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Rivoluzione araba: osservazioni sul caso libico

Parlando delle rivolte arabe in corso, è frequente  imbattersi in persone che sostengono una sorta di “eccezione libica”, per la quale, mentre si riconosce un carattere genuino alle rivolte di Tunisia, Egitto o Barhain –viste non di rado con simpatie- si nega questo carattere alla rivolta libica.
Questa sarebbe una cosa inventata da americani, inglesi e francesi  in coincidenza casuale con le altre o, forse, come cavallo di troia degli occidentali per inserirsi nel processo di rivolta in corso ed eterodirigerlo.  Anche in molti interventi in questo blog si è riflessa questa tendenza. Mi sembra utile premettere alla mia risposta (promessa da tempo e poi rinviata) una selezione delle osservazioni fatte.
Risponderò domani.

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La luna e il dito. Della primavera araba e della nostra inadeguatezza.

di Annamaria Rivera

1. Un sommovimento imprevedibile?

Si è ripetuto fino alla nausea che il sommovimento che percorre il mondo arabo non era prevedibile, tanto che neppure le cancellerie e i servizi d’intelligence occidentali lo avevano messo in conto. In realtà, per parlare solo della Tunisia, era sufficiente frequentare e osservare senza pregiudizi quella società per intuire che qualche focherello ardeva sotto lo spesso strato di cenere del regime. Sarebbe bastato parlare con persone comuni per cogliere l’insofferenza, spesso appena dissimulata con l’ironia e la battuta di spirito, verso gli aspetti del benalismo più torvi (la dura repressione dei dissidenti politici e di islamisti spesso presunti) o più grotteschi: dall’obbligo di esporre il ritratto del despota ovunque, perfino nelle più sperdute bottegucce nel deserto, alla neolingua che da un anno all’altro imponeva di cambiare i nomi delle vie secondo il tema propagandistico del momento. Così che, per dirne una, mentre la megalomania modernizzatrice e speculativa del clan di Ben Ali seppelliva sotto il cemento litorali, palmeti, architetture tradizionali, d’un tratto ogni boulevard si chiamava “de l’Environnement”.       

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Il commento al nostro mini-questionario

Per quanto il limitatissimo numero di risposte non autorizzi alcuna generalizzazione, il questionario proposto si presta ad effettuare una analisi-scomposizione del tipo di cultura politica che caratterizza l’opposizione all’azione militare in corso. Come vedremo, più che ad una riflessione sul caso libico, questo piccolo test è finalizzato ad una riflessione su noi stessi e sullo stato della sinistra italiana di fronte al caso libico.  Dunque, prendendo le cose con le molle, perchè, appunto, non abbiamo la forza organizzativa ed economica per fare un sondaggio vero e proprio, entriamo nel merito.

Il questionario era strutturato in questo modo:

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Una risposta ed una domanda a Nicola Mosti.

Di solito non rispondo mai ai commenti perchè mi sembra poco cortese, soprattutto nei confronti di chi esprima un dissenso: chi gestisce un blog è in posizione di forza rispetto a chi vi interviene e non è elegante approfittarne. Mi si darà atto che ho dato delle risposte solo molto raramente e quando mi sembrava del tutto necessario. Questo è uno di quei casi.

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Qualche domanda sul caso Libia.

Prima di proseguire nel dibattito che vedo molto partecipato (per la verità più su Fb che sul sito), credo sia il caso di chiarirci su un punto. Chi è contro l’interevento armato lo è perchè:

A- è sempre e comunque contro l’uso della forza?

B- ad intervenire sono paesi Nato che da sempre usano l’alibi delle guerre umanitarie per fare i propri comodi?

C- il regime di Gheddafi è un regime anti coloniale che va difeso da un intervento neo-coloniale

D- si tratta di una finta rivoluzione popolare di una piccola minoranza?

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Ma è un film di Bunuel?

