Togliatti e la guerra di posizione
Nel 1945, il Pci usciva da un lungo periodo di clandestinità e non poteva affatto esser certo di non dovervi ritornare in breve tempo.
Il subitaneo sopraggiungere della guerra fredda rafforzò il timore di una evoluzione negativa della situazione politica, anche se la conferma definitiva venne con il voto del 18 aprile 1948: il fronte Popolare ottenne solo il 31% dei voti e la prospettiva di ribaltare i rapporti di forza diventava un lontanissimo punto all’orizzonte. Soprattutto gli ex partigiani e larghe fasce di bracciantato meridionale, caratterizzate da un persistente sedimento anarchico, premevano per una spallata rivoluzionaria, spesso dando luogo a fenomeni di violenza politica e persino ad insurrezioni locali.
Sin dal 1944 Togliatti aveva scelto una strada diversa, collaborando momentaneamente con il governo del Re, e dopo la fine della guerra, operò per mantenere l’intesa di governo fra i partiti del Cln, nella speranza di farne una formula di lunga durata, speranza alla quale alla quale non esitò a sacrificare l’azionista Parri, nel novembre 1945, per far insediare il democristiano De Gasperi a capo del governo, e per la quale non esitò a votare l’inserimento del Concordato nella Costituzione.
Nemmeno la rottura del 1947 valse a mutare l’orientamento ostile ad avventure insurrezionali e, persino sulla lettiga che lo portava in ospedale dopo l’attentato di Pallante, raccomandò a Scoccimarro presenti “State calmi, non perdete la testa”.
Ad ammonire era anche l’esito atroce della vicenda greca, dove i comunisti caddero nella trappola del Re e degli inglesi ed accettarono una impari lotta, che sfociò in una guerra civile, in cui perirono 80.000 persone, in massima parte comunisti.
Aver evitato una disastrosa avventura insurrezionale fu certamente il maggior merito storico di Togliatti, questo gli va onestamente riconosciuto. Ma questo non vuol dire che la sua azione politica sia esente da altre critiche, come se l’unica alternativa alla lotta armata fosse la politica ultra moderata che il Pci scelse. Togliatti, conscio dell’impossibilità di un assalto frontale, aveva ideato una strategia di “guerra di posizione”, che sviluppava l’intuizione gramsciana della conquista graduale delle “casematte” avversarie, scelta necessaria in un paese come l’Italia così diverso dalla Russia. In Italia non c’era un “palazzo d’inverno” conquistato il quale si conquista il potere.
Questo era sicuramente esatto, ma Togliatti caricò la lezione gramsciana di un di più di moderatismo, che non era nell’originale, come dimostrarono il voto sul concordato e la lunga insensibilità su quei temi che avrebbero potuto irritare la Chiesa cattolica, l’aver lasciato cadere la proposta di una patrimoniale e del cambio della moneta; l’abbandono dei “comitati di gestione”, l’ accettazione della piena restaurazione padronale in fabbrica, la conseguente moderazione rivendicativa imposta alla Cgil, il non aver mai messo in discussione l’assetto amministrativo dello Stato; ecc.).
E qui si pone il problema dell’alternativa rappresentata da Secchia. Una vulgata assai pedestre, ha costantemente presentato questo dirigente comunista come l’insurrezionalista filosovietico che contrastava Togliatti per “fare la rivoluzione”. In realtà, Secchia -che pure era molto ideologizzato e fece non pochi errori- era un politico realista e per nulla propenso ad avventure, ma chiedeva una politica più intransigente e minori concessioni all’avversario. Quanto al rapporto con l’Urss, Secchia fu meno stalinista di Togliatti e forse in un solo momento Mosca pensò a lui come ad un preferibile segretario del Pci (intorno al 1950 quando si pensò di spostare Togliatti a capo del Cominform) ma ciò non è neppure sicuro. Prima e dopo quel momento, l’interlocutore di Mosca fu sempre Togliatti.
