Come da previsioni:
-la Lega avanza sensibilmente anche in una regione meridionale come l’Abruzzo, e trascina la coalizione di destra alla vittoria, con Fi che soffre ma è ancora al 9%
-il M5s tracolla dimezzando i suoi voti (dal 40 al 19%) e tornando ai livelli del 2013
-la coalizione di centrosinistra regge, ma soprattutto grazie alle liste minori come Leu e le non poche liste civiche locali.
Cito dalla copertina dell’Espresso in edicola:
“Il partito ce non c’è (più). Sezioni che chiudono. Militanti in fuga, elettori dispersi. Da Torino a Roma, da Genova a Bologna, viaggio fra le macerie democratiche alla vigilia del congresso”
Direi un affresco, più che un titolo, di crudo ma indiscutibile realismo.
Nella scorsa legislatura, la Camera approvò il disegno di legge di regolamentazione dei partiti, passandolo al Senato. Favorevoli 268 (i dem e parenti stretti come casiniani, alfaniani…) contrari 36 (Sinistra Italiana e Conservatori Riformisti di Fitto), astenuti 114 (Forze Italia, Lega, democrazia solidare e … sorpresa, M5s che non ha votato contro). Il M5s ha sostenuto una battaglia serrata contro la legge, ritenendola diretta contro di sé, ma si è astenuto dichiarando di non essere contrario in linea di principio ad una regolamentazione per legge dei partiti. Naturalmente non se ne è saputo più niente. Qui riprendiamo il senso politico della questione.
Il Pd si sta macerando in una dolorosa e lunga agonia senza sbocco. Quello che li tormenta sono due cose: il nome del segretario e se e con quali alleati andare alle elezioni, senza rendersi conto che tanto l’una quanto l’altra cosa sono gli ultimi problemi in una situazione del genere. Il punto è la prospettiva politica che manca.
Chiedo scusa per la lunga assenza, ma sto ultimando il mio prossimo libro che troverete in libreria a novembre e spero vi piacerà (ma ne parleremo). Riprendiamo con qualche considerazione su quel che ci aspetta ne prossimi due o tre mesi. La prima scadenza è molto vicina: domani (salvo rinvii), quando si deciderà sui 49 milioni che la Lega deve allo Stato.
La disfatta di domenica scorsa ha messo il punto fermo alla storia del Pd: non c’è più niente da fare. Zingaretti propone un asse fra il centro ed i sindaci, Emiliano vuole un congresso subito, Orlando ci aggiunge un “costituente” convinto che quell’aggettivo risolva, Calenda propone di andare oltre il Pd, c’è chi parla di “fonte repubblicano” e chi rispolvera il partito della Nazione … tutte parole vuote che non hanno senso.
Con le elezioni comunali di domenica scorsa si è conclusa la tornata di elezioni post 4 marzo confermando e sottolineando le tendenze emerse già in Friuli, Molise e Val d’Aosta: il centro destra avanza e si compatta intorno alla Lega, il Pd si ridimensiona ulteriormente perdendo molte amministrazioni comunali, ma rallenta la caduta, unico ad andare decisamente male è il M5s.