Tag: afghanistan

L’Attentato a “Charlie Hebdo”, il jihadismo europeo e la nostra sicurezza nel contesto internazionale

Un sincero ringraziamento a Lorenzo Adorni per gli articoli molto interessanti e dettagliati con cui sta contribuendo all’analisi in questi giorni. Aldo Giannuli

Il grave attentato alla redazione del giornale “Charlie Hebdo” ha dato luogo non solo a numerosi interrogativi su quanto è accaduto, ma ha anche posto notevoli domande sulla reale pericolosità del fenomeno jihadista in Europa. E’ utile valutare questi aspetti alla luce di quanto accaduto in passato e analizzando la recente storia del contrasto al terrorismo islamico in Europa.

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L’ Intelligence Francese e Mohammed Merah

Come sempre con piacere e grande interesse pubblico questo articolo di Lorenzo Adorni.

Mohammed Merah, secondo le informazioni di cui disponiamo in queste ore, si era addestrato nei campi dei mujahidin afghani. L’attentatore di Tolosa, quindi, non era un neonazista ma, un fondamentalista islamico jihadista. Noto sia alle forze dell’ordine che all’ intelligence francese. La sua giovane età, 24 anni, è un aspetto non secondario e particolarmente interessante, infatti, lo colloca all’interno di una “terza generazione” di mujahidin addestrati in Afghanistan.
Per comprendere il caso di Mohammed Merah è necessario compiere alcuni passi a ritroso, nella storia degli scorsi anni, attraverso un percorso complesso, di assoluto interesse.

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L’Iraq, dagli attentati alle nuove sfide regionali

Come sempre molto volentieri, ospito questo interessante contributo di Lorenzo Adorni. Buona lettura!

La Crisi Politica Interna

Nel dicembre scorso, a diversi anni di distanza dalla seconda invasione americana, l’Iraq è stato scosso da una lunga serie di attentati. Baghdad, a poche ore di distanza dal quasi definitivo ritiro delle truppe americane, è stata dilaniata da una serie di quindici attentati coordinati estremamente gravi e cruenti.
L’ instabilità politica dello stato iracheno, già notevolmente accresciuta, rischia di aggravarsi di fronte alla nuova fase di cambiamento, estremamente complessa, che sembra ora prospettarsi.
Il ritiro statunitense ha dato il definitivo via libera ad una serie di attori, che in maniera assolutamente conflittuale fra loro, mirano ad ottenere il controllo politico del paese.

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Dopo Bin Laden: che succede se….?

Vi diamo appuntamento a martedì per il commento dei risultati delle elezioni amministrative!

Cappuccino, brioche e intelligence n°28

La morte di Bin Laden è come quel colpi che mettono in moto tutte le bocce, facendole urtare fra di loro: occorre aspettare che i rimbalzi finiscano per poter capire, appunto “a bocce ferme”, cosa è successo.
Vediamo un po’ nel merito iniziando da Al Quaeda che, sembra, si stia dando un nuovo capo. Stando a quello che si legge in giro,  la scelta sarebbe  fra il “falco “ Al Zawahiri ed il “falchissimo” Abu Yahya Al Libi.
Il primo –egiziano- era il braccio destro di Osama, come si sa, ed era l’ideologo del gruppo. Il secondo  -libico- molto più giovane (48 anni) altro ideologo, reso famoso da una rocambolesca evasione dal carcere afghano di Bagram. Però non si sa se sia vivo ancora.

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La morte di Osama Bin Laden: perchè ora?

Cappuccino, brioche e intelligence n°27

Partiamo da questo assunto: Bin Laden era effettivamente un nemico degli Usa e non un “agente della Cia”, come molti sospettano. Diversamente non si spiegherebbe una guerra durata 10 anni: se  Osama era un agente americano, vuol dire che anche il Mullah Omar lo era, perchè sarebbe stato impensabile che uno ignorasse chi era l’altro. D’altra parte Al Quaeda ha combattuto in sintonia con i talebani. Ma, allora,  se gli americani avessero avuto dalla loro Osama e magari anche Omar, la guerra sarebbe durata molto meno, sarebbe costata meno morti e, cosa più importante per gli americani, meno dollari, perchè ci avrebbero pensato i loro agenti a portare al disastro la guerriglia afghana.
Dunque, era effettivamente un nemico, ma un “nemico funzionale”.

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La morte di Osama Bin Laden: le pentole, i coperchi e la nebbia di guerra.

Cappuccino, brioche e intelligence n°26

Le stravaganze della versione ufficiale sulla morte di BinLaden sono tali e tante da far dubitare che il morto sia effettivamente lui, ma anche che la Cia non sia più in grado di fare un’operazione decente (se l’aggettivo si può usare in un contesto di questo tipo).
Va bene: il delitto perfetto non esiste e il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, ma qui si esagera: possibile che non fosse possibile ricomporre il cadavere e fare una foto presentabile? E perchè tanta fretta di ucciderlo e disperdere il corpo in mare?  E poi tutte quelle versioni aggiustate, pasticciate, smentite, rabberciate!
Troppi errori in una volta sola.
A meno che il morto non sia lui e questa non sia una sceneggiata.

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Il bluff Obama

Il bluff Obama

E’ passato quasi un anno dall’insediamento di Obama alla Casa Bianca e, il meglio che si può dire a proposito è che è stato un anno senza infamia e senza lode. La riforma della sanità deve ancora passare e non sappiamo in che termini finali passerà. Il pantano irakeno è ancora là e si trascina stancamente; in Afghanistan si medita di rilanciare l’impegno militare per evitare di confessare il fallimento dell’intera operazione. La riconversione verde dell’economia per ora non è più di uno slogan accompagnato da qualche fumosa promessa in materia di emissioni e di impegno per il clima. Per il resto poco o nulla, salvo un incredibile “Premio Nobel alle intenzioni” che fa risaltare ancor più la mancanza di risultati concreti.

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Dopo l’Afghanistan: che ne facciamo del tricolore?

Dopo l’Afghanistan: che ne facciamo del tricolore?

Forse è il caso di discurtere su uno degli aspetti più delicati della nostra cultura politica: il problema dell’appartenenza nazionale.
Parecchie scuole hanno rifiutato di osservare il minuto di silenzio per i caduti motivando con il carattere rituale e retorico del gesto. La destra accusa chi si  dissocia dal lutto nazionale di “spirito antitaliano”.
Effettivamente, la dissociazione dall’omaggio ai caduti si può leggere in due modi: il dissenso verso la decisione di mandare nostre truppe in Afghanistan  oppure il rifiuto di qualsiasi senso di appartenenza nazionale. Non è un punto da poco e conviene discuterne.

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Sui sei parà della Folgore caduti in Afghanistan

Sui sei parà della Folgore caduti in Afghanistan.

Giovedì scorso, all’inizio della seduta del Consiglio di Facoltà, un rappresentante degli studenti, ha chiesto un minuto di silenzio per i sei parà della Folgore caduti in Afghanistan. Insieme a pochi altri colleghi, non mi sono alzato: la cosa mi sembrava falsa e rituale, anche se le intenzioni di chi l’aveva proposto e di chi vi partecipava erano probabilmente le migliori. Non mi piaceva.

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