Tag: cina

Il prezzo del petrolio basso è una minaccia o un’opportunità?

Di Lamberto Aliberti. Un turbine si è recentemente abbattuto sul mondo, sulla sua fragile incerta ripresa economica, dopo 5 anni di crisi nera: il crollo del prezzo del petrolio. E dopo un primo momento, in cui gran parte degli economisti, senza troppo rifletterci sopra, si stracciavano le vesti, diventa utile, per non dire necessario, porsi una domanda: il petrolio a basso prezzo è un’opportunità o una minaccia per la crescita? Magari tenendo conto di un consuntivo, a 7 mesi dalla svolta. Servendoci di strumenti rigorosi: un modello  dinamico, e che altro? E partendo da un quadro statistico adeguato. Più avanti, in prossime puntate, la domanda successiva: quanto durerà il basso prezzo?

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La lotta alla corruzione del Pcc.

(Articolo apparso su Il Venerdì di Repubblica di alcune settimane fa). C’è molta curiosità in Occidente sulla lotta alla corruzione che si è scatenata in Cina da circa un anno. Date le dimensioni del tutto insolite  del fenomeno (180.000 funzionari sotto procedimento già a settembre, nel frattempo già saliti ben oltre i 200.000), ci si è sbizzarriti per capire cosa stia succedendo: c’è chi parla di ritorno ai metodi della rivoluzione culturale e di regressione della Cina all’epoca maoista, chi, al contrario, sottolinea il nesso con il dibattito sullo “stato di Diritto” e, quindi, sull’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, chi della consueta lotta fra fazioni del partito e chi, invece, pensa  a una semplice manovra diversiva per distrarre l’attenzione dai crescenti problemi sociali del paese.

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Lo shock da globalizzazione.

Il fenomeno della globalizzazione ha preso le mosse negli ultimissimi  anni ottanta, dopo una gestazione ventennale, ed ormai è al quarto di secolo, un periodo sufficiente ad individuare alcune delle sue principali tendenze e caratteristiche. Non c’è mass media, partito politico, impresa o singolo intellettuale che non affermi che tutto è cambiato con la globalizzazione, che siamo entrati in una fase storica diversa in cui occorre predisporsi ad un continuo mutamento.

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Crisi: è in arrivo la terza ondata.

Il periodo di relativa tregua della crisi finanziaria volge al termine dopo circa tre anni. E’ stato poco più lungo del precedente (durato dal tardo 2009 a metà 2011) e questo ha suggerito l’illusoria convinzione che si fosse avviata una uscita dalla crisi, pur se lenta e graduale. La speranza era che l’inondazione di liquidità delle banche centrali facesse da volano agli investimenti nell’economia reale, con conseguente aumento dell’occupazione e, quindi, dei consumi.

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Guardare ad est

Da New Delhi, Daniele Pagani

Look East, guardare ad Est. Nel 1991 il Primo ministro indiano Pamulaparti Venkata Narasimha Rao dava inizio al sistema di relazioni diplomatiche ed accordi commerciali che avrebbe portato l’India a rafforzare la sua posizione nello scacchiere asiatico. Principale obiettivo di questa mossa era il contrasto della crescente influenza del rampante e ambizioso vicino cinese. La Repubblica Indiana non sarebbe certo stata alla finestra mentre la Cina si ritagliava il ruolo di prima potenza dell’Asia. Da quel momento i governi indiani, indipendentemente dallo schieramento politico, non hanno mai abbandonato la Look East Policy, siglando accordi con molte delle nazioni asiatiche a loro volta interessate a non subire passivamente l’avanzata di Pechino. Il governo di Narendra Modi non fa eccezione, anzi, fa dell’attivismo a oriente un baluardo della sua strategia politica.

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Il Califfato, l’Ucraina e la crisi di panico dell’Occidente.

Siamo sull’orlo di una crisi di nervi? Pare proprio di si: il neo presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk evoca la “grande guerra con la Russia”, invitando implicitamente l’Europa a prepararsi a menare le mani, David Cameron gli va dietro, Hollande assume pose da dittatore romano davanti al Rubicone, il premio Nobel per la Pace Obama va a corrente alternata: un giorno minaccia apocalissi ed il giorno dopo si ritira. E sui giornali si leggono cose impensabili sino a qualche settimana fa.

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Ucraina: le ragioni dei russi.

(Con preghiera vivissima, prima di commentare, di leggere il pezzo per intero e non limitarsi alle prime righe)

Diversi intervenuti sul pezzo precedente (probabilmente a causa di quell’enfatico “Entra” al quarto rigo) hanno centrato l’attenzione solo sul punto iniziale e mi accusano di accettare acriticamente la versione occidentale che dà per scontato l’avvio dell’entrata russa in Ucraina. Più che altro, la mia impressione è che Putin sia sul punto di farlo e ci siano le prime avvisaglie: il milione di persone che lascia le zone più a rischio, alcuni filmati che, per quanto non decisivi, costituiscono indizi che non è possibile ignorare del tutto, la stessa dichiarazione di Putin “Se voglio prendo Kiev in due giorni” ecc.. D’altra parte sembra ormai chiaro (nessuno lo contesta seriamente) che automezzi e soldati russi partecipino alla battaglia di Mariupol. I carri armati non ci sono ancora, ma, insomma…

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Ucraina: attenti che qui rischiamo grosso.

Siamo allo showdown della partita ucraina, il momento in cui tutti buttano giù le carte e si vede chi ha il punto più alto. Putin ha deciso di andare giù duro e tagliare ogni esitazione, entra con i carri armati a sostegno della Repubblica del Donetsk. Va da sé che tornare indietro sarebbe molto difficile e potrebbe costargli un crollo di consensi senza pari, sino al punto di doversi dimettere. La Ue, dal canto suo, avendo appena firmato un atto di associazione dell’Ucraina, perderebbe la faccia lasciando mano libera ai russi. Adesso, poi, capiamo il senso della nomina della Mogherini: tanto poi ad esprimere veramente la posizione Ue è Tutsk che già parla di guerra e non confinata alla sola Ucraina. E nessuno si è sentito in dovere di dissentire o almeno rettificare, mentre la Mogherini piange. Si limita a piangere. Ma più di tutti, è la Nato che ha da temere una solenne sconfitta politica se i russi riescono a smembrare l’Ucraina senza colpo ferire: tutti i paesi di recente adesione (Polonia, baltici, Bulgaria, Ungheria e Romania) dedurrebbero che non c’è da fare affidamento sulla Nato nei confronti dei russi.

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La crisi: come vanno le cose?

E’ troppo tempo che, assorbito dalle polemiche politiche interne, trascuro di scrivere sull’andamento della crisi e sulle sue prospettive. E’ il caso di tornare a parlarne, anche perché “la grande bonaccia”, durante la quale essa ha sonnecchiato, sta per finire. Una serie di congiunture (la ripresina americana in larga parte dovuta al gas ed al petrolio di shale, i ripetuti quantitative easing della Fed, cui si è unita la Bce (anche per scongiurare una avanzata troppo forte degli “euroscettici” alle elezioni europee), qualche limitato successo della Abenomics in Giappone ecc…) hanno creato una pausa che ormai dura dalla metà del 2012 e che ha favorito anche l’Italia. Ma la ripresa, quella vera, è di là da venire: la crisi del debito è sempre presente e le inondazioni di Dollari ed Euro servono come antinfiammatorio, ma non sradicano l’infezione.

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