In questo quadro vanno inseriti i temi della doppiezza togliattiana e della cd. “Gladio Rossa”. Sulla doppiezza ricordiamo che fu proprio Togliatti ad usare per primo quella espressione per dire che nel partito c’era una certa atmosfera per la quale molti militanti pensavano che, dietro la proclamazione della linea legalitaria e democratica, si celasse un vero piano per prendere il potere al momento opportuno e che occorreva “liberarsi da questa doppiezza”.
Dopo, per una ironia della storia, si affermerà una vulgata per la quale sarebbe stato Togliatti a coltivare la doppiezza. Ad alimentare questa idea ci fu la leggenda lungamente coltivata di un “piano K” dei comunisti per prendere il potere. Una balla recentemente ripresa anche, ma che non ha mai avuto un pur minimo riscontro documentale e la cui ricerca, semmai, è costata un esilarante infortunio a qualche incauto storico che ha preso per buono un evidente falso (probabilmente attribuibile a Luca Osteria, noto ex informatore dell’Ovra passato all’Ufficio Affari Generali e Riservati di epoca repubblicana).
In realtà, Togliatti non ha mai pensato ad una conquista violenta del potere e la Cd “Gladio Rossa” cioè l’apparato militare clandestino del partito esistito sino al 1973, che esponenti e studiosi del Pci si sono sempre inutilmente affannati a smentire che esistesse, è effettivamente esistito, ma con compiti essenzialmente difensivi e di deterrente verso una eventuale messa fuori legge.
In primo luogo Togliatti era caratterialmente un uomo freddo calcolatore e prudente sino all’eccesso e così lo descrivono quanti lo hanno conosciuto, da Giancarlo Pajetta a Rossana Rossanda, da Umberto Terracini a Luigi Longo10 e il lungo soggiorno moscovita servì a renderlo ancora più guardingo e cauteloso (d’altro canto, nella Russia staliniana essere poco prudenti poteva avere conseguenze spiacevolissime). Peraltro egli non mostrò mai propensioni insurrezionaliste e, se fu favorevole all’insurrezione del 25 aprile, occorre considerare che ciò accadde nel doppio contesto di una guerra civile all’interno di una guerra fra grandi potenze.
In secondo luogo, Togliatti ebbe istruzioni precise da Stalin di non cercare di prendere il potere e tantomeno per via rivoluzionaria; la successiva formazione delle “zone di influenza” fu il suggello finale su tutto questo.
In terzo luogo, Togliatti era un convinto elitista ed è per lo meno dubbio che (al di là di articoli e discorsi d’occasione) pensasse alla rivoluzione come movimento violento dal basso, quanto, piuttosto, come conquista di settori di classe dirigente. Il suo operato durante la guerra civile spagnola testimonia a sufficienza quale fosse la sua reale concezione della rivoluzione e della presa del potere.
La strategia togliattiana puntava ad inserire il Pci in una coalizione di governo della quale diventare il perno, esattamente come nella guerra civile spagnola, nella quale non esitò a reprimere con la forza le ali di estrema sinistra che puntavano ad una rivoluzione sociale.
Ed a questo si collegava anche la sua concezione del partito come centro reale della strategia: il partito era gladius Dei, il vero demiurgo della storia e l’approssimarsi della rivoluzione era direttamente connesso all’avanzata del partito nel sistema politico.
Scontata l’impossibilità di conquistare il potere a breve termine tanto per via insurrezionale quanto per via elettorale, la strategia della guerra di posizione prevedeva un forte radicamento sociale del partito che conquistava una posizione dopo l’altra (enti locali, sindacati, movimento cooperativo, ambienti culturali, movimenti femminili, associazioni di ceto medio, case del popolo ecc.) nella società prima ancora della presa del potere politico, senza escludere neppure manovre entriste nei partiti alleati-satelliti. Una manovra di aggiramento del blocco di sistema, che, però, richiedeva una grande moderazione: occorreva non spaventare i ceti medi, non spingere i ceti proprietari verso una nuova avventura fascista, dare del Pci l’immagine rassicurante della “grande forza tranquilla”, che non ha alcuna fretta di conseguire i suoi obiettivi, ragionevole e disposta alla mediazione anche al di là delle aspettative dell’avversario.
