Uscire dalla crisi si può, continuare come sempre no
Spesso mi sento accusare di eccessivo pessimismo, ma si tratta di una impressione sbagliata. Al contrario sono molto ottimista circa la possibilità –in sè- di uscire dalla crisi, evitando sia una prolungata depressione che eventi più drammatici come un conflitto generalizzato dall’esito tutt’altro che certo. Ma occorre fare le cose giuste e vincere resistenze di interessi consolidati. Il problema è la qualità indecente della classe politica occidentale (non solo italiana).
Le crisi non sono disastri naturali indipendenti dalla volontà umana, come uno tsunami, o la manifestazione di un fato ostile cui arrendersi; sono totalmente dipendenti dall’azione dell’uomo. E non sono neppure eventi incomprensibili al quale nessuno sa come porre rimedio. Al contrario, le crisi (e questa forse più delle altre) sono processi le cui cause sono abbastanza trasparenti e, di conseguenza, comportano soluzioni razionali non impossibili da immaginare e realizzare. Certo: uscite razionali, possibili ma non indolori.
Una crisi è sempre il prodotto di qualcosa che non funziona o non funziona come dovrebbe e richiede, conseguentemente, di essere corretto o sostituito. E, quanto più è vasta e profonda la perturbazione, più è di natura sistemica la causa. Pertanto, in questi casi si rendono necessari mutamenti strutturali che, inevitabilmente, attaccano posizioni consolidate, comportano spese e, con esse, sangue e sudore. Non ci sono vie d’uscita miracolistiche e nessuno ha la bacchetta magica, per cui il problema è chi deve pagare il conto. Perchè, in un modo o nell’altro, qualcuno il conto lo deve pagare.
Ovviamente questo accende conflitti per cui ciascuno passa il cerino nella speranza che resti in mano ad un altro, solo che in questo modo, l’uscita dalla crisi si prolunga molto più del necessario ed alla fine, in modo diverso, si scopre che non era un cerino, ma un candelotto di dinamite con la miccia e tutti si fanno male.
Fuor di metafora: qui il problema è quello del debito che è andato fuor di misura e che ormai è inesigibile, anche se continuiamo a passarcelo da una mano all’altra.
Mi sembra di rivedere la scenetta di una commedia di Peppino De Filippo (se la memoria non mi inganna): in un misero abituro, il capofamiglia sta andando a svuotare la pattumiera, quando entra il padrone di casa, di fronte al quale cerca di nascondere dietro le spalle il bidone e passandolo furtivamente alla moglie. Questa, sua volta, imbarazzata non sa dove metterlo e lo passa di nascosto al figlio grande che, con lo stesso disagio, lo passa alla sorella che, non sapendo cosa fare lo ripassa al padre e così via. Una specie di minuetto in cui il secchio gira continuamente da una mano all’altra. Noi stiamo facendo qualcosa di simile (il secchio dei debiti-spazzatura viene passato dalle mani dei debitori insolventi alle banche, da queste al governo che a sua volta cerca di sbolognarlo ai contribuenti con le tasse ed ai creditori con la svalutazione, ecc.) con una aggravante: che il cumulo di spazzatura cresce di passaggio in passaggio.
Il primo (ma non unico) problema da risolvere è quello del debito pubblico delle economie occidentali che, come già abbiamo avuto modo di dire, non è estinguibile (se non parzialmente) e pesa come un macigno sulle possibilità di sviluppo economico. Certo si possono utilizzare beni demaniali o quote di società pubbliche, ma siamo comunque al di sotto delle esigenze. Inoltre, vendere beni demaniali o quote di società pubbliche in queste condizioni, vuol dire svenderle a prezzi assai inferiori al loro valore. Magari con parte delle riserve auree qualche risultato consistente si può ottenere, ma non certo risolvere il problema.
Ed allora che si fa? C’è un vecchio consiglio di Keynes che mi pare molto attuale: fare un bel falò, mandare in gas, cenere e scintille la bella montagna di carta che si è accumulata e che ci schiaccia tutti: debitori ed anche creditori che ben presto si accorgeranno di quanto vale quel loro credito.
