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Crisi dell’Euro: che fare?

All’indomani dell’accordo europeo, che erogava 100 miliardi di euro alle banche spagnole, capi di governo e di Stato (compreso il nostro) si sono fatti ritrarre con l’aria giuliva di chi ha definitivamente scampato un grave pericolo. Ma avevano ben poco di cui sorridere: la ripresa delle borse è durata esattamente 24 ore, dopo di che abbiamo ripreso come prima e, in particolare per l’Italia, lo spread è schizzato a 473. La “ripresa del giorno prima” era stata il “salto del gatto morto”, colorita espressione di un economista di Singapore che, di fronte ad un episodio simile di 15 anni fa, affermò che “lanciato da sufficiente altezza, anche un gatto morto rimbalza”. Fuori del gergo: l’annuncio dell’iniezione di liquidità nelle banche spagnole ne ha fatto momentaneamente rinvenire i titoli, così come quelli correlati e affini, poi la “speculazione” si è precipitata a realizzare l’effimero guadagno e tutto è tornato come prima. Ennesima conferma, se ce ne fosse bisogno, che la cura della liquidità (l’unica che politici e finanzieri attuali conoscono) non risolve la crisi, se non si traduce in investimenti nell’economia reale, ma serve solo a tappare momentaneamente voragini di cassa ormai incolmabili.

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Euro e Grecia

Come era nella logica delle cose, la Grecia è sempre più vicina  al default e, di conseguenza all’uscita dall’Euro. La Grecia ha un debito di oltre 320 miliardi di Euro ed interessi che si mangiano intorno ai 30 miliardi l’anno, vale a dire circa il 10% del Pil. Messa in termini di debito pro capite significa circa 3.000 euro per ciascun cittadino, compresi lattanti, carcerati e moribondi e senza per questo intaccare il capitale da restituire. Questo in un paese in cui il reddito pro capite è di 23.000 Euro all’anno. Dunque, gli interessi si mangiano circa 1/7 del reddito pro capite, andandosi ad aggiungere al prelievo fiscale ordinario. In queste condizioni, quale persona sana di mente può pensare che il debito sarà mai restituito e, più semplicemente, che la Grecia possa sopportare a lungo anche solo il pagamento di questi interessi, considerando che la politica di rigore ha stremato il paese facendo calare il Pil di quasi il 15%?

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Conviene prendere Monti sul serio…

Come avrà notato chi legge questo blog, il mio giudizio su Monti è tutt’altro che positivo, ma rileggendo i pezzi mi sono accorto che prevale un tono ironico che rischia di generare fraintendimenti. Ed allora mi sembra opportuno precisare alcune cose: Mario “il Grigio” non è affatto un avversario da prendere sotto gamba o una macchietta come il suo predecessore. Anzi, è un avversario da prendere molto sul serio.
Innanzitutto togliamo di mezzo un equivoco: questo non è un governo “tecnico di transizione”. In primo luogo questo è un governo pienamente politico e non solo perchè i governi tecnici non esistono, ma esistono sempre e solo governi politici; ma soprattutto perchè questo è un governo politico di alto profilo, molto più dei precedenti sia di centro destra che di centro sinistra.

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Rating, euro ed Usa: qualche puntualizzazione

Mettiamola così: gli americani non sono interessati ad abbattere l’Europa, anzi, sono interessati al contrario, i cinesi ed i russi lo sono meno che meno, i giapponesi hanno le loro grane, eppure all’improvviso i titoli europei hanno iniziato a ballare la tarantella e le agenzie di rating (che, come è noto, sono osservatori del tutto disinteressati) hanno dovuto –con grande dispiacere- declassare quei titoli per seguire le tendenze di milioni di piccoli investitori che, tutti insieme ed all’improvviso, si sono accorti delle fragilità del debito europeo e lo hanno fatto sistematicamente, come da manuale: prima Grecia, poi Portogallo, Spagna, Italia, Francia, Olanda, Austria, Finlandia. E’ il mercato bellezza!
O se preferite, è tutto un complotto dell’Isola di Man che vuole imporre la “Sterlina di Man” al resto d’Europa.
Va bene così? C’è qualcuno che è disposto a credere a queste spiegazioni?