Pertanto, il Pci non fu affatto all’avanguardia di una politica riformista, nella quale fu spesso scavalcato dal Psi. D’altra parte Togliatti concepiva la politica essenzialmente come esercizio di finezza cui, però, non corrispondeva una particolare sensibilità l’autonomia del sociale: la società andava occupata, e i movimento sociali andavano portati sotto la direzione del partito più che ascoltati o seguiti (quel che il capo del Pci avrebbe sprezzantemente definito “codismo”).
Aldo Giannuli
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david arboit
Una lezione di storia ogni tanto non fa male. Anzi. Trovo assolutamente indisponente l’arrogante ignoranza con cui molti sparano sentenze su Togliatti riproducendo gli stereotipi da propaganda tipici della guerra fredda. Un bagno quotidiano di umiltà per questi cialtroni potrebbe essere uno studio approfondito della storia del nostro paese. Ma nel nostro paese è ormai diventata una abitudine dire quello che si pensa senza pensare e/o sapere quel che si dice.
Una interpretazione malevola e strumentale ha affibbiato il nome di “gladio rossa” a una rete che in realtà si chiamava “La vigilanza”. E il nome stesso, quello vero, esprime il concetto essenzialmente difensivo di questo strumento organizzativo.
Una seconda interpretazione non condivido per nulla. Non la ritengo malevola e strumentale perché credo nella onestà intellettuale dell’autore e ne ho conosciuto l’anima movimentista. È la conclusione dell’articolo. «D’altra parte Togliatti concepiva la politica essenzialmente come esercizio di finezza [verissimo, avercene oggi di gente che la pensa così e che è capace di adeguare il pensiero all’azione] cui, però, non corrispondeva una particolare sensibilità l’autonomia del sociale: la società andava occupata, e i movimento sociali andavano portati sotto la direzione del partito più che ascoltati o seguiti».
Togliatti apprende da Gramsci non solo il concetto di “guerra di posizione” ma anche il concetto di “partito come moderno principe”. Extra partito nulla salus. Sono due concetti da cui anche oggi non si può prescinde. O meglio chi ne prescinde si condanna alla impotenza. E che cosa è oggi la sinistra se non impotente, cioè infeconda?
Per semplificare si potrebbe dire: senza una organizzazione adeguata non si prende il potere; lo sanno i manager delle multinazionali, lo sanno gli imprenditori, lo sanno tutti meno la sinistra affascinata dal miraggio del movimento, dei movimenti. L’ideologia movimentista ha distrutto la sinistra italiana negli anni Settanta e l’ha condannata alla sconfitta. L’ideologia movimentista è il cavallo di troia che i padroni hanno introdotto per distruggere la sinistra.
Certo il partito oggi non può essere quello di Togliatti, né la guerra di posizione può essere attuata con un entrismo volontaristico.
L’ideologia movimentista è una forma di narcisismo collettivo, per cui siamo NOI i veri comunisti, siamo noi i veri rivoluzionari… ecc. ecc. L’ideologia movimentista è oggi stata superata dal narcisismo parossistico assoluto che si esprime nel sono IO quello che… Così dalla psicopatologia dell’anarchismo anni Settanta, siamo passati alla psicopatologia dell’anarchismo assoluto per cui oggi l’io webbizzato è finalmente diventato unico, l’unico di Stirner, unico e solo davanti alla video, dal quale via internet spara le sue sentenze da bar, perché in politica come nel calcio siamo tutti commissari tecnici e cioè capi del partito unico, cioè con un unico aderente: IO.
Il discorso andrebbe fatto più seriamente, insieme, ritrovandosi a discutere collettivamente attorno au tavolo, ma solo con persone che hanno l’umiltà di dire ti ascolto perché ho molto da imparare.
P.S. L’anarchismo è nemico del popolo ed è in genere sul libro paga di una qualche OVRA o filiazioni posteriori varie.