Ma come fare? Credo si debba iniziare a riflettere su alcune possibilità che vanno oltre i soliti rimedi (aumento della pressione fiscale, con o senza patrimoniale, taglio delle spese, comprese quelle militari, alienazione del patrimonio pubblico, svalutazione ordinaria ecc.) che ormai sono solo pannicelli caldi. Ogni qual volta il debito pubblico è andato oltre il 90%, lo sviluppo è stato lento e stentato, ed ogni qual volta ha superato la soglia del 120% la via di uscita non è stata più possibile con mezzi ordinari, ma ha imposto soluzioni di continuità: liquidazione dell’Impero per Francia e Gran Bretagna, cambio dell’unità monetaria in Francia, default argentino ecc.
Ed allora iniziamo a vedere in quale modo è possibile liberarci di questa massa debitoria.
In primo luogo è possibile una riduzione del debito interstatale per compensazione: ad esempio giapponesi ed europei possiedono reciprocamente titoli di debito pubblico e così altri paesi hanno reciproche partite di dare-avere pur se non sempre sotto forma di bond o simili, si potrebbe andare ad una compensazione per la quale, pur senza risolvere il problema, si sgonfierebbe un po’ l’ascesso, recuperando un po’ di spazio di manovra.
La soluzione, per molti versi preferibile sarebbe quella di una moratoria parziale o totale dei debiti interstatali, per ridare fiato ai paesi indebitati e permetterne la ripresa. Una sorta di default concordato con i paesi creditori. Ovviamente questo presuppone che i paesi debitori:
a- non ricomincino a fare disavanzo di bilancio finanziato da nuovo debito
b- investano rapidamente in modo da riequilibrare rapidamente la bilancia commerciale
c- che offrano contropartite in cambio ai paesi creditori.
Su tutti tre questi punti torneremo.
Ma perchè mai i paesi creditori dovrebbero fare un simile “regalo” ai paesi indebitati? Al di là delle eventuali contropartite, di cui diremo, semplicemente per una ragione: che quei crediti già oggi valgono zero (o zero virgola qualcosa) e che la rendita degli interessi è un guadagno che non compensa la perdita, in prospettiva, dei maggiori mercati di sbocco. Stando alle attuali tendenze economiche e demografiche, Europa, Usa e Giappone sono destinati ad un lento (per bene che vada) ma costante declino, per cui assorbiranno sempre meno le esportazioni degli emergenti che, invece, produrranno sempre di più. Il persistere del debito, a questo punto, diventa solo un acceleratore della decadenza di questi mercati. Un po’ di saggezza consiglierebbe maggiore flessibilità.
Naturalmente questa moratoria si può realizzare miscelando forme diverse: ad esempio, una parte può essere “congelata” a trenta o quaranta anni ad interessi minimi (dallo 0.50 all’ 1%), così da essere rimborsata in condizioni migliori, oppure accettando il pagamento di rate di debito senza interessi per un’altra parte del debito, trasformando un’altra parte dei debiti riscossi in investimenti nel paese debitore, acquistando oro delle Banche centrali occidentali a prezzi superiori a quelli correnti ecc.
Forme diverse che, in qualche modo, rendano più “digeribile” il condono ai creditori il cui guadagno principale resterebbe pur sempre la ripresa dei propri mercati di sbocco.
Ma non è detto che i creditori siano disposti ad una mossa del genere, saggia più che generosa, anche perchè gli Occidentali non hanno fatto molto per farsi amare dagli altri e l’idea di graziare i “ricchi” potrebbe risultare molto indigesta alle opinioni pubbliche degli Emergeti.
Ed allora occorre pensare a misure unilaterali di autoriduzione del debito (mi rendo conto di star dicendo una cosa molto sgradevole).
Una prima modalità, la più ovvia, è quella della dichiarazione di default totale o parziale. Vanno valutati gli effetti di un default concordato e simultaneo di Usa, Giappone e maggiori debitori europei (Spagna, Grecia, Italia, Gran Bretagna, Irlanda, Portogallo ma anche Francia e Germania che stanno in condizioni non molto migliori e comunque hanno il problema comune dell’Euro che non si salverebbe con un default collettivo dei Piigs). Nel caso di un default generalizzato dei maggiori paesi debitori, le conseguenze per ciascuno di essi sarebbero ben diverse da quelle che si avrebbero nel caso di default di un singolo o di ciascuno in ordine sparso. Peraltro, il caso argentino insegna che il default può anche essere salutare ai fini della ripresa. Le controindicazioni sono altre: in primo luogo questo colpirebbe anche il debito interno (componente molto alta del debito in Italia e Giappone) per cui si finirebbe per colpire anche i piccoli risparmiatori con effetti molto pesanti sulla credibilità del sistema.
