A che serve il valore legale del titolo di studio?

Oggi sicuramente farò arrabbiare diversi lettori (e, vi prego, non deludetemi). Voglio parlare del valore legale del titolo di studio e della sua perfetta inutilità. Mandatemi pure a quel paese, ma solo dopo aver letto sino all’ultima riga. D’accordo?

Sto parlando della laure non dei diplomi di scuola media superiore. Allora quale è la funzione del valore legale del titolo di studio? La prima e più classica è quella di garantire che il professionista (avvocato, medico, ingegnere, architetto, commercialista, agronomo ecc.) abbia le conoscenze necessarie a svolgere il suo lavoro. Ma è davvero necessario?

La laurea non abilita affatto alla professione, per poterlo fare occorre superare l’esame di ammissione al relativo ordine professionale che, in alcuni casi (ad esempio medicina) sono poco più che una formalità, mentre in altri (avvocatura) dipende da distretto a distretto, ed in altri ancora hanno una certa severità. Ad esempio in magistratura non solo bisogna superare un concorso piuttosto severo, ma poi c’è un periodo di uditorato e di prova, al termine del quale il consiglio forense dà la decisione definitiva. Capite che, in tutto questo il voto di laurea ha un peso scarsissimo ed, a maggior ragione, quello che conta non è tanto l’attestazione dell’università che si è dottori in legge quanto l’effettiva conoscenza e capacità di usare le nozioni necessarie. Ovviamente, consideriamo le cose al netto da eventuali raccomandazioni che possono esserci o meno tanto a livello universitario quanto concorsuale, parliamo solo di come le cose dovrebbero andare in teoria.

Allora, ci sembra più qualificante un titolo di studio concesso dall’università dopo un certo numero di esami ed una seduta di laurea, o la prassi impiegata dall’ordine giudiziario? Direi che non ci sono dubbi sulla migliore qualità della seconda procedura.

E le stesse considerazioni si possono fare per gli impieghi pubblici: dall’insegnamento alla sanità o alle carriere amministrative occorre superare un esame e, spesso, periodi di prova. Allora, sapete dirmi cosa impedirebbe di adottare la stessa procedura (esame vero e periodo di tirocinio con decisione finale) in ogni ordine professionale? A che serve il valore legale?

Ma, mi direte, come la mettiamo con l’impiego provato dove non ci sono esami di ammissione? Ma voi avete mai visto una azienda di informatica assumere uno perché ha la laurea e non perché sa fare il suo lavoro? E quale ufficio stampa si cura di sapere se uno è laureato in scienze della comunicazione o ha una laurea qualsiasi?

Dunque la laurea in sé non ha alcun valore operativo, però ti autorizza a scrivere  sul biglietto da visita dott. senza fare millantato credito. E sai che funzione sociale che ha una cosa del genere!

Dunque su un piano strettamente pratico, il valore legale del titolo di studio non ha assolutamente alcuna funzione reale. Però una funzione ce l’ha, indovinate quale e ne riparliamo.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (36)

  • Sono inebetito dalla stanchezza e posso scrivere poco. Su questo stavo proprio pensando Lunedì lei mi ha preceduto. Non ha tutti i torti prof. tuttavia in una università seria riuscire a portare a termine il corso è una prova di diligenza e autocontrollo molto importante. Avere di fronte un qualsiasi laureato significa che questi ha avuto la costanza di studiare e autogestirsi mentre molti altri si sono arresi. E poi mi scusi è vero che la pratica è importante ma essa è applicazione della teoria e se non sai quella…

  • “ci sembra più qualificante un titolo di studio concesso dall’università dopo un certo numero di esami ed una seduta di laurea, o la prassi impiegata dall’ordine giudiziario?”
    E dove sta scritto che bisogna scegliere? E dove sta scritto che una scelta sia valida in tutte le situazioni?
    Ci sono attività per cui è sufficiente la pratica, altre per cui non lo è. In molti casi ci vogliono entrambe (esami con laurea seguite dalla pratica). Uno può essere bravissimo nella pratica ma essere privo di basi teoriche: non lo vorrei come avvocato né come medico, né vorrei una casa costruita da lui.
    Più che abolire il valore legale della laurea io penserei a cancellare gli ordini professionali.
    Poi bisogna anche ripensare le modalità di assunzione della PA, ma il discorso va molto più in là.

      • Tutti invecchiamo dopo la nascita. Col tempo si acquisiscono capacità ulteriori non indifferenti o minori rispetto alla memoria …
        L’errore, tuttavia, è di notevole sapidità, perchè il Consiglio (nazionale) forense nomina quattro commissari per concorso per uditore e alcuni consiglieri di cassazione (art. 106 Cost. ). Non tutti possono tirare di tacco e mettere ugualmente la palla in rete.

