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Elezioni comunali di Milano: lo stato dell’arte.

Non manca molto alla presentazione delle liste ma il quadro delle elezioni comunali di Milano è ancora molto fluido. Mancano ad esempio le candidature di M5s e sinistra. Ed iniziamo proprio da queste due caselle.

M5s: era stato il primo ad individuare il candidato nella Bedori che, però, si è ritirata nei giorni scorsi. Non ne ho scritto, nei due mesi in cui è stata candidata perché, pur pensando che non fosse adeguata al compito, non volevo aggiungermi al linciaggio cui è stata sottoposta e che, alla fine, l’ha indotta al ritiro (“non reggo più la pressione dei media” ha spiegato). Mi viene da dire che questa è la riprova del fatto che non si può prendere un cittadino qualsiasi, senza nessuna precedente esperienza politica e candidarlo a cariche di un certo livello e non solo perché queste richiedono un certo livello di preparazione, ma anche perché la lotta politica espone ad una pressione mediatica, aggressioni verbali ecc. che richiedono una “corazzatura” caratteriale.

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Il derby di Milano

Nella primavera prossima si voterà per il sindaco di Milano, ma forse anche di quello di Roma e, in questo caso, sarà un appuntamento decisivo per le sorti di tutte le forze politiche. Ma, anche la sola Milano, sarà un test suscettibile di dare indicazioni più generali. Vediamo nell’ordine cosa può attendersi e cosa temere ciascun partito. Il Pd è sicuramente quello più esposto dopo la batosta (pardon: il successo) del 31 maggio e se la tendenza al calo dovesse confermarsi o proseguire, le politiche non sarebbero più così scontatamente vinte dal Pd e, probabilmente, si aprirebbe una “notte dei lunghi coltelli già da prima. Vice versa, se la lista di partito dovesse avere un buon risultato, cioè più verso il risultato massimo delle europee, anche se, per un caso, dovesse esser perso il sindaco, per il Pd sarebbe il segnale di ripresa dopo la doccia fredda del 31 maggio.

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La controffensiva del Cavaliere.

Che il Cavaliere non abbia un lungo futuro politico è cosa su cui è facile convenire: il partito si sta disfacendo, il cielo sui tribunali è tornato carico di nubi minacciose, la Lega lo snobba, il feeling con l’elettorato è definitivamente compromesso. Questo ha spinto diversi a pensare che anche lui se ne stia facendo una ragione e che la vendita di parte del pacchetto Mediaset sia un modo per “far cassa” e magari andare all’estero, prima che i giudici lo trattengano in patria.

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Governo Monti: tecnici o dilettanti allo sbaraglio?

Ho scritto –e non lo ritiro- che il tentativo di Monti va preso sul serio, perché po’ provocare mutamenti durevoli del sistema politico e non certo di segno progressista o democratico. Ma questo, più che alla personale abilità del Presidente del Consiglio (che, di suo, non è esattamente un genio), è dovuto alla forza delle cose che sta piegando la democrazia europea alle ragioni della finanza. Il suo governo, in quanto tale, si sta rivelando una compagine raccogliticcia di figure di mezza tacca. Si immagina che “tecnico” voglia dire competente nel ramo in cui esplica la sua attività e le note trionfalistiche che accompagnarono l’insediamento del governo Monti ci narravano che questi erano i più bravi fra i tecnici, la “creme del la creme”, il meglio della nostra intellighentzja economica, amministrativa, militare ecc.

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Due parole sul nuovo governo

Alla fine Monti ce l’ha fatta, come era prevedibile. E, come anche era prevedibile, si è trattato di un governo bicolore catto-tecnocratico. Ma con alcune sensibili differenze rispetto alle previsioni.
Osserviamo la composizione della squadra e “pesiamo” la presenza cattolica: in totale tre ministri (Riccardi, D’Ornaghi e Balduzzi) più uno (Passera) che dobbiamo considerare a parte. Infatti, Corrado Passera non ha alle spalle una militanza cattolica in senso proprio, quanto una carriera lo collega al polo “cattolico” della finanza italiana (prima all’Anton-Veneta, poi gruppo Intesa che assorbe la Cariplo, infine Intesa-San Paolo) a fianco di Giovanni Bazoli che, invece, è più organico al mondo cattolico.
Dunque, la sua nomina a ministro dell Sviluppo economico e delle Infrastrutture, può essere intesa anche come un rafforzamento del polo cattolico a fronte dell’attacco internazionale ai nostri due principali gruppi finanziari (appunto, Intesa ed Unicredit). In questo senso possiamo ritenere Passera un “aggregato” della pattuglia cattolica.

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