Distintivi e ideologie.
A volte è nei piccoli particolari che si annidano i segni del tempo, nelle minuzie compare la spiegazione di cose tanto più grandi. E’ il caso dei distintivi di partito su cui vorrei intrattenervi brevemente.
A volte è nei piccoli particolari che si annidano i segni del tempo, nelle minuzie compare la spiegazione di cose tanto più grandi. E’ il caso dei distintivi di partito su cui vorrei intrattenervi brevemente.
Per tutti gli anni cinquanta e sessanta (per non dire prima) a sinistra era coltivata una fiera diffidenza nei confronti della magistratura: Togliatti, una volta, si lasciò andare a dire che un giudice era più pericoloso di un generale e, quando la stampa di destra attaccava un dirigente comunista, accusandolo di una qualche nefandezza, il Pci suggeriva sempre di ignorare sprezzantemente la cosa, senza dare querela, nella convinzione che il magistrato di turno avrebbe usato il caso solo per screditare ancor più il suo dirigente.
Non esiste nessuna opera (che io sappia) specificamente dedicata alla corrente ingraiana del Pci e questo ha alimentato un immaginario non sempre corrispondente alla realtà storica. Ad esempio, si parla spesso dell’ingraismo come una sorta di superamento del togliattismo: lo scrive esplicitamente Alfredo Rechlin nello speciale del “Manifesto” dedicato ai 100 anni di Ingrao, sottolineando come Ingrao si distacchi da Togliatti per la diversa lettura del caso italiano (ci torneremo su). In realtà, l’ingraismo fu sempre una variabile interna del togliattismo.
Oggi Pietro Ingrao compie cento anni, una buona occasione per un bilancio storiografico della sua azione politica e della corrente ideologica che ne è derivata. Le due cose, Ingrao ed ingraismo, infatti non si identificano perfettamente, come sempre accade fra la scuola ed il caposcuola, ma in questo caso c’è una particolare integrazione dei due termini.
Man mano che ci avviciniamo ai nastri di partenza iniziano a profilarsi i nomi dei più probabili candidati al Colle. Come era facile prevedere, la prima fase è quella della ricerca di un candidato nell’area del “Nazareno”, un presidente di comune gradimento di Renzi e Berlusconi.
Nonostante non ci sia mai da essere sicuri di certe cose, non penso che, magari dopo una ventitreesima votazione caos, si giunga a rieleggere l’eterno re Giorgio. A tutto c’è un limite. Quando parlo di “Napolitano ter” parlo di un Capo dello Stato in continuità con l’uscente. Ma che caratteristiche dovrebbe avere il Presidente ideale? Diamoci dei criteri.
Il Foglio commentava il recente discorso di Napolitano lodandone lo spirito “rottamatore” della Costituzione vigente. E, lodi a parte, aveva ragione: Napolitano ha svolto una critica acuminata della struttura dello Stato disegnata dalla Carta costituzionale, prospettandone con chiarezza la necessità di sostituirla. Non che non si possa criticare l’attuale Carta, o proporre di cambiarla, ma spetta proprio al Capo dello Stato farlo?
Non sappiamo se il Presidente cederà alle pressioni di Renzi e resterà sino al 1° maggio o si dimetterà già a gennaio, quello che è certo è che si è aperta la grande partita del toto Presidente. Gli interessati, quasi tutti, a cominciare da Prodi, smentiscono di essere interessati, il che è la conferma più sicura che sono candidati.
Dopo la “prima puntata” di alcuni giorni fa, in cui mi chiedevo provocatoriamente se la base della sinistra sia formata di deficienti, ecco la seconda puntata, in cui vi sottopongo il “caso studio” di Rifondazione Comunista.
C’è un partito il cui segretario ha condiviso con gli altri la scelta rovinosa di entrare nel governo con le elezioni del 2006, poi è stato il capo delegazione di quel partito nel governo, dove non ha combinato assolutamente nulla. Di conseguenza ha la piena responsabilità, insieme ai massimi dirigenti del partito della disfatta del 2008 per cui il partito ed i suoi alleati perdevano 2 elettori su 3 e restavano esclusi dal Parlamento.
So che questo articolo farà imbestialire molti per il titolo, ma se avrete la pazienza di leggere anche il resto, forse vi arrabbierete anche di più. O forse no. Vediamo… Uno degli interventori di questo blog, commentando una mia affermazione per cui il Pd è un partito con un gruppo dirigente di destra ed una base (militante ed elettorale) prevalentemente di sinistra, ha scritto che, stante questa premessa, occorre concludere che “l’elettorato del Pd è in larga parte composto di deficienti”. Deduzione impeccabile…apparentemente, in realtà sbagliata perché troppo superficiale.
Renzi stravince, Civati ha un risultato apprezzabile, e Cuperlo sprofonda. Questo è il senso del risultato in quattro parole. Ma qualche considerazione in più non guasta, iniziando da Cuperlo che, rispetto al 39,44% raccolto fra i soli iscritti al partito –due settimane fa-, precipita al 18%. In alcune zone raccoglie solo pochi voti in più di quelli che aveva due settimane fa, con un terzo dei votanti (segno che anche una parte degli iscritti che lo avevano votato sono passati con Renzi). Rispetto alle primarie di un anno fa, nelle quali Renzi si era fermato al 38,2%, Cuperlo raccoglie meno di un terzo del 61,8% ottenuto da Bersani che, pure, lo appoggiava.