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Rating, euro ed Usa: qualche puntualizzazione

Mettiamola così: gli americani non sono interessati ad abbattere l’Europa, anzi, sono interessati al contrario, i cinesi ed i russi lo sono meno che meno, i giapponesi hanno le loro grane, eppure all’improvviso i titoli europei hanno iniziato a ballare la tarantella e le agenzie di rating (che, come è noto, sono osservatori del tutto disinteressati) hanno dovuto –con grande dispiacere- declassare quei titoli per seguire le tendenze di milioni di piccoli investitori che, tutti insieme ed all’improvviso, si sono accorti delle fragilità del debito europeo e lo hanno fatto sistematicamente, come da manuale: prima Grecia, poi Portogallo, Spagna, Italia, Francia, Olanda, Austria, Finlandia. E’ il mercato bellezza!
O se preferite, è tutto un complotto dell’Isola di Man che vuole imporre la “Sterlina di Man” al resto d’Europa.
Va bene così? C’è qualcuno che è disposto a credere a queste spiegazioni?

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La dittatura del rating e i dilettanti allo sbaraglio

Ogni qual volta le agenzie di rating (e per esse intendiamo le tre sorelle newyorkesi, dato che tutto il resto del rating non conta nulla) declassano qualcuno, quel qualcuno inizia a strillare che non sono credibili, che non bisogna starle a sentire, perchè non contano più nulla ecc. Poi, però, tutti si adeguano agli editti imperiali di Moody’s o di S&P e gli interessi sui titoli salgono immediatamente.
E’ successo anche questa volta per i titoli dei bond europei. Anzi questa volta è successo in anticipo: le borse si sono adeguate già in base ai primi annunci, cosicchè, quando c’è stato il declassamento ufficiale non è successo nulla: era già successo tutto prima.
Per la verità, gli argomenti per dire che le valutazioni delle agenzie sono molto arbitrarie, non mancano: esse non rivelano mai le loro formule di calcolo, non dicono quali dati hanno considerato, sono molto evasive sulle fonti cui hanno attinto, per di più appartengono a società finanziarie su cui poi emettono giudizi non del tutto disinteressati. Insomma, l’arbitro è organicamente dipendente di alcune società iscritte al campionato.

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Puntuale arriva il downgrade dell’Europa

Qualche tempo fa, si sviluppò (anche su questo sito) un dibattito sulle ragioni della crisi che aveva investito l’Europa e sulla possibilità che essa fosse frutto di una qualche manovra coperta. Ora dobbiamo fare i conti con questa mossa di S&P che declassa nove paesi dell’Eurozona  (Austria, Italia, Spagna, Francia, Spagna, Slovenia, Slovacchia, Cipro, Malta, Portogallo) su diciassette -mentre la Grecia è già al penultimo gradino della scala- e proprio mentre il mercato finanziario europeo accennava a riprendersi. Facciamo innanzitutto una premessa: togliamo di mezzo la solita polemica cretina sui “complotti”, fra chi dice che c’è un complotto e chi dice di non credere ai complotti. E’ un piano avvilente di discorso che rifiutiamo: complotto è una categoria interpretativa da bar dello sport, tanto se chi la usa vuol spiegare qualcosa, quanto se vuol negare che la spiegazione sia quella. Il problema, impostato correttamente, si pone in questi termini: tanto nella vita individuale,  quanto in quella politica o finanziaria, ci sono azioni evidenti (cioè, delle quali si conosce subito l’autore, la natura, gli scopi ecc.) quanto azioni in tutto o in parte coperte, ciascuna delle quali assume un nome in riferimento alla sua natura. Se il signor Rossi incontra clandestinamente la signorina Bianchi e non lo dice alla moglie, non sta “facendo un complotto”, ma un “adulterio” che, di solito, non si racconta alla moglie. Se un determinato soggetto finanziario sta rastrellando sottobanco le azioni di una determinata società, non si tratta di un complotto ma di una “scalata ostile”. Nel nostro caso, dobbiamo capire di cosa stiamo parlando ed, in particolare, se siamo in presenza di una “guerra finanziaria” e, nel caso positivo, che caratteristiche ed attori  abbia.

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Crisi: qualche breve precisazione. A ognuno il suo

Rispondo con un brevissimo appunto (scusatemi ma sono affogato dai tempi di consegna del prossimo libro e faccio fatica a star dietro al sito) a diversi interventi (Tommaso Coen, Pierluigi, Zeno, Stefano ecc.) a proposito delle radici di questa tempesta sui titoli italiani, su cui non vorrei che si creassero equivoci.

1- la pistola fumante non c’è: e non può esserci per definizione. Cosa volete? Comunicati stampa, lettere di intenti, verbali di consigli si amministrazione? Avete mai visto uno speculatore che dichiara : “adesso faccio una speculazione per rovinare l’Europa”? E neppure ci danno accesso alle carte dei vari hedge fund. E’ naturale che questo genere di operazioni avvengano nel massimo riserbo –prima e dopo l’operazione- e spesso per confluenza spontanea, senza neanche bisogno di intese esplicite e tanto meno scritte.