Occorrerebbe, quindi, studiare forme di risarcimento dei piccoli risparmiatori anche se non è semplice.
Ma la più forte controindicazione di questa soluzione potrebbe stare nei suoi effetti sistemici globali e nelle possibili reazioni dei creditori: poco male se a dichiarare default è un paese con alcune centinaia di miliardi di dollari di debito, ma quando si tratta di un default per 20 o 30.000 miliardi di dollari la cosa si fa pesante e calcolare la ricaduta su banche e stati diventa difficile da calcolare. Così come è difficile ponderare le reazioni altrui: si pensi alla reazione della Cina, anche solo dal punto di vista della fornitura di terre rare…
Va però, preso in considerazione, il valore deterrente di una simile misura, che potrebbe anche indurre gli altri a considerare più benevolmente l’ipotesi moratoria.
Altra possibile via d’uscita da considerare: una svalutazione shock (dal 25 al 40%) di Yen, Marco ed Euro che svaluterebbe anche il debito. Peraltro questo ridurrebbe le importazioni con un riequlibrio forzato della bilancia commerciale.
D’altro canto, su questa strada gli americani già ci stanno con la politica di liquidità alluvionale della Fed che sta già svalutando di fatto il dollaro, anche se in misura contenuta. Ma, se la politica di iper-liquidità dovesse proseguire si imporrebbe una ben più consistente svalutazione. Controindicazioni diverse: in primo luogo questo farebbe salire di molto il costo delle importazioni e, se questo non riguarderebbe i beni scambiati fra i tre blocchi, il conto salirebbe con quelli importati dagli Emergenti che, ovviamente, avrebbero reazioni molto negative. E questo potrebbe infiammare il mercato delle commodities: in particolare i prezzi di petrolio, rame, litio, coloniali, gomma, oro, cotone ne risentirebbero (per non dire delle terre rare) e riflessi potrebbero esserci anche per i cereali. Questo però potrebbe indurre gli occidentali ad una maggiore sobrietà di consumi (che non sarebbe poi tanto male).
Anche qui occorrerebbe testare con molta attenzione gli effetti sistemici globali ed anche qui la cosa avrebbe un riflesso pesante sul debito interno (anche se la svalutazione avrebbe effetti relativi, perchè resterebbero più o meno stabili i prezzi dei prodotti interni ed importati dagli altri paesi a moneta svalutata). Ci sarebbe, tuttavia, un effetto collaterale sicuramente positivo: considerando che la parte più rilevante del denaro accumulato dalla superclass (manager, finanzieri, star dello spettacolo e dello sport ecc) è in beni o titoli quotati in dollari, euro e Yen, questa pensante svalutazione colpirebbe soprattutto loro, abbattendone proporzionalmente la ricchezza con un desiderabilissimo effetto “equalizzante” .
Peraltro, questa misura, portata alle estreme conseguenze potrebbe anche evolvere successivamente nel passaggio a nuove unità monetarie (Nuovo Dollaro, Nuovo Euro, Nuovo Yen) lasciando bruciare l’unità precedente, sul modello di quanto fece la Francia nel 1959-62. Ovviamente, i riflessi positivi e negativi sarebbero gli stessi del caso precedente, ma in scala crescente.
Anche per queste due soluzioni occorre tener presente il loro valore deterrente e la possibilità di essere modulate opportunamente in un negoziato internazionale.
Ed a questo punto è evidente che si impone una nuova Breton Woods che ridisegni l’ordine economico (e politico) mondiale. Ovviamente questo presuppone anche una parallela riconsiderazione dei rapporti di forza internazionali che sancisca la fine dell’attuale egemonia “occidentale” (ed essenzialmente americana). Non credo che questo significhi il passaggio del testimone alla Cina o anche all’Asia in genere: la soluzione più probabile sarebbe quella di un mondo policentrico con egemonie regionali. La stessa Cina non si candida a succedere agli Usa in quella posizione: non ne è preparata ed, ancor più, questo è estraneo alla tradizione del suo pensiero politico.
Una volta sgonfiato l’ascesso del debito interstatale, occorrerà affrontare la partita del debito con le banche e con i cittadini. Per i cittadini, magari qualche forma di protezione sociale per i piccoli risparmiatori è possibile ed utile. Per quanto riguarda le banche, considerato che il debito c’è anche per il loro improvvido salvataggio, questa volta tocca a loro restare con il cerino in mano.