In Libia –paese vicinissimo ed al quale siamo  legati da vincoli storici- è in atto una sanguinosa guerra civile dal cui esito possono dipendere tanto i nostri rifornimenti energetici quanto la stabilità di un bel pezzo della nostra finanza. In Tunisia ed Egitto –altri paesi assai prossimi- ci sono state violente rivolte che hanno abbattuto i rispettivi regimi, ma nei quali la situazione è ben lontano dall’essersi stabilizzata. Da entrambi provengono consistenti flussi immigrativi nel nostro paese ed entrambi sono mercati di sbocco non secondari delle merci italiane.
In Giappone c’è stato un sisma catastrofico ed è in corso un incidente nucleare senza precedenti di identica gravità. Non è ancora possibile fare l’inventario dei danni, ma già è facile prevedere lo tsunami economico- finanziario che ne seguirà. Il Giappone è il paese con il più altro debito pubblico del mondo ed è difficile pensare che possa finanziare la ricostruzione con altro debito pubblico, è assai più probabile che richiami in patria i capitali che ha in giro del il Mondo, a cominciare dai bond americani di cui Tokyo è il massimo possessore con la Cina. Ma questo inevitabilmente innescherà un terremoto finanziario che si sa come comincia ma non dove finisce.

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Libia: ma cosa avrebbe dovuto fare l’Occidente?

Gheddafi sul punto di riprendere il controllo della situazione, a meno che non intervengano fatti nuovi, per ora non prevedibili. E delle conseguenze di questo abbiamo appena detto, anche se è prevedibile che –dopo un breve periodo di lutto vedovile- i governi occidentali faranno a gara per riallacciare le relazioni con il Rais. Ma nel frattempo lui potrebbe aver fatto ben altre scelte di campo. Ma cosa avrebbero potuto e dovuto fare Usa ed Europa nel corso della crisi?

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Le lezioni della Libia.

Chiedo scusa per l’assenza protratta da questo blog, ma avevo scadenze editoriali che non ammettevano proroghe; spero di farmi perdonare con questo nuovo libro che comparirà a breve.
D’altra parte, gli interventi di Annamaria Rivera, Angelo Iannaccone e Lorenzo Adorni –oltre che non far sentire la mia assenza- sono stati funzionali ad avviare la trasformazione di questo blog. Infatti, a partire dalle prossime settimane esso entrerà a far parte di una rivista on line cui parteciperanno anche molte altre persone. Chi vorrà potrà sempre collegarsi a www.aldogiannuli.it oppure potrà collegarsi al sito-rivista covodeglieretici.it trovando dentro la mia rubrica insieme alle altre. Più avanti daremo maggiori particolari. Peraltro, sono sicuro che l’idea piacerà e che renderà questa frequentazione più ricca ed interessante. O per lo meno mi auguro che ci riusciremo…

Le lezioni della Libia.

Occorrerà tornare ancora molte volte sulle rivolte in Medio Oriente e sull’impatto che esse avranno sugli equilibri geopolitici (per usare questa brutta espressione). Ma prima di ogni altra considerazione ci tocca affrontare una questione preliminare: si tratta di rivolte popolari spontanee o c’è la longa manus di qualche grande potenza e quale? Svilupperemo meglio il punto in altri interventi, per ora ci limitiamo a dire che entrambe le posizioni estreme sono insostenibili: pensare che sia tutto frutto di una qualche cospirazione di intelligence offende, prima di tutto, l’intelligenza. Non esiste un servizio segreto in grado di scatenare sommosse di quelle proporzioni, di convincere decine (o anche centinaia) di migliaia di persone a scendere in piazza rischiando la morte solo perchè mosse da qualche burattinaio. A volte, i servizi segreti possono anche essere molto abili, ma non sono mai dei maghi.

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Caduta delle dittature e assalto alla democrazia: un paradosso sul tema del potere.

Questo abbozzo di riflessione, limitata al terreno teorico – politico, ci è stata suggerita dal presentarsi, nella stretta attualità, di un apparente paradosso: mentre nel Nord-Africa cadono le dittature, tra rivoluzioni di “velluto” e incredibili bagni di sangue, in Italia si sta preparando l’ennesimo assalto alla democrazia, principalmente sul terreno della divisioni dei poteri, quella storica individuata dall’Illuminismo.
Questo perché, davvero, nella settimana prossima il tema della giustizia sarà affrontato, proprio nel nostro Paese, in quella direzione tentando di completare un antico sogno: l’immunità per “l’unto del signore” (perfezionando così un meccanismo di detenzione del potere in forma “personale”, quasi mutuato da quel tipo di forma del potere che sta crollando – appunto – in Nord Africa e che rimane in piedi nei paesi dell’ex-URSS) e la soggezione del potere giudiziario a quello politico.

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