Sulla sostenibilità del debito.
Il mio intervento sulla questione della solvibilità e sostenibilità del debito ha sollevato obiezioni che non intendo ignorare ed alle quali preferisco rispondere collettivamente. Mettiamo in chiaro una cosa che mi pare sia stata fraintesa: la mia citazione del libro di Rogoff e Rehinart non implica una mia accettazione né della loro impostazione né delle ricette che propongono.
Sono perfettamente a conoscenza delle obiezioni di metodo che sono state loro rivolte e gli errori che hanno riconosciuto, non è questo il punto. Tuttavia mi pare che i due siano stati sottoposti ad una critica eccessiva che va al di là del merito delle loro affermazioni. I due sono risultati rapidamente “Antipatici” tanto ai neo classici e neoliberisti (perché mettono in questione il dogma della “finanza infinita”) quanto ai keynesiani (per le loro ricette).
Io mi sono limitato ad una citazione rapidissima senza entrare nel merito delle critiche e delle risposte che avrebbero richiesto un saggio a parte. A me interessava solo estrarre un punto della loro opera: l’aver affermato che il rifinanziamento del debito non può essere infinito, ma c’è un punto di caduta oltre il quale il default diventa inevitabile. Poi possiamo discutere su quale sia questa soglia e come la si può stabilire, ma essa c’è. Per cui l’indicazione di Rogoff e Rehinart non va intesa in termini meccanici ed assoluti, ma assunta cum grano salis: quel 90% indica una sorta di medietà storica, dopo di che forse i calcoli si possono rivedere per scoprire che la soglia critica non è il 90% netto ma il 97,6% o quel che vi pare, ma credo che, ragionevolmente, possiamo assumere quella soglia come il dato medio approssimativo su cui ragionare.
In primo luogo cerchiamo di metterci d’accordo sul senso delle espressioni: ad esempio, cosa significa sostenibilità del debito e cosa esigibilità (o solvibilità, che è la stessa cosa a parti invertite) del debito.
Solvibilità significa (mi correggano i molti dotti intervenuti) che se io ho un debito, poniamo di 100.000 euro ed ho, o avrò i 100.000 euro necessari potrò rimborsarlo. Sostenibilità significa che, in attesa di avere la somma necessaria a soddisfare il debito, posso intanto pagarne regolarmente gli interessi, anche nel caso occorra rifinanziarlo a nuove condizioni. Questo in linea di massima.
In teoria il debito è rinnovabile all’infinito, sempre che si trovino creditori disposti ad acquistarlo e che si sia in grado di far fronte ai diversi tassi di ogni rifinanziamento. Ma c’è un limite oltre il quale gli interessi non sono più pagabili e, perciò stesso, prima ancora di raggiungere quel livello, c’è una soglia oltre la quale non è più possibile emettere nuovo titoli di debito, perché gli interessi aggiuntivi porterebbero al default.
Dunque, il default non è una libera scelta che si può evitare a piacimento e il debito non è espandibile ad libitum. Come per qualsiasi privato, il fallimento interviene forzatamente quando non ci sono i soldi per pagare gli interessi. E convinciamoci che non esiste il debito eterno che non si rimborsa mai, perché questo significa ballare sempre sull’orlo del fallimento e gravare i cittadini di una eterna tassa, quella degli interessi. Senza contare che, prima o poi, capita la pietra di inciampo che fa cadere nel burrone.
