Tag: economia mondiale

Grecia: il gioco che si profila.

Quella che si apre, in questa settimana, è una partita a scacchi a mosse obbligate per entrambi i contendenti. E’ evidente che Tsipras ha bisogno di una squillante vittoria dei No all’accordo. Se vincessero i si a lui non resterebbe che dimettersi, la troika avrebbe vinto e i partiti di centro cercherebbero di fare una coalizione “europeista” (magari con una scissione fra i deputati di Syriza) per un governo di servizio (di servizio alla Merkel, naturalmente).

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Crisi: le origini del disastro.

La crisi, come si sa, ha avuto origini finanziarie,  ma questo non spiega tutto. Ci sono ragioni molto più profonde che si riferiscono all’evoluzione dell’economia reale. Dalla fine degli anni settanta, si è manifestata a livello mondiale una  tendenza al calo dell’occupazione manifatturiera, nonostante un forte incremento assoluto di produzione industriale; e questo è in larga parte spiegabile con il “salto” tecnologico prodotto dalla combinazione fra robot ed informatica, che ha ridotto la domanda di forza lavoro.

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Crescita economica: tre modelli e il resto del mondo. Inquadramento

Di Lamberto Aliberti. Parte prima: inquadramento. La crescita. In questi giorni ne cerchiamo gli accenni, con infinita pazienza e crescente speranza. Ne hanno bisogno i governanti, senza la quale rischiano lo strappo definitivo. Ne ha bisogno la società, sull’orlo del precipizio verso il caos. Ne ha bisogno l’Europa, ora che si ritrova sulle spalle la zavorra di un debito pubblico, al limite della sostenibilità, per non dire che l’ha già superata.

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Uscire dalla crisi si può, continuare come sempre no

Spesso mi sento accusare di eccessivo pessimismo, ma si tratta di una impressione sbagliata. Al contrario sono molto ottimista circa la possibilità –in sè- di uscire dalla crisi, evitando sia una prolungata depressione che eventi più drammatici come un conflitto generalizzato dall’esito tutt’altro che certo.  Ma occorre fare le cose giuste e vincere resistenze di interessi consolidati. Il problema è la qualità indecente della classe politica occidentale (non solo italiana).
Le crisi non sono disastri naturali indipendenti dalla volontà umana, come uno tsunami, o la manifestazione di un fato ostile cui arrendersi; sono totalmente dipendenti dall’azione dell’uomo. E non sono neppure eventi incomprensibili al quale nessuno sa come porre rimedio. Al contrario, le crisi (e questa forse più delle altre) sono processi le cui cause sono abbastanza trasparenti e, di conseguenza, comportano soluzioni razionali non impossibili da immaginare e realizzare. Certo: uscite razionali, possibili ma non indolori.

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Ma è un film di Bunuel?

In Libia –paese vicinissimo ed al quale siamo  legati da vincoli storici- è in atto una sanguinosa guerra civile dal cui esito possono dipendere tanto i nostri rifornimenti energetici quanto la stabilità di un bel pezzo della nostra finanza. In Tunisia ed Egitto –altri paesi assai prossimi- ci sono state violente rivolte che hanno abbattuto i rispettivi regimi, ma nei quali la situazione è ben lontano dall’essersi stabilizzata. Da entrambi provengono consistenti flussi immigrativi nel nostro paese ed entrambi sono mercati di sbocco non secondari delle merci italiane.
In Giappone c’è stato un sisma catastrofico ed è in corso un incidente nucleare senza precedenti di identica gravità. Non è ancora possibile fare l’inventario dei danni, ma già è facile prevedere lo tsunami economico- finanziario che ne seguirà. Il Giappone è il paese con il più altro debito pubblico del mondo ed è difficile pensare che possa finanziare la ricostruzione con altro debito pubblico, è assai più probabile che richiami in patria i capitali che ha in giro del il Mondo, a cominciare dai bond americani di cui Tokyo è il massimo possessore con la Cina. Ma questo inevitabilmente innescherà un terremoto finanziario che si sa come comincia ma non dove finisce.

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Qualche considerazione sul fallimento della conferenza sul clima.

Qualche considerazione sul fallimento della conferenza sul clima.

L’esito deludente (per chi si era illuso) della conferenza di Copenaghen sul surriscaldamento del clima offre lo spunto per riflessioni di diversa natura.
In primo luogo, appare evidente l’impotenza della politica a governare le emergenze del nostro tempo e questo è in primo luogo il prodotto del prevalere della logica di mercato su quella politica. Ci sono decisioni che non possono essere assunte sulla base di considerazioni economiche, anzi, che comportano costi economici e da imporre con la forza al mercato. Tanto più dove la logica economica abbia eliminato ogni considerazione di ordine macro economico e si affidi alla razionalità dell’agire economico del singolo operatore (come insegna l’ideologia neo liberista di von Mises e von Hayek).

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