Umori nazionali. Non è solo indifferenza.

di Annamaria Rivera

“In fondo che ne sappiamo, di queste rivolte?”, obietta l’amico, un vecchio compagno di solito ben orientato. “Come andranno a finire? Non scordiamoci dell’Iran e dell’abbaglio che prendemmo allora! Forse è meglio la stabilità attuale, per quanto non ci piaccia, che il rischio del caos e dell’islamismo”. Replico con ogni argomentazione possibile, gli oppongo dati e analisi. Obietto che non tutte le insurrezioni sono finite in modo disastroso, che in Spagna, in Portogallo, in certi paesi dell’America Latina in fondo non è andata troppo male. Concludo che comunque ogni popolo ha diritto alla ribellione e che non si può preferire la dittatura, la repressione, l’ingiustizia al disordine. Niente da fare: rimane saldamente aggrappato ai suoi pregiudizi e alle sue paure.E’ la sera del 6 febbraio. Ho appena saputo del rogo che ha ucciso quattro bambini rom, nella miserrima baraccopoli romana in fondo all’Appia Nuova. Attendo invano segnali di vita da almeno una delle tante mailing list antirazziste. Poi decido di telefonare a qualche attivista. E’ domenica: lì per lì cade dalle nuvole, ignorava la notizia. L’indomani mattina presto, ugualmente, tutto tace. La morte atroce delle quattro creature per il momento sembra non avere eco nel movimento antirazzista. Per fortuna verso la fine della mattinata i segnali arrivano.

Obiezione scontata: che c’entra la rivoluzione araba, o comunque la si voglia chiamare, con la morte dei piccoli rom? Risposta altrettanto scontata: la prima e la seconda reazione sono dettate dall’indifferenza. Ma la spiegazione è insufficiente, non coglie la radice dell’analogia. E poi sarebbe davvero ingiusto sostenere che gli attivisti antirazzisti siano di solito indifferenti. Forse c’è qualcosa di più profondo che le lega: forse è la tendenza a rimuovere la sofferenza altrui, ad allontanare i corpi e la loro vulnerabilità. Così che quando la politica s’incarna in esseri umani uccisi dalla discriminazione e dal pregiudizio o spinti alla rivolta da un’oppressione intollerabile, incisa nelle loro vite, la prima reazione difensiva può essere l’esitazione e l’imbarazzo, nel primo caso, il cinismo travestito da realismo politico, nel secondo. L’uno e l’altro riflesso avranno qualcosa a che fare con la troppo citata morte del desiderio e la depressione collettiva conseguente, ovvero con l’umore nazionale prevalente? Penso proprio di sì.

L’infelice paese nel quale ci è dato vivere rischia di diventare un deserto in cui si aggirano morti viventi che non sanno di essere morti. Hanno smesso di desiderare il cambiamento, cioè la vita. Non sanno più immaginare ed emozionarsi, perciò restano abbarbicati alla fragile certezza della loro vita fittizia. Ci vorrebbe qualche pazzo desiderante come Mohammed Bouazizi, fra quelli di noi ancora in vita.

Non auspico un suicidio, ovviamente, ma un gesto politico collettivo:  tale in fondo è stato quello del piccolo ambulante tunisino che, immolandosi col fuoco, ha acceso la miccia della rivolta. Un atto che d’improvviso accendesse la luce del desiderio di un altro paese possibile. Dove i bambini rom non siano uccisi dai roghi dell’apartheid, i lavoratori non siano decimati dallo sfruttamento, le donne non siano massacrate dal delirio maschile  e il despota sia costretto ad andarsene in pensione con la sua corte di nani e ballerine.

Il Manifesto, 8 febbraio ’11

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Aldo Giannuli

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Comments (2)

  • “Manco con gli occhiali”

    L’abulia politica ed etica della gente non è peggiore di quella della classe dirigente che dice di difenderne gli interessi. Formigoni può dire ciò che vuole sull’inquinamento, ma nessun tecnico o politico gli dice nulla (*). Poi si pretende sensibilità e indignazione dalle masse.

    “Per di più le connessioni tra i ministeri della Sanità e del Welfare sono sgradevolmente strette: per esempio, la moglie del ministro Sacconi è direttore generale di Federfarma … Infatti il governo Berlusconi ha già manifestato l’inquietante tendenza di permettere a interessi industriali di estendere la loro influenza su agenzie dello Stato” (“Clean hands, please”, Nature 7 ago 09. Nel commentare la partecipazione del Ministero della salute nella truffa ai danni dello Stato del vaccino per il virus A/H1N1).

    Federfarma è “la lobby delle 200 aziende farmaceutiche italiane”. “Il suo compito più importante è di negoziare con l’AIFA [che opera sotto la direzione del Ministero della salute] la presenza dei medicinali nel prontuario, l’iter organizzativo, prezzo e rimborso pubblico”. (F. Astone. Il partito dei padroni. Come Confindustria e la casta economica comandano in Italia. Longanesi, 2010).

    La notizia non è un segreto, ma, su cento persone, quante sanno e si indignano di questa promiscuità istituzionale, e delle sue conseguenze, e quante sanno di Ruby e le altre? Quali forze, quali voci, li informano e sensibilizzano ? B. è pronubo tra lobby industriali ed ente controllore. I suoi oppositori no ?

    Così, dando il buon esempio, da un lato B. e la sua corte stanno insegnando al popolo la meritocrazia sessuale. Più in generale stanno insegnando che, sesso a parte, mettere la propria persona sul mercato è giusto e necessario. E quando ci si è venduti non ci si indigna più sul serio.

    Mentre, dall’altro lato, i suoi severi censori al popolo insegnano col loro esempio il dovere civico di vigilare sulla vita privata dei governanti; e a farlo nei limiti della correttezza e del buon gusto, rispettando la sfera più intima e i luoghi più sacri; evitando pettegolezzi su argomenti da Novella 2000 come il controllo sulla spesa pubblica per la sanità, o l’influenza di Confindustria sulle loro vite; sulla salute loro e dei loro figli.

    Così la gente certi andirivieni “non li vede più manco con gli occhiali”. Però conserva un fremito, un’eco della perduta innocenza, davanti alle storie di cronaca tristi da piangere che gli presentano i media.

    * Ratio formigoniana
    http://menici60d15.wordpress.com/2011/02/08/ratio-formigoniana/

  • I dati che espongono sia Annamaria Rivera che menici60d15 sono reali, sono dati sconfortanti. ma dall’altra parte ce li siamo cercati. Chi desiderava qualcosa di diverso è stato sconfitto, la mia generazione (sono del ’57) ha perso ed è crollata guardando la differenza di quanto desiderava e quanto ha ottenuto. Quei maledetti primi anni ’80 sono la svolta, da un periodo in cui comunque qualcosa si riusciva ad ottenere si è passati, di regresso in regresso, ai Co.Pro. (oltretutto meglio dei Co.Co.Co. dalemiani). Non siamo riusciti a dare una svolta reale, a far passare la società italiana, da tribale, com’era e com’è, a società matura. Questo grazie anche a chi, in tempi non sospetti, osannava a Cofferati e Ciampi (ricordate il loro accordo?) o sosteneva che la globalizzazione c’era e non la si poteva mettere in discussione…
    Annamaria (scusa il tu), non diventeremo certo una società di morti viventi dato che lo siamo già dagli anni ’90 in poi, è molto più facile che diventeremo una nazione da terzo mondo in cui il problema primario sarà la sopravvivenza. Forse allora potremo rivoltarci, oggi abbiamo la pancia troppo piena.

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