Aldo Giannuli
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Mario Vitale
Manca ancora in questa analisi l’aspetto delle risorse del pianeta e del loro sfruttamento, che non potrà proseguire come avviene oggi in eterno. Vedi Earth Overshoot Day (indirizzo internet http://www.footprintnetwork.org/en/index.php/GFN/page/earth_overshoot_day/ e che nel precedente messaggio avevo erroneamente indicato in settembre; purtroppo quest’anno cade già in agosto).
Nelle previsioni economiche riguardo i futuri assetti mondiali, almeno nel medio periodo, non si potrà fare a meno d’introdurre nell’equazione anche questa variabile, che presto o tardi sarà probabilmente decisiva. Io non sono in grado di dire se si presenterà inizialmente come un problema energetico, per esempio con esaurimento del petrolio, o di materie prime, o ancora di carestia. Quello che è certo è che l’occidente ha fin qui vissuto sopra le proprie possibilità… o forse sarebbe ancora più corretto dire sopra le possibilità dell’intera umanità, visto che una minoranza della popolazione mondiale da sola consuma più risorse di quanto il pianeta possa ripristinare.
Trader
Mario, purtroppo il problema della sostenibilità del pianeta finora è stato trascurato, in futuro dovremo tenerne conto.
Aldo, queste soluzioni per riassestare il debito sono valide, anche se bisognerebbe vedere come reagirebbero i mercati. Un default è sempre un default, anche se concordato tra le parti e attuato con delle soluzioni che consentano di ammortizzarne gli effetti. Inoltre in questo caso si parla di un ripudio del debito di proporzioni inaudite, che coinvolgerebbe la maggior parte del mondo. E’ quindi difficile prevederne gli sviluppi. Tuttavia sarebbe sempre meglio che restare inerti ad aspettare che il debito collassi spontaneamente.
Il problema principale sarebbe fare accettare questi provvedimenti ad un così vasto numero di paesi. Nel caso della crisi greca la Germania ha fatto molte resistenze per trovare una soluzione che salvasse la Grecia con il necessario contributo degli altri. Un default incontrollato provocherebbe molti più perdite a tutti, ma le popolazioni dei paesi virtuosi non ritengono giusto dover rimetterci un Euro per chi si trova in difficoltà. Questo è successo a livello europeo, a livello mondiale sarà ancora più difficile trovare un accordo. Ovviamente i creditori storceranno il naso, ma non saranno gli unici a dissentire. Ci sono paesi con situazioni gravi ma non critiche che punteranno il dito contro i paesi messi peggio, cercando di usarli come capro espiatorio per fare pagare tutto a loro. Speriamo che i vari paesi non siano miopi e si possa trovare una soluzione concordata.
aldogiannuli
hai pienamente ragione a dire che un negoziato di queste proporzioni è di una complessità mai vista e che ci sarebbero resistenze infinite. Vero! Però, come tu stesso dici, è meglio cercare un accordo prima che ci caschi tutto in testa: è la stessa gravità della situazione a spianare molte resistenze. Infine: la classe politica mondiale mediamente non vale molto, siamo d’accordo, ma voglio sperare che sia un po’ oltre il livello di imbecillità di Frau Merkel. Se poi il livello di tutti (cinesi, brasiliani, russi, sudafricani, giapponesi ecc.) è quello della Merkel vuol dire che siamo fritti e non c’è scampo.
steffa88
sarebbe una misura drastica ma arrivati a questo punto vale la pena di tenerla in considerazione. Si annullano i debiti e tanti saluti. I problemi a mio avviso non sono tanto i cinesi quanto i risparmiatori, nazionali ed esteri. Un default generalizzato spazzerebbe via qualsiasi risparmio, annienterebbe i fondi pensione, aumenterebbe i tassi di interesse con conseguenze gravi sulla crescita a breve termine, ma ne usciremmo, tenendoci il debito invece ci stiamo dilaniando pian piano
aldogiannuli
sul debito interno pubblicherò più in là un altro articolo
Paola Pioldi
Ciao,
ho appena sentito una dichiarazione di Tremonti a Radio-Rai1, solo la voce fa accapponare la pelle: “… il debito pubblico è stato una medicina per la Crisi, ma ora è diventato il Problema…” (che volpe!:-)
Abbiamo si bisogno di una degna classe politica mondiale (svincolatada da interessi e ricatti di finanza e lobbies) capace di preoccuparsi dell’interesse comune e di ridurre la sperequazione dei beni a livello planetario.
