Che succede in Libia?
Le radici del gran pasticcio libico stanno in parte nella storia degli ultimi decenni del paese, ma, in altra parte, nella sua storia remota, perché la Libia, come noi la conosciamo, è una realtà molto recente.
Le radici del gran pasticcio libico stanno in parte nella storia degli ultimi decenni del paese, ma, in altra parte, nella sua storia remota, perché la Libia, come noi la conosciamo, è una realtà molto recente.
Non sono un pacifista per principio, detesto il Califfato e i suoi fanatici tagliagole, tengo ben distinte le ragioni della politica da quelle dell’etica, come mi ha insegnato zio Nicolò, sono per il realismo politico e mi sforzo sempre di considerare con occhio non prevenuto le ragioni di chi dice cose opposte alle mie, ma, devo confessare che, per quanto rigiri la questione da tutte le parti, non riesco a trovare un solo motivo serio per un intervento italiano in Libia, in questo momento.
L’infelice seconda repubblica non riesce più a vivere, ma non sa neppure morire. Come i suoi partiti che non riescono a stare uniti ma non sanno neppure dividersi: si è scissa Scelta Civica, ma i due tronconi non sanno dove andare, sordi boati vengono anche dal M5s, si è diviso anche il Pdl, dopo un lungo travaglio, ma i toni sono surreali e si mette in conto di rimettersi coalizione alle prossime elezioni. Divisi, ma non troppo. Ed i sussurri dei corridoi di Palazzo dicono che non di una scissione si è trattato ma di una sottile mossa di Silvio, che così avrebbe spiazzato gli avversari, sottraendosi al peso di sostenere un governo sempre più impopolare senza però beccarsi l’accusa di averlo irresponsabilmente fatto cadere in un momento difficile e, così, scaricando sul Pd l’onere delle scelte fiscali.
Cappuccino, brioche e intelligence n° 39
Secondo indiscrezioni di una “fonte diplomatica autorevole vicina agli ambienti della sicurezza” raccolte dal “Fatto”, nel pieno della crisi libica del 2011, l’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, chiese ai servizi segreti guidati allora da Gianni De Gennaro, di uccidere Gheddafi. La notizia è stata duramente smentita da Buonaiuti. Molto più cauto è stato l’allora ministro della Difesa Ignazio La Russa: “Non venivano certo a raccontarlo a me, ma è possibile. Berlusconi era preoccupato di trovarsi lui stesso in difficoltà perché considerato troppo vicino al leader libico”. Che, come difesa del leader della coalizione di centro destra, non è davvero un granché.
A più di tre mesi di distanza dall’inizio dell’intervento aereo occidentale, la situazione è tutt’altro che chiusa; sembra (ma la cosa è tutt’alttro che certa) che Gheddafi sia alle corde, ma è così? La stessa proposta del comitato di Bengasi di negoziare il suo ritiro offrendogli la possibilità di restare in Libia, fa pensare che le cose siano tutt’altro che scontate.
Che ci sia molta “nebbia di guerra” nella comunicazione lo conferma anche un esame rapido dei titoli dei giornali che un giorno danno per imminente la sconfitta del Rais e due giorni dopo riportano le valutazioni dello stato maggiore inglese che ritiene insostenibile economicamente l’intervento oltre settembre (e dunque, il tracollo di Gheddafi è tutt’altro che scontato).
Più che rispondere direttamente ad ogni singolo post (che mi sembra una cosa un po’ dispersiva) credo sia più utile rispondere ad alcuni quesiti ed obiezioni in questa forma, a volte un po’ telegrafica, ma che può servire a ravvivare la nostra discussione (posto che ve ne sia bisogno…). C’ è un gruppo di obiezioni e domande sulla natura del caso libico (se rivolta vera o inventata: Forzutino, Paola Pioldi, Davide Rigano, Pippo Fecondo e Massimo) cui risponderò nel prossimo pezzo.
Non sembra che la manifestazione pacifista di sabato scorso sia stata un travolgente successo: poca gente ed eco mediatica quasi nulla. Perchè?
Alcuni giorni fa, Alberto Burgio, in un articolo sul “Manifesto si chiedeva perchè, questa volta, il movimento pacifista vada incontro a tante difficoltà a far passare la protesta antiguerra delle altre volte.
