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I guai della sinistra Pd.

Mattarella è certamente più il prodotto dell’azione mediatrice di Bersani che della volontà di Renzi, ma il vincitore è il secondo, non il primo. E’ il vincitore sicuramente agli occhi dell’elettorato (come segnalano i sondaggi, che ignorano Bersani), ma anche a Palazzo: i brandelli di Sc confluiscono nel Pd, gli ex M5s planano verso l’area governativa (a proposito: che squallore!) anche ex Fi guardano ai lidi renziani e la stampa parlamentare ha eretto un monumento equestre al nuovo Napoleone della politica italiana.

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Che succede se i sondaggi hanno ragione?

Ripetiamo, per l’ennesima volta che i sondaggi vanno presi con le molle, perché più di una volta si sono dimostrati molto lontani dai risultati effettivi e, a febbraio 2013 hanno clamorosamente “cannato”. Adesso lasciamo stare quanto questo dipenda da scarsa professionalità o dolo delle società demoscopiche o dal fatto che l’elettorato si è fatto imprevedibile; quel che conta è che l’affidabilità di queste previsioni è andata sensibilmente scemando. Ma, pur sempre, i sondaggi colgono alcune tendenze –quantomeno quelle più vistose- e contribuiscono a plasmare l’opinione pubblica, creando aspettative di vittoria o di sconfitta. Per cui sarebbe sciocco non prenderli in considerazione, ma è opportuno farlo con cautela.

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La strategia comunicativa di Berlusconi

Berlusconi è un Grande! Detesto dirlo, mi brucia lo stomaco e mi fanno male le dita mentre batto sulla tastiera che preferirei ingoiare, piuttosto che ammettere una cosa del genere, ma sono costretto a dichiararmi sconfitto ed ammettere che l’orrendo Cavaliere è un genio della comunicazione e tutti gli altri (Bersani, Monti ecc.), messi uno in collo all’altro, non gli arrivano al ginocchio.  Semplicemente, nessuno ha capito la sua strategia comunicativa e tutti la assecondano. Partiamo chiedendoci cosa vuol fare Berlusconi: il sogno proibito sarebbe vincere alla Camera (dopo di che lo vedremmo con ogni probabilità al Quirinale, con Monti a Palazzo Chigi), ma, nonostante tutto, credo che anche lui non ritenga la cosa probabile. Più concretamente, punta a rendere ingovernabile il Senato, impedendo la maggioranza Pd-Sel e rendendo Monti non determinante.

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Monti ce la può fare?

Non è ancora chiaro se Monti accetterà l’invito (l’intimazione) dell’ “Europa” a candidarsi, certamente dovrà farlo nel giro di un paio di settimane al massimo ed i primi sondaggi non sono incoraggianti: Mannheimer gli pronostica una base di partenza del 3-5% per una sua lista cui potrebbe aggiungersi una frazione di quell’8-10% che si dichiara disposto a prendere in considerazione l’ipotesi di votarlo. Diciamo un 6-9% probabile, che è troppo poco: anche sommando per intero l’area centrista (e sarebbe scorretto, perché il quel 6% c’è già un bel pezzo di elettorato di centro) si attesterebbe poco al di sopra del 15%. Vero è che una lista Monti ancora non c’è e che, pertanto è difficile esprimersi su qualcosa che non si sa esattamente cosa sia. Poi bisogna vedere anche come andrà la campagna elettorale e molte altre cose. Però la base di partenza resta poco incoraggiante e Monti, di suo, non è propriamente un cuor di leone: se non gli assicurano qualcosa per il dopo, in caso di naufragio, lui non si muove (in fondo, se sta fermo, Bersani e D’Alema una mezza promessa per il Quirinale l’hanno fatta balenare).

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PERCHE’ BERLUSCONI E’ NEI GUAI.

Il Cavaliere, che ha sbandierato la minaccia di elezioni anticipate per tutta la primavera-estate, con l’avvicinarsi dell’autunno dà segni di prudenza e si fa meditabondo, alternando sparate e fermate. Non c’entra una sensibilità stendhaliana all’aria struggente di settembre (debolezze letterarie di cui non lo sospettiamo capace). Il problema è che, facendosi due conti, scopre di essere nei pasticci.

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A BERLUSCONI NON BASTA VINCERE. DEVE STRAVINCERE. ALTRIMENTI PERDE.

A BERLUSCONI NON BASTA VINCERE. DEVE STRAVINCERE. ALTRIMENTI PERDE.

Se il Pdl dovesse avere il 40,3% dei voti che molti sondaggi gli attribuiscono, registrerebbe una avanzata del 3% secco. Berlusconi potrebbe cantare vittoria, ma in realtà avrebbe perso.