I conti non si fanno però senza l’oste che, in questo caso, è il nostro pianeta, con le sue risorse e le dolorose ferite che siamo riusciti ad infliggergli (come ha detto Mario).
Assistere al ridimensionamento dell’accumulo di capitale sfrenato dei “potenti”, ad una riduzione dei consumi per TUTTI e alle banche col cerino in mano …. metto la firma subito!
Un caro saluto,
Paola
steffa88
quello di finanziare il debito privato con il debito pubblico è stato davvero un errore (se così vogliamo definirlo) madornale; peccato, non si è rispettato uno degli aspetti migliori del capitalismo: “chi sbaglia paga”. andava lasciato fallire tutto, al limite nazionalizzando qualche impresa strategica. abbiamo ingrossato il bubbone
Maurizio Melandri
“Una crisi è sempre il prodotto di qualcosa che non funziona o non funziona come dovrebbe” e qui non sono d’accordo. Tutto ha funzionato come doveva funzionare. Da decenni prevedevo una crisi, non immaginavo ai mutui, ma d’altra parte, non facendo l’economista di mestiere, non ne ero a conoscenza. Però se non fosse stata quella crisi finanziaria sarebbe stata un’altra, ma il finale è stato scritto negli anni 70-80.
Ed adesso immaginare un nuovo Bretton Wood fatto da chi ci ha portato fin qui…ma soprattutto immaginare che si diano nuove regole, condivise che disegnino un futuro non disastroso…è un bel sogno, ma, appunto, solo un sogno.
In pratica si dovrebbe:
a) sgonfiare il debito interstatale ed i debiti interni di certi paesi (USA in primis)
b) cambiare le basi di un’economia, ad oggi, basata su materie prime non rinnovabili per passare ad un’economia basata su energie rinnovabili
c) controlli forti su borse e finanza
d) accettare di essere tutti un po’ più poveri cominciando dai super ricchi per arrivare alla classe media
Le resitenze verrebbero da potentati finanziari, pontentati industriali e da cittadini dei sedicenti paesi “virtuosi” (che di virtuoso hanno solo lo sfruttamento di paesi poveri).
Io credo che siamo arrivati alla fine di un’epoca e sinceramente preferisco (parafrasando Samir Amin) uscire dal capitalismo in crisi piuttosto che dalla crisi del capitalismo. Anche perché, qualsiasi soluzione venga adottata, differente da un conflitto, saranno solo pannicelli caldi. Mi ricordo male o la crisi del ’29 non venne superata dal New Daily, dalla seconda guerra mondiale?
Adriano
Il Capitalismo è alla frutta. Dobbiamo trovare velocemente un nuovo sistema che non si basi solo sul consumismo!!!
Danusia
Caro Ckkb, condivido da molto tempo la tua setssa analisi per quanto riguarda la questione geopolitica. E’ evidente che cif2 che si sta verificando sullo scacchiere internazionale e8 provocato dalla competizione fra la “vecchia” superpotenza americana e le nuove, in particolare la Cina, ovviamente. Tutto cif2 che sta accadendo, guerra e occupazione militare dell’Iraq e soprattutto dell’Afghanistan non ha nulla o quasi a che vedere con il presunto pericolo islamico ma con il controllo delle risorse naturali (dal petrolio al rame all’oppio), dei collegamenti (gasdotti ecc.) e naturalmente per la supremazia geostrategica e il controllo diretto o indiretto delle varie aree del pianeta.L’integralismo islamico non e8 la causa di tutto questo ma solo l’effetto. E’ evidente. Il mondo islamico e8 sottoposto da lungo tempo all’influenza diretta o indiretta dell’occidente (non entro nel merito perche9 lo abbiamo gie0 fatto con un articolo specifico). E’ quindi logico e conseguente che si sia sviluppata in quel contesto una resistenza a questo processo. Poi che a noi quelle culture possano piacere o non piacere e8 tutto un altro discorso che nulla ha a che vedere con cif2 che sta succedendo.Purtroppo la grande maggioranza delle persone (e anche molti appartenenti ai movimenti maschili) non e8 esperta di questioni internazionali e si beve tutta la propaganda che gli gettano in faccia dalla mattina alla sera. Certo nei vari telegiornali non gli spiegano che la partita in Afghanistan fra USA e Cina e8 fra chi dei due gestire0 l’oppio e chi il rame e che questa non si e8 ancora chiusa. Come non e8 ancora definito dove passeranno i gasdotti nelle varie aree