’hanno loro.
La negoziazione.
Attrezzato per la comunicazione, il nostro ministro delle finanze lo è ancor di più per l’impostazione dello scontro. Le sue credenziali scientifico-accademiche, molto scarse, parziali, eccentriche, come dice lui, a livello di economia, sono solide, non controverse proprio nel campo della modellistica, in un una sua nicchia, con un’eco non recente, ma significativa: la teoria dei giochi.
Che cos’è la teoria dei giochi? Lo possiamo dire con le sue stesse parole, che si richiamano al classico “The Theory of Games and Economic Behaviour” di John von Neumann and Oskar Morgenstern (1944 la prima edizione): innanzitutto è principalmente un metodo di ricerca della scienza sociale, concentrato su situazioni di interazione tra parti in causa (players). Il concetto di ricerca deve essere inteso estensivamente, rispetto alla lingua italiana. Diciamo che la teoria dei giochi ebbe, fin da subito, l’ambizione di fornire un efficace supporto strategico alle anzidette interazioni fra soggetti.
Aggiungiamo noi che fin da subito la teoria volle fregiarsi dell’aggettivo “matematico”. Von Neumann del resto ha un posto rilevante in questa scienza, mentre Morgenstern è un economista. Nel suo lavoro Varoufakis sembra dimenticarsene, forse continuando col suo tentativo, richiamato prima, di stendere un velo sui suoi studi universitari o scorgendo qualche limite palese, a questo livello. Non è questa la sede per approfondire un aspetto, che, sul piano della strumentazione scientifica per l’elaborazione di strategie, è di enorme interesse, ma ne richiameremo fuggevolmente alcuni sviluppi nostri più avanti.
Gli altri fattori essenziali della teoria dei giochi sono:
-L’interconnessione tra parti (agenti o players) presuppone l’accettazione, implicita o esplicita, di una serie di regole del gioco; facciamo il caso delle Big Oil in competizione sulle fonti americane del petrolio;
-Le regole possono essere lecite o illecite; non c’è differenza; nel caso citato la corruzione delle autorità per ottenerne i permessi è ammessa;
-Ogni agente entra nel gioco con un obiettivo, definibile, in senso lato, come economico; nell’esempio: massimizzare il valore del proprio patrimonio di pozzi, in prospettiva di medio-lungo termine;
-Tutti gli agenti hanno a disposizione una serie di mosse per raggiungere l’obiettivo; non necessariamente sono le stesse; nell’esempio le Sette Sorelle hanno brevetti diversi, nell’applicazione di quella tecnica di scavo, chiamata “fracking”, invero non troppo salutare per l’ambiente;
-Ogni mossa deve essere razionale; spiegamoci con le nostre parole, perché questo aggettivo, dallo stesso Varoufakis, oltre che da altri, è trattato come un limite di applicazione, quanto meno meno alle dinamiche della società intera: per noi razionale significa che ogni player ritiene che la sua mossa, interagendo con quelle degli altri, sia concausa dell’obiettivo, inteso come effetto;
-L’obiettivo è misurato da un pay-off, cioè l’acquisizione o la perdita, da parte dell’agente, di una risorsa o di una sua frazione; nell’esempio citato il pay-off è misurato in pozzi, pesati per la loro capacità di erogazione, al netto del rischio di chiusura anticipata;
-Il pay-off è, per definizione, quantitativo; è quanto rende matematica la teoria dei giochi;
-La condizione del gioco può assumere 2 modalità: cooperativa o competitiva; nell’esempio i players sono in competizione;
-Un gioco cooperativo si presenta quando l’obiettivo dei giocatori non è in opposizione agli altri, ma esiste una comunanza di interessi; insomma, i giocatori perseguono un fine comune, almeno per la durata del gioco; alcuni di essi possono tendere ad associarsi per migliorare il proprio pay-off;
-Un gioco competitivo si ha quando gli interessi di ciascuno sono in collisione con tutti;
-In un gioco competitivo, il pay-off può essere a somma costante; il guadagno di una parte è la somma delle perdite delle altre parti; se la costante è zero, si parla di giochi a somma zero;
-Per i giochi a somma zero, von Neumann elaborò il criterio del minimax, come strategia per minimizzare la massima perdita possibile e, in alternativa, del maximin per massimizzare il minimo guadagno;