Obiezione: “ma uno Stato può riacquistare sul mercato le proprie emissioni per evitare il default”. Appunto: uno stato riacquista i suoi titoli sul mercato pagandoli alla scadenza e se vuol fare diminuire la massa debitoria, non rimpiazza i titoli estinti con nuove obbligazioni. Il problema è se non ha i soldi per farlo. In una certa misura ogni Stato ha una riserva di denaro (titoli di altri o liquidi) ma, ovviamente, la mantiene per particolari evenienze, mentre di solito ripiana il debito con l’avanzo primario (la cui esistenza qualcuno dei commenti crede di avermi rivelato: ne avevo già sentito parlare, vi assicuro). Quando questo avanzo primario manca, in attesa di aumentare le entrate o diminuire le uscite per ricavarne, allo Stato restano solo due strade: o emette nuovi titoli di debito o stampa moneta. Nel primo caso crescerà la massa del debito ed occorrerà mettere in conto i nuovi interessi da pagare ed abbiamo detto che, oltre un certo limite non si può andare; nel secondo la moneta si svaluterà attraverso il meccanismo dell’inflazione. E lì occorrerà vedere a quali condizioni si troveranno i rifinanziatori del debito precedente: chi acquista un titolo di Stato, di solito, è molto attento non al tasso nominale ma a quello reale che è dato (altra scoperta che qualche commento mi ha rivelato!) dalla differenza fra il tasso nominale e quello di inflazione. E se il sottoscrittore è straniero, baderà al tasso di cambio fra la moneta del titolo sottoscritto e la propria moneta.
Di solito, la politica seguita è quella di un mix più o meno accorto fra le diverse opzioni: in una certa misura, la svalutazione è funzionale a “sgonfiare” il debito accumulato, ed in effetti è quello che gli stati fanno normalmente, cercando di pagare il debito con la crescita del Pil (che comporta un aumento del gettito fiscale) ed erodendolo con un po’ di inflazione che produce interessi reali negativi. E’ ovvio, però che questo non può risolvere tutto, perché, oltre una certa soglia di inflazione il debito non sarebbe collocabile se non ad interessi altissimi (negli anni ottanta, su alcuni titoli lo stato italiano arrivava a pagare interessi salatissimi perché l’inflazione aveva superato il 20% annuo) che, a loro volta, alimentano il debito, provocano nuova emissione e, dunque, nuova inflazione. E’ storicamente dimostrato (il che non significa che in ogni caso sia così, ma che nella medietà dei casi lo è) che quando l’inflazione supera il 27-28% diventa non più governabile, entra in una spirale sempre più veloce, che conduce alla “morte della moneta” (vedi il caso di Weimar). In qualche caso, il modo per sgonfiare l’ “ascesso debitorio” è proprio quello di “far morire” la moneta in cui esso è stato emesso, per passare ad una nuova moneta di diverso valore (è quello che fece la Francia dopo la guerra d’Algeria, passando ai nuovi franchi).
Manovre in verità sempre un po’ rischiose perché non è dato sapere in anticipo quale sarà la reazione dei mercati finanziari.
Ovviamente, uno stato che abbia un debito prevalentemente interno (cioè collocato presso propri cittadini o soggetti economici di diritto interno) è in vantaggio su uno Stato che sia prevalentemente esposto verso soggetti internazionali (altri stati o banche centrali, banche straniere ecc.), perché può sempre contare su una maggiore disponibilità dei suoi creditori: il piccolo risparmiatore è meno incline ad investire fuori del proprio paese, sia per ragioni psicologiche e di conoscenza dei mercati, sia perché c’è sempre convenienza a sostenere la moneta del proprio paese ed il suo potere d’acquisto, dato che in questo modo si difendono sia i risparmi che i redditi ecc. In una certa misura questo è anche il comportamento delle banche nazionali, delle imprese, che hanno interesse a non pagare troppo sul mercato internazionale le merci loro necessarie ecc. e, dunque, accettano per qualche tempo anche interessi reali passivi. Peraltro, se si tratta di propri cittadini ed enti, lo Stato può sempre ricorrere al “prestito forzoso” o a imposizioni patrimoniali. Tutte cose che, invece, non sono possibili allo Stato che abbia preminentemente creditori “esteri”. E questo spiega il caso del Giappone (il cui debito, mi dice un interventore “spiritoso”, supera il 200% del Pil, credendo così di farmi chissà quale rivelazione) che infatti, ha un debito per oltre i tre quarti interno.