  • Istituire il lavoro manuale obbligatorio per tutti, durante il periodo dell’adolescenza che deve valere come esperienza socializzatrice, vero e proprio tirocinio per la emancipazione dei giovani.Ovviamente poi inserito un periodo di premilitare, in modo da forgiare una “maschia e romana” gioventù. Bisogna abolire ogni orpello, ogni inutile e superfluo titolo accademico. Ovviamente poi attuare una severa selezione che consenta solo ai capaci e meritevoli di proseguire negli studi. Gli altri destinarli ai lavori manuali.Partendo dal fatto che i bipedi umani sono diversi; la diversità è un bene comune da preservare.La scuola attuale è solo un “diplomificio”, che sforna in serie degli autentici somari. Poi bisogna assolutamente riequilibrare la presenza interna alle scuole pubbliche del genere maschile, presente adeguatamente solo nel corpo docente universitario. Oggi le scuole pubbliche vedono una presenza quasi assoluta di insegnanti donne, con tutte le conseguenze deleterie che ciò comporta:bullismo, ignoranza, in cambio di uno stipendio modesto, con poche ore di insegnamento, così da consentire alle insegnanti di dedicarsi alla propria famiglia.Ecco spiegato l’arcano della scadente qualità dell’ insegnamento.

    • L’arcano è che le scuole sono dell’obbligo a essere promossi non dell’obbligo a studiare. I titoli accademici sono da preservare a patto però siano meritati. Cmq per restare in argomento io farei molta attenzione ad esaltare la pratica e tutto quanto, gli avvocati più in gamba sono quasi eslcusivamente quelli che si sono laureati bene: conoscenza dei principi generali e capacità di ragionare per essi ogni volta si affronti un caso nuovo, questo deve fare un Avvocato. Se si esalta troppo la pratica si torna a quello schifo de “valutiamo l’esperienza” che ha sfornato una marea di laureati stile 68.

  • In Romania per esempio se sei laureato avrai uno stipendio e piu grande di uno che ha solo diploma di maturita. In italia puoi avere 10 lauree lo stipendio e sempre uguale. Esiste un perché????

    • per la verità in origine il valore legale obbligava il datore di lavoro a pagare il laureato a livello medio alto anche se lo aveva assunto come fattorino. Poi la coasa è stata cancellata

  • Abbastanza d’accordo. Però…
    però, io vengo da matematica. Quello che la laurea in matematica mi ha insegnato non è tanto un insieme di nozioni, ma un metodo di conoscenza. L’idea, e la pratica, che a parte gli assiomi iniziali, per il resto tutte le affermazioni (che in matematica si chiamano lemmi, teoremi e corollari) devono essere dimostrati. Con gli anni mi sto rendendo conto che la differenza tra un campo e l’altro non è tanto in quello che studiano, ma in come lo studiano. Campi diversi hanno spesso epistemologie differenti a sostenerli. E proprio questa epistemologia è quella che si impara negli anni dell’università. E se una persona ha fatto sua una certa epistemologia non è una cosa che si può facilmente controllare in un esame. E difficilmente anche in un periodo di praticantato. Quindi direi che ci vogliono tutti e due.

  • Questo è il motivo per cui, Professore, laurearsi all’estero ha un valore reale e funzionale decisamente maggiore che farlo in Italia. In molti Paesi si può entrare nel mercato del lavoro, anzi addirittura si può terminare il corso di studi, solo se prima si è fatta un’adeguata esperienza (tramite stage, per lo più retribuiti..) in aziende o enti vari. Altrimenti non solo non si troverà lavoro, ma nemmeno ti danno la laurea!! Ha centrato in pieno una delle maggiori cause della scarsa competitività dei giovani laureati italiani e della bassa qualità di preparazione di molti nostri giovani connazionali. Saluti.

    • Massimo De Angelis

      Lavoro all’estero, ho una laurea italiana ed una straniera e fino ad ora non ho trovato studenti piú preparati di quelli italiani cosi come lavoratori piú bravi di quelli italiani. Per quanto ci siano molte cose migliorabili nel sistema educativo italiano, lo ritengo di gran lunga migliore degli altri proprio per la testa che forma ed il metodo che insegna. La scuola, l’universitá deve formare la persona, mentre l’apprendistato deve essere lasciato (anche pagare) alle aziende. Specialmente in un’epoca come la nostra in cui, purtroppo, si cambierá lavoro molto spesso, anche all’interno dello stesso ambito, rendendo inutile quanto imparato durante il praticantato. Che l’esperienza lavorativa sia fondamentale per la formazione di un individuo non ci sono dubbi, ma non per questo bisogna modificare, danneggiandolo, l’attuale sistema d’istruzione pubblico. Inoltre, associando la parola competitivá alla formazione di una persona si perde davvero di vista l’importanza ed il valore di istruirsi.