Aldo Giannuli
David, non sono mai stato movimentista, ma credo che una riflessione più meditata dovrebbe portarci ad una maggioire integrazione fra partiti e movimenti, fra società politica e società civile. E neppure si può liquidare il movimentismo solo come una forma di narcisismo, è una cosa da studiare con maggire attenzione. Peraltro, se il movimentismo spesso approda all’inconcludenza, il partitismo spesso approda al burocratismo più becero, anche per questo una mediazione si rende opportuna.
Togliattio ci ha mìmesso una punta di più rispetto a Gramsci che era un elitista molto più aperto.
Trovo del tutto ingeneroso e spropositato il tuo giudizio dell’anarchismo che, come disse Terracini “è un ideale nobile”. Quanto alle infiltrazioni dell’Ovra, mi spiace ma gli infiltrati nel Pci furono molto più numerosi degli anarchici (ti ricordo il leggendario Luca Osteria). Insomma non mi pare il caso di rispolverare il peggiore stalinismo.
david arboit
Il rapporto tra partito e parte civile della società civile, per esempio il mondo del cosiddetto associazionismo, è sicuramente da reinventare in modo creativo e in parte questo è già accaduto e sta già continuando ad accadere. Per fare chiarezza occorrrerebbe determinare con estrema chiarezza la ragione sociale, la mission, del soggetto sociale “associazione” e la ragione sociale, la mission, del soggetto sociale “partito politico”. Su questo è necessario fare una chiarezza teorica che ad oggi a me pare assolutamente assente.
Mentre intuitivamente comprendo che cosa significa “associazione” e che cosa significa “partito politico” (teoricamente, invece, per approfondire c’è molto lavoro da fare), non comprendo nemmeno intuitivamente né il senso politico né il senso sociale della parola e del soggetto sociale “movimento”. L’unica cosa che che mi pare di capire, essendo un cattocomunista e frequentando anche il mondo cristiano, è che il movimento c’è quando ci sono due cose:
1) in primo luogo c’è una insofferenza di una forma consolidata e tradizionale di pratica sociale;
2) in secondo luogo c’è un carisma, cioè c’è uno abbastanza narcisista da: avere il coraggio di dire “lo so io come si fa, invece, quella pratica sociale lì”; avere la forza comunicativa di portarsi appresso un bel po’ di gente; porre una spaccatura e una fuoriuscita da una forma tradizionale come condizione necessaria al rinnovamento di una pratica sociale.
Il carisma è un dono di Dio, è quindi proprietà insindacabile del capo carismatico, e perciò nel movimento l’unico rapporto effettivo e affettivo, reale e funzionante è quello tra il capo (carismatico) e la folla. È nella natura del movimento quindi che valga la legge “Amicus veritas sed magis Plato”. Un rapporto leader-massa assolutamente deteriore inevitabilmente destinato al populismo, e altrettanto inevitabilmente destinato alla morte con la morte del capo, morte reale o simbolica. Non funziona in genere nei movimenti il meccanismo della successione per adozione.
P.S. 1 Professore, i fiduciari dell’OVRA, dello UAR e successori seguenti sono dappertutto, non fanno discriminazioni politiche, su questo non c’è dubbio. Soltanto che in alcuni ambienti ascoltano per riferire in altri determinano gli obiettivi politici e le azioni conseguenti.
P.S. 2 Stalinismo… stalinista… un modo vecchio, tipico del frazionismo anni Settanta, di dare del “gufo” a chi non la pensa come me.
Una richiesta: urge lezione di storia per spiegare che Palmiro Togliatti e Guido Leto non hanno fatto un patto del nazzareno ante litteram.