Peraltro, quello che conta è il debito netto non quello nominale: se uno Stato è debitore per X Miliardi di dollari, ma è creditore di X+1 Miliardi verso altri, al netto è un creditore di 1 miliardo, e se, invece, è creditore per X-1 miliardi vuol dire che debitore di 1 e non di X miliardi. E va detto, cosa che forse l’amico di cui prima ignora, che il Giappone è il secondo creditore mondiale degli Usa.
Il costo del denaro (gli interessi) è funzione del rischio: più un investimento è sicuro e meno interessi paga e vice versa, più è rischioso e più comporta interessi onerosi. Per calcolare il rischio c’è una funzione base: il rapporto fra debito e Pil (perché è ovvio che più alto è il pil, più è ricco il gettito fiscale e, dunque, maggiore è la probabilità che il debitore sia solvente). Ma questa è solo la base, non l’unico fattore di valutazione. Ad esempio conta anche il debito aggregato (Stato+imprese+famiglie) perché un elevato tasso di indebitamento delle famiglie e delle imprese implica una minore capacità di imposizione fiscale e più elevato rischio di default delle prime e delle seconde. Inoltre, se un paese è in una fase molto dinamica ed espansiva la sua credibilità è maggiore di quella di un paese stagnante, se un paese è una grande potenza militare ed ha un grande peso politico è ovvio che godrà di maggiore affidamento di un paese piccolo e marginale, se un paese è sostenuto, per motivi politici, da una grande potenza o una alleanza naturalmente ha più spazio di manovra, se, infine, un paese ha la possibilità di emettere moneta perché tutti gli altri la compreranno come moneta di scambio internazionale lo farà con più larghezza di ogni altro, perché gli effetti dell’inflazione si distribuiranno su tutti. Dunque, il costo del denaro per un singolo debitore è funzione di una molteplicità di fattori, ecco perché casi particolari come quelli di Usa, Uk o Giappone sono eccezioni che non fanno testo e, comunque, sono imparagonabili al caso greco che è quello di cui mi ero occupato.
Per di più, a calcolare la soglia di rischio sono le agenzie di rating che classificano il debito e non è un mistero per nessuno che, nella maggior parte dei casi, si tratta di associazioni a delinquere assai poco imparziali. Vi ricordate la tripla A assegnata alla Lemann Brothers sino a due settimane prima del crack?
Nel caso della Grecia ci troviamo di fronte ad un piccolo paese che:
a. ha scarso peso politico e con ben pochi alleati
b. non ha la possibilità di emettere mone
c. ha un asset limitatissimo da vendere
d. ha una economia in regresso ed allo stremo
e. con un livello di debito che supera largamente il 100% del Pil e che peggiora costantemente sia per effetto degli interessi che per il regresso del Pil
f. è trattato malissimo dalle agenzie di rating.
Tutto ciò premesso, mi sapete dire come un paese del genere può evitare il default? Si accettano suggerimenti dagli scienziati dell’ottimismo qui intervenuti. E dell’Italia parleremo.
Da ultimo, una cosa: alcuni (pochi) mi hanno obiettato scandalizzati dall’ipotesi di una confluenza con settori della destra antieuro (Fn, Lega, Ukip, mentre escludevo gli impresentabilissimi di Jobbik ed Alba dorata) adducendo l’insuperabilità delle barriere ideologiche. Scusate, ma vi siete accorti che Tsipras ha appena fatto un governo con un partito di destra “antieuropeista”? Se non sbaglio, i comunisti e gli azionisti convivevano nel Cln con monarchici e liberali. In Cina Mao concluse una alleanza con il Kmt contro i giapponesi. E, per venire a momenti meno drammatici, Pci e Psi condussero una battaglia contro la legge truffa convergendo con monarchici e fascisti nel 1953. In politica è abbastanza frequente concludere intese momentanee fra forze politiche anche ideologicamente molto distanti fra loro. Ovviamente l’intesa dura solo il tempo necessario ad affrontare il nemico comune e poi ciascuno per la sua strada. Non ho detto che Lega, Gue e M5s debbano sposarsi, ma solo votare insieme una mozione.