      • Signor Massimo, le Sue esperienze non le conosco e le do(ovviamente), per buone, ma che il nostro sistema formativo sia il migliore, non è assolutamente vero! Sovente i nostri laureati, si recano negli Stati Uniti(e non solo), per conseguire una seconda laurea, per convertire quella posseduta o per frequentare prestigiosi master, tipo: MBA! Dunque, se la formazione italiana fosse davvero un’eccellenza assoluta, che necessità avrebbero di guardare altrove? Saluti!

  • Io ho un diploma tecnico, non ho fatto l’Università, non perché mi mancassero le capacità, ma per voglia di autosufficienza. Ingegneria mi avrebbe insegnato metodi e nozioni che in 15 anni di lavoro non ho ancora acquisito, e se fossi laureato probabilmente avrei aspirato ad una carriera ben diversa dal semplice impiegato tecnico di un’azienda di provincia, credo di averne le capacità.
    Però parliamo di lauree diverse: che gli ingegneri siano più fortunati degli avvocati??

  • Caro professore, diciamo che il suo discorso, in generale e in astratto, non fa una grinza, ma nel concreto non tiene conto di tantissimi aspetti.
    Laddove non sussiste il valore legale del titolo di studio, assume più valore la formazione specialistica, e a quel punto dilagherebbero costosissimi enti privati che farebbero pagare care e amare le loro prestazioni: onestamente, non è immaginabile un magistrato, avvocato, medico ecc. formato solo dalla prassi consolidata, privo di preparazione teorica (sia sullo stato attuale della disciplina sia sui suoi sviluppi “diacronici”). In un sistema senza valore legale del titolo di studio, sussisterebbero comunque gli esami d’ammissione all’ordine professionale e questi verrebbero passati da chi può permettersi tali costosi corsi di formazione.
    Il prof. Brancaccio, qualche tempo fa, presentava alla televisione una statistica che affermava, appunto, che i paesi senza il valore legale del titolo di studio sono sono quelli con la più bassa mobilità sociale.
    Perciò, come dicevo, in generale e in astratto è bello immaginare un mondo dove conta quello che si sa e si sa fare piuttosto che i pezzi di carta ottenuti più spesso assecondando le manie dei baroni che non il proprio piacere nello studio, ma nel concreto solo il valore legale del titolo – in un sistema d’istruzione pubblico di qualità, beninteso – può garantire un minimo di opportunità per le classi meno abbienti.

  • Il valore legale del titolo di studio è obbligatorio solo nel pubblico. Non che per i privati sia indifferente, ma le selezioni tengono conto anche di altri criteri che nel pubblico non possono essere adeguatamente descritti in un bando di concorso e, sopratutto, verificati e valutati.
    Immaginiamo poi cosa potrebbe accadere se non fosse un prerequisito per partecipare ad un concorso pubblico: già adesso sappiamo bene come molti concorsi vengono “addomesticati” e i pochi posti disponibili finiscono agli amici degli amici.
    Se togliamo di mezzo anche quel minimo di prerequisito, ottenuto in anni di impegno, certificato e non improvvisabile, lasciamo ancora di più mano libera agli intrallazzatori.
    E in fin dei conti, un titolo di studio si ottiene da una istituzione pubblica, o sotto il diretto controllo pubblico; uno stato che regola e mantiene un sistema di istruzione per i cittadini, con quello che costa!, il minimo che possa fare è almeno riconoscere e dar valore a quello che ha contribuito a pagare.

    • scusa ma tanto ci sia quanto non ci sia il valore legale della laurea lo stesso si addomesticano i concorsi. Semmai il problema è quello di rendere più seri i concorsi e non di far finta che lo siano perchè c’è un titolo con valore legale. E poi, credi che si addomestichino solo i concorsi e non anche gli esami universotari?

      • Certamente: si addomesticano anche gli esami universitari, ma è un pò più difficile farlo continuativamente per 4-6 anni, per 20 e più esami, con la compiacenza (e la connivenza) di 20 e più professori, senza contare gli assistenti e quant’altri bisogna coinvolgere. Ed arrivare alla fine ad un voto di laurea a tre cifre.
        Un concorso pubblico è un evento singolo e circoscritto nel tempo, suddiviso al più in due sessioni: scritti e orali. E’ facile inquinarlo, perchè poche sono le persone da corrompere, ma per lo meno abbiamo la certezza che c’è un preparazione di base che mette sullo stesso piano tutti gli aspiranti, almeno in linea teorica.

