Tag: crisi del debito

Quel che resta del rating

A volte gli americani non sanno cosa sia il pudore. E’ il caso del recente licenziamento di Deven Sharma, responsabile di Standard & Poor’s, cacciato a tamburo battente ( a Cagliari dicono “bogai a sono e corru”) per essersi permesso di declassare a 2A il debito americano e su esplicita richiesta del Presidente. La motivazione ufficiale è il comportamento dell’agenzia che, pur ammettendo un errore di 2.000 miliardi nel proprio computo (e fattogli rilevare dai funzionari del Tesoro americano), ha comunque deciso di confermare il declassamento. Comportamento, in effetti un po’ disinvolto, ma se l’errore avesse riguardato la Grecia, l’Italia, la Francia o il Giappone, cosa sarebbe successo? Assolutamente nulla, lo sappiamo perfettamente.

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Uscire dalla crisi si può. Ma che succede in Cina?

Nei giorni scorsi ci sono stati deri problemi coi server che ospitano questo sito. Mi scuso quindi se qualche post è andato perso.

In vista dell’imminente recessione, diversi osservatori, ancora una volta, hanno rivolto lo sguardo a Pechino nella speranza che di lì venga la salvezza. Ma questa volta le cose non stanno affatto bene e Santo Hu di miracoli non ne farà.
In primo luogo la Cina non sta così bene come molti pensano, neanche dal punto di vista del debito pubblico, perchè, se è vero che le cifre ufficiali (quindi sicuramente sottostimate) parlano di un debito al 17% del Pil con riferimento al solo Governo (1.078 miliardi di dollari), è anche vero che le amministrazioni locali hanno accumulato debiti molto più consistenti: alcuni analisti parlano di 3.000 miliardi che porterebbero il tasso di debito pubblico complessivo all’80% del Pil. Può darsi che la stima sia eccessiva, ma è ragionevole supporre che il conto sia comunque molto più salato dei 1.000 e rotti miliardi ufficiali.

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Il paradosso americano

Spesso si sente: “Ma visto che sono così in crisi, gli americani  non potrebbero tagliare le spese militari?”. In effetti, il bilancio degli Usa devolve un po’ più del 19% alle spese militari, ma si tratta di una stima inferiore alla realtà, perchè una parte considerevole delle spese militari è “spalmata” su altre voci del bilancio (esattamente come fanno i cinesi): ad esempio è noto che buona parte delle spese per Ricerca & Sviluppo
(58 miliardi di dollari) è destinata in gran parte (40 miliardi di dollari) a progetti di interesse militare, così come lo è una parte dei fondi per “missioni umanitarie” (5% circa del bilancio). Inoltre, frazioni limitate ma non trascurabili delle voci di spesa per i trasporti, telecomunicazioni,  ecc. hanno impiego militare.

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Uscire dalla crisi si può, continuare come sempre no

Spesso mi sento accusare di eccessivo pessimismo, ma si tratta di una impressione sbagliata. Al contrario sono molto ottimista circa la possibilità –in sè- di uscire dalla crisi, evitando sia una prolungata depressione che eventi più drammatici come un conflitto generalizzato dall’esito tutt’altro che certo.  Ma occorre fare le cose giuste e vincere resistenze di interessi consolidati. Il problema è la qualità indecente della classe politica occidentale (non solo italiana).
Le crisi non sono disastri naturali indipendenti dalla volontà umana, come uno tsunami, o la manifestazione di un fato ostile cui arrendersi; sono totalmente dipendenti dall’azione dell’uomo. E non sono neppure eventi incomprensibili al quale nessuno sa come porre rimedio. Al contrario, le crisi (e questa forse più delle altre) sono processi le cui cause sono abbastanza trasparenti e, di conseguenza, comportano soluzioni razionali non impossibili da immaginare e realizzare. Certo: uscite razionali, possibili ma non indolori.

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Uscire dalla crisi si può, ma dobbiamo prima di tutto dirci quali sono i termini reali della situazione

Uscire dalla crisi possiamo, ma solo se non ci raccontiamo favole e ci diciamo come stanno le cose, comprendendo che significa l’esplosione del debito delle economie di Usa, Giappone ed Europa.
Lasciamo per un momento da parte il debito privato (che pure ha la sua parte nel tutto), quello delle aziende, delle banche ed anche quello degli enti locali o delle società sponsorizzate da Stati e parliamo solo del debito statale che oggi è il cuore del problema. Questi sono i dati nudi e crudi: (nella prima colonna è indicato il debito pro capite, nella seconda la percentuale sul rispettivo Pil, secondo la tabella pubblicata dal S24 15 agosto 2011 p. 11)

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I possibili sviluppi della crisi

La tempesta in borsa non si è ancora placata e fa ballare banche, monete, società per azioni, fondi speculativi e Stati.
Il punto è questo: la seconda recessione appare sempre più probabile e vicina e il troppo denaro in cerca di remunerazione moltiplica la tempesta. Come è noto, il liquido scorre lungo i pendii dove incontra minore resistenza ma quando è troppo e scorre fra canali troppo stretti, agitato da venti di tempesta e maree improvvise, il liquido dà luogo a tempeste rovinose. E la “liquidità” del denaro non fa eccezione.
Dunque, è lecito chiedersi “dove stiamo andando a sbattere” con le nostre fragili scialuppe, così come siamo in balia del fortunale.

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La speculazione finanziaria? Non esiste

Ad ogni ondata di crisi valutaria o di borsa si levano alte grida contro la “speculazione finanziaria” responsabile di tutto: i fondamentali sarebbero a posto, banche ed aziende solidissime, le misure politiche perfette, ma le cose vanno lo stesso male. Perchè? Tutta colpa di un pugno di avidi speculatori che azzannano alla gola Stati, aziende, banche ecc. Solo che quando vai a chiedere chi sono questi affamatori del Mondo, nessuno fa un nome (a parte quello leggendario di Soros e solo per il passato) ma accenna molto vagamente agli hedge fund, e simili.
Ma di cosa stiamo parlando? Siete sicuri che la “speculazione finanziaria” esista? Ragioniamoci un po’.

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La liquidità di Bernanke

Greespan (al quale si attribuisce –giustamente- buona parte della responsabilità del crack del 2008) non ci è mai sembrato un granchè, ma al confronto di Bernanke è un genio.
Insomma, tutto quello che il baldo governatore della Fed è riuscito ad escogitare in tre anni, per far fronte alla crisi, è stata l’alluvione di dollari che avrebbero dovuto favorire la ripresa economica degli Usa.

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giov. 10 febbraio: presentazione alla Camera del lavoro di Milano.

Giovedì 10 febbraio 2011, alle ore 18, presso la  Camera del Lavoro di Milano, in Corso di Porta Vittoria 43, si terrà la presentazione del mio ultimo libro “2012, la grande crisi”, promossa dal Circolo culturale Concetto Marchesi e dalla Camera del lavoro.

Avrò occasione di confrontarmi con ospiti molto importanti e graditi, quali Onorio Rosati, (segretario della Camera del Lavoro di Milano), Alberto Martinelli (Professore ordinario di Scienza della politica presso l’ Università degli studi di Milano) e Andrea Di Stefano (direttore della rivista “Valori”).

Sarà una bella occasione per discutere i contenuti del libro e fare il punto sugli scenari in corso a livello nazionale ed internazionale.

Spero di incontrare anche molti di voi, amici e lettori!

A presto!

A.G.