Aldo Giannuli
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Andrea T
Noto sempre un po’ di confusione del Prof. quando affronta certe materie .
Cominciamo a sgomberare il campo da alcune inesattezze.
1) L’idea che l’inflazione sia un fenomeno con cause MONETARIE è radicalmente sbagliata. Era un’idea ottocentesca (la teoria quantitativa della moneta) riportata in auge da Milton Friedman e co. e poi per certi versi sconfessata persino dallo stessi Friedman.
L’inflazione è un fenomeno con cause ECONOMICHE che si manifesta attraverso i prezzi. Semmai il rapporto di causalità tra il fenomeno monetario e quello inflattivo è, non dico inverso, ma certamente meno scontato rispetto a quello implicitamente suggerito in questo post: è possibile che la quantità di moneta in circolazione aumenti perché aumenta il livello dei prezzi e non il contrario.
L’inflazione non è altro che la condizione in cui la crescita del prodotto aggregato (reale) è vincolata dal lato dell’offerta o perché la capacità produttiva di un sistema economico è impiegata al massimo (ad esempio piena occupazione della forza lavoro) e la crescita della stessa capacità produttiva è relativamente più lenta rispetto alla crescita dei redditi nominali (quindi se aumenta il reddito monetario aggregato più rapidamente del prodotto aggregato reale il maggior reddito nominale si scaricherà sul livello dei prezzi) oppure perché aumentano i costi di produzione (ad esempio materie prime e semilavorati, il caso delle crisi petrolifere degli anni ’70).
2. Secondo punto (strettamente connesso al primo, dato che ne costituisce uno dei presupposti teorici) oggi le teorie economiche più avanzate riconoscono la NATURA ENDOGENA DELLA MONETA rispetto al sistema economico: la massa monetaria non è solo quella “stampata” dalla Banca Centrale: che poi sarebbe la “base monetaria”. La stragrande maggioranza della massa monetaria è composta da moneta bancaria (accrediti in conto corrente, depositi e altri strumenti del mercato monetario).
Dunque, lo Stato NON PUÒ controllare la quantità di moneta in circolazione perché essa dipende dalle scelte e dall’umore degli operatori creditizi (che, a loro volta, valuteranno il merito creditizio anche in ragione del ciclo economico: se devo fare credito ad un imprenditore in un momento in cui la domanda langue e anche altri imprenditori della stessa filiera, magari riforniti dal primo, sono a rischio insolvenza, forse ci penso due volte) La banca centrale può soltanto impostare il tasso d’interesse passivo base (cioè il costo-opportunità) del denaro prestato alle banche e quello dei depositi da queste detenuti presso la stessa. Peraltro non può nemmeno rifiutarsi di fornire liquidità alle banche (al tasso da essa fissato), pena il collasso del sistema dei pagamenti.
Ciò detto, la moneta che contribuisce a dare spinte inflattive non è la moneta “stampata” (che come visto, spesso, di stampato non ha proprio nulla se non magari gli estratti dei conti correnti su cui avvengono le movimentazioni bancarie con cui vengono regolate le transazioni, soprattutto quelle grosse) ma la moneta SPESA (nell’economia reale).
In un momento in cui il clima economico è negativo e tutti gli operatori economici tendono a risparmiare, a non investire e gli operatori di credito a contrarre i finanziamenti all’economia reale (condizione diametralmente opposta a quella che determina una accellerazione inflattiva), qual è l’unico operatore che può SPENDERE moneta per rilanciare l’economia? Ovviamente lo Stato, a deficit.