  • Tenerone Dolcissimo

    Il valore legale del titolo è uno dei sistemi migliori delle nostre aristocrazie per mantenere il potere ed impedire che il figlio di un operaio possa diventare avvocato o medico e se lo diventa rimanga nelle retrovie.
    Ma il valore legale del titolo è anche un totem della sinistra
    Adesso avete capito cosa è la sinistra.

    • Ah quindi potrebbe diventare medico senza laurea in medicina? Scuole superiori e poi direttamente a lavorare in ospedale? Ottimo, si accomodi pure

  • Esimio Prof.! Altri ben più interessati l’hanno battuta sul tempo: qualcosina del genere era già stata prevista nel “piano Propaganda” del secolo scorso…

    • se è per questo ci sono antecedenti anche più remoti. Togliatti diceva che quando pioveva metteva le ghette come mussolini, ma non per questo era fascista

      • Difatti il mio commento era sul fatto che Lei, oggi – nel 2015 -, ha illustrato un evento che ora è attuale è ben facilmente chiaro agli occhi di tutti (stanno tornando le corporazioni medievali?). Invece 35 (trentacinque) anni fa era fantascienza il dualismo “valore del titolo di laurea: inutilità”. Forse Altri hanno avuto tutto il tempo di cui necessitavano per uccidere la Laurea. Che ne pensa?

  • Sono abbastanza d’accordo con Lei.
    Mi piacerebbe anche che fossero anche aboliti i vari titoli ‘Prof.’, ‘Dott’., ‘Avv.’, ‘Ing.’, ‘Geom.’, ‘Rag.’, ecc. – oltre all”Onorevole’ per i parlamentari e le lauree ‘Honoris Causa’: che ne pensa?
    Cordialmente

  • La laurea non avrebbe peso all’interno delle conoscenze di chi sostiene il concorso in magistratura? Può essere, dato che per affornarlo serve uno studio molto, molto più approfondito di quello richiesto per laurearsi. Ma come può pensare di affrontare uno dei percorsi che danno il titolo di sostenere l’esame per la magistratura senza una laurea in giurisprudenza? Per poter sostenere questo concorso bisogno aver portato a termine un dottorato in studi giuridici, oppure un tirocinio di 18 mesi presso gli uffici giurdiziri oppure aver fatto due anni di scuola di specializzazione per le professioni legali oppure essere già avvocati. Come si può intraprendere una di queste strade senza avere la laurea in giurispridenza? Come dire che inizia la specializzazione in pediatria senza la laurea in medicina!

  • Mi piacerebbe capire in che senso si è parlato di “abolizione del valore legale della laurea”. Una laurea senza riconoscimento statale (= “valore legale”) non avrebbe senso. Senza riconoscimento dell’autorità statale io potrei fondare un’università domani mattina e mettermi a stampare certificati di laurea (“non aventi valore legale”). E’ ovvio che l’autorità centrale di un paese debba certificare che un’università può emettere titoli di laurea perché sussistono determinati requisiti. Ciò non significa però che a una data laurea (es. in legge) debba per forza corrispondere l’accesso a un determinato concorso (es. magistratura). Ciò dipende dall’ente che sta selezionando i professionisti da assumere (ad esempio i magistrati). E’ ovvio che la magistratura pretenda che un aspirante magistrato abbia studiato legge. Ci mancherebbe. Ma, ad esempio, con una laurea in economia io posso insegnare diritto in una scuola superiore, perché l’ente che mi va ad assumere (lo stato italiano, o una scuola privata parificata) ha deciso che con una laurea in economia si può insegnare diritto in certe scuole superiori. Ci sono scuole private di lingue straniere in Italia che assumono insegnanti inglesi laureati in qualunque materia, perché, essendo madrelingua, conoscono l’inglese molto meglio dei laureati in lingue italiani. Ma non è il valore legale della laurea a determinare tutto ciò che ho descritto, bensì la scelta delle società/enti/organizzazioni che assumono. Il valore legale di una certificazione importante, come la laurea, non può essere messo in discussione: Oxford è riconosciuto dallo stato inglese in quanto centro universitario che è in grado di offrire determinati servizi educativi, non lo è solo dal mercato che ne riconosce la qualità.
    Se si vuole accrescere la competizione tra le università, basta introdurre un ranking, una graduatoria, stilata da un ente pubblico centrale o da uno o più enti privati riconosciuti anche qui dallo stato centrale, e si associa la laurea al ranking dell’università che l’ha emessa (e questo ranking va a pesare anche in sede di concorso pubblico).

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