in questione, da chi saranno saranno controllati, gestiti, ecc. Gli USA e l’Occidente sono naturalmente in vantaggio avendo occupato militarmente il paese. Naturalmente in tutto questo bisogna anche trovare un accordo con i potentati locali afghani…Il tutto naturalmente avviene sulle spalle delle popolazioni locali…Mi sembra del tutto logico e naturale che a qualcuno di questi gli girino un po’ le palle nel vedere il proprio paese occupato e spartito da potenze straniere per i loro interessi economici e politici. E naturalmente vengono criminalizzati e definiti terroristi. Ora, con pif9 pudore, vengono chiamati insorti. Siccome sappiamo che il linguaggio non e8 una cosa buttata lec a casaccio ma ha la sua fondamentale importanza, questo cambiamento di definizione dovre0 pur significare qualcosa. E cosa significa? Significa che il peso e l’entite0 di quell’insurrezione fa sec che, anche volendo, non si possa pif9 parlare di semplici terroristi…non sarebbe pif9 credibile visto che i terroristi sono decine di migliaia di uomini, ex pastori con il turbante e il fucile in spalla Questo sul piano geopolitico. Sull’altra questione che poni, non sarei in grado di stabilire, e spero di no, ovviamente, se siamo sull’orlo di un futuro scenario apocalittico, come tu sembri prefigurare (non che sia campata per aria come analisi, sia chiaro). Mi limito per ora a registrare gli eventi e ad analizzare la situazione. Una cosa e8 certa, la competizione fra grandi potenze capitaliste (e imperialiste per forza di cose) ha sempre portato alla guerra. Oggi perf2 siamo in uno scenario diverso dato anche e soprattutto dall’equilibrio nucleare. Questo puf2 cambiare le cose in modo sostanziale. Forse cif2 a cui dovremo invece abituarci e8 una condizione di guerra permanente, come d’altronde gie0 sta avvenendo da decenni, con l’utilizzo di eserciti specializzati utilizzati in praticamente tutte le aree e le situazioni di crisi del pianeta. Mi pare che solo i nostri militari siano presenti in una trentina di paesi del mondo (naturalmente a reggere il culo agli USA anche se non in missioni di guerra ma di pace, come ipocritamente si dice…).Se poi tutto cif2 possa avere anche implicazioni di genere non lo escludo affatto, essendo la questione di genere indissolubilmente legata a tutte le altre.Ti ringrazio di questo contributo perche9, anche se apparentemente puf2 sembrare un po’ fuori tema, in realte0 non lo e8 per nulla. Basti pensare al fatto che numerosi appartenenti al Momas temono la competizione con i maschi islamici che insidierebbero il loro potere e la loro influenza sulle donne occidentali (quale potere e quale influenza non si e8 capito ma insomma…) e individuano la madre di tutte le questioni nella penetrazione islamica in occidente. Peraltro vivendo una contraddizione enorme perche9, proprio loro che hanno una concezione, diciamo cosec, “antica”, della relazione fra i sessi, dovrebbero essere felici di una cultura che va proprio in quella direzione. E invece la combattono, anche se non si capisce perche9. Dovremmo combatterla noi che la vediamo in modo diverso e invece…Comunque, affari loro e non nostri…P.S. per ragioni personali mi sto recando spesso in Germania, a Berlino, dove tornerf2 fra pochi giorni, che e8 considerata (non metaforicamente ma di fatto) la terza citte0 turca dopo Ankara e Istanbul.E’ assolutamente evidente come questa comunite0 si sia perfettamente integrata e come le giovani generazioni, figlie della prima e anche della seconda o terza ondata di immigrazione, abbiano decisamente modificato i loro costumi e la loro cultura. Splendide ragazze turche (che parlano tedesco) circolano per le strade di Berlino , ragazzi miei, e dubito assai, vedendo come si pongono , che i loro padri e i loro nonni abbiano molta voce in capitolo sulle loro vite … Come e8 giusto che sia, sia chiaro, ciascuno deve essere padrone della propria vita.La domanda e8:”Chi modifica chi? Chi condiziona gli usi e i costumi dell’altro? Se dovessimo valutare dal “portamento” e dall’aspetto di tante giovani turco-berlinesi sembrerebbe che l’Islam stia perdendo seri colpi, per lo meno da quelle parti…