Tag: casini

Quirinale: no ad un Napolitano ter.

Nonostante non ci sia mai da essere sicuri di certe cose, non penso che, magari dopo una ventitreesima votazione caos, si giunga a rieleggere l’eterno re Giorgio. A tutto c’è un limite. Quando parlo di “Napolitano ter” parlo di un Capo dello Stato in continuità con l’uscente. Ma che caratteristiche dovrebbe avere il Presidente ideale? Diamoci dei criteri.

Il Foglio commentava il recente discorso di Napolitano lodandone lo spirito “rottamatore” della Costituzione vigente. E, lodi a parte, aveva ragione: Napolitano ha svolto una critica acuminata della struttura dello Stato disegnata dalla Carta costituzionale, prospettandone con chiarezza la necessità di sostituirla. Non che non si possa criticare l’attuale Carta, o proporre di cambiarla, ma spetta proprio al Capo dello Stato farlo?

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Sussurri e grida: il tramonto inglorioso della seconda repubblica

L’infelice seconda repubblica non riesce più a vivere, ma non sa neppure morire. Come i suoi partiti che non riescono a stare uniti ma non sanno neppure dividersi: si è scissa Scelta Civica, ma i due tronconi non sanno dove andare, sordi boati vengono anche dal M5s, si è diviso anche il Pdl, dopo un lungo travaglio, ma i toni sono surreali e si mette in conto di rimettersi coalizione alle prossime elezioni. Divisi, ma non troppo. Ed i sussurri dei corridoi di Palazzo dicono che non di una scissione si è trattato ma di una sottile mossa di Silvio, che così avrebbe spiazzato gli avversari, sottraendosi al peso di sostenere un governo sempre più impopolare senza però beccarsi l’accusa di averlo irresponsabilmente fatto cadere in un momento difficile e, così, scaricando sul Pd l’onere delle scelte fiscali.

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Che succederà alla elezioni? Una partita a tre uscite

Prima di continuare con il dibattito sulle idee per uscire dalla crisi (che noto, con piacere, abbastanza partecipato) mi sembra il caso di fare il punto sull’andamento della campagna elettorale. Abbiamo 5 blocchi (destra, centro montiano, Pd-Sel, 5 stelle e arancioni). Prima considerazione: il Pd, ragionevolmente dovrebbe vincere alla Camera senza troppi problemi, aggiudicandosi il 54% dei seggi. A meno che lo scandalo Mps non porti ad un terremoto di vaste proporzioni; esso avrà effetti non irrilevanti e non va sottovalutato (come, invece, sta facendo Bersani) ma, per ora, non sembra in grado di ribaltare il risultato elettorale previsto. Né, per ora, sono prevedibili altri eventi di questa potenza.

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Verso le elezioni. Monti: il nemico da battere

Per quasi un ventennio, la sinistra ha avuto il suo nemico di elezione nel Cavalier Berlusconi, giungendo a forme di odio feroce ed irrazionale. Sicuramente, c’erano ottime ragioni per detestarlo: per la sua volgarità, il suo cinismo, la sua assenza del benché minimo scrupolo morale, per il suo malcelato odio per la cultura, per il suo debordante egocentrismo, per il suo autoritarismo e potremmo proseguire anche per tutta la pagina. Il punto è che l’odio è un pessimo consigliere, soprattutto in politica. Impedisce di valutare razionalmente le cose ed ha una serie di “effetti collaterali” del tutto indesiderabili.

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Monti ce la può fare?

Non è ancora chiaro se Monti accetterà l’invito (l’intimazione) dell’ “Europa” a candidarsi, certamente dovrà farlo nel giro di un paio di settimane al massimo ed i primi sondaggi non sono incoraggianti: Mannheimer gli pronostica una base di partenza del 3-5% per una sua lista cui potrebbe aggiungersi una frazione di quell’8-10% che si dichiara disposto a prendere in considerazione l’ipotesi di votarlo. Diciamo un 6-9% probabile, che è troppo poco: anche sommando per intero l’area centrista (e sarebbe scorretto, perché il quel 6% c’è già un bel pezzo di elettorato di centro) si attesterebbe poco al di sopra del 15%. Vero è che una lista Monti ancora non c’è e che, pertanto è difficile esprimersi su qualcosa che non si sa esattamente cosa sia. Poi bisogna vedere anche come andrà la campagna elettorale e molte altre cose. Però la base di partenza resta poco incoraggiante e Monti, di suo, non è propriamente un cuor di leone: se non gli assicurano qualcosa per il dopo, in caso di naufragio, lui non si muove (in fondo, se sta fermo, Bersani e D’Alema una mezza promessa per il Quirinale l’hanno fatta balenare).

