Una serie di sintomi grandi e piccoli indicano come, ormai, il processo di sfaldamento della Seconda Repubblica sia in atto: il disfacimento del Pd, l’atonia del governo Gentiloni, il ritorno degli scandali che “puntano in alto” e che ormai coinvolgono non solo la politica ma anche il giornalismo (e si pensi al penosissimo caso del “Sole 24 ore” le cui azioni ormai valgono carta straccia), ancora una volta i magistrati vengono a far da becchini al sistema e i sondaggi segnalato la caduta rovinosa della fiducia dei cittadini in tutte le istituzioni. La macchina dello stato è in panne con ogni evidenza, e la politica è un motore fuso.
Fra gli effetti positivi ed imprevisti del referendum sulla Brexit c’è un certo effetto di “cartina di tornasole” che ci rivela quel che pensa effettivamente una certa sinistra, che in Italia possiamo identificare nel Pd e nei suoi alleati.
Ha iniziato un alleato come Monti (quello che Renzi, in un momento di baruffa, si lasciò andare e definì “illuminato”, ecco… appunto) che ha rimproverato Cameron del delitto di lesa maestà per aver dato la parola al popolo con il referendum, un vero “abuso di democrazia” (parole testuali dell’illuminato uomo politico e statista).
Come si sa, Renzi ha annunciato che, nel caso di sconfitta al Referendum, si dimetterà ritirandosi dalla politica. Ora sembra ci stia ripensando perché nel ”Giglio magico” alcuni, preoccupati per le vicende giudiziarie, o per le amministrative che buttano male, o forse temendo che la promessa possa ingolosire troppo gli italiani, gli starebbero suggerendo di non insistere. Quindi, piano B, per il quale resterebbe al suo posto anche in caso di sconfitta ritenuta non più impossibile. Bene: ammettiamo che Renzi faccia finta di nulla o si faccia pregare di restare al suo posto e ci resti. E’ accettabile? E che costi politici avrebbe?
A riprova del fatto che lo scontro fra Renzi e l’Europa non è solo una manfrina ma ha contenuti reali e rappresenta due diverse frazioni dello stesso universo con due diverse concezioni del potere, Renzi ha scelto bene le parole, con studiata ambiguità e la parola chiave è “illuminati”.
Giorgio Napolitano è stato certamente il peggior Presidente della Repubblica dal 1946 in poi, il più scorretto, il meno leale, il più dannoso per le istituzioni repubblicane, ma credevamo di essercene liberati.
1- L’antefatto.
Il crollo della I repubblica avvenne fra il 1992 ed il 1993, ma la frana iniziò almeno cinque anni prima, nel 1987. Lo scioglimento anticipato delle Camere fece sì che, cinque anni dopo, si sarebbe creato l’“ingorgo istituzionale” per la coincidenza delle elezioni del Parlamento e del Presidente della Repubblica. E tutti iniziarono a manovrare in vista di quella scadenza, perché il nuovo Presidente sarebbe stato scelto dal Parlamento eletto nel 1992.
Nonostante non ci sia mai da essere sicuri di certe cose, non penso che, magari dopo una ventitreesima votazione caos, si giunga a rieleggere l’eterno re Giorgio. A tutto c’è un limite. Quando parlo di “Napolitano ter” parlo di un Capo dello Stato in continuità con l’uscente. Ma che caratteristiche dovrebbe avere il Presidente ideale? Diamoci dei criteri.
Il Foglio commentava il recente discorso di Napolitano lodandone lo spirito “rottamatore” della Costituzione vigente. E, lodi a parte, aveva ragione: Napolitano ha svolto una critica acuminata della struttura dello Stato disegnata dalla Carta costituzionale, prospettandone con chiarezza la necessità di sostituirla. Non che non si possa criticare l’attuale Carta, o proporre di cambiarla, ma spetta proprio al Capo dello Stato farlo?
Il toto Quirinale impazza e vengono fuori i nomi più strampalati: Pinotti, Lanzillotta, Piano, Muti… intendiamoci: Muti è un grandissimo direttore d’orchestra che ammiro moltissimo, ma cosa c’entra con il Quirinale? Ed, infatti, essendo una persona seria, ha smentito lui stesso questa candidatura. E’ probabile che questi nomi siano in parte frutto di autocandidature o, più modestamente, di tentativi di guadagnare un lampo di celebrità, ed in parte frutto del “metodo Gentiloni”: far circolare una raffica di nomi da mandare allo sbaraglio, per coprire il nome del vero candidato da tirare fuori dopo aver fatto cadere gli altri.
Nonostante i media ne parlino poco, la battaglia per il Quirinale è già in pieno svolgimento. Anzi, di battaglie ce ne sono due: la seconda per chi succederà a Napolitano, ma la prima è per il momento in cui avverranno le dimissioni. E cominciamo di qui.