Tag: sessantotto

Il vento culturale del neoliberismo: storia di una controrivoluzione.

A cavallo fra i sessanta e i settanta, tutte le società occidentali furono attraversate, in varia misura, da una ondata di movimenti di protesta: la generazione nata dopo la guerra metteva in discussione tanto gli equilibri sanciti dalla guerra fredda quanto la stessa legittimità del sistema sociale e politico.

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Tahir, Maidan, Caracas, Taksim, Atene, forconi, indignados, Ows… ma che movimenti sono?

Prima di entrare nel merito delle vicende di Venezuela e Ucraina, mi sembra opportuno fare una premessa più generale sulle caratteristiche dell’ondata di movimenti che si sta manifestando simultaneamente in molti paesi. Dal 2008 stiamo assistendo ad una generalizzazione della protesta paragonabile a quella del sessantotto che fu, forse, il primo episodio di contestazione globale e che, sin qui, non ha avuto equivalenti. Dopo il sessantotto sono venute altre ondate di movimenti di protesta, ma in nessun caso si è trattato di ondate generalizzate a livello internazionale.

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Ricordi personali di Andreotti

Nel 1988 pubblicai, per le Edizioni Associate, un libro, ormai introvabile, “Il sessantotto. La stagione dei movimenti”, ed, incoraggiato da Nico Perrone, lo mandai ad una dozzina di personaggi, quasi tutti di sinistra. Risposero solo in due: Mario Capanna e –con sommo mio stupore- Giulio Andreotti. Avevo accompagnato il volume con un biglietto: “Gentile onorevole, mi sembra doveroso mandare questo libro sul sessantotto a Lei che, in fondo, il sessantotto lo ha fatto come noi, anche se dall’altra parte della barricata.”. Nel suo biglietto autografo (e Perrone mi confermò che si trattava della sua grafia) Andreotti diceva: “Gentile signor Giannuli la ringrazio e, proprio perché lei pensa che io abbia idee diverse dalle sue, lo leggerò volentieri”.

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La retorica dello slogan e quel sessantottino di Mario Monti

Sono un vecchio sessantottino (in quell’anno avevo 16 anni e conobbi le mie prime assemblee e le mie prime manifestazioni), come storico ho sempre difeso il sessantotto dai suoi detrattori e resto dell’idea che quel movimento fu il più grande fenomeno di mutamento sociale della storia repubblicana. Questo non significa che di quella esperienza tutto vada accettato e difeso. Ci sono molte critiche da fare e non su aspetti secondari. Una delle eredità meno positive del sessantotto è stata il “parlare per slogan”, su cui conviene fare una riflessione. Gli studenti del sessantotto (ed anni seguenti) erano in gran parte “teleutenti nativi”: chi aveva 20 anni in quell’anno aveva avuto esperienza della televisione già quando ne aveva avuti otto o dieci. E con la televisione aveva assimilato il linguaggio della pubblicità commerciale filtrato attraverso il mitico “Carosello”. E la pubblicità è la negazione del mercato: dove questo presuppone un consumatore razionale ed informato che sceglie con cognizione di causa il miglio rapporto prezzo-qualità, la pubblicità vuole un consumatore suggestionato che sceglie sulla base di pulsioni che non hanno nulla a che rare con la razionalità economica. Si sceglie quel caffè non perché è buono ma perché il suo testimonial è quel celebre attore, quell’auto promette di far colpo sulle donne, quel gin è bevuto dai giovani, quella sigaretta è molto “virile” e così via. E questo esige un messaggio breve, facile a memorizzarsi (magari per una rima o una costruzione ad effetto), fulminante ed inverificabile: “Vecchia Romagna etichetta nera: il brandy che crea un’atmosfera”, “Finsec: ti dà la carica, ti manda in estasi”, “Atlantic: con meno il meglio”.. ricordate?

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