Risposta molto semplice: perchè questa volta non è come le precedenti.
In primo luogo perchè –a differenza di Irak ed Afghanistan- questa volta la guerra non è nata con i bombardamenti occidentali, ma già c’era. A proposito: se un movimento pacifista non si accorge che una guerra c’è e non batte ciglio davanti alla repressione armata di Gheddafi e poi si accorge della guerra solo quando intervengono gli Occidentali, non è molto credibile come movimento pacifista. Più semplicemente è un movimento in appoggio a Gheddafi. Beninteso: è una scelta che non condivido ed anzi combatto, ma riconosco a tutti il diritto di fare valutazioni politiche diverse dalle mie, magari anche se pensiamo entrambi di seguire la stessa causa. Ma l’importante è essere chiari ed intellettualmente onesti e chiamare le cose con il proprio nome.
La rivolta libica è stata preparata con l’aiuto di francesi, americani e inglesi. E allora?
Enrico Piovesana riprende su Peace Reporter (25 marzo 2011) alcune rivelazioni di “Libero” sulla crisi libica, dalle quali si apprende (grazie all’urto diplomatico fra Italia e Francia, che ha indotto i nostri servizi ad una inconsueta loquacità) che fin da ottobre i francesi lavoravano a sobillare la rivolta libica. Riprendendo a sua volta la newsletter diplomatica Maghreb Confidential, “Libero” riferisce che Nouri Masmari (il responsabile del protocollo del colonnello Gheddafi) ha defezionato rifugiandosi a Parigi il 21 ottobre.
Vedo che il mio precedente articolo ha scatenato un dibattito molto vivace, come, peraltro, era auspicabile che fosse e come è necessario continuare, dato l’evolvere della situazione.
Preliminarmente, vorrei chiarire una cosa: non mi è stato facile scrivere certe cose, perchè sono perfettamente cosciente dei costi umani e politici dell’intervento militare e del fatto che ci sia poco da fidarsi del genuino spirito democratico di inglesi, francesi ed americani. Non nutro alcun dubbio sul fatto che la principale molla di inglesi e francesi –soprattutto- non sia lo spirito umanitario, quanto il desiderio di accaparrarsi i pozzi di petrolio oggi in mano all’Eni. Come dimostra la scarsissima sensibilità nei confronti dei massacri in Palestina o nel Ruanda che qualcuno mi ha ricordato (ma vorrei rassicurarlo: li avevo già ben presenti). Così come sono convinto che una parte del conflitto si stia giocando con la disinformazione, per cui chissà quante baggianate ci stanno raccontando. A proposito: ricordate la foto delle “fosse comuni” scavate per seppellire i cadaveri degli insorti dopo la prima repressione? Era la foto di un normalissimo cimitero, con fosse individuali scavate e recintate a regola d’arte. Siamo abituati a questi trucchi. Pertanto, molte osservazioni fattemi sono giuste e le avevo già in mente.
Accetto di buon grado le critiche di Massimo Coppetti ed il suo invito a discutere su un caso tutt’altro che semplice ed univoco come quello libico, partendo da un riconoscimento: nessuno ci ha firmato la cambiale che gli insorti realizzeranno un regime democratico. Verissimo.
Personalmente non dò molto peso ad un particolare come quello della bandiera rosso-nero-verde agitata dagli insorti e che appartiene al periodo monarchico. Qualche parola sul simbolo ed il suo significato: prima dell’attacco italiano del 1911 (a proposito: è il centenario, chi se ne ricorda?) Cirenaica e Fezzan erano autonome dalla Tripolitiania e la bandiera della Cirenaica (dove il potere apparteneva alla Senussia) aveva come bandiera un drappo nero con luna crescente e stella di colore bianco. Dopo l’indipendenza dall’Italia, la monarchia aggiunse le bande rossa e verde per simboleggiare le altre due regioni del paese. Dunque, è probabile che gli insorti usino quella bandiera con riferimento ad istanze autonomistiche della Cirenaica dalla Tripolitiania (rivendicazioni del tutto simili a quelle di baschi, curdi ecc,).