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Adesso si capisce perché il sistema proporzionale è l’unico accettabile?

L’eterna questione del sistema elettorale tiene banco:

1. il Pd si infuria perché vuole il premio almeno al 10% e non accetta la soglia del 40 o del 42,5% per far scattare il premio

2. Si infuria anche Grillo per le stesse ragioni, invocando la prescrizione europea che interdice ogni modifica anche parziale delle leggi elettorali in prossimità di elezioni (cosa peraltro giustissima perché è inammissibile cambiare le regole del gioco un minuto prima di iniziare la partita)

3. Pdl, Lega ed Udc, invece vogliono un sistema tendenzialmente proporzionale, con un premio ridotto che possibilmente non scatti, come non scattò quello della legge-truffa (che era molto meno truffa del Porcellum e simili, per la verità).

Non ci vuole molto a capire che sia il Pd che Grillo, incoraggiati da sondaggi e recenti risultati alle amministrative, pensano ciascuno di arrivare primo, ma sanno di essere sicuramente sotto il 40%, per cui, per questa occasione, gli va benissimo il Porcellum che trasformerebbe il loro 25-30% in un ballante e sonante 54% di seggi (alla Camera), che gli consentirebbe di governare in solitudine (lasciamo da parte, per ora, il problema del Senato).

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Elezioni in Sicilia: terremoto in arrivo e mosse disperate

In sintesi:
-il Pdl si squaglia come un gelato all’Equatore, passando da 900.000 a 247.000 voti (persi più di 2 su 3);
-il Pd “vince” ma perdendo 248.000 voti (1 su 2);
-l’Udc, non solo non intercetta un voto di quelli persi dai partiti maggiori, ma ne perde 130. 000 dei suoi (più di 1 su 3);
-la lista Sel-Federazione della sinistra va malissimo perdendo 25.000 voti sui risultati del 2008 (il peggior risultato in assoluto, rispetto al quale c’era stata una ripresa alle europee dell’anno dopo);
-il Movimento 5 stelle decuplica i voti rispetto a 4 anni fa e sfiora il 15%

L’astensione, per la prima volta nella storia delle consultazioni elettorali dal 1945 in poi, supera la metà degli elettori.

Il quadro mi sembra chiaro: se le formazioni di destra si dissolvono, il Pd non rappresenta alcuna alternativa ed affonda più lentamente del suo concorrente, ma affonda. Non è la crisi della maggioranza di destra, ma la crisi del sistema politico che precipita. Se si trattasse di indicazioni valide a livello nazionale, dovremmo dedurre che i partiti interni al sistema non superano il 35% dei consensi totali. E, infatti, il boom delle astensioni è un evidente segno politico di ritiro della fiducia degli elettori nei confronti del sistema nel suo complesso.

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L’“Opa ostile” di Renzi

Secondo un recentissimo sondaggio, al primo turno delle primarie del Pd (che non sappiamo con che regole si svolgeranno, ma, soprattutto, che non si capisce a cosa serviranno) Renzi dovrebbe risultare in leggero vantaggio su Bersani, pur non raggiungendo il 40% (soglia prevista per vincere al  primo turno). Comunque, Bersani, aggiungendo al suo 35% il 17-18 previsto per Vendola, dovrebbe farcela al secondo turno. Sarà ma non ne siamo molto convinti. In primo luogo perché non è affatto detto che Renzi non faccia un allungo, magari favorito da un flusso di voti di destra, e raggiunga il 40% con il quale risulterebbe eletto senza secondo turno (in fondo si tratta di mettere insieme un 1,5%-2,5% in più, vale a dire intorno ai 40.000-50.000  voti: non tanti direi).

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