Avrei voluto scrivere un pezzo leggero di apertura anno, scherzando sull’inconsistenza del discorso di Mattarella, il cui unico contenuto è che per ora non si vota, perché “non c’è la legge elettorale”; quella stessa legge che questo Parlamento avrebbe dovuto fare e che, in qualche modo ha fatto, salvo poi rimangiarsela e che ora, non si capisce in virtù di quale intervento dello Spirito Santo, dovrebbe essere in grado di fare migliore dell’altra. Roba da ridere. Ma le notizie da Istanbul mi dicono che c’è poco da ridere e mi obbligano a temi meno allegri.
Siamo oltre il mese dallo “strano” (chiamiamolo così) golpe del 13 luglio e i fatti sono in pieno svolgimento: Erdogan, che sta attuando il vero colpo di stato, ha arrestato migliaia e migliaia di persone, fra cui gran parte della magistratura e molti poliziotti, sta procedendo a marce forzate alla completa islamizzazione del paese, è in procinto di ripristinare la pena di morte ecc.
Sarà un caso, ma a pochi mesi dall’intervento aero-missilistico dei russi in Siria si è mossa la macchina diplomatica che sembrava paralizzata ed è sto trovato un pur fragile accordo per arrivare al cessate il fuoco. E, sempre per pura combinazione, sauditi e turchi hanno deciso che manderanno truppe di terra per combattere l’Isis. Ma non mi dire!
Qualcosa si muove nel quadro della questione Califfato e sembra imminente una offensiva su più fronti. In primo luogo, a quanto pare, sta per partire una offensiva missilistica o con droni contro i capi dell’Isis che sarebbero stati localizzati, come ha annunciato il Presidente Obama ieri, 14 dicembre.
L’incontro fra Putin ed Obama, durante il negoziato parigino, ha chiarito i termini della questione siriana indicando come possa maturare una svolta. Obama chiede la testa di Assad a Putin il quale lascia intendere a sua volta di essere disponibile a condizione di avere la testa di Erdogan. La cosa, che potrebbe sembrare facile, in realtà è più complessa di quel che sembra, perché le chiavi del caso siriano sono, in parte, in Ucraina, in parte in Turchia, Arabia Saudita e Iran.
L’abbattimento del Su-24 russo da parte dei Turchi apre una fase diversa del conflitto mediorientale per comprendere la quale occorre iniziare dalla logica che guida i due contendenti ed i due “convitati di pietra” (Usa ed Isis).
Da quello che si capisce, i leader occidentali sbraitano tutti alla guerra, ma, in realtà, non sanno da che parte cominciare.
Molto volentieri ospito questo articolo di Elio Catania sulle elezioni turche del prossimo 1 novembre. Elio, amico ed attivista della carovana di soldarietà Rojava Resiste, nelle scorse settimane è stato in Kurdistan, dove la comunità Curda è schiacciata da una parte dalla Turchia e dall’altra dall’Isis. Buona lettura!
Quanti destini si incrociano nelle urne turche questa domenica: per la Turchia in generale si tratta di bloccare il progetto autoritario di Erdogan e del partito-stato Akp (1) (già in parte avviato) e ridare fiato ad una democrazia mai realmente del tutto consolidata; per le opposizioni di sinistra (politicamente guidate dall’Hdp (2) filo-curdo), il movimento sindacale e i gruppi rivoluzionari aprire uno squarcio possibile nella lotta per l’egemonia tra il vecchio fronte kemalista e il nuovo nazionalismo del governo; per il movimento di liberazione curdo, mai così forte come oggi, la possibilità di fermare la guerra sporca degli ultimi mesi e consolidare l’autonomia democratica conquistata nelle strade (3).
La situazione in Libia ed in Siria ed Iraq ormai sta andando in metastasi: non solo la guerra c’è, e con essa il dramma dei profughi, ma minaccia di estendersi in un gigantesco braciere che riassorba Turchia, Israele, Egitto, Giordania, mescolando terrorismi, guerre civili, guerre tradizionali, crisi sociali, collassi di stati ecc. Insomma, è ora di fare qualcosa, prima che sia troppo tardi.