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Il prezzo del petrolio basso è una minaccia o un’opportunità?

Di Lamberto Aliberti. Un turbine si è recentemente abbattuto sul mondo, sulla sua fragile incerta ripresa economica, dopo 5 anni di crisi nera: il crollo del prezzo del petrolio. E dopo un primo momento, in cui gran parte degli economisti, senza troppo rifletterci sopra, si stracciavano le vesti, diventa utile, per non dire necessario, porsi una domanda: il petrolio a basso prezzo è un’opportunità o una minaccia per la crescita? Magari tenendo conto di un consuntivo, a 7 mesi dalla svolta. Servendoci di strumenti rigorosi: un modello  dinamico, e che altro? E partendo da un quadro statistico adeguato. Più avanti, in prossime puntate, la domanda successiva: quanto durerà il basso prezzo?

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Giappone: non ne parliamo più?

Il disastro libico sta facendo passare totalmente in cavalleria il cataclisma giapponese. Ormai i giornali dedicano una pagina e mezza, fra quelle interne, a Fukushida ed i pezzi sono così distratti e svogliati che non si capisce bene se ci siano ancora rischi e quali o se la situazione sia omai sotto controllo.

Per quanto la questione libica sia drammaticamente importante, conviene non perdere di vista l’altra emergenza totale in cui siamo sprofondati. A proposito della Libia, vorrei fare due precisazioni: ad Ennio Abate voglio dire che non sono affatto entusiasta dell’azione militare occidentale (neanche un po’, anzi, l’uso delle armi mi ripugna profondamente) ma faccio un calcolo politico forse sbagliato (anche io ho i miei dubbi) che mi porta a dire che l’azione militare –se contenuta entro precisi limiti- può essere il male minore. Secondo: la guerra non è nata perchè gli aerei francesi e americani hanno bombardato i gheddafiani, ma c’era già prima. Non possiamo accorgerci delle guerre solo quando intervengono le potenze occidentali. O no?!

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Ma è un film di Bunuel?

In Libia –paese vicinissimo ed al quale siamo  legati da vincoli storici- è in atto una sanguinosa guerra civile dal cui esito possono dipendere tanto i nostri rifornimenti energetici quanto la stabilità di un bel pezzo della nostra finanza. In Tunisia ed Egitto –altri paesi assai prossimi- ci sono state violente rivolte che hanno abbattuto i rispettivi regimi, ma nei quali la situazione è ben lontano dall’essersi stabilizzata. Da entrambi provengono consistenti flussi immigrativi nel nostro paese ed entrambi sono mercati di sbocco non secondari delle merci italiane.
In Giappone c’è stato un sisma catastrofico ed è in corso un incidente nucleare senza precedenti di identica gravità. Non è ancora possibile fare l’inventario dei danni, ma già è facile prevedere lo tsunami economico- finanziario che ne seguirà. Il Giappone è il paese con il più altro debito pubblico del mondo ed è difficile pensare che possa finanziare la ricostruzione con altro debito pubblico, è assai più probabile che richiami in patria i capitali che ha in giro del il Mondo, a cominciare dai bond americani di cui Tokyo è il massimo possessore con la Cina. Ma questo inevitabilmente innescherà un terremoto finanziario che si sa come comincia ma non dove finisce.

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Cappuccino, brioche e intelligence n°10…Cina-Usa: lo scontro che viene.

Cappuccino, brioche e intelligence n°10…Cina-Usa: lo scontro che viene.

Sul sito del “Financial Times” del 17 febbraio scorso leggiamo questa notizia:

Il ministero del Tesoro Usa ha dichiarato martedì, che la domanda straniera di buoni del tesoro Usa a dicembre ha subito un calo record dal momento che la Cina ha venduto 34 miliardi di dollari di attività durante quel mese. La mossa cinese fa risultare il Giappone come più grande detentore del debito pubblico Usa con 768 miliardi di dollari, e suggerisce che gli Usa potrebbero dover pagare di più per garantire gli interessi sul debito. Questo arriva mentre la Casa Bianca è alle prese con il dilemma su come tagliare il deficit, previsto in 1560 miliardi per il 2010, pari al 10,6% del Pil.

Il fatto, come si vede, è di dicembre, ma il tesoro Usa la ha resa nota solo più tardi.
In questo modo si iniziano a capire meglio diverse cose come la brusca rottura fra Cina e Usa sulla questione di Googlie, l’improvvisa decisione americana di dar corso ad una fornitura di armi a Taiwan che, prima, sembrava accantonata, la decisione di Obama di ricevere il Dalai Lama, la crescente ostilità dei cinesi verso ogni ipotesi di intervento armato contro l’Iran, le polemiche sulla decisione di Pechino di non rivalutare la sua moneta ecc.
Il clima del “G2”, una sorta di nuovo bipolarismo cooperativo che avrebbe dovuto essere l’architrave del nuovo ordine mondiale, sembra lontano ere geologiche. Eppure, tutti avrebbero giurato che il grande debitore americano ed il grande creditore cinese avrebbero avuto bisogno uno dell’altro, tanto più che il grande esportatore cinese trova il suo principale mercato di sbocco nel grande importatore americano. Dunque una cooperazione forzata, senza alternative.

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