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Si può fare il referendum sull’Euro e come?

Come si sa, Grillo ha annunciato la richiesta di un referendum sull’Euro da parte del M5s, con l’intento di recuperare la sovranità monetaria. Ed, ovviamente, si è posto subito il problema di come farlo e del se sia ammissibile. I problemi sono questi:

-una funzione essenziale come quella monetaria non può essere bloccata e, siccome il referendum abrogativo non comporta di per sé il ripristino della situazione quo ante, non sarebbe possibile dar corso ad un eventuale risultato favorevole all’abrogazione, per cui il referendum sarebbe dichiarato inammissibile al 100% delle probabilità;

-in secondo luogo, l’Euro è il risultato di un ponderoso trattato internazionale che è materia esplicitamente esclusa dalle consultazioni referendarie, dall’art. 75 II c. della Costituzione.

La materia è spinosa e merita di essere approfondita. Si può sostenere che il referendum sull’Euro potrebbe essere un referendum “di indirizzo”, per cui l’elettorato dà una indicazione al Parlamento che ha poi l’obbligo di dare esecuzione a quando deciso (magari istituendo nuovamente la lira).

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Il Tfr: ma come è generoso Renzi, con i soldi degli altri…

Con il suo abituale garbo, Renzi ha annunciato che procederà “come un treno” sulla, questione del Tfr in busta paga. In teoria questo dovrebbe servire a rilanciare i consumi, sostenendo la domanda. Intenzione meritoria, ma stanno proprio così le cose? Stando a quel che si dice, i lavoratori che ne facciano richiesta, vedrebbero messi in busta paga circa 100 euro che, diversamente, dovrebbero essere accantonati per il Tfr. Facciamo due conti.

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Politica ed economia: arriva la Troika? Cosa bolle in pentola.

Come si sa, questo è un paese in cui le cose serie si decidono a ferragosto. Poi, al rientro, gli italiani trovano il piatto cotto in tavola. Ed anche oggi le cose stanno andando così. A rendercelo noto sono state soprattutto le articolesse domenicali di Eugenio Scalfari su Repubblica, ma, dopo, non è stato difficile scorgere qui e lì i segni del clima mutato. Da giugno, si sono infittiti i segni di una crescente insofferenza dei poteri forti e semi-forti verso Renzi: le bordare del gruppo Espresso-Repubblica, la sparata di Della Valle, i mugugni confindustriali, le denunce di Confcommercio, i rilievi di Cottarelli, la freddezza del “Corriere” e del “Sole 24 ore”…

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Il voto ai “populisti”: c’è molta confusione in proposito.

C’è stato un successo delle liste definite, di volta in volta “populiste”, “di destra”, “euroscettiche”, “anti Euro”, di protesta”, “nazionaliste” o semplicemente “fasciste”, al punto che si parla correntemente di “ondata nera”. Ovviamente, alcune di queste caratteristiche sono cumulabili, per cui un determinato gruppo può essere nazionalista, anti euro, di protesta e fascista, mentre un altro sarà nazionalista, anti euro, di protesta ma non fascista ed un terzo sarà anti euro ma non necessariamente nazionalista e per nulla “populista” di protesta. Si tratta di movimenti molto diversi fra loro, accomunati da una rivolta contro l’attuale assetto europeo, ma per motivi diversi ed a volte opposti fra loro. La tendenza, per ora, è alla frammentazione della domanda politica e di conseguenza dello spettro della rappresentanza. Qui proveremo ad esaminare questa area su una serie di discriminanti.

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Anche le elezioni europee contribuiscono a cambiare la mappa del potere mondiale.

Volendo riassumere il senso di queste elezioni europee in poche sinteticissime battute, le riassumeremmo così:
a- la linea dell’austerità è battuta senza possibilità di equivoco
b- la Germania è sola
c- il resto dei sistemi politici dell’ex Europa occidentale subisce la più grave crisi di legittimazione dal 1945 in poi. Il che, a sua volta, si traduce in una frase ancora più semplice: qui non è europeo nessuno e l’Europa non esiste. O, se preferite: l’Europa è solo una espressione geografica. Con licenza di riproduzione del principe di Metternich. Ovviamente, cerco di motivare queste affermazioni che a molti lettori sembreranno un po’ forti (e già vedo alcuni amici cui va di traverso il caffè che stanno bevendo mentre scorrono questi righe). Vengo ad argomentare.

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Uscire dall’Euro? Il problema non è il se, ma il come

Si è scatenata una campagna terroristica sugli effetti di un’uscita dell’Italia dall’Euro: inflazione alle stelle, mutui insostenibili che costringerebbero a vender casa, termosifoni spenti e tutti all’addiaccio, cure mediche proibitive, aziende fallite e via dicendo. Mi spiace notare che anche “Il Fatto” si sia associato a questa campagna che, vedo, ha convinto anche qualcuno dei più affezionati seguaci di questo blog, che accusa quanti sostengono l’uscita dall’Euro di essere totalmente ignoranti o sul libro paga di qualcuno (vecchio vizio pcista questo di accusare i propri avversari di essere ignoranti o venduti…). Il ragionamento è più o meno questo: l’Euro, giusta o no che fosse la sua nascita, ormai c’è ed uscirne provocherebbe una catastrofe economica senza precedenti, per cui teniamocelo perché è l’unica certezza che abbiamo.

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Fuori l’Europa dalla Costituzione? Come stanno le cose.

Giulio Tremonti ha presentato un disegno di legge costituzionale che prevede la modifica degli articoli 97, 117 e 119 della carta Costituzionale riferiti alla questione del vincolo di pareggio. Subito sono comparsi articoli con titoli allarmati del tipo: “Tremonti vuole cancellare l’Europa dalla Costituzione”, che fanno pensare all’ennesima mutilazione del testo costituzionale. Le cose non stanno affatto così e mi spiego. Il testo originario della Costituzione non contiene alcun riferimento all’Europa e, tantomeno, alla Ue. L’attuale formulazione è assai recente ed è un’ eredità del governo Monti di infelice memoria. Esso fu la conseguenza dell’accordo intergovernativo del 2012 meglio noto come accordo del “Fiscal Compact”, che determinava l’introduzione del pareggio di bilancio obbligatorio e l’obbligo di chiedere l’autorizzazione delle Camere in caso di deviazione dall’ obiettivo. La prima modifica riguardò l’art. 97  nel quale venne introdotto un brevissimo comma iniziale: <<Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.>>

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Elezioni amministrative in Francia: è solo l’antipasto

Il crollo dei socialisti e la parallela affermazione del Fn di Marine Le Pen non hanno sorpreso nessuno, ma l’entità degli spostamento è andata al di là delle previsioni. Il Ps paga l’impopolarità di Hollande, dovuta alle sue scelte di governo, ma, più in generale paga la sua posizione scomodissima di gestore della crisi. La sinistra “riformista” non ha e non può avere spazio nell’ordinamento liberista, perché la sua ragion d’essere sta nella mediazione fra capitale e lavoro, mentre il neo liberismo non cerca alcuna mediazione, perché postula semplicemente il dominio capitalistico e la totale subalternità del lavoro.

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