-Di qui l’uso strumentale e non di pura conoscenza, della teoria dei giochi; specialmente in applicazioni competitive; noi, uno dei players, esaminiamo le mosse di tutti gli altri e facciamo quella che massimizza il nostro pay-off;
-Originariamente ogni mossa conduceva direttamente all’obiettivo; oggi ci sono algoritmi della teoria dei giochi che si sviluppano attraverso una serie di passi numerosi e lunghi nel tempo, con esiti parziali e uno sbocco finale, situato nel futuro; nel caso richiamato, si sta andando avanti da oltre 3 anni e la caduta del prezzo del petrolio e del gas ha già portato all’uscita dalla contesa di players non marginali;
-Già dalle prime applicazioni nasce il teorema di Nash, dimostrazione che, in ogni condizione competitiva, esiste sempre una situazione di equilibrio, dipendente dal fatto che ciascun player scelga la sua mossa strategica in modo da massimizzare il suo payoff, sotto la congettura che il comportamento dei rivali non varierà a motivo della sua scelta (vuol dire che anche conoscendo la mossa dell’avversario, il giocatore non farebbe una mossa diversa da quella che ha deciso); nell’esempio citato, che peraltro ha un complesso sviluppo modellistico, stiamo vedendo il teorema di Nash ancora una volta vero; ma quanto presenta il massimo interesse sono i suoi risvolti sul piano sociale; è singolare, dati gli interessi e la formazione, che, nel suo lavoro, citi Nash come suo oppositore, in quanto per Varoufakis una strategia deve farsi carico della casualità delle mosse degli avversari; ma è un teorema vero, vivaddio, non poteva provarlo su un caso concreto?
-La grafica ha una parte essenziale nella teoria dei giochi; finora ha assunto 2 forme: il grafo ad albero, che rappresenta ogni possibile combinazione di giocate dei contendenti, sino allo stato finale, dove vengono ripartite le vincite; è ovviamento riservato ai casi con pochi fattori e pochi contendenti; ed in effetti è di gran lunga più diffusa la forma a matrice, di cui diamo un esempio, con un caso ridotto, rispetto a quello descritto fin qui.
Il leader del mercato della lame da barba ad uso domestico si confronta con i concorrenti principali.
Non inganni la semplicità della grafica. Per prima cosa è un sistema di matrici su 4 dimensioni. Inoltre ogni cella della riga in alto, ha una molteplicità di specifiche. Per es. nelle comunicazioni si verificano, una per una, tutte le forme, dalla pubblicità in senso stretto, alle azioni su rivenditori e dirette, al web e a tutte le modalità applicabili, con la specifica di budget, distribuzione per medium e messaggio. Lo stesso per l’output (la riga inferiore). Per es. la quota di mercato è suddivisa per classi di popolazione: reddito, età, localizzazione, ecc. Il calcolo è affidato ad un vero modello di simulazione (system dynamics). Ogni ipotesi è memorizzabile per essere vagliata e confrontata, alla ricerca non solo del proprio minimax, ma anche dell’affidabilità degli assunti (scenari). A quest’ultimo proposito, nel far confluire nel modello ciascuna ipotesi, l’utilizzatore del tool è chiamato ad una diagnosi di incertezza sull’ipotesi stessa, in modo che gli si possa rispondere con un giudizio di rischio (grado di fondatezza) del risultato, che poi ovviamente verrà messo a confronto con la realtà, in futuro, quando si potranno leggere le azioni e i loro effetti, nonchè il divenire del sistema.
Se oggi possiamo dire che il ricorso alla teoria dei giochi non è mai da solo, perché la matematica specifica non regge la complessità del mondo odierno, molto, soprattutto di specifici giochi, che assumono quasi la figura di topics, è comunque presente nella società.
Forse il più noto è il dilemma del prigioniero. La storia: la polizia irrompe in un appartamento, dove trova un arsenale e due persone. Le arresta e le rinchiude separatamente in cella. Arriva il pubblico ministero. Spiega che alcune delle stesse armi sono state trovate sul luogo di un attentato sventato. Il suo obiettivo è ottenere una confessione in merito. Perciò prospetta questa situazione:
-Se solo uno dei due confessa, nessuna pena e l’altro viene condannato a 14 anni;
-Se entrambi confessano, si beccano 12 anni ciascuno;
-Se nessuno confessa, 2 anni per il possesso delle armi.
Ecco la matrice, con i pay-off.
Provate a mettervi nei panni dei due prigionieri. È molto stimolante.