Aldo Giannuli
allora
1 i movimenti e le associazioni sono cose diverse anche se talvolta miscghiati l’uno con l’altro e ci scriverò qualcosa
2 ho sempre pensato che i partiti debbano fare il mestiere dei partiti ed i movimenti quello dei movimenti e non mi piacciono le confusioni
3 gli agenti dell’Ovra non hanno mai diretto i movimenti anarchici, anche se in qualche caso sono riusciti ad infiltrarsi a livelli non proprio bassi, ma questo successe anche al Pci dove due agienti del Sid operavano negli uffici della Direzione Nazionale ed erano membri del comitato centrale
ù4 a presentare gli anarchici come nemici del popolo ecc, sono stati storicamente gli stalinisti e non c’entra nulla con dare del “gufo” ecc
5 l’incontro fra Leto e Togliatti prima e nenni dopo ci fu, ma tutto si limitò alla salvezza personale di Leto che, peraltro, deluso dal fatto di non aver avuto la direzione della Polizia Politica, si dimise dopo 1 anno ed andò a fare il direttore degli hotel Jolli quindi fu un fatto abbastanza linmitato e non di un “patto del Nazareno” ante litteram
Paolo Federico
Uno squalo, come Stalin un mostro.
Dalla storia così bene sinteticamente raccontata, si evince un personaggio prudentissimo come solo gli spietati e i privi di scrupoli, riflettendo se stessi negli altri, sanno essere; interessato unicamente al potere, alla sua conquista, alla sua gestione, nessuna minima volontà critica, nessuna minima traccia di umana pietà, eppure era ben consapevole dei disastri e delle sofferenze che il comunismo stava infliggendo al popolo russo, anzi di quelle sofferenze ne è stato uno zelante esecutore e, badate bene, è per tale zelo che fu definito da Stalin “il migliore “.
Gaz
Limitato Portagli, ovvero Palmiro Togliatti, ovvero il Migliore fece bene le cose peggiori e male le migliori. Tra la guerra allo sfruttamento e il disonore scelse il disonore: in cambio ricevette la guerra dagli anglo americani. Fu il più filo italiano (per modo di dire) del Comintern e il più filo russo degli italiani. Inghiottì Mosca, Teheran, Yalta, Cassibile e xxxò la costituzionalizzazione del Concordato, l’immobilismo politico e la continuità con gli apparati fascisti, di cui non disdegno un certo numero di saltatori del fosso. Un vero genio della politica, un demiurgo, un deus ex machina, il non plus ultra della politica che con una sola mossa strategica paralizzò l’evoluzione del suo partito e del sistema politico italiano per i successivi decenni. De Gasperi + Togliatti stanno a Parri come Andreotti + Berlinguer stanno a La Malfa. Il Grande … in vista delle migliori sorti progressive del proletariato internazionale, forte dei suoi indiscussi successi elettorali interni, sacrificò se stesso per la guida del più grande partito comunista dell’Occidente, pur di avere un partito più piccolo. Se Togliatti fosse stato russo avrebbe soffiato il posto a Gromiko, del quale Stalin ebbe a dire “Se gli ordino di mettere il xxxx sul ghiaccio, sui si abbaxxa i xxxxxxxni” Insomma una figura determinate, essenziale, imprescindibile per la politica italiana, di cui essere orgogliosi e fieri, sopratutto all’estero. Bisognerebbe intitolargli vie piazze, scuole, asili, stadi, aeroporti, chiese, più di quanto sia stato fatto. E si badi bene, presumibilmente ha fatto tutto gratis, senza neppure farsi pagare. Che uomo generoso!! Requiescat in pacem. Santo subito per indiscussi meriti verso la Chiesa.
