Tag: università

Il modello dell’università statale è a fine corsa, ma l’università privata sarebbe un rimedio peggiore del male.

Prevedendo le obiezioni di quanti, nel leggere le mie critiche all’università statale, modello che ritengo superato, hanno pensato che volessi fare un elogio dell’università privata, avevo già predisposto questo pezzo. Ripeto: l’alternativa non è fra insegnamento statale ed insegnamento privato. Per fortuna la realtà ha molta più fantasia.

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Inglese: non attribuitemi sciocchezze che non ho detto.

Se ci si desse la pena di rileggere per bene i due articoli che ho dedicato al problema dell’anglomania e della difesa dell’italiano, il mio pensiero dovrebbe risultare abbastanza chiaro, ma, siccome è sempre possibile che mi sbagli, non sarà inutile qualche precisazione. In primo luogo non ho mai detto che non si debba studiare e conoscere l’inglese. Per me sarebbe opportuno aumentare lo spazio della lingua inglese negli orari scolastici ed universitari.

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Per #dirloinitaliano anche all’università

Da Buenos Aires, Dario Clemente. Una delle lezioni più memorabili del corso di Aldo Giannuli a Scienze Politiche a Milano, “Storia del mondo contemporaneo”, fu quando, non ricordo a partire da che spunto, iniziò a parlarci di come il consiglio docente stesse valutando l’ipotesi di istituire corsi interamente in inglese nella nostra facoltà. La lezione fu dedicata quindi a parlare di imperialismo culturale, di lingua-moneta-diritto, e della sua concezione di internazionalismo. Che non dissolve le differenze culturali in unico codice, quello dominante, ma favorisce il dialogo tra le culture a partire dalla ricchezza specifica di ognuna di esse.

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Università: e se parlassimo un po’ di didattica?

A 15 anni dalla riforma Berlinguer dell’Università, è tempo di un bilancio. Scegliamo come termine la riforma Berlinguer (anno 2000) –e non la Ruberti, ad esempio- perché quella che ha maggiormente inciso sugli assetti didattici della nostra università e le cui grandi linee in merito sono rimaste sostanzialmente invariate. I successivi ministri (Moratti, Mussi, Gelmini, Carrozza ecc.) hanno pasticciato qua e là, sostanzialmente sull’assetto di governo e sui concorsi dei docenti, ma hanno lasciato intatto lo schema base del cd 3+2: E cioè un triennio propedeutico seguito da uno di specializzazione, articolati in corsi trimestrali o quadrimestrali per circa 3.000 corsi di laurea e con doppio sistema di valutazione in voto di esami  e crediti.

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Il destino dell’università italiana.

Sapevo perfettamente che il mio pezzo sulla crisi dell’Università avrebbe suscitato molti malumori e perplessità: c’è chi mi contesta i dati sulla produttività scientifica, chi si lamenta che non ci sia la parola “precari”, chi si allarma per la frase “università pubblica non vuol dire per forza statale” e pensa che sia la solita manfrina neoliberista a favore dell’università privata, mostrando di non aver capito bene (parlo di “pubblica” non “privata”), ma ogni cosa a suo tempo, risponderò ad ogni singola contestazione. Per ora vorrei proseguire il ragionamento, restringendo il discorso al caso italiano.

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Università e formazione: quando un ministro apre bocca e gli dà fiato

Una nuova emergenza si sta aprendo e dovremo occuparcene: la crisi della scuola. No, per carità, non voglio dire che la mancanza di fondi, la pessima distribuzione degli insegnanti, la loro preparazione non sempre eccellente ecc siano problema di questi giorni. Lo so che si tratta di una crisi che dura da almeno 40 anni e che ormai sta marcendo. Mi riferisco ad altro: agli ulteriori gravissimi danni che si stanno profilando ad opera di questa sciagurata classe politica. Dopo la funesta serie ventennale di ministri della Pubblica istruzione ed università (D’Onofrio, Lombardi, Berlinguer, Moratti, Mussi, Gelmini, Fornero, facendo salvo il solo De Mauro) si abbatte su di noi la Carrozza (Maria Carla e non il veicolo: ma una cosa non è più intelligente e meno pericolosa dell’altra).

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