E pensandoci forse vi renderete conto che la parola “gioco” ha in sé ben poco di ludico.
Così se ne spiega l’impiego in molti campi, tra cui prevalenti, oltre le strategie aziendali, il militare, la macroeconomia e le politiche ambientali. Preparare un negoziazione non è troppo consueto, a quanto sappiamo. Se è vero che l’ha fatto Varoufakis, ha aperto una strada. I risultati però, ad oggi, non fanno certo una buona pubblicità all’approccio. Anzi…
Sarebbe interessante riprovarci, magari in un altro contesto. Non è un’analisi facile. Le parti sono due? forse. Ma i macrofattori in gioco, sono di più: 1) aderire o no alle condizioni imposte; 2) come metterla sul piano elettorale; 3) ottenere i denari. Si può fare. Ma che Varoufakis sia all’altezza è più che dubbio.
Anzi è sembrato orientarsi ad un altro celebre gioco: quello del pollo (game of chicken, il pollo, per gli americani, è l’icona del fifone).
Lo ricordiamo nel film “Gioventù bruciata”: due ragazzi si sfidano a una corsa automobilistica lanciando simultaneamente le auto verso un dirupo. Se entrambi sterzano prima di arrivarci, faranno una magra figura con i pari; se uno sterza e l’altro continua per un tratto di strada maggiore, il primo farà la figura del coniglio, mentre il secondo guadagnerà il rispetto dei pari. Se entrambi continuano sulla strada, moriranno. Nella matrice il pay-off invero è un po’ troppo drastico, c’è una miriade di soluzioni intermedie. Non c’è dubbio però che gli estremi sono questi.
Un’applicazione all’attuale situazione della Grecia non è certo immediata, né così semplice. Ma sospettarne un’ispirazione per Varoufakis è così fuori luogo? Buttiamo giù la matrice.
C’è molto da lavorare, ma che gran ispirazione per un modello dinamico.
Strategia e tattica.
Superattrezzato nella comunicazione (numeri) e nell’impostazione di una trattativa (teoria dei giochi) non è fuor di luogo chiedersi come mai Varoufakis, oltretutto provenendo da un paese, con un’immagine piuttosto deteriorata, di trucchi contabili, disordine, approssimazione, nonché presunto membro di un partito, in rotta ideologica con tutta l’Europa, abbia intonato la sua tattica a un tale livello di rozzezza. Che è arrivato fino al look, presentandosi con un abbigliamento e un’aria da macho, tale da mandare certamente in visibilio le signore di una certa età, ma anche su tutte le furie contabili occhialuti, grigi e molto probabilmente frustrati nel sesso. È stato costretto a scendere di qualche gradino, ma ne ha ricavato anche una vittoria: non si parla più di Troika, ma di Istituzioni. Squilli di tromba.
“Quos Deus vult perdere, avertet” dovremmo dire. E, in effetti, da qualche giorno la sua perdita di fiducia sembra penetrare all’interno del Governo, in particolare all’altezza di Tsipras. Ma c’è qualcosa di inquietante, che si fonda sulla sua ideologia, espressa da una pluralità di dichiarazioni, come questa: “Nel 2008, il capitalismo ebbe la seconda convulsione globale. La crisi finanziaria avviò una spirale al ribasso, che continua ancor oggi. La situazione europea non è solo una minaccia per i lavoratori, per i nullatenenti, per i banchieri, per intere classi sociali e perfino intere nazioni. No, la posizione attuale dell’Europa è una minaccia per la civiltà, così come la conosciamo.” Insomma, una condizione, in cui una strategia non ha nessuna ragion d’essere e quindi si sviluppa una tattica solo per togliersi qualche soddisfazione, in attesa di qualcosa, che è molto peggio del default. E cadrà su tutti.
Lamberto Aliberti
12/03/2015
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leopoldo
nel calcio si dice fare melina, solo che lì è un gioco.
la questione è che impatto ha la crisi sulla piramide demografica greca.
Saverio
Che qualcuno possa prendere sul serio la teoria dei giochi mi stupisce: capitemi, la teoria in sè, come tutte le stilizzazioni matematiche, è conchiusa e perfettamente coerente.
Ma con la realtà dell’operare dei mercati c’entra come i cavoli a merenda. Al più potrebbe avere qualche applicazione in politica politicante (tipo House of Cards, per intenderci), ma non certo nelle decisioni economiche: non c’è un imprenditore, un manager, un dirigente, un pianificatore economico che la impieghi.