Gherardo Maffei
Professore bene ha fatto a ricordare Luca Osteria, infiltrato dell’OVRA nelle fila dell’antifascismo, poi passato indenne negli Affari Riservati del dopoguerra. Ma sarebbe stato opportuno ricordare invece il molto più autorevole traghettamento del capo dell’OVRA Guido Leto che concluse la sua carriera indisturbato ai vertici del Viminale nel dopoguerra.Ma attenzione che i traghettatori di Leto dall’OVRA agli Affari Riservati furono prima Togliatti poi Nenni. Il medico personale di Togliatti il dottor Spallone prelevò il Leto da Regina Coeli ove era in stato d’arresto e lo portò a casa un giorno da Togliatti poi il giorno dopo da Nenni. Ci fu sicuramente uno scambio di fascicoli riservati sui vari cedimenti e collaborazioni del tipo di Ignazio Silone e altri.L’astuto Leto già durante la RSI a Valdagno ove teneva in custodia l’archivio dell’OVRA aveva acquisito meriti resistenziali collaborando coi partigiani. Perfino Giorgio Amendola nella sua biografia scrisse che subito dopo la strage di via Rasella, portato in questura alla presenza di Herbert Kappler e Erich Priebke i funzionari dell’OVRA finsero di non conoscerlo salvandolo dalla fucilazione. Fu salvato pure Antonello Trombadori che venne ricoverato in infermeria di Regina Coeli, mentre un centinaio di trozkisti di Bandiera Rossa finirono alla cave delle Ardeatine.Ci furono taciti accordi tra i vertici del PCI e i funzionari dell’OVRA, ai quali poi furono garantite le loro brillanti carriere nel dopoguerra.Tutto ciò nell’ottica del celebre detto di Leone Brostain, meglio conosciuto come Troztksy : ” i governi cambiano la polizia rimane”. Altro merito storico di Togliatti fu la celebre amnistia, che permise a qualche milione di ex fascisti di venire inseriti nella vita politica e sociale. Senza dimenticare che migliaia furono gli ex fascisti che passarono al PCI, senza scandali e reprimende e che furono i ben accetti, come i furbi funzionari dell’ex OVRA.
david arboit
C.V.D. Togliatti, Leto e l’OVRA. Della serie il dito e la luna: in “patto del nazzareno” come chiave di interpretazione panoramica della storia.
andrea z.
Uno dei casi più indicativi del pragmatismo di Togliatti è quello di Gaetano Azzariti, presidente del Tribunale della razza dal 1938 a 1943 che, invece di esssere punito per il suo passato, divenne ministro della Giustizia nel primo governo Badoglio e nel 1945-46 consulente di Togliatti per l’epurazione con l’incarico di capo dell’Ufficio legislativo del ministero di Grazia e giustizia. Il guardasigilli, informato del suo passato,commentò: “Non me ne importa, ho bisogno di un bravo esecutore di ordini, non di un politico”.
In seguito tra il 1957 e il 1961 Azzariti divenne Presidente della Corte Costituzionale.
Aldo Giannuli
esatto
alessandro smerilli
Quindi il famoso piano K per l’ora X è stato in realtà architettato dal dott. Ugo? Mi hai fatto tornare alla mente un divertente libro della ricercatrice svizzera Renata Broggini che ha ricostruito i movimenti di Indro Montanelli dopo l’8 settembre 1943, il cui primo atto da antifascista fu la mancata adesione alla Repubblica Sociale Italiana. Rimasto in clandestinità per alcuni mesi a Milano, fu arrestato in val d’Ossola dove cercava di farsi integrare in un gruppo di partigiani. Dopo sei mesi di carcere, prima a Gallarate e poi a San Vittore, il 1° agosto 1944 fu liberato insieme ad altre due persone in circostanze misteriose. Dopo due settimane riuscì a passare clandestinamente il confine svizzero. Non fu trattato bene dai rifugiati italiani antifascisti che diffidarono di lui. Fu allora che iniziò a propalare la bufala che sarebbe stato picchiato e maltrattato dai carcerieri nazisti e addirittura condannato a morte. Dalle carte e dalle testimonianze raccolte dalla Broggini le sue affermazioni risultano fasulle. Così come risulta fasulla la sua dichiarata presenza allo scempio dei cadaveri di Mussolini e della Petacci in piazzale Loreto il 29 aprile 1945. Montanelli si trovava in Svizzera e vi si trattenne si trattenne fino al 22 maggio. Chi era stato dunque il liberatore di Montanelli? Un certo dott. Ugo, al secolo Luca Osteria, un doppiogiochista che lavorava per i servizi segreti della Rsi e per Theo Saewecke, SS capo tedesco della polizia di Milano. Con simili maestri non c’è da meravigliarsi che epigoni dichiarati sparino cazzate, purché remunerative, sempre col sorriso sulle labbra e non sentendo mai il bisogno di chiedere scusa.
