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Uscire dalla crisi si può, continuare come sempre no

Spesso mi sento accusare di eccessivo pessimismo, ma si tratta di una impressione sbagliata. Al contrario sono molto ottimista circa la possibilità –in sè- di uscire dalla crisi, evitando sia una prolungata depressione che eventi più drammatici come un conflitto generalizzato dall’esito tutt’altro che certo.  Ma occorre fare le cose giuste e vincere resistenze di interessi consolidati. Il problema è la qualità indecente della classe politica occidentale (non solo italiana).
Le crisi non sono disastri naturali indipendenti dalla volontà umana, come uno tsunami, o la manifestazione di un fato ostile cui arrendersi; sono totalmente dipendenti dall’azione dell’uomo. E non sono neppure eventi incomprensibili al quale nessuno sa come porre rimedio. Al contrario, le crisi (e questa forse più delle altre) sono processi le cui cause sono abbastanza trasparenti e, di conseguenza, comportano soluzioni razionali non impossibili da immaginare e realizzare. Certo: uscite razionali, possibili ma non indolori.

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Uscire dalla crisi si può, ma dobbiamo prima di tutto dirci quali sono i termini reali della situazione

Uscire dalla crisi possiamo, ma solo se non ci raccontiamo favole e ci diciamo come stanno le cose, comprendendo che significa l’esplosione del debito delle economie di Usa, Giappone ed Europa.
Lasciamo per un momento da parte il debito privato (che pure ha la sua parte nel tutto), quello delle aziende, delle banche ed anche quello degli enti locali o delle società sponsorizzate da Stati e parliamo solo del debito statale che oggi è il cuore del problema. Questi sono i dati nudi e crudi: (nella prima colonna è indicato il debito pro capite, nella seconda la percentuale sul rispettivo Pil, secondo la tabella pubblicata dal S24 15 agosto 2011 p. 11)

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