Veniamo a Varufakis: premesso che solo qualche professore (o consulente) ha potuto pensare che egli applicasse la teoria dei giochi ad una “trattativa” nella quale c’è una sola alternativa: o ti pieghi o ti spezzo, fin tanto che mi ostino a rimanere nell’eurozona, al di là dei contorni gossipari (l’abbigliamento), il suo errore è stato di aver avviato la trattativa.
Rimanere nell’eurozona significa cercare di colpire il pugile avversario, che è un vero peso massimo, con entrambe le mani legate e, per di più, consapevole di essere un peso piuma!
Non so onestamente cosa aspettarmi da Tsipras e Varufakis: la delusione è stata non grande, enorme! Non si può pensare di continuare a distruggere il popolo che ti ha eletto pur di rimanere aggrappato ad un’idea stolta ed irrealistica qual è quella di un’europa “solidale”.
Ah, e di modelli sulla Grecia suggerisco di utilizzare quello del Levy Institute (reperibile sul sito di Gennaro Zezza) la cui affidabilità scientifica, se mi permettete, è una ‘nticchia maggiore di quella del consulente Aliberti.
Junius
@Saverio
Si capisce dove vuoi arrivare: ma chi ha promosso un’analisi sulla trattativa di Varoufakis con “la teoria dei giochi” è stato Sapir.
Non proprio un “professorino” di passaggio….
Chi ha previsto correttamente la dinamica politica è stato il prof. Bagnai.
Sicuramente lodevole per aver basato le sue analisi su un certo pragmatismo (TINA dentro l’euro… ma altrettanto banale visto che gli analisti che conoscono la SCIENZA 😉 economica sapevano che non c’era “gioco” ).
E SOPRATTUTTO lodevole per aver usato un concetto ad “interessantissimo profilo culturale” come quello di “onestà politica” come unico strumento di difesa e via d’uscita dei socialisti compromessi con l’internazionalismo e l’europeismo.
Tsipras, come Podemos, mentono agli elettori invertendo i nessi causali economici e politici tra moneta unica e austerità (che è ovviamente opportunismo politico se non bieco collaborazionismo).
Però, come è stato fatto notare, Sapir, come altri prestigiosi analisti hanno sì “peccato” di “wishful thinking” – quindi meno pragmatici – ma sicuramente perché hanno individuato un elemento che – per quello che mi riguarda – non è ben integrato nelle analisi del prof. Bagnai: ovvero il ruolo degli USA.
Sapir, come pochissimi altri (chiaramento non mi riferisco al ridicolo mainstream), hanno cercato (più che trovato) una flebile speranza nella “simpatia” che sembrava esercitare Varoufakis sull’amministrazione USA, proprio perché a differenza – pare – del prof. Bagnai, a questi analisti è ben chiara la genesi “americana” dell’integrazione europea (certo, su ispirazione dei reazionari psicopatici nostrani, ma finanziati con strategico interesse sia dalle “fondazioni private dei soliti noti” che dal governo USA) in funzione di assoggettamento imperialista.
È noto tra chi conosce la “materia” che le politiche europee si fanno in gran parte a Washington…
Sapir lo dice chiaro: l’euro è l’ultimo baluardo per difendere il dollaro. (Giusto per capire quanto sono ridicoli i Tony Negri o Giulietto Chiesa)
Insomma, tra un po’ gli USA firmeranno il TTIP con un branco di morti di fame… prima o poi, come con la WWII, dovranno fermare la Germania.
Ma qualcosa deve essere andato “storto” nell’incontro tra Obama e la Merkel.
p.s.
Giusto per spezzare una lancia a favore dell’Aliberti: cerchiamo di apprezzare il suo sforzo di mostrare come nella SCIENZA economica l’econometria necessiti – come vuole il termine – un poderoso fact checking quantitativo.
