Tendenze globali: cerchiamo di capirci qualcosa

Con piacere ed interesse, torno a proporvi le ottime analisi di Lamberto Aliberti. A.G.

Il Fondo Monetario Internazionale.
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Grosso modo, dalla fine dell’anno scorso, abbiamo cominciato a sentire voci su una prossima crisi dell’economia mondiale. Per dirla tutta, si oscillava tra una stagnazione secolare e una recessione vera e propria, per quanto decisamente ineguale nei vari paesi. Finchè non è uscito il report del Fondo Monetario Internazionale. Che abbassava le sue stime precedenti. Eccole nel primo grafico in alto.

La grandezza nel mirino (espressa come variazione % annuale) è chiamata “output”. Pensiamo di non sbagliare interpretandolo come PIL (Prodotto Interno Lordo) a prezzi costanti. Anche perché il 2014 coincide col consuntivo pubblicato da qualche tempo.

Rispetto all’aprile 2015, c’è un taglio netto delle previsioni 2015 e 2016. Netto sì, ma di pochi punti percentuali. Anche se il Fondo si prende le sue riserve di ulteriori correzioni. L’ultima stima a breve introduce il 2017, ufficializzando il ridimensionamento di 2015, ormai consuntivabile, e 2016. In buona sostanza, sembra una pausa, niente di più, nella crescita mondiale, che resta su tassi, che non si discostano gran che dalle attese e che, a prima vista, gran parte dell’Europa può solo sognare. Pausa ampiamente attesa, tanto da accompagnarsi o essere preceduta da minime correzioni di rotta, come hanno fatto alcuni paesi, l’Italia, per dirne solo uno.

È perciò caduto il timore di una recessione brusca e pronunciata, che potesse investire il prossimo biennio, anche perché, in un arco di tempo così contenuto, da una visuale così completa, come quella del Fondo, le previsioni sembrano veramente difficili da sbagliare.

Ma l’inquietudine sulle sorti dell’economia mondiale non è venuta meno. Si parla quanto meno di stagnazione secolare, un concetto lontano, che ci viene dalla grande crisi degli anni ’30, rispolverato, un annetto fa, da Larry Summers ex Segretario al Tesoro Usa all’epoca di Bill Clinton, ora docente ad Harvard. Viene da una famiglia di economisti, nipote com’è di ben due premi Nobel, Paul Samuelson e Kenneth Arrow, però parla da finanziere. Per lui infatti la stagnazione secolare, cominciata con la crisi del 2008 e destinata a durare per un decennio almeno, consiste in inflazione vicina all’1% e tassi d’interesse reali prossimi a zero. Che sia un dramma per Wall Street e le banche non lo dubitiamo ma per i comuni mortali?

Mondo: PIL pro capite.

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Ci sembra appropriata questa grandezza (PIL a prezzi costanti ($) diviso per la popolazione) a dirci le nostre aspettative, da cogliere sotto una pluralità di punti di vista, cominciando dalla storia, nel lungo periodo (fonte: World Bank).

Ecco la serie storica, con la sua migliore interpolante, cioè la curva che meglio vi si approssima, scelta tra quelle a 2 parametri: retta, esponenziale e logaritmica. Nel caso è la prima a riportare il minimo margine di scostamento.

Dal 1960 al 2015, il PIL pro capite va vicinissimo al triplo. E paragonato alla retta sembra crescere con poche incertezze e pause. Che si vuole di più? Se fra il 2005 e il 2015, nel periodo segnato dalla recessione del 2008, è cresciuto di quasi il 15%,  cioè, grosso modo, un 1% all’anno, supporre una recessione sembra azzardato. Che sia questa la stagnazione secolare, in termini economici? Vediamo le dinamiche più a fondo.

Cominciamo con gli scostamenti % rispetto all’interpolante.
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Vediamo 3 periodi:
-1960-1973, discesa, miglior interpolante: retta;
-1973-1995, risalita, miglior interpolante: esponenziale;
-1995-2015, discesa, miglior interpolante: retta.

