Tag: anticapitalismo

Popolo ed organizzazione politica.

Riceviamo e molto volentieri pubblichiamo questo contributo di Franco Astengo.

Spiace contraddire il brillante Presidente della Regione Puglia, astro nascente della politica italiana, ma ci sono parse proprio sbagliate, nel profondo dei riferimenti teorici e più direttamente politici, le sue parole, pronunciate durante una manifestazione svoltasi a Roma giovedì 10 Giugno, a proposito di una sinistra che deve ritrovare il suo popolo e poi scegliere il suo leader.
Prima di tutto perchè il popolo (massa indistinta, se così denominiamo l’insieme delle diverse categorie sociali, che invece vanno viste e analizzate nelle loro diverse specificità di relazione interna ed esterna) esiste, vive tutti i giorni le contraddizioni di questa società, rese particolarmente acute da una crisi economico-finanziaria di una durezza inusitata verso i ceti più deboli, da un uso dei mezzi di comunicazione di massa volto ad addormentare le coscienze e rivolgere sempre più verso i meccanismi dell’individualismo consumistico; da una esasperazione violenta delle diseguaglianze a tutti i livelli; da un deficit culturale senza precedenti; da un attacco sconsiderato, in Italia, al quadro equilibrato di diritti e doveri proposto dal dettato Costituzionale; dalla presenza di una destra rozza, razzista, inespressiva nella sua violenza verbale quotidiana.

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Elezioni Regionali. Domenica voterò ancora una volta per la Federazione della Sinistra anticapitalista.

Segnalo Luciano Muhlbauer a Milano e Franco De Mario a Bari.

Mentirei se mi dicessi entusiasta del modo in cui la Federazione della Sinistra (ed il mio partito in particolare) arriva alle elezioni.
D’altra parte in questi mesi non ho lesinato critiche in questo senso, per cui sarebbe ridicolo se adesso, contando della cattiva memoria di chi mi legge (ma gli articoli sono qui, in archivio, leggibili da chiunque) facessi finta di niente e rivolgessi un garrulo invito privo di dubbi ed ombre.
Ma sta per aprirsi una fase di intensa destabilizzazione del quadro politico ed è in arrivo una ondata di crisi finanziaria peggiore della precedente (ne riparleremo a breve). In questo contesto, una sconfitta della lista anticapitalista vorrebbe dire pregiudicare l’unico strumento (per quanto imperfetto e, diciamolo pure, sgangherato) che abbiamo a disposizione ) per dare una risposta da un punto di vista di classe.

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Cappuccino, brioche e intelligence n°6…Preside si faccia i fatti suoi. Invece: bravo Questore.

Cappuccino, brioche e intelligence n°6

Preside si faccia i fatti suoi. Invece: bravo Questore.

“La Repubblica” 19 novembre 2009: il preside del liceo scientifico Morgagni di Roma, scoperto tramite Facebook, che gli studenti si preparavano ad occupare la scuola, li ha prevenuti, facendo barricare dentro gli insegnanti. Infatti da tempo, il preside aveva avviato un lavoro di “osservazione” su facebook per monitorare il mondo studentesco.
Cosa ne penserebbe un uomo di intelligence ?

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PERCHE’ VOTO LA LISTA COMUNISTA

PERCHE’ VOTO LA LISTA COMUNISTA


Mi sembra un doveroso atto di onestà intellettuale dichiarare le proprie simpatie politiche. Chi scrive queste righe per lavoro fa lo storico e, come ogni altro operatore delle scienze sociali, ha il dovere di non far prevalere le proprie opinioni politiche sull’analisi : la ricerca della verità non deve essere disturbata da finalità di altro genere ed il militante politico deve aspettare dietro la porta del laboratorio di analisi. Ciò non di meno, è inevitabile che quelle idee accompagnino l’analista anche dietro quella porta e, per quanti sforzi egli faccia per vigilare le proprie propensioni, è probabile che, pur inconsapevolmente, possa esserne condizionato. Non foss’altro perché siamo tutti un po’ inclini a scambiare i desideri per realtà. Ed allora chi ci legge ha diritto di avere tutte le coordinate necessarie per filtrare criticamente il testo e, fra queste anche la collocazione politica.

Dunque dichiaro senza reticenze che alle prossime elezioni europee voterò per la lista comunista. Non ho nessuna difficoltà a riconoscere laicamente le molte debolezze di essa: l’insufficiente analisi politica, la pochezza della proposta per far fronte alla crisi, il vecchio vizio dirigista espresso dalla composizione delle liste al bilancino, senza nessun coinvolgimento della base, il riflesso identitario, la mancanza di una seria riflessione sui motivi che hanno portato al disastro dell’anno scorso… Tutte cose vere e se ne potrebbero aggiungere altre. Ma, se anche non vi fossero altri motivi per farlo, c’è una ragione a favore del voto comunista che contrappesa tutte le altre: questa è l’unica area politica che metta in discussione i fondamenti capitalistici del sistema. Probabilmente una pregiudiziale ancora troppo ideologica, priva di una traduzione politica credibile, ma pur sempre una discriminante fondamentale. Dalla crisi del 1989 la sinistra è uscita rimuovendo definitivamente e senza riserve la propria origine anticapitalistica. Questo ha prodotto la trasformazione dei partiti socialisti (ed in Italia del Pci) in partiti liberali-liberisti che si candidavano alla gestione dei processi di globalizzazione avendo come unico discrimine dalla destra un generico afflato socialeggiante ed un minimo di attenzione in più all’area del lavoro dipendente che ne costituiva ancora gran parte dell’insediamento elettorale. A venti anni i risultati non sembrano entusiasmanti: la sinistra è al governo – con molti affanni- in pochi paesi, la sua base sociale si è erosa e dispersa, l’offensiva culturale della destra non ha conosciuto limiti, i processi di privatizzazione stanno intaccando i più elementari diritti umani…

In questi anni, la bandiera anticapitalista è stata poco più di un richiamo propagandistico e se ne comprende il motivo: nell’era del liberismo trionfante le possibilità di svolgere una efficace azione politica di segno anticapitalistico erano ridotte all’assoluta marginalità. La spettacolare avanzata della Cina e dell’India era vantata come la garanzia che “la globalizzazione funziona”, i livelli di consumo nelle metropoli occidentali non calavano ma crescevano, quel che dimostrava come i vincoli di una contrattazione sindacale troppo rigida erano inutili ed anzi dannosi, perché il mercato bastava a sé stesso producendo maggiore soddisfazione dei bisogni sociali attraverso la produzione di sempre maggiori quote di ricchezza. Le vele della sinistra antagonista erano inevitabilmente afflosciate dalla grande bonaccia culturale di quegli anni.

Poi, dall’estate del 2007, con la crisi dei mutui, la rutilante corazza  ideologica del neo liberismo  ha iniziato a non brillare più come prima ed a mostrare più di una fenditura: i successo economico cinese ed indiano presentava molti aspetti discutibili e produceva effetti imprevisti ed indesiderati, ma, soprattutto, si scopriva che il benessere ed il livello di consumi era garantito da una crescita senza freni del debito pubblico e privato e che era arrivato il momento della verifica. La bolla aveva incontrato lo spillo che l’aveva fatta esplodere. Da quel momento molte certezze sono crollate e l’effimero ottimismo di queste settimane sulla “ripresa già iniziata” non sembra sedurre nessuno.
Sappiamo che il peggio della crisi deve ancora venire. Forse sarà un fenomeno diluito nel tempo, forse si trascinerà in forme striscianti ed occulte, ma sappiamo i essere molto lontani di un punto di equilibrio.
E questa sinistra “compatibilista” scopre definitivamente la sua inutilità: al liberismo basta la destra ed i risultati elettorali di questi anni lo hanno dimostrato sia quando la sinistra ha perso –per l’erosione del suo blocco sociale- sia quando ha vinto ed è stata costretta a politiche del tutto indistinguibili da quelle della destra.
Oggi il vento forte della crisi si è alzato ed inizia nuovamente a gonfiare le vele della sinistra. Beninteso, le vele sono ancora troppo logore e gli alberi troppo  fragili e proprio la violenza di quel vento minaccia di spazzare via tutto in breve. Occorrerà cambiare le vele mettendone di nuove e robuste e rafforzare gli alberi sostituendone anche qualcuno, ma, se vogliamo che la sinistra riprenda il mare aperto non possiamo permettere che affondi l’unico battello che, con tutti i suoi limiti, ha la struttura  adatta a farlo. I comunisti da soli certamente no basteranno all’impresa, dovranno riuscire a collegarsi efficacemente all’area del precariato, ai giovani dei centri sociali, al sindacalismo radicale oltre che a quello confederale, agli intellettuali liberal-democratici, alle aree del lavoro autonomo rovinate dalla crisi. Occorrerà procedere  a formare un nuovo blocco sociale quel che implica nuove alleanze politiche e grande coraggio intellettuale, ma, se alla sconfitta ormai certa dell’ “inutile voto” al Pd si accompagnasse il definitivo naufragio dei comunisti, tutto sarebbe infinitamente più difficile. Ed il vento della crisi potrebbe gonfiare le vele di un populismo aggressivo e reazionario.

Aldo Giannuli, 31 maggio 2009

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