3. E qui veniamo al terzo punto. La dottrina della Banca Centrale “indipendente” – concepita dai friedmaniani in epoca di accelerazione inflattiva – tende proprio ad inibire la possibilità delli Stato di aumentare la spesa pubblica a deficit a costi di finanziamento contenuti (per ragioni ideologiche: nella visione Hayekiana l’intervento dello Stato è sempre una cosa negativa, limitativa della libertà economica, e in quanto tale da imbrigliare).
In Italia questo disegno di “disciplina dello Stato”, costretto ad indebitarsi solo sui “mercati”, al tasso d’interesse stabilito da questi ultimi, è stato realizzato nel 1981 con il “divorzio” della Banca d’Italia dal Tesoro.
PER QUESTO MOTIVO gli interessi sul debito negli anni ’80 sono arrivati alle soglie siderali che il Prof. citava e il debito pubblico è raddoppiato negli anni ’80.
Mauro
Gentile Andrea T,
in fondo al punto 2 Lei afferma “…qual è l’unico operatore che può SPENDERE moneta per rilanciare l’economia? Ovviamente lo Stato, a deficit”.
Questa posizione è condivisibile a patto di escludere la massa dei disoccupati dal novero degli operatori.
Se al contrario si introducono strumenti legislativi alternativi, come per esempio l’applicazione di un’aliquota progressiva sui contributi che penalizzi le ore di “straordinario” (in Grecia oggi potremmo forse definire tali quelle dalla 26esima in su, in Italia dalla 32esima), il ricavato potrebbe essere devoluto ad incentivare nuove assunzioni a orario inferiore, dando precedenza a quelle derivanti da una chiamata non fittizia tramite ufficio di collocamento. Ogni distretto avrebbe la sua propria progressione di aliquote, rispettivamente per penali e incentivi, calcolata sulla base dello scarto tra la disoccupazione “frizionale” e quella localmente verificatasi e perdurante per un certo numero di mesi, in modo da consentire precise previsioni alle imprese sulla ripidità futura della stessa progressione. Con una certa periodicità i datori potrebbero comunque avvalersi unilateralmente di riduzioni di orario sui contratti penalizzati in essere. Davanti alla legge ogni pagamento in contanti della retribuzione dovrebbe ritenersi come mai effettuato e quindi non estintivo del debito verso il lavoratore, che lo potrebbe comunque ripetere. Ciò al fine di evitare assunzioni fasulle, atte ad eludere la progressione di aliquota sugli “straordinari” dei lavoratori effettivi.
Il risultato sarebbe una maggiore propensione al consumo dei nuovi piccoli stipendi, che, senza un centesimo di spesa pubblica a deficit, darebbe fiato alle imprese, e quindi di rimando anche ai salari (“hai aumentato le vendite, dunque se continui a non pagarmi, vado subito al collocamento del mio territorio a cercarmi un altro datore”), come pure, per contro, alla produttività (“se mi rendi più delle penali contributive che mi costi, ti concedo di lavorare più ore”). La risultante delle due spinte potrebbe essere o una maggiore inflazione, e quindi un peggioramento del saldo commerciale con l’estero, oppure un’inflazione inferiore a quella tedesca, magari inferiore allo zero (deflazione), ma senza disoccupazione e senza posticipo nelle decisioni di investimento, perché la domanda aggregata comunque crescerebbe in termini reali e gli operatori se ne accorgerebbero subito. Si può propendere più per il secondo scenario, a condizione che a questo strumento si accompagnino altre tre riforme, peraltro necessarie al suo buon funzionamento (eliminazione del lavoro nero senza ricorrere ad un esercito di controllori ma adottando sistemi molto più efficienti, corto-circuitazione del risparmio delle famiglie alle imprese tramite prestiti interpersonali registrati presso l’ente previdenziale, ecc., ecc.).
Purtroppo lo scibile di politica economica cui siamo abituati dai “Master of Universe”, che regnano sovrani anche nelle università di mezzo mondo, scusi il gioco di parole, è piuttosto limitato, per ragioni che lascio a Lei intendere …
Pierluigi
Caro Aldo,
a me sembra più opportuno valutare la sostenibilità del debito pubblico in termini sociali.
