Il Cavaliere, che ha sbandierato la minaccia di elezioni anticipate per tutta la primavera-estate, con l’avvicinarsi dell’autunno dà segni di prudenza e si fa meditabondo, alternando sparate e fermate. Non c’entra una sensibilità stendhaliana all’aria struggente di settembre (debolezze letterarie di cui non lo sospettiamo capace). Il problema è che, facendosi due conti, scopre di essere nei pasticci.
Giochi fatti? Nuove elezioni e nuova vittoria del Cavaliere?
Non è detto, la situazione è aperta a molti sbocchi.
Il primo punto da stabilire è: su quanti parlamentari può contare il Cavaliere dopo la scissione finiana e l’esodo dalla maggioranza del Mpa? Realisticamente siamo un po sotto i 316 richiesti per la maggioranza alla Camera anche se, per ora c’è qualcosa in più del 165 richiesti al Senato.
Ma, con questi numeri non governa nessuno e si va sparati a nuove elezioni.
La repentina svolta seguita allo strano attentato a Berlusconi ha tirato fuori dalla naftalina l’idea di una riforma organica della Costituzione. Negli ultimi venticinque anni se ne è parlato a più riprese e sono state costituite anche diverse commissioni bicamerali (Bozzi, Iotti, D’Alema…) che, però non sono mai approdate a nulla ed il discorso era finito nel cassetto. C’erano state sporadiche e pasticciate riforme unilaterali in tema di federalismo (quella voluta dal centro sinistra nel 200-2001 e quella varata dal centro destra nel 2005 e poi bocciata dal referendum popolare del 2006), ce ne è stata una ancora più pasticciata bipartisan in materia di federalismo fiscale nell’ultimo anno. Ma una riforma organica era rimasta fuori dell’agenda politica. Con la crisi seguita al Lodo Alfano, il Cavaliere aveva dichiarato di voler procedere alla riforma della Costituzione –anche unilateralmente- per quanto attiene all’ordinamento giudiziario.
1- L’assessore Comunale di Milano, Landi di Chiavenna, lancia un allarme alle famiglie: “I vostri figli minorenni fatto sesso virtuale in web!”. Un po’ di pazienza, diamine: non sono ancora pronti per Villa Certosa!
A BERLUSCONI NON BASTA VINCERE. DEVE STRAVINCERE. ALTRIMENTI PERDE.
Se il Pdl dovesse avere il 40,3% dei voti che molti sondaggi gli attribuiscono, registrerebbe una avanzata del 3% secco. Berlusconi potrebbe cantare vittoria, ma in realtà avrebbe perso.
Dopo la vittoria a valanga dell’anno scorso, il Pdl è passato di successo in successo conquistando Roma, l’Abruzzo, la Sardegna, è riuscito a conquistare quasi tutta la Rai, ha votato il federalismo fiscale ecc. Ma il vento potrebbe cambiare molto prima di quanto non si pensi: la crisi economica è tutt’altro che risolta, il banco di prova sarà fra settembre e gennaio, quando il pessimo ricordo del governo Prodi (che sin qui è stato il migliore atout di Berlusconi) sarà scolorito.
Dopo pochi mesi si voterà per le regionali e i risultati potrebbero essere assai meno favorevoli di oggi, tenendo anche conto che le elezioni amministrative solitamente sono meno favorevoli alle liste berlusconiane.
L’armonia della coalizione sarebbe messa a dura prova da una Lega che, ottenuto il federalismo fiscale, potrebbe non essere più tanto interessata a seguire l’alleato lungo questa discesa. Né è detto che l’amalgama fra gli ex di Fi e gli ex di An sia molto ben riuscito.
Ragionevolmente tutto questo non basterebbe né a far saltare la coalizione né a mandare prematuramente in crisi la legislatura, ma potrebbe avviare una fase di logoramento –come nella legislatura 2001-06- durante la quale la sinistra potrebbe riorganizzarsi. Berlusconi non nasconde le sue aspirazioni di salire al Colle appena possibile, essendo scarsamente plausibile un nuovo quinquennio come Presidente del Consiglio dopo il 2013, quando sarà assai prossimo agli 80 anni. Non c’è dubbio che con l’attuale Parlamento avrebbe ottime probabilità di farcela, ma, come si sa, il mandato di Napolitano scade nel 2013, dopo la fine della legislatura e –per quanto il Pd si stia liquefacendo- nessuno può garantire che il prossimo Parlamento abbia ancora una maggioranza di questo tipo. Di qui la forte tentazione di cogliere un pretesto qualsiasi ed andare ad elezioni politiche, sin quando dura il favore dell’elettorato, magari nel 2010.
Questo consentirebbe di arrivare alla scadenza delle presidenziali con un Parlamento a maggioranza di destra. Peraltro, elezioni ravvicinate coglierebbero la sinistra in piena fase di rimescolamento delle carte dando a Berlusconi la possibilità di imporre alla Lega un patto leonino o escluderla senza troppi problemi dalla coalizione. E questo consentirebbe di mettere mano alla riforma della Costituzione senza dover fare i conti con le bizze leghiste in tema di riforma del potere giudiziario.
Dunque, oltre che spianare la strada verso il Quirinale, questa strategia consentirebbe a Berlusconi di trasformare durevolmente il paese ed i suoi assetti istituzionali.
Ma tutto questo è possibile solo a condizione di ottenere un successo senza precedenti. Il leader della destra ha bisogno di portare a casa un risultato che renda la Lega ininfluente in caso di elezioni politiche: fra il 43 ed il 45%. Il ragionamento è molto semplice: se il Pdl da solo raggiungesse il 44%, questo significherebbe che non ci sarebbe coalizione in grado di sfidarlo: ipotizzando la lista comunista fra il 3 ed il 4% e Storace intorno al 2%, più un 2% alle liste di dispersione, una eventuale coalizione Pd-Lega-Udc-Di Pietro-Vendola-Radicali partirebbe da un ipotetico 47-48%, ma che credibilità avrebbe un simile minestrone? Il semplice confronto fra un caravanserraglio del genere e un singolo partito dotato –bene o male- di una sua linea politica e di una sua coesione costituirebbe per il Pdl un vantaggio non rimontabile.
Immaginiamo, invece, che il Pdl si attesti sul 40 e la Lega sul 10: complessivamente, la coalizione avrebbe un incremento del 5%, ma, essendo vincenti i due partiti, le rivalità interne si acuirebbero. Per di più, la Lega mostra una notevole aggressività e non sembra volersi accontentare del 10. E segnali di nervosismo vengono già ora: la mossa di Berlusconi sulla riduzione dei parlamentari (tema caro da sempre alla Lega) appare con ogni evidenza come una mossa per arginare l’offensiva leghista e passare al contrattacco. La stessa decisione di sostenere il referendum elettorale depone sul tentativo di stringere la Lega nell’angolo e distruggerne il potere di interdizione.
Dunque, un “misero” 40 o 41% non metterebbe affatto al sicuro il Cavaliere, che potrebbe tentare la carta delle elezioni anticipate nel 2010 ma a prezzo di dover concedere moltissimo alla Lega o esporsi al rischio di una sconfitta contro un cartello Pd-Udc-Di Pietro, con la Lega da sola.
E, dunque, la manovra sarebbe fallita.