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La luna e il dito. Della primavera araba e della nostra inadeguatezza.

di Annamaria Rivera

1. Un sommovimento imprevedibile?

Si è ripetuto fino alla nausea che il sommovimento che percorre il mondo arabo non era prevedibile, tanto che neppure le cancellerie e i servizi d’intelligence occidentali lo avevano messo in conto. In realtà, per parlare solo della Tunisia, era sufficiente frequentare e osservare senza pregiudizi quella società per intuire che qualche focherello ardeva sotto lo spesso strato di cenere del regime. Sarebbe bastato parlare con persone comuni per cogliere l’insofferenza, spesso appena dissimulata con l’ironia e la battuta di spirito, verso gli aspetti del benalismo più torvi (la dura repressione dei dissidenti politici e di islamisti spesso presunti) o più grotteschi: dall’obbligo di esporre il ritratto del despota ovunque, perfino nelle più sperdute bottegucce nel deserto, alla neolingua che da un anno all’altro imponeva di cambiare i nomi delle vie secondo il tema propagandistico del momento. Così che, per dirne una, mentre la megalomania modernizzatrice e speculativa del clan di Ben Ali seppelliva sotto il cemento litorali, palmeti, architetture tradizionali, d’un tratto ogni boulevard si chiamava “de l’Environnement”.       

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Gheddafi e la miseria delle élite europee.

Avviamo con questo articolo un dibattito su ciò che sta accadendo in Libia e in tutto il nord africa nell’ultimo periodo. Tornate spesso a farci visita quindi e segnalateci o inviateci contributi e analisi su questi importanti avvenimenti!
A.G.

Gheddafi e la miseria delle élite europee.

di Annamaria Rivera

Cane pazzo, lo definì a suo tempo Ronald Reagan. E un cane ringhioso, con la bava alla bocca, sembrava Gheddafi durante il discorso di martedì, si potrebbe dire se non fosse che di solito i cani impazziscono per colpa degli umani. Un discorso minaccioso, feroce, che invita le sue squadracce a far strage dei concittadini, stanandoli casa per casa. “Topi di fogna” -a proposito di metafore zoologiche- ha chiamato i giovani rivoltosi, eroi di questa rivoluzione popolare, lui che s’illude, nella sua megalomania delirante, di poter ancora spacciare il mito di se stesso come artefice sommo dell’unica vera rivoluzione.

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Versi sulla fuga di Mubarak

Ore diciassette
dell’undici febbraio  duemilaundici
Suleiman annuncia
le dimissioni di Mubarak
in piazza  Tahrir
la folla è in delirio
il popolo ha affossato il  regime
scandisce un milione di bocche
un vecchio piange
è il giorno  più bello della mia vita
una donna nasconde lacrime
sotto il velo
per il figlio che non potrà
esultare dell’opera
appena intrapresa
spezzata
da un colpo di mitraglia
lontano a Tunisi
concerto di  clacson
esplosione di gioia
a Roma silenzio
io ballo da sola nella  stanza
come migrante egiziana
in fondo
è uno dei giorni più belli
della mia vita d’esilio

Annamaria Rivera

Umori nazionali. Non è solo indifferenza.

di Annamaria Rivera

“In fondo che ne sappiamo, di queste rivolte?”, obietta l’amico, un vecchio compagno di solito ben orientato. “Come andranno a finire? Non scordiamoci dell’Iran e dell’abbaglio che prendemmo allora! Forse è meglio la stabilità attuale, per quanto non ci piaccia, che il rischio del caos e dell’islamismo”. Replico con ogni argomentazione possibile, gli oppongo dati e analisi. Obietto che non tutte le insurrezioni sono finite in modo disastroso, che in Spagna, in Portogallo, in certi paesi dell’America Latina in fondo non è andata troppo male. Concludo che comunque ogni popolo ha diritto alla ribellione e che non si può preferire la dittatura, la repressione, l’ingiustizia al disordine. Niente da fare: rimane saldamente aggrappato ai suoi pregiudizi e alle sue paure.

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BERLUSCONISMO SPECCHIO DELL’ITALIA

di Annamaria Rivera, da zeroviolenzadonne.it

Per favore, non si chiami sultanato il regime berlusconiano. E non si parli di harem o di suq quando si cerca di definire le pratiche sessuo-mercantili dell’indegno capo del governo italiano. Gli stereotipi orientalisti, lasciamoli a Giovanni Sartori, l’illustre politologo (1). Il quale a tal punto è ossessionato dall’invasione dei saraceni da teorizzare, fin dal 2000 (2), la “radicale non integrabilità” degli “islamici” (si noti il linguaggio, davvero da fine studioso), suggerendo come rimedio l’immigration choisie di migranti di confessioni altre da quella musulmana: alla faccia del conclamato liberalismo.

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Immigrati a punti ovvero vestire i panni della destra

Molto volentieri pubblichiamo questo contributo di Annamaria Rivera.
Liberazione, 13 ottobre 2010, pp. 1-2

L’uso strumentale del tema-immigrazione è una costante della politica, italiana e non solo, da almeno un ventennio. Gli immigrati sono utili a gettare fumo negli occhi, a placare le ansie popolari indicando falsi bersagli, a mostrare i muscoli, solo verso i deboli, per dissimulare l’inettitudine colpevole di una politica che ignora i diritti e i bisogni dei cittadini non benestanti. Ma servono anche, sul versante dell’”opposizione”, a risolvere meschine questioni interne di egemonia e potere, e a coltivare l’illusione che indossare i panni logori degli avversari valga a conquistare l’elettorato. E’ il caso dell’ultima sortita della corrente veltroniana, un lungo testo allegato al documento finale sull’immigrazione, all’assemblea nazionale del PD. 

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