Mi spiego: nel 2010, su un debito di 1.851,26 miliardi, gli interessi passivi sono ammontati a 71,15 miliardi, pari al 4,6% del Pil. Nel 2013 la cifra è salita a 82,04 miliardi (5,3% del Pil), su un debito cresciuto però a 2.069,21 miliardi. Il record è stato registrato nel 2012, con 86,47 miliardi di interessi (5,5% del Pil).
Conseguentemente il costo del debito opera una redistribuzione delle risorse nella migliore delle ipotesi a favore di quella parte della popolazione che può permettersi di investire, nella peggiore nei confronti degli investitori stranieri. Tale redistribuzione diventa insostenibile nel momento in cui si traduce in una riduzione della spesa pubblica per investimenti, istruzione, ricerca.
In ogni caso il post mi sembra apprezzabile laddove sostieni che il costo del denaro e, quindi il costo del debito pubblico, è funzione di una molteplicità di fattori.
Mi sembra infatti manicheo, prima ancora che contraddittorio, affermare che l’idea che l’inflazione possa avere cause monetarie sia radicalmente sbagliata.
E’ evidente che la quantità di moneta in circolazione dipenda dalle scelte degli operatori creditizi e, tuttavia, una banca centrale può sicuramente influenzare tali scelte riducendo il tasso d’interesse passivo base (cioè il costo-opportunità) del denaro prestato alle banche e quello dei depositi da queste detenuti presso la stessa.
Ed è altrettanto evidente la correlazione tra gli interessi corrisposti sul debito pubblico e quelli richiesti sul debito privato: se entrambi vengono ridotti ai minimi storici anche i privati troveranno nuovamente interessante investire nell’economia reale.
Aldo Giannuli
figurati se non sono d’accordo
paola sala
vabbe’ ma dopo sto ‘papier’ quale e’ la soluzione? o era solo un esercizio di polemica nei confronti del Prof Giannuli? mi sembra di non aver rilevato una sola risposta ai quesiti o volevi solo mostrare le tue conoscenze, peraltro scontate, di economia? Il mio vecchio Professore Caravale lo faceva tanto bene……….
Anna
Cara Paola mi hai totlto le parole dalla bocca anzi dalla tastiera!
Credo sia chiaro a tutti che i blasonati economisti con le loro teorie hanno toppato alla grande (non so se per stupidità delle teorie o per malafede dei soggetti, ma credo entrambe). Cercano di rimbambirci con la loro scienza e con i loro ragionamenti solo per confonderci e dimostrare a noi poveri mortali che siamo degli stupidi e che questo sistema ha un senso, mentre ormai mi sembra chiaro che è proprio questo sistema capitalistico che è sbagliato ed insostenibile e dannoso per lo stesso capitalismo.
Quindi egregi scienziati, ora che avete disquisito con le vostre teorie da economisti , potete in parole semplici in modo che anche noi comuni mortali possiamo capire, rispondere al prof. Giannuli alla domanda posta, ovvero
“mi sapete dire come un paese del genere può evitare il default?”
Roberto B.
Aspettarsi delle semplici risposte a semplici domande da queste persone, è da ingenui.
Suggerisco (anche per sdrammatizzare un po’), di rivedere un vecchio filmato reperibile anche su YouTube: “Petrolini medico per forza”. Oltre a farsi quattro sane risate, si puo’ meglio comprendere il credito da dare a questi “Dotti Cerusici”, che tutto sanno dire e spiegare, con grandi discorsi infarciti di parole astruse, intanto che il malato se ne va al creatore.
E alla fine la colpa è del malato, perchè si è ostinato a morire nonostante tutto quello che il grande medico gli aveva spiegato.
ugo
Evitare il default?
Un paese sovrano che abbia e controlli una BANCA CENTRