Tag: beppe grillo

Grillo e la crisi del Parlamento

Beppe Grillo ha fatto una delle sue sparate definendo il Parlamento un “Tomba” o una “scatola di tonno vuota”. Manco a dirlo si è scatenata la solita buriana di commenti “politicamente corretti” che accusano Grillo di essere un emulo del Mussolini del 3 gennaio 1925, qualcuno addirittura ipotizza che ordini di bruciare il Parlamento come fece Hitler con il Reichstag e via di seguito con il consueto coro di sepolcri imbiancati. Anche qualche dissidente grillino ha preso le distanze (ma temo che in questo caso si sia trattato di una dinamica divaricante che conosco bene, per cui, se dici bianco devo dire nero perché ormai è una partita a scacchi a mosse obbligate) e, questa volta, poteva risparmiarselo. Come al solito, Grillo dice le cose in modo da scoprire il fianco alle accuse più spropositate, ma, nel merito, siamo sicuri che abbia proprio torto?

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Come al solito è difficile parlare del M5s

Grillo e la sua creatura politica suscitano simpatie ed antipatie feroci ed è sempre difficile mantenere un atteggiamento pacato. Tuttavia non rinuncio a tentare un confronto razionale fuori dal tifo calcistico.

1- Elezioni: La recente sconfitta elettorale è stata variamente commentata dallo stesso Grillo: prima “è colpa degli italiani”, dopo: “Ma veramente abbiamo vinto: passiamo da 400 ad 800 consiglieri”. Se la logica non è un’opinione, dunque, gli italiani hanno la colpa di aver fatto vincere il M5s. Oppure ho capito male? La prima reazione è una sciocchezza, la seconda un pietoso tentativo di consolarsi.

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I grillini, l’olio di ricino e la stampa

Leggendo i giornali di oggi apprendiamo che una parlamentare M5s avrebbe invocato l’olio di ricino contro i giornalisti. In realtà le cose non stanno così: come ha spiegato la stessa on. Laura Castelli (la parlamentare del M5s autrice della frase incriminata) a tirare in ballo per primo l’olio di ricino non era stata lei ma il deputato della Lega Nord Stefano Allasia –collega di partito dell’ex ordinovista Borghezio, dunque, uno che sa quel che dice- che aveva proposto di usarlo contro i manifestanti no Tav, per cui la Castelli avrebbe usato l’argomento come ritorsione polemica e, peraltro, non per i giornalisti ma per i mafiosi che inquinano i lavori No Tav.

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Un voto amministrativo molto politico

Una avvertenza generale: siamo di fronte ad una nuova fiammata di astensioni che, rischia di non essere capita da un po’ tutti gli schieramenti politici, ciascuno dei quali –a parte il Pdl- la attribuisce all’altro: il Pd segnala il calo di voti assoluti di Pdl e M5s e si frega le mani, ma dimentica le centinaia di migliaia di voti che ha perso lui, Grillo, da parte sua, parla di “crollo dei partiti” vedendo i voti persi dagli altri, ma non si pone il problema dei (tantissimi) voti persi dal M5s. Il Pdl ammette la sua flessione, ma la spiega come un fatto di banale pigrizia di un elettorato poco motivato (“c’era il derby” si è consolato Alemanno). E tutti mi pare che non stanno capendo la portata del fenomeno, liquidato con poche parole di circostanza, come se questi italiani non esistessero più o siano definitivamente condannati all’irrilevanza. Non è così: il crescente astensionismo è il fenomeno più rilevante (più dell’affermazione o della sconfitta di ogni singolo partito) da analizzare e capire.

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La strategia di Grillo

Nelle settimane immediatamente successive al voto, Grillo ha avuto l’occasione straordinaria di far ballare il sistema politico al suono della sua musica. Bersani era pronto ad accettare (quasi) tutte le condizioni che gli avesse posto: legge anticorruzione, riforma Rai, abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, reddito di cittadinanza, legge sul conflitto d’interesse. E con ogni probabilità, in un quadro di intesa, avrebbe anche accettato di concordare il nome del nuovo Presidente. Se Grillo gli avesse chiesto di fare la danza del ventre, Bersani ci si sarebbe messo il tutù. E non gli si chiedeva di entrare al governo o in maggioranza, ma semplicemente di astenersi (uscire dall’aula) al Senato.