Usiamo le 3 curve per ricostruire la serie. Ecco il risultato, che con qualche difficoltà, per la comunque elevata correlazione, ci segnala un netto miglioramento del trattamento teorico della serie. Insomma, riproducendo il PIL pro capite mondiale, attraverso 3 curve, anziché una soltanto, ci avviciniamo decisamente alla realtà.

E se ci soffermiamo solo sugli scostamenti il beneficio ottenuto diventa evidente, come si può osservare dal diagramma seguente:
la curva di scostamento (singolo dato teorico meno singolo dato reale diviso singolo dato reale, in %), ottenuta periodo per periodo, è sempre più vicina allo zero di quella estratta dall’intera serie.

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Per il momento ci basta per procedere nella prospettiva del medio periodo. Ovviamente terremo conto solo della terza interplolante, la più recente.

La previsione del PIL mondiale.
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La formuliamo per il medio periodo (2024) e la confrontiamo con l’ultima previsione del Fondo Monetario, che arriva però solo al 2021.
Le due ipotesi si mantengono molto vicine fino al 2016, quindi inizia uno scostamento, che vede, da parte nostra, una crescita estremamente contenuta, contro un ritmo decisamente più vivace dell’IMF, – che pure quest’anno le previsioni le ha  ripetutamente corrette al ribasso.

Quanto il nostro forecast di medio periodo sia intonato al pessimismo emerge con la massima chiarezza se confrontiamo i tassi di variazione % annuali.
-IMF trova praticamente subito la zona del 2% e oltre di crescita annuale;

-noi troviamo quel valore solo nel 2016 – e si tratta di un tipico problema matematico, dovuto al fatto che si tratta del primo dato extrapolato su un precedente storico – quindi scendiamo in zona 1%;

-ma, in quadro dinamico,

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-sono le dinamiche a turbarci;

-la variazione IMF è crescente, di parecchio, in partenza, di poco più di un decimo successivamente

-la nostra, dopo l’anomalia 2016, è decrescente, sia pure solo di qualche centesimo all’anno.

È questa dunque la stagnazione secolare? Senz’altro lo è la nostra, anche se il carattere di crescita mondiale è mantenuto, perché:

-la tendenza è verso il basso; nel lungo periodo l’ipotesi è di recessione

-estrema esposizione a possibili, per non dire probabili, shock di diversa natura, come quelli finanziari – siamo appena usciti dalla depressione del fallimento Lehman Brothers del 2008; ma altri sono possibili, come gli effetti del riscaldamento globale del pianeta, come ricadute della politica, che è oggi instabile, per non dire turbolente – terrorismo – quale mai è stata e così via;

-il fatto che un tasso di crescita basso mette, quasi dovunque, in pericolo la pace sociale anche in paesi che la conoscono praticamente dalla fine della seconda guerra mondiale, per l’accentuarsi dell’iniqua distribuzione dei redditi e della ricchezza, condizione diffusa in tutto il mondo

-disuguaglianza non meno significativa tra gli stati, per cui le dinamiche mondiali non sono che una media, che trova certamente isole felici di sopra, ma ne trova altrettamente di sotto.

Con l’aiuto di un modello matematico, svilupperemo ipotesi nelle quattro direttrici anzidette ed altre ancora. Cominciando da subito, dall’Italia.

Dove può andare l’Italia?

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Vediamo innanzitutto il PIL pro capite, confrontato col mondo.

Piangiamo spesso, ma, se guardiamo la storia,  non abbiamo da lamentarci: superiamo di parecchi la media del mondo, soprattutto ne abbiamo accentuato il distacco, da un po’ più del triplo di PIL nel 1960, fino a 5 volte. Un vertice però raggiunto 7 anni fa.
Dopo abbiamo cominciato a correre al contrario. Vedi caso con la grande crisi del 2008, un prodotto della finanza america. Ci eravamo accorti che su di noi ha inciso più di tanti altri, in particolare parecchio di più degli stessi autori?

È chiaro che una condizione del genere, soprattutto la sua durata, determina una correzione di tendenza. Cercheremo di coglierla, servendoci delle dinamiche mondiali appena viste. Quindi cominciamo a dare una misura al nostro rapporto con esse, ottenuto sottraendo il PIL mondiale pro capite dal nostro.

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Due dinamiche con qualche irregolarità:

-il periodo 1960-2008 vede crescere la distanza del 391% circa;

-il periodo 2008 al 2015 va al contrario, la distanza si riduce del 16% circa; l’effetto della grande depressione, non c’è dubbio, notiamo però che per noi è stata più lunga e profonda di quella mondiale e che in qualche modo era stata anticipata con la pur breve stasi del 2001-2008, guarda caso, iniziata con l’entrata ufficiale nell’Euro.

Di qui 2 interpolanti:

-per il periodo 1960-2008 una retta, non troppo ben approssimata, perché sovrastima il primo periodo (1960-1975) e sottostima il secondo (1975-2008); si può far di meglio, ma, per il momento, non ci sembra il caso, tutti i segni fanno pensare a una lunga fase compiuta e sepolta, purtroppo per noi;

-per il periodo 2008-2015 una logaritmica discendente, contrassegnata da brevi pause, ma complessivamente ben determinata; per ora diventa la direttrice del nostro PIL pro capite negli anni a venire.

La previsione, meglio la linea di tendenza, del PIL pro capite italiano, diciamo nel medio periodo (2016-2024), è in sostanza la combinazione della curva del mondo, sommata alla curva della nostra distanza. La confrontiamo con World Bank, più ridotta, come ampiezza, ma coerente, per essere la fonte di tutti i nostri dati storici.

Ci aspettavamo qualcosa di diverso? Certamente non altro di  un quadro preoccupante: recessione dal 2008 al 2014, interrotta da 2 pause annuali storiche: 2011 e 2015.

E stavolta, a differenza delle 2 ipotesi sul mondo, rispetto alla previsione World Bank, siamo in netta controtendenza. Il che però può anche rassicurare, anche se organismo come questo, meritori per le banche dati, il meglio che ci sia, da un punto di vista generale, non sono ritenuti dai più molto affidabili.
Una nota, non diciamo rassicurante, ma meno cruda emerge dalla diagrammazione delle variazioni annuali, ovviamente sempre del PIL pro capite, che ci dicono meglio l’impatto del fenomeno, come si usa in economia.

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-La componente di brevissimo termine è stata più che significativa nel recente passato, come si vede dal 2009 e 2012;

-Anche World Bank non si spreca nel forecast: poco più di mezzo punto % nel quadriennio 2017-2020; non sarà recessione, come quella che annunciamo noi, ma ci manca ben poco

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E mentre World Bank prevede una velocità di crescita in diminuzione, noi prevediamo una velocità di decrescita in rallentamento, se val la pena di cogliere fattori così deboli per entrambi

Certo che una zona di frizione è il 2016, l’anno in corso; World Bank lo stima in ripresa, noi in forte recessione; probabilmente loro un po’ si fanno prendere dall’ottimismo, noi di sicuro esageriamo in pessimismo, ma abbiamo una scusante tecnica, di cui già si è fatto cenno: l’anno è l’intersezione del reale col teorico (in senso statistico), che porta spesso a conclusioni sconclusionate, pur se non tali da inficiare per nulla la curva (appunto la serie dei dati teorici) nel complesso, tanto che nelle aziende si usa l’input manuale dei punti in questione, mentre noi faremo di meglio: sostituiremo al più presto l’attuale modello statistico, che ci serve solo per entrare in tema ed evidenziare le grandi direttrici del problema, con un modello dinamico, senz’altro immune da questo pericolo, ma bisognoso di un dettaglio di gran lunga maggiore dell’attuale.

L’ultima osservazione ci dà il destro – scusandoci per la lungaggine – di ribadire un concetto metodologico: abbiamo usato più volte la parola previsione, in realtà, per un po’, ci muoveremo nella ricerca di linee di tendenza, in una parola, dove andrebbe la variabile sotto osservazione (nel caso PIL pro capite mondo e Italia) se si mantenessero le condizioni del periodo (abbastanza lungo da evitarci di cadere nella trappola delle variazioni casuali) immediatamente precedente il futuro. Che tali condizioni si mantengano è tutt’altro che certo. Possono insorgere i fattori prima nominati e, soprattutto in ambiti un po’ più ridotti del mondo, all’inerzia dei fenomeni si può reagire. Se non del mondo, è questo sicuramente il caso dell’Italia. E lo possono fare soggetti pubblici e privati. E a loro che, in ultima analisi, con l’aiuto dei nostri lettori, che ci indirizziamo. E lo faremo con uno strumento appropriato: un modello dinamico, che legge il sistema, individua fattori cruciali, sotto e fuori controllo degli operatori, ne calcola l’impatto e formula le previsioni nella forma del what.., if….

Il progetto.
Dicevamo: s’intitola al massimo livello possibile di interattività. Quindi ne fissiamo dei capitoli di analisi, da intendere oggi obbligatori, aperti, anche a questo livello, ad ogni suggerimento ricevuto.

Sul piano metodologico 2 fasi:

-Studio delle tendenze, grazie a un modello statistico; nel complesso del lavoro, in questa fase lanciamo dei warnings;

-Previsioni in termini di what.., if…. Come andranno le cose, se succedono delle condizioni esterne nuove (fattori fuori controllo) o per l’intervento di soggetti col potere di cambiarle (fattori sotto controllo); insomma, quasi un ruolo di consulenza, e, se ce lo chiedono i politici, in senso lato, meglio, altrimenti assumeremo il ruolo di critici,  con l’aiuto determinante dei nostri lettori.

In linea di massima ci muoveremo dal generale, dai massimi aggregati, dove l’inerzia è più difficile da vincere, operando direttamente, al particolare, dove, secondo la nostra esperienza, gli attori possono operare cambiamenti. In ogni caso cureremo il feedback, dal particolare al generale.

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Lamberto Aliberti
25 luglio 2016

fondo monetario internazionale, grande recessione, lamberto aliberti


Lamberto Aliberti

Lamberto Aliberti, già Ceo della Maspa Italia, società leader nella system dynamics, è da sempre impegnato anche nel campo della formazione. Da alcuni anni coordina il gruppo Dext,Designing Models for Economics and Politics.

Comments (7)

  • chiedo scusa per la mia ignoranza, ma quali sarebbero alla fine le conclusioni di questa accurata analisi? Che nonostante le previsioni ufficiali al ribasso le cose per la popolazione mondiale vanno nel complesso meglio? ho capito bene?
    Se e’ cosi’ allora che dire della disoccupazione, dell’assottigliamento della classe media, del progressivo smantellamento del welfare?

  • Molto interessante. Da non-economista, autorizzato quindi a dire sciocchezze di qualsiasi dimensione, osservo che un motore essenziale dello sviluppo è la visione del mondo “tipica” degli imprenditori. Con la lira, potevano pensare che svalutazione competitiva e inflazione avrebbero messo molte pezze alle loro toppate, e quindi si fidavano ad investire. Con l’euro, quegli imprenditori stanno alla finestra perchè percepiscono un rischio maggiore (con ovvio effetto cumulativo delle singole decisioni). Da noi, è sempre stato molto più raro l’imprenditore che basa la propria fiducia sull’eccellenza organizzativa e tecnologica (tipico invece degli imprenditori tedeschi, giustamente nemici dell’inflazione). I giovani imprenditori italiani devono assumere la mentalità dei colleghi tedeschi, senza lasciarsi incantare dai demagoghi dell’uscita dall’euro. Se poi questi nuovi imprenditori fossero a capo di aziende pubbliche, e non private… ma so che sto sognando.

  • Grazie mille per il prezioso contributo. Attendo i successivi capitoli di analisi. In particolare,sarebbe interessante evidenziare la composizione di quel pil mondiale dal secondo dopoguerra a oggi, laddove il peso specifico dell’ Occidente tende a diminuire, quello del blocco sovietico a crollare. Altro capitolo, interamente dedicato al Belpaese, potrebbe simulare i diversi scenari che si creerebbero facendo interagire, a livello macroeconomico, settore privato e un settore pubblico conscio non solo del suo ruolo di indirizzo, ma anche in qualche misura di gestore e responsabile del buon esito di linee generali di piano. Simulando diversi gradi di interazione, e contestualizzando quindi i risultati e affiancandoli ad altri analoghi secondo criteri rigorosi di economia comparata, secondo me emergerebbero conclusioni interessanti. Un caro saluto e grazie ancora.

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