Dopo la vittoria a valanga dell’anno scorso, il Pdl è passato di successo in successo conquistando Roma, l’Abruzzo, la Sardegna, è riuscito a conquistare quasi tutta la Rai, ha votato il federalismo fiscale ecc. Ma il vento potrebbe cambiare molto prima di quanto non si pensi: la crisi economica è tutt’altro che risolta, il banco di prova sarà fra settembre e gennaio, quando il pessimo ricordo del governo Prodi (che sin qui è stato il migliore atout di Berlusconi) sarà scolorito.

laula della Camera dei Deputati
l'aula della Camera dei Deputati

Dopo pochi mesi si voterà per le regionali e i risultati potrebbero essere assai meno favorevoli di oggi, tenendo anche conto che le elezioni amministrative solitamente sono meno favorevoli alle liste berlusconiane.

L’armonia della coalizione sarebbe messa a dura prova da una Lega che, ottenuto il federalismo fiscale, potrebbe non essere più tanto interessata a seguire l’alleato lungo questa discesa. Né è detto che l’amalgama fra gli ex di Fi e gli ex di An sia molto ben riuscito.
Ragionevolmente tutto questo non basterebbe né a far saltare la coalizione né a mandare prematuramente in crisi la legislatura, ma potrebbe avviare una fase di logoramento –come nella legislatura 2001-06- durante la quale la sinistra potrebbe riorganizzarsi. Berlusconi non nasconde le sue aspirazioni di salire al Colle appena possibile, essendo scarsamente plausibile  un nuovo quinquennio come Presidente del Consiglio dopo il 2013, quando sarà assai prossimo agli 80 anni. Non c’è dubbio che con l’attuale Parlamento avrebbe ottime probabilità di farcela, ma, come si sa, il mandato di Napolitano scade nel 2013, dopo la fine della legislatura e –per quanto il Pd si stia liquefacendo- nessuno può garantire che il prossimo Parlamento abbia ancora una maggioranza di questo tipo. Di qui la forte tentazione di cogliere un pretesto qualsiasi ed andare ad elezioni politiche, sin quando dura il favore dell’elettorato, magari nel 2010.

Questo consentirebbe di arrivare alla scadenza delle presidenziali con un Parlamento a maggioranza di destra. Peraltro, elezioni ravvicinate coglierebbero la sinistra in piena fase di rimescolamento delle carte dando a Berlusconi la possibilità di imporre alla Lega un patto leonino o escluderla senza troppi problemi dalla coalizione. E questo consentirebbe di mettere mano alla riforma della Costituzione senza dover fare i conti con le bizze leghiste in tema di riforma del potere giudiziario.
Dunque, oltre che spianare la strada verso il Quirinale, questa strategia consentirebbe a Berlusconi di trasformare durevolmente il paese ed i suoi assetti istituzionali.

Ma tutto questo è possibile solo a condizione di ottenere un successo senza precedenti. Il leader della destra ha bisogno di portare a casa un risultato che renda la Lega ininfluente in caso di elezioni politiche: fra il 43 ed il 45%. Il ragionamento è molto semplice: se il Pdl da solo raggiungesse il 44%, questo significherebbe che non ci sarebbe coalizione in grado di sfidarlo: ipotizzando la lista comunista fra il 3 ed il 4% e Storace intorno al 2%, più un 2% alle liste di dispersione, una eventuale coalizione Pd-Lega-Udc-Di Pietro-Vendola-Radicali partirebbe da un ipotetico 47-48%, ma che credibilità avrebbe un simile minestrone? Il semplice confronto fra un caravanserraglio del genere e un singolo partito dotato –bene o male- di una sua linea politica e di una sua coesione costituirebbe per il Pdl un vantaggio non rimontabile.
Immaginiamo, invece, che il Pdl si attesti sul 40 e la Lega sul 10: complessivamente, la coalizione avrebbe un incremento del 5%, ma, essendo vincenti i due partiti, le rivalità interne si acuirebbero. Per di più, la Lega mostra una notevole aggressività e non sembra volersi accontentare del 10. E segnali di nervosismo vengono già ora: la mossa di Berlusconi sulla riduzione dei parlamentari (tema caro da sempre alla Lega) appare con ogni evidenza come una mossa per arginare l’offensiva leghista e passare al contrattacco. La stessa decisione di sostenere il referendum elettorale depone sul tentativo di stringere la Lega nell’angolo e distruggerne il potere di interdizione.

Dunque, un “misero” 40 o 41% non metterebbe affatto al sicuro il Cavaliere, che potrebbe tentare la carta delle elezioni anticipate nel 2010 ma a prezzo di dover concedere moltissimo alla Lega o esporsi al rischio di una sconfitta contro un cartello Pd-Udc-Di Pietro, con la Lega da sola.
E, dunque, la manovra sarebbe fallita.

Dunque: stravincere o perdere. Tertium non datur.

Aldo GIANNULI, 28 maggio 2009

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ELEZIONI EUROPEE: GIOCHI FATTI?

ELEZIONI EUROPEE: GIOCHI FATTI?