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La dittatura del rating e i dilettanti allo sbaraglio

Ogni qual volta le agenzie di rating (e per esse intendiamo le tre sorelle newyorkesi, dato che tutto il resto del rating non conta nulla) declassano qualcuno, quel qualcuno inizia a strillare che non sono credibili, che non bisogna starle a sentire, perchè non contano più nulla ecc. Poi, però, tutti si adeguano agli editti imperiali di Moody’s o di S&P e gli interessi sui titoli salgono immediatamente.
E’ successo anche questa volta per i titoli dei bond europei. Anzi questa volta è successo in anticipo: le borse si sono adeguate già in base ai primi annunci, cosicchè, quando c’è stato il declassamento ufficiale non è successo nulla: era già successo tutto prima.
Per la verità, gli argomenti per dire che le valutazioni delle agenzie sono molto arbitrarie, non mancano: esse non rivelano mai le loro formule di calcolo, non dicono quali dati hanno considerato, sono molto evasive sulle fonti cui hanno attinto, per di più appartengono a società finanziarie su cui poi emettono giudizi non del tutto disinteressati. Insomma, l’arbitro è organicamente dipendente di alcune società iscritte al campionato.

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Il debito dei Pigs: che si fa?

La Grecia è sul punto di fallire, il Portogallo e l’Irlanda sembrano avviati sulla stessa strada ed anche la Spagna rischia.
Iniziamo dalla Grecia: è ormai chiaro come il sole che la Grecia è in stato di insolvenza non emendabile. Ormai l’ipotesi fallimento è un po’ più che una semplice probabilità: stanno per scadere le obbligazioni decennali emessi nel 2002 -al momento dell’ingresso nell’euro- e la Grecia non ha nessuna possibilità di onorare i suoi impegni. Si sta cercando di far fronte alla situazione vendendo il porto del Pireo ai Cinesi, la lotteria nazionale ad una società americana, qualcuno propone anche di vendere qualche isola o il Partenone…

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Perchè la manovra sull’euro non sta funzionando?

Come ci si ricorderà, due settimane or sono, la Bce ed i paesi aderenti alla Ue vararono una manovra che avrebbe dovuto stroncare la manovra speculativa sull’Euro, ridandogli valore sui mercati internazionali: 700 miliardi per sostenere i titoli dei paesi in difficoltà (Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e forse Italia). L’euforia dei mercati durò esattamente un giorno, lunedì 10 maggio, con un rialzo di circa 11 punti. Dal giorno seguente le borse europee ripresero l’andamento al ribasso e, con esse, anche la parità euro-dollaro riprese la parabola discendente.  Nel linguaggio tecnico, si era trattato del classico “salto del gatto morto” (“gettato da adeguata altezza, anche un gatto morto rimbalza” secondo l’espressione dell’economista di Singapore che l’ha coniata).
A distanza di due settimane, la manovra sembra aver avuto il solo effetto di rallentare ma non annullare la discesa dell’euro ed oggi, 23 maggio, il “Sole 24 ore” titola: “Il dollaro si prende la rivincita. Le difficoltà dell’euro rilanciano il ruolo di valuta globale della divisa americana”.
Ma va! E chi se lo aspettava?!
Allora, come mai la manovra non ha funzionato?

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ELEZIONI EUROPEE: GIOCHI FATTI?

ELEZIONI EUROPEE: GIOCHI FATTI?

A due settimane dal voto sembra che le elezioni europee non debbano riservare sorprese:
– il PdL avanza di qualcosa rispetto alle politiche ma non stravince e si attesta intorno al 40%;
– il Pd cala fortemente (6-7% in meno rispetto alle politiche) ma non tracolla e si porta oltre la soglia del 25% che ne segnerebbe la disfatta;
– la Lega guadagna un punto o un punto e mezzo e supera il 10;
– l’Udc resta più o meno intorno al suo 6% perdendo o conquistando qualcosa;
– unico a registrare un consistente balzo in avanti è Di Pietro che dovrebbe attestarsi fra l’8 ed il 9 (dal 4,5% di partenza);
– Rifondazione è sul bilico del 4%, mentre questo risultato sembra precluso all’avventuroso cartello elettorale vendoliano;
Un risultato un po’ grigio, ideale per tenere il sistema politico nella sua stagnante instabilità (se ci passate l’ossimoro). Ma la partita è davvero così decisa?