Aldo Giannuli
diciamo che “Ugo” delle una generosa mano però la balla del Piano K nasce da una rielaborazione del ministero dell’Interno su un piano pensato per la Spagna
Gherardo Maffei
Se è per questo bisogna ricordare pure il fatto che inviato a Parigi Indro Montanelli ebbe contati anche coi fuoriusciti, tra cui uno dei loro capi Carlo Rosselli. L’OVRA che aveva infiltrati e fiduciari ai vertici sia dell’apparato comunista che in quello di Giustizia e Libertà, riferì a Roma dei contatti tra il giornalista e il Rosselli. Al ritorno in patria Montanelli fu convocato al Viminale dal capo della polizia Arturo Bocchini, che si limitò ad una lavata di capo. Poi vorrei citare il fatto che la collaborazione tra Ignazio Silone e l’OVRA meriti maggior attenzione.Nel dopoguerra fu perdonato perché dopo la strage del 12 aprile 1928 a piazzale Giulio Cesare di Milano, la milizia ferroviaria e non l’OVRA, aveva arrestato suo fratello Romolo Tranquilli che rischiava la fucilazione.Aggiungo che l’OVRA composta da serie professionisti e non da dilettanti come la milizia aveva comprovato l’estraneità alla strage dei comunisti.Aveva solidi elementi invece per arrestare i capi di Giustizia e Libertà, tra cui anche l’autore materiale della strage fuggito a Parigi, il quale nel dopoguerra ebbe a riscuotere somme di denaro dal “liberogiustiziere” Ernesto Rossi posto al vertice di un apparato statale per meriti antifascisti. I mandanti dell’eccidio furono presi anche grazie alle confidenza fatte da Umberto Ceva al funzionario dell’OVRA Francesco Nudi, che stilò un fascicolo che giace impolverato nell ‘Archivio centrale di Roma.Ceva si tolse la vita la vigilia di natale del 1930 nel carcere romano, scrivendo alla moglie una lettera nella quale affermava di aver “toccato mani impure”. I mandanti “liberogiustizieri” padri nobili di questa repubblica furono salvati dal colpo di stato monarchico massonico del 25 luglio 1943. Professore Giannuli reputo che sia il caso che tale fascicolo debba essere rispolverato e fatto conoscere all’opinione pubblica.
Nico Perrone
Caro Aldo,
bravo, bravo! Quando affronti gli argomenti nella prospettiva storica, offri ai lettori degli ottimi contributi: obiettivi, incisivi, brevi e documentati. T’abbraccio, Nico Perrone
Giovanni Talpone
Ottimo. Devo dire che, pensando alla figura di Togliatti e alla cultura politica del PCI, non posso fare a meno di ripensare all’apologo, riportato da Antonio Gramsci nei Quaderni, del castoro che si strappa da solo i testicoli e li consegna al cacciatore sperando di aver salva la vita. Gramsci percepiva già quella pericolosa deriva? Guardando al PCI del dopoguerra con gli occhi di oggi, colpisce come il Partito sacrificò al legame con l’URSS e al proprio monolitismo organizzativo l’enorme ascendente che ebbe sugli intellettuali italiani almeno fino al 1956 e poi, descrendo (opportunismi di carriera e ruolo a parte) fino all’inizio degli anni ’80. Aveva a disposizione le menti migliori di quella generazione: con esse, avrebbe potuto riaprire il programma di ricerca di Marx, ridiscutendone anche i fondamenti filosofici ed epistemologici. Non volle, e persino nel gruppo del Manifesto quasi solo Rossana Rossanda puntò a una ridiscussione del lavoro del pensatore di Treviri, gli altri preferivano la politica politicante (onesta e disinteressata, ma assai povera di risultati).