A due settimane dal voto sembra che le elezioni europee non debbano riservare sorprese:
– il PdL avanza di qualcosa rispetto alle politiche ma non stravince e si attesta intorno al 40%;
– il Pd cala fortemente (6-7% in meno rispetto alle politiche) ma non tracolla e si porta oltre la soglia del 25% che ne segnerebbe la disfatta;
– la Lega guadagna un punto o un punto e mezzo e supera il 10;
– l’Udc resta più o meno intorno al suo 6% perdendo o conquistando qualcosa;
– unico a registrare un consistente balzo in avanti è Di Pietro che dovrebbe attestarsi fra l’8 ed il 9 (dal 4,5% di partenza);
– Rifondazione è sul bilico del 4%, mentre questo risultato sembra precluso all’avventuroso cartello elettorale vendoliano;
Un risultato un po’ grigio, ideale per tenere il sistema politico nella sua stagnante instabilità (se ci passate l’ossimoro). Ma la partita è davvero così decisa?

A noi sembra che le cose siano molto più fluide e che molto si deciderà negli ultimi giorni –forse nelle ultime ore- prima del voto.
In primo luogo è da capire quanti italiani andranno effettivamente a votare e come si distribuirà l’eventuale diserzione delle urne. La campagna elettorale è fredda è noiosa  e questo non sembra spingere gli italiani verso un appuntamento elettorale che, per di più, non hanno mai amato troppo.
Sinora il tema più seguito è stato quello dell’esuberanza sessuale dell’attempato capo del PdL, anagrammando il cui nome si ricava “Viso senil lubrico: ci si può divertire ma, insomma, non è cosa su cui possano prendere corpo flussi elettorali particolarmente consistenti. E nemmeno la sentenza Mills ci sembra stia producendo chissà quali mareggiate nell’opinione pubblica.

Solo il 40% degli italiani (stando agli stessi sondaggi) sa che ci sono delle elezioni, quando e per cosa, né le acque sono agitate dalla stitica campagna del Pd.
In queste condizioni, pensare ad una astensione intorno al 30-35% sembra una ipotesi tutt’altro che campata in aria. E non è detto che la cosa colpirebbe il solo Pd. Ad esempio, il diffuso senso di “partita vinta” potrebbe indurre molti elettori del PdL a una giornata di sano riposo al mare. Il risultato finale sarebbe quello di una flessione dei due partiti maggiori a tutto vantaggio delle liste intermedie (Udc, Lega, Idv e Rifondazione).
D’altro canto il Pdl deve vigilare i suoi confini elettorali che rischiano un doppio smottamento: verso la Lega e verso l’Udc. Gli uomini di Bossi sono all’attacco e sono i naturali beneficiari di campagne come quelle sulla sicurezza e l’immigrazione così imprudentemente cavalcate da PdL e Pd. D’altra parte, l’ottimismo berlusconiano sulla crisi potrebbe spingere verso la Lega una parte non piccola di quei lavoratori autonomi che sin qui hanno costituito la “diga”  di Forza Italia. E la sentenza Mills potrebbe aiutare i più indecisi a decidere per Bossi, il cui successo potrebbe andare anche ben al di là del 10%.

Ancora più forte l’insidia Udc: il “fattore Veronica” in sé conta poco, ma potrebbe diventare il mantello del “travaso” dal PdL  all’Udc, alimentato da una Comunione e Liberazione poco soddisfatta del trattamento riservato a Formigoni e da altre simili questioni. E Cl è fra le poche organizzazioni in grado di far ballare un 2-3% di voti nel giro di una settimana.
Sull’altro versante, Casini può sperare nell’arrivo di parte del voto della “margherita” scontento del Pd. Oggi l’Udc ha un bacino elettorale potenziale che può raggiungere anche il 15%, anche se ciò non vuol dire che questo accadrà. Probabilmente il risultato effettivo resterà molto al di sotto di questa soglia, ma resta da capire quanto al di sotto: l’esito finale potrebbe scostarsi significativamente da quel 6-6,5% che quasi tutti i sondaggi prevedono.
Anche l’Idv potrebbe dare sorprese, sia in senso negativo (raccogliendo molto meno del suo elettorato potenziale) sia in senso positivo, mietendo ulteriori consensi in casa Pd e rosicchiandone altri a Rifondazione ed anche alla Lega.

La lista di Rifondazione e dei comunisti italiani può sperare in una serie di flussi elettorali in entrata (ex voto “utile” al Pd, ripensamento di astenuti ed elettori di Sinistra Critica e del partito di Ferrando), ma deve guardarsi dalla concorrenza dipietrista sinora debolmente contrastata da Ferrero.
Insomma: qui abbiamo circa quattro o cinque milioni di italiani che non sanno se andranno a votare ed altri tre o quattro indecisi fra le formazioni maggiori e quelle minori. Naturalmente è assolutamente poco probabile che tutti questi flussi alla fine si attivino effettivamente; è ragionevole supporre che una buona parte di questi indecisi tornerà al voto precedente e che una parte dei flussi si incroceranno compensandosi a vicenda. Ma se anche la metà di questo bacino di incerti si muovesse, si tratterebbe di una massa pari a circa il 9-10% che potrebbe alterare sensibilmente il risultato determinando scenari politici oggi poco immaginabili.
Conviene essere molto prudenti nelle previsioni…

Aldo GIANNULI, 24 maggio 2009

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