Se poi si appoggia ad un macroeconomista che fa ricerca in economia internazionale può dare sicuramente un ottimo contributo a livello divulgativo (anche liberista va benissimo, basta che almeno non si dimentichi “il moltiplicatore keynesiano”… insomma, un liberista minimamente onesto intellettualmente ricordandoci poi, come è noto, che il “falso ideologico” è più un problema di chi si professa di sinistra…)
giandavide
vabbè sto aliberti lo hanno messo qua solo per spalare cacca su tsipras, questo è evidente.ed è comprensibile dato che l’attivitàpolitica del m5s fino al 2018 si concentrerà solo sull’attaccare la sinistra che potrebbe rubargli gli elettori rimasti.
poi ci simettono anche i no euro bagnaini… vabbè, devo dire che non c’è male.
solo la prossima volta vorrei trovare anche dei testimoni di geova, degli imitatori dei trettrè e un cane che balla, così, per aggiungere altre performances di pari livello
Roberto B.
E i Giandavidi? Dove li metti i Giandavidi? Perchè li escludi? Anche loro sanno fare capriole e salti mortali considerevoli.
Aldo Giannuli
giandavide: ma che robaccia fumi?
gio to
vorrei solo replicare a Saverio che se non crede che un giorno l’europa possa diventare un po’ solidale, tutte le discussioni e le proposte politiche ed economiche per uscire dalla crisi saranno perfettamente inutili. .Diamoci tutti all’ippica. Saluti
avvocato giovanni
Ho letto con vivo interesse l’articolo del professor Aliberti anche se, questi non me ne voglia, fatico ad entrare nei suoi schemi di ragionamento.
Sarà forse perché io ed il professore svolgiamo professioni simmetricamente opposte: in qualità di avvocato (penalista) sono abituato ad esaminare prove che rappresentato segmenti di un passato storico utili a ricostruire un fatto (quello che noi chiamiamo reato) al fine di accertare la verità processuale (e sottolineo processuale, poiché quella reale risiede solo nella coscienza personale del cliente ed al Signore, per chi ci crede).
Detto questo, comprenderà il professore la mia difficoltà ad approcciarmi a sistemi che, ex ante, possano ricostruire una situazione futura, il che, per il sottoscritto, sarebbe come mettermi davanti un tredicenne e stabile, in base all’anamnesi criminale familiare, quante probabilità abbia di delinquere in età adulta e quali reati commetterà (anche se Lombroso aveva svolto studi illuminati e non trascurabili).
Tutto quanto sopra premesso, una cosa posso sicuramente condividere con il professore: la poca simpatia per l’ing. Tsipras e per il suo giannizzero Varoufakis, cosi come non mi vergogno di nascondere eguale antipatia per il comico genovese indegnamente entrato nell’onorevole (il gioco di parole non è casuale) palazzo romano del Bernini a fingere di saper far politica.
A tutti costoro, devo ammetterlo, va il mio rispetto per i risultati elettorali conseguiti nella loro qualità di abili venditori, ben lontana e diversa da quella di abili politici.
Mi spiego meglio.
Immaginiamo che io faccia il venditore d’auto e debba assolutamente vendere un’auto. Entra nel mio autosalone un cliente che, mentre mi stringe la mano, mi dice “sono appena diventato papà e cerco un auto più sicura per la mia famiglia”.
Ebbene lo porterò dinanzi all’auto che devo vendergli e gli dirò “questa macchina è assolutamente quello che fa per lei: dodici airbag, telaio in titanio rinforzato, doppie barre laterali anti intrusione, sistema anti tamponamento e sensori multipli anticollisione”; immaginiamo poi che entri successivamente una ragazzo neo-patentato che mi dice “voglio un auto per far colpo sulle ragazze” e lo porti dinanzi alla stessa auto mostrata al cliente di prima dicendogli “questa macchina ha uno stile giovane e sportivo inimitabile, se la compra rossa nessuna ragazza potrà non notarla, e guardi il tettuccio panoramico: le ragazze saranno invitate a entrare solo per il gusto di poter mirar le stelle durante la guida o durante le sue performance amorose sui sedili anteriori che, badi bene, sono completamente reclinabili e climatizzati in modo da essere caldi d’invero e freschi d’estate. E che dire dell’impianto HiFi di ultima generazione per l’intrattenimento delle sue ospiti? Sembrerà di essere al centro di un concerto dal vivo”…
Scusate se l’esempio è rozzo e forse anche sciocco, ma credo che alcuni finti politici siano in verità solo abili venditori.