A noi sembra che le cose siano molto più fluide e che molto si deciderà negli ultimi giorni –forse nelle ultime ore- prima del voto.
In primo luogo è da capire quanti italiani andranno effettivamente a votare e come si distribuirà l’eventuale diserzione delle urne. La campagna elettorale è fredda è noiosa  e questo non sembra spingere gli italiani verso un appuntamento elettorale che, per di più, non hanno mai amato troppo.
Sinora il tema più seguito è stato quello dell’esuberanza sessuale dell’attempato capo del PdL, anagrammando il cui nome si ricava “Viso senil lubrico: ci si può divertire ma, insomma, non è cosa su cui possano prendere corpo flussi elettorali particolarmente consistenti. E nemmeno la sentenza Mills ci sembra stia producendo chissà quali mareggiate nell’opinione pubblica.

Solo il 40% degli italiani (stando agli stessi sondaggi) sa che ci sono delle elezioni, quando e per cosa, né le acque sono agitate dalla stitica campagna del Pd.
In queste condizioni, pensare ad una astensione intorno al 30-35% sembra una ipotesi tutt’altro che campata in aria. E non è detto che la cosa colpirebbe il solo Pd. Ad esempio, il diffuso senso di “partita vinta” potrebbe indurre molti elettori del PdL a una giornata di sano riposo al mare. Il risultato finale sarebbe quello di una flessione dei due partiti maggiori a tutto vantaggio delle liste intermedie (Udc, Lega, Idv e Rifondazione).
D’altro canto il Pdl deve vigilare i suoi confini elettorali che rischiano un doppio smottamento: verso la Lega e verso l’Udc. Gli uomini di Bossi sono all’attacco e sono i naturali beneficiari di campagne come quelle sulla sicurezza e l’immigrazione così imprudentemente cavalcate da PdL e Pd. D’altra parte, l’ottimismo berlusconiano sulla crisi potrebbe spingere verso la Lega una parte non piccola di quei lavoratori autonomi che sin qui hanno costituito la “diga”  di Forza Italia. E la sentenza Mills potrebbe aiutare i più indecisi a decidere per Bossi, il cui successo potrebbe andare anche ben al di là del 10%.

Ancora più forte l’insidia Udc: il “fattore Veronica” in sé conta poco, ma potrebbe diventare il mantello del “travaso” dal PdL  all’Udc, alimentato da una Comunione e Liberazione poco soddisfatta del trattamento riservato a Formigoni e da altre simili questioni. E Cl è fra le poche organizzazioni in grado di far ballare un 2-3% di voti nel giro di una settimana.
Sull’altro versante, Casini può sperare nell’arrivo di parte del voto della “margherita” scontento del Pd. Oggi l’Udc ha un bacino elettorale potenziale che può raggiungere anche il 15%, anche se ciò non vuol dire che questo accadrà. Probabilmente il risultato effettivo resterà molto al di sotto di questa soglia, ma resta da capire quanto al di sotto: l’esito finale potrebbe scostarsi significativamente da quel 6-6,5% che quasi tutti i sondaggi prevedono.
Anche l’Idv potrebbe dare sorprese, sia in senso negativo (raccogliendo molto meno del suo elettorato potenziale) sia in senso positivo, mietendo ulteriori consensi in casa Pd e rosicchiandone altri a Rifondazione ed anche alla Lega.

La lista di Rifondazione e dei comunisti italiani può sperare in una serie di flussi elettorali in entrata (ex voto “utile” al Pd, ripensamento di astenuti ed elettori di Sinistra Critica e del partito di Ferrando), ma deve guardarsi dalla concorrenza dipietrista sinora debolmente contrastata da Ferrero.
Insomma: qui abbiamo circa quattro o cinque milioni di italiani che non sanno se andranno a votare ed altri tre o quattro indecisi fra le formazioni maggiori e quelle minori. Naturalmente è assolutamente poco probabile che tutti questi flussi alla fine si attivino effettivamente; è ragionevole supporre che una buona parte di questi indecisi tornerà al voto precedente e che una parte dei flussi si incroceranno compensandosi a vicenda. Ma se anche la metà di questo bacino di incerti si muovesse, si tratterebbe di una massa pari a circa il 9-10% che potrebbe alterare sensibilmente il risultato determinando scenari politici oggi poco immaginabili.
Conviene essere molto prudenti nelle previsioni…

Aldo GIANNULI, 24 maggio 2009

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