L’enclave libica a Sirte sta cadendo e Raqqua e Mossul stanno per essere prese: allora abbiamo vinto la guerra con l’Isis? No, non mi convince.
A quanto pare ci siamo: italiani, francesi ed inglesi si preparano ad un intervento di terra in Libia con il supporto aereo dalla costa e del solito codazzo di droni. In teoria l’intervento dovrebbe avere carattere chirurgico contro il Califfato di Derna, ma le cose forse non sono così semplici come si dice.
Gli attentati parigini hanno riproposto una polemica ricorrente: ma perché non si fa l’Eutointelligence e, cioè, se non proprio una agenzia di intelligence della Ue, almeno uno stretto coordinamento delle agenzie nazionali?
Le radici del gran pasticcio libico stanno in parte nella storia degli ultimi decenni del paese, ma, in altra parte, nella sua storia remota, perché la Libia, come noi la conosciamo, è una realtà molto recente.
Obama sta entrando nell’ultimo anni della sua presidenza ed è tempo di un primo bilancio storico. Marc Bloch sostenne che i contemporanei hanno diritto ad essere i primi a scrivere la storia del proprio tempo.
La situazione in Libia ed in Siria ed Iraq ormai sta andando in metastasi: non solo la guerra c’è, e con essa il dramma dei profughi, ma minaccia di estendersi in un gigantesco braciere che riassorba Turchia, Israele, Egitto, Giordania, mescolando terrorismi, guerre civili, guerre tradizionali, crisi sociali, collassi di stati ecc. Insomma, è ora di fare qualcosa, prima che sia troppo tardi.
Da diversi mesi è andata scemando l’attenzione verso la situazione ucraina, quel che ha ingenerato nell’opinione pubblica l’idea che un qualche accomodamento stia maturando nei fatti e che la crisi abbia imboccato la via di una soluzione. Niente di più sbagliato: in questi mesi le cose non hanno fatto che peggiorare, anche se i combattimenti sono momentaneamente diminuiti di numero ed intensità, rispetto alla fase precedente.
L’ennesima strage di migranti ci mette brutalmente di fronte al problema del proclamare apertamente il nostro cinismo di sazi occidentali, e dire che non ci importa nulla di migliaia di disperati che affogano, o farci carico del problema e assumerne i costi. La prima cosa da fare è mettere da parte tutte quelle finte soluzioni che servono solo a tacitare la coscienza. Prima fra tutte quella che piace tanto a Salvini ma trova consensi anche a sinistra (come ho potuto constatare assistendo ad una trasmissione televisiva in cui una parlamentare Pd si scontrava con Travaglio): “Aiutiamoli in Africa”.