Ora, in un paese scontento di tutto, con le persone anziane che vanno a fare la spesa al mercato dovendo contare le monetine per essere certe che i soldi bastino per arrivare a fine mese – e, peraltro, con questo euro che ancora fatica ad entrare nella testa dei più vecchi che ancora chiedono “ma quant’è in lire??” – non occorre una grande capacità oratoria per abbindolare la gente, e, forse, l’arma migliore per raccogliere consenso è il tanto amato referendum sull’euro che solo una mente priva di buon senso può avere il coraggio di sostenere (ma, del resto, come giustamente osserva il professore “Quos Deus vult perdere, dementat prius”)
Credo che questi “venditori di colombe e cambiavalute” dovrebbero essere “scacciati dal tempio” dal momento che ne stanno facendo una spelonca di ladri.
Che certa gente infetti la terra dove sono nate la politica e la democrazia e “l’arte di governare le città” di Aristotele mi sembra un paradosso storico piuttosto singolare.
Condivido con il professor Aliberti anche le critiche sullo “inconstante marxista”, che mi hanno fatto sorridere e che un po’ mi ricordano l’atteggiamento che hanno alcuni nel dire “io sono cattolico, però non vado a Messa perché posso pregare dove mi pare e non mi confesso perché dei miei peccati do conto solo a me stesso e a Dio”, al che mi chiedo sempre a che serva la premessa “io sono cattolico” se poi il resto della frase è totalmente incoerente con l’inizio.
Ma del resto anche io sono un atleta, ma non pratico sport perché non ho tempo. Quindi, forse, in questo senso siamo tutti incostanti cattolici, incostanti sportivi e, perché no, incostanti marxisti!
Un ultimo commento lo lascio al divertentissimo “dilemma del prigionieri”, che davvero mi ha fatto sorridere e solo, non me ne voglia il professore, per una osservazione non contemplata nello schema.
L’indagato non può essere interrogato senza la presenza del difensore, pena l’inutilizzabilità processuale delle sue dichiarazioni.
Quindi al simpatico Pubblico Ministero che tenta di ottenere una confessione personalmente chiederei all’istante la presenza del mio avvocato.
Ovviamente questo è solo un commento ironico, che spero metta il sorriso sulle labbra del professore.
Spero che il professor Aliberti torni a farci riflettere sull’incostanza ed inconsistenza di questi odierni Catilina, sovvertitori della Repubblica e per cui dovrebbero essere spese nuovamente le celebri parole “Quousque tandem abutere, Catilina, patientia nostra. Quamdiu etiam furor iste tuus nos eludet? Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia?”
Saluti
Giovanni R.
Paolo Federico
Avvocato giovanni, in che cosa dovrebbe consistere, secondo lei, il saper fare politica?
Per quale ragione un comico che ha colto e raccolto, in giro con i suoi spettacoli, la voglia di cambiamento e la disperazione di tanta gente rispetto ad una casta di mummie ciniche e autoreferenziali, le cui fila sono ingrossate proprio dal ceto classe casta (come la devo chiamare?) degli avvocati a cui lei tanto orgogliosamente appartiene, sia indegno di fare politica? Perché non parla in ” latinorum”?
Non è certamente il suo caso, ma quanta disperazione è stata ed è indotta nelle menti più semplici dai sofismi truffaldini dei quali i suoi omologhi dediti alla politica sono maestri?
lamberto
Caro avvocato Giovanni, mi piace molto il modo con cui esercita il suo mestiere. Le confesso che ne avevo un’immagine completamente diversa, diciamo quella manzoniana, magari più efficace e perciò notevolmente pericolosa. Spero di saperne di più e conto anche di convertirla al pensiero scientifico, applicato a mondi, dove non sembra avere titolo, come la politica, la società e l’economia. Converrà allora che il futuro è certo probabilistico, come lei sottolinea, ma noi possiamo fare molto oggi per ridurne l’incertezza. E possiamo anche misurare l’affidabilità dei meccanismi, con cui cerchiamo di migliorare la dinamica di grandezze, che ci toccano da vicino, come il PIL, l’inflazione, l’Euro, ecc: se la nostra rappresentazione oggettiva, trasmessa ad un modello, funziona, la nostra rappresentazione è vera e, se espressa in equazioni, può raggiungere tutti, senza gli equivoci e le vaghezze delle parole. In forza di questa convinzione, la devo solo correggere su una cosa: non ho nessuna antipatia né per Tsipras né per il marxismo. Sono ateo convinto. Le fedi le aborro. E sono tollerante, anche verso la pattuglia di critici per partito preso, fomentati da ayatollah e maestri vari, che mi sono trovato qui. Tutto sommato mi divertono. A presto.
