Uno spettro si aggira minaccioso per le cancellerie europee: il fantasma delle prossime elezioni per il Parlamento di Strasburgo. E’ presto per i pronostici, ma qualcosa si può già prevedere: i socialisti tracolleranno in Italia, Austria, Grecia, Francia, Belgio, Spagna, andranno maluccio in Norvegia, Danimarca, Repubblica ceca, e nel resto, salvo, forse il solo Portogallo dove è possibile qualche piccola avanzata.
Gli articoli sulla giornata di giovedì in borsa sembrano bollettini della vittoria:
<<L’Eurostoxx50 sale dell’1,9%, Francoforte dell’1,8%, Parigi del 2,1%, Londra dell’1.7%. Piazza Affari segna +1,7% nel Ftse mib con il nuovo exploit di Mps (+19%) e il balzo di Tod’s (+5,7%) dopo i risultati delle vendite 2015 superiori alle attese.
Grande è stata la saggezza del popolo greco che, nonostante la serie di errori tattici di Tsipras e Vanoufakis, ha scelto massicciamente il No. Il peggio (la vittoria della Merkel e dei suoi servitori greci, italiani, francesi ecc.) è stata scongiurato. E’ un test degli umori reali dei popoli europei (quantomeno quelli del sud) nei confronti della fallimentare politica dell’austerità.
Nella settimana scorsa ci sono state quattro notizie che hanno rivelato quanto sia profonda la crisi della Ue:
-la dichiarazione di Draghi: “l’Euro non è più scontato”
-la vittoria di Podemos in Spagna
-la vittoria dei nazionalisti in Polonia
-l’altalena del default greco.
Come si sa, questo è un paese in cui le cose serie si decidono a ferragosto. Poi, al rientro, gli italiani trovano il piatto cotto in tavola. Ed anche oggi le cose stanno andando così. A rendercelo noto sono state soprattutto le articolesse domenicali di Eugenio Scalfari su Repubblica, ma, dopo, non è stato difficile scorgere qui e lì i segni del clima mutato. Da giugno, si sono infittiti i segni di una crescente insofferenza dei poteri forti e semi-forti verso Renzi: le bordare del gruppo Espresso-Repubblica, la sparata di Della Valle, i mugugni confindustriali, le denunce di Confcommercio, i rilievi di Cottarelli, la freddezza del “Corriere” e del “Sole 24 ore”…
E’ consuetudine chiamare il governo con il nome del Presidente del Consiglio, ma, nella prima Repubblica spesso si faceva seguire a quello il nome del principale alleato, per esprimere la formula di maggioranza. Ad esempio, il secondo governo Andreotti fu definito Andreotti-Malagodi-Tanassi (ma più spesso “Andreotti-Malagodi”) per dire che la formula era Dc-Pli-Psdi, oppure i primi governi di centro sinistra furono chiamati Moro-Nenni e poi Rumor-De Martino per dire che la formula base era l’alleanza Dc-Psi, cui concorrevano in posizione minore Psdi e Pri.
Sta prendendo rapidamente consistenza una candidatura Bonino al Quirinale: a parlarne per prima è stata Mara Carfagna, sottolineando quanto sarebbe auspicabile una donna al Quirinale. Da allora si è iniziato a parlarne discretamente e, nei sondaggi on line del Corriere della Sera e del Sole 24 Ore, la Bonino è nettamente in testa alla graduatoria con gradimenti oltre il 30% staccando nettamente il secondo (Prodi, che non raggiunge il 15%). Anche esponenti politici delle due sponde hanno preso a parlarne con una certa deferenza, ricordandone le battaglie per i diritti civili, il garantismo, la competenza dimostrata negli incarichi internazionali (fu commissario europeo e docente all’Università americana del Cairo). Per di più non è mai stata sfiorata da scandali e, essendo stata parlamentare sia con il centro destra (che la indicò come Commissario Europeo) che con il Centro sinistra (per il quale fu ministro per il Commercio estero prima, poi vice presidente del Senato, candidata alla Presidenza della Regione Lazio dopo ancora) può essere fatta passare per abbastanza di destra o abbastanza di sinistra o, anche, abbastanza indipendente, a seconda dei gusti di chi ascolta.
L’elezione del Presidente della Repubblica sarà il primo banco di prova su cui la (probabile, ma non sicura) maggioranza di sinistra si dovrà misurare. Come si sa, il collegio elettorale è composto da 630 deputati, 315 Senatori, più i 4 senatori a vita attuali, Napolitano (ma di solito il Presidente uscente non vota) e 58 delegati regionali, per un totale di 1008 elettori, la maggioranza richiesta nei primi tre turni è di 672 voti, dalla quarta in poi 505. Se la sinistra vincerà alla Camera (come ancora sembra…poi chissà), si aggiudicherà 340 seggi, cui dovrebbero sommarsi i 140-160 del Senato ed i circa 30 delle regioni (compresi Uv e Svp), ed un paio di senatori a vita: per un totale di 513-533 “grandi elettori”: troppo pochi per i primi tre turni ma abbastanza per il quarto. Ma con un margine non gradissimo: al massimo di 25 voti, al minimo di 5. Probabilmente, intorno alla dozzina. E qui si aprono i problemi.