Il Pd a un mese dal 4 dicembre.
A un mese dal referendum del 4 dicembre non è inutile qualche riflessione sulla fase che si è aperta nel Pd e sulle sue prospettive.
A un mese dal referendum del 4 dicembre non è inutile qualche riflessione sulla fase che si è aperta nel Pd e sulle sue prospettive.
Ieri ho tenuto l’ultima lezione del corso di questo anno, al termine della quale, come al solito ho risposto agli interventi dei miei studenti. Fra loro uno ha detto di essere stato convinto a votare No, ma di aver nutrito dubbi da ieri, dopo che l’azienda per la quale lavora il padre, ha inviato un sms, nel quale dice che forse non potrà confermare l’incarico di lavoro per l’anno prossimo, perché due aziende (una di Abu Dhabi e l’altra cinese) hanno comunicato di sospendere le rispettive ordinazioni sino al risultato del referendum per cui, l’ordine è da intendersi revocato in caso di vittoria del no. Quanti altri sms del genere stanno arrivando in queste ore attuando una campagna di terrorismo psicologico?
Del contenuto di questa infelice riforma costituzionale si è detto abbondantemente e non stiamo qui a ripeterci sull’aborto di Senato, sul combinato disposto con la legge elettorale maggioritaria, sul prevaricazione governativa sul potere legislativo, sul carattere puramente propagandistico delle misure in materia di iniziativa popolare o sui tagli ai costi della politica eccetera. Di questo si è detto sin troppo, mentre troppo poco si è detto su un’altra ben più grave cosa: il modo con cui questa riforma si è formata.
Come nelle altre occasioni, cerchiamo di capire il valore del voto del 4 dicembre non solo in riferimento a chi supererà il 50%, ma anche in riferimento all’ampiezza del consenso e delle sue particolarità (distribuzione territoriale, questione voti all’estero ecc). Nonostante questa volta ci siano solo due voci (Si e No) da valutare, a differenza delle elezioni dove ci sono i risultati delle due o tre coalizioni e degli 8 o 9 partiti che di solito partecipano, l’interpretazione di questo risultato deve tener conto di un notevole pluralità di punti di vista da considerare. Ovviamente il dato fondamentale sarà chi prende un voto più dell’altro e vince, ma c’è modo e modo di vincere (o di perdere).
Sul merito di questa riforma si è detto sottolineandone gli aspetti autoritari, le incongruenze, gli errori tecnici e le brutture varie, ma il peggio di questa squallida vicenda della riforma costituzionale, più ancora che il suo merito, è il modo con cui è stata varata e con il quale viene difesa nella campagna referendaria.
Il governatore della Campania, De Luca, ha tenuto una riunione di 300 sindaci della sua regione per invitarli a sostenere il Si al referendum, e qui, credendo che non ci fossero giornalisti in sala, avrebbe pronunciato frasi come: “Gli abbiamo chiesto 270 milioni per Bagnoli e ce li ha dati, altro 50 ce li ha dati. Mezzo miliardo per la terra dei fuochi e ha detto si. Abbiamo promesse di finanziamenti per Caserta, Pompei, Ercolano e Paestum. Soni arrivati fiumi di soldi; 2 miliardi e 700 milioni per il Patto per la Campania, altri 308 per Napoli, che dobbiamo chiedere di più?”.
Renzi, lo sappiamo, è un combattente (gli va dato atto) e combatterà sino all’ultimo, come si diceva una volta, “Casa per casa, strada per strada”. Sino all’ultimo proverà a vincere il referendum per sciogliere immediatamente le Camere e (Corte Costituzionale permettendo) andare alle elezioni a febbraio e tentare il “colpaccio” del 40% al primo turno e vincere. E questo è, ancora oggi, il piano A.
Napolitano continua a comportarsi da capo della maggioranza e da Presidente della Repubblica (al punto che non riusciamo a capire perché si dimise due anni fa), ed ha colto l’occasione per strigliare Renzi attribuendogli errori che avrebbero fatto partire il No, mentre, con il sotto tono, la vittoria del Si sarebbe stata certa e tranquilla.
Ho visto in differita il confronto Renzi-Zagrebelsky. Il professore è stato colto, elegante, argomentato e la sua superiorità tecnica è stata indiscutibile: tutto sbagliato, non poteva fare servizio peggiore al No. I referendum non sono gare di bellezza.
Cari amici e compagni del Pd (ce ne sono ancora di compagni che, a mio avviso, “sbagliano” restando nel Pd), mi sembra che, dopo la dichiarazione di ieri di Renzi non ci sia più nulla che non sia chiaro:
<<La questione vera oggi è la destra. E l’elettore di destra oggi si trova di fronte a due scelte: votare sul merito, non votare sul merito. Se la scelta diventa votare sul merito vota Sì >>
La riforma è una riforma di destra, e lui, giustamente, chiede i voti a destra.