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Ancora sullo Ius Soli: è una battaglia che si può vincere

Volutamente non sono intervenuto (salvo una sola volta) nella discussione provocata dal pezzo precedente sullo Ius Soli, per non condizionarne lo svolgimento che è stato, a tratti, piuttosto vivace. E dunque non ho risposto neppure alle varie domande che qui e lì mi venivano rivolte, anche per non spezzettare troppo il discorso. Lo faccio ora con questo pezzo riassuntivo sulla questione dello ius soli, lasciando per una prossima occasione la risposta sui  temi generali dell’immigrazione sollevati da interventori come Santinumi, Paola o Mont.marc. Intanto, mi sembra il caso di distinguere due aspetti del problema: il merito dell’eventuale legge e la procedura da seguire.

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Lo Ius loci: lettera aperta a Beppe Grillo

Caro Beppe Grillo,

le sue posizioni sulla questione dello ius loci, in base al quale riconoscere la cittadinanza ai figli degli immigrati, stanno suscitando reazioni molto vivaci a sinistra e non manca chi la accusa di fascismo o, quantomeno, di convergenza con Larussa, Storace la Lega. Vorrei tentare una strada diversa, per discutere nel merito della cosa, abbassando i toni. Partiamo da un dato di fatto: gli immigrati ci sono, sono quasi 4 milioni e mezzo più i circa 600.000 clandestini che sono un problema a parte. Per ora parliamo di quelli regolarizzati in qualche modo: di essi fanno parte circa 250.000 (i dati variano) minori nati in Italia, dunque immigrati di seconda generazione. E’ facile prevedere che, entro una quindicina di anni, il problema riguarderà poco meno di un milione di persone (circa 800.000 secondo stime prudenziali). Che ne facciamo?

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Qualche nota sul governo Napolitano-Berlusconi-Monti-Letta

E’ consuetudine chiamare il governo con il nome del Presidente del Consiglio, ma, nella prima Repubblica spesso si faceva seguire a quello il nome del principale alleato, per esprimere la formula di maggioranza. Ad esempio, il secondo governo Andreotti fu definito Andreotti-Malagodi-Tanassi (ma più spesso “Andreotti-Malagodi”) per dire che la formula era Dc-Pli-Psdi, oppure i primi governi di centro sinistra furono chiamati Moro-Nenni e poi Rumor-De Martino per dire che la formula base era l’alleanza Dc-Psi, cui concorrevano in posizione minore Psdi e Pri.

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Cosa è e come si fa un colpo di Stato?

Nel pezzo precedente ho negato che la ri-elezione di Napolitano in sé stessa potesse essere definita un colpo di Stato, perché formalmente avvenuta a norma di Costituzione. Effettivamente, in un primo momento l’Assemblea Costituente si orientò contro la rieleggibilità del Presidente (come ricorda Ugo Agnoletto), ma nella discussione definitiva si ritornò su quella decisione ed il testo approvato non contiene nessuna prescrizione in questo senso. Dunque, non c’è nessun appiglio giuridico per parlare di colpo di Stato. Però, le cose sono più complesse e vanno viste nel loro sviluppo.

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Friuli, M5s e Pd

Molti avevano pensato che lo sbocco delle elezioni presidenziali avrebbe fatto come prima vittima la Serracchiani e si aspettavano un tracollo del Pd con un simmetrico successo del M5s. Poi, la Serracchiani ha vinto, il Pd ha avuto una perdita percentualmente contenuta e il M5s è crollato. Morale: il Pd si è rinfrancato, godendo dello scampato pericolo, ed i M5s ha negato di aver subito una sconfitta. Ma lasciamo perdere le percentuali e vediamo i dati assoluti, così ci capiamo qualcosa in più, anche perché, con una flessione di 20 punti sulla partecipazione al voto, rispetto a due mesi fa, il raffronto percentuale falsa molto il giudizio.

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