Lamberto
Junius
I bambini greci si divertono meno.
«The point is that we are all capable of believing things which we know to be untrue, and then, when we are finally proved wrong, impudently twisting the facts so as to show that we were right. Intellectually, it is possible to carry on this process for an indefinite time: the only check on it is that sooner or later a false belief bumps up against solid reality, usually on a battlefield.»
“In front of your nose, George Orwell”
(Sì, certo, Orwell era socialista e democratico, non era né piddino né un eurocomunista venduto al capitale straniero…)
avvocato giovanni
Carissimo professore,
con il pensiero scientifico ho sempre avuto un rapporto complicato, essendo un universo affascinante, ma – per la mia mente troppo umanista – simile ad un labirinto in cui spesso ho faticato a trovare la via d’uscita.
Ricordo, durante i miei studi accademici, la difficoltà a capire l’entropia economica o altri concetti che per me hanno sempre avuto un qualcosa di “sopranaturale”.
Una sua affermazione mi ha fatto però soffermare: “il futuro è certo probabilistico…ma noi possiamo fare molto oggi per ridurne l’incertezza”.
Caro professore, da analizzatore della “microstoria” personale dei miei clienti mi permetto di osservare come, forse, sia più semplice ridurre l’incertezza del futuro che non quella del passato.
Spesso, personalmente, mi trovo davanti alla necessità di ricostruire un fatto per sostenere la non colpevolezza del mio cliente, e mi accorgo di quanto opinabile sia il passato.
E’ stravagante pensare che talvolta il futuro possa essere più certo del passato che, forse, per definizione dovrebbe essere certo.
E’ invece così non è, almeno per quel che mi riguarda.
Una telecamera di sicurezza riprende il mio cliente mentre percorre il marciapiede in cui è ubicata l’abitazione delle sua ex moglie nel giorno in cui viene ritrovata cadavere.
Basta per addebitargli l’omicidio?
Nessuna prova che sia entrato dentro l’abitazione, nessuna impronta digitale, nessun segno delle scarpe ritratte nel filmato sulla moquette.
Il passato è quindi più incerto del futuro.
E tutte questo al netto delle affascinanti teorie, su cui sono stati versati fiumi (anzi, oceani) di inchiostro, sulla prova scientifica o sul così detto “nesso eziologico”.
Tizio colto da infarto chiama l’ambulanza che giunta sul luogo lo trova in condizioni drammatiche, si tenta una disperata corsa all’Ospedale con scarsissime possibilità di arrivare in tempo. Tagliando l’incrocio col semaforo rosso a sirene spiegate l’ambulanza viene violentemente impattata dal mio cliente che non dà la precedenza al mezzo di soccorso. Tizio muore per gli esiti dell’infarto.
Può essere addebitata la morte al mio cliente? Sussiste il nesso eziologico fra decesso e condotta imprudente? Stabilire se la morte risalga anche solo ad un secondo prima dell’impatto fa la differenza fra un’accusa di omicidio o meno e la prova scientifica diventa quindi determinante.
Il passato è, anche in questo caso, profondamente opinabile.
Rispetto il Suo lavoro ed ammiro la maestria con cui applica i meccanismi volti a “disciplinare” la dinamica delle grandezze misurandone gli andamenti futuri, sicuramente il Suo impegno porta a risultati più incoraggianti e sicuri di quelli che si ottengono in talune aule di giustizia nelle ricostruzioni dei fatti di reato.
Ma mi chiedo, quindi – e mi piacere approfondire con Lei – quanto davvero, data l’esposta incertezza del passato, si possano ritenere attendibili proiezioni su un futuro che, sicuramente più del passato, è fatto di variabili spesso non predeterminabili e, quindi, cangiante ed incontrollabile.
“Ciò c’ha d’esser convien sia. Chi vuol esser lieto sia, di doman non c’è certezza” diceva del resto il buon Lorenzo de’ Medici.
A presto
Giovanni
bruna
Concordo con un precedente commento. Senza un minimo di solidarietà da parte dei paesi cosiddetti forti la situazione deila Grecia e conseguentemente degli altri paesi mediterranei, non sarà mai risolvibile. Mi sembra di aver letto recentemente di una disponibilità della UE per un piccolo prestito alla Grecia per sopperire alle necessità più urgenti che potrebbe preludere a politiche più lungimiranti . Coraggio è un piccolo spiraglio.