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L’idea sbagliata di partenza sul debito pubblico

Negli anni sessanta e settanta circolava un’idea, ritenuta una verità di fede, per la quale perseguire il pareggio di bilancio dello Stato era non solo sbagliato ed utopico, ma addirittura reazionario e fuori del tempo. Il disavanzo era programmato, perchè così si garantiva lo sviluppo.
All’epoca ero un giovane militante di gruppi di estrema sinistra,  ma, ciò nonostante, la cosa non mi convinceva affatto e la trovavo una idea completamente sballata. Perchè se per qualche anno poteva essere necessario fare disavanzo, prima o poi bisognava rientrare e ripianare i debiti.
Molti amici e compagni mi dicevano che i miei dubbi erano completamente fuori luogo e tradivano una “mentalità ottocentesca” e un po’ reazionaria, perchè la modernità impone il disavanzo come condizione di progresso e, dunque, esso deve essere costante, strutturale, permanente. E giù citazioni di Keynes che dimostravano quanto fosse auspicabile  chiudere i conti in rosso. Rispondevo “Sarà, ma non mi convince”.

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Quel che resta del rating

A volte gli americani non sanno cosa sia il pudore. E’ il caso del recente licenziamento di Deven Sharma, responsabile di Standard & Poor’s, cacciato a tamburo battente ( a Cagliari dicono “bogai a sono e corru”) per essersi permesso di declassare a 2A il debito americano e su esplicita richiesta del Presidente. La motivazione ufficiale è il comportamento dell’agenzia che, pur ammettendo un errore di 2.000 miliardi nel proprio computo (e fattogli rilevare dai funzionari del Tesoro americano), ha comunque deciso di confermare il declassamento. Comportamento, in effetti un po’ disinvolto, ma se l’errore avesse riguardato la Grecia, l’Italia, la Francia o il Giappone, cosa sarebbe successo? Assolutamente nulla, lo sappiamo perfettamente.

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Il fallimento americano

Obama ha evitato di misura il default, ma non ha avuto il tempo di brindare: le borse sono entrate lo stesso in fibrillazione e Standard & Poor’s ha declassato il debito americano dalle tre A a due A+.
Naturalmente, ne è seguita una sarabanda di attacchi all’agenzia di rating che si sarebbe sbagliata, come dimostrerebbe il fatto che le altre due hanno confermato le tre A. Ed in effetti, S&P si è sbagliata, ma non perchè avrebbe fatto mal i calcoli per circa 2.000 miliardi di dollari, ma, al contrario, perchè la sua valutazione è troppo generosa. Diciamoci la verità, se non si trattasse degli Usa, ma di un qualsiasi altro paese, con quel tasso di indebitamento governativo e quel tasso di debito aggregato, con quel deficit statale e quella scarsa flessibilità della spesa pubblica, ecc. le agenzie di rating, si e no, concederebbero CC-.

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Default americano?

Gli americani pretendono:

a- di mantenere intatto il loro livello di consumi, anche se la disoccupazione è quasi al 10% ed i salari sono in flessione

b- di avere un volume di spese militari pari o superiore a quello di tutto il resto del Mondo, producendo un costante disavanzo pubblico peraltro alimentato dagli interessi su un debito che ormai supera abbondantemente il pil annuo

c- di avere il più alto livello di debito aggregato del Mondo ma di mantenere il livello di rating AAA e di pagare interessi sul debito sovrano quasi pari a quelli sui titoli tedeschi

d- di emettere in scioltezza quantità enormi di dollari ma di confermare  il dollaro come moneta di riferimento internazionale

e- di mantenere un livello di tassazione intorno al 30% (quando quello europeo è al 40) ed anzi, possibilmente, diminuirlo.
C’è modo di ottenere tutte queste cose insieme? Credo di si: nominando segretario al Tesoro la Madonna di Lourdes.

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La guerra del rating: urge attrezzarsi.

A quanto pare avevamo visto giusto nell’articolo precedente: il terremoto ateniese non era casuale ma parte di una guerra monetaria contro l’Euro condotta dagli Usa. Uno degli strumenti di punta di questa guerra sono state le agenzie di rating che hanno declassato i titoli di Grecia, Spagna e Portogallo e, con una semplice frasetta buttata lì, hanno fatto ballare la rumba a tutto il sistema bancario italiano.
Lasciamo perdere se e quanto queste valutazioni di Moody’s, Standard & Poors o Fitch Rating siano fondate (ne parleremo in altra occasione), quello che colpisce è che, ancora oggi, dopo i disastri combinati sulle banche americane (vi ricordare le “tre A” accordare alla Lehman Brothers sino all’antevigilia del fallimento?), esse continuano ad avere una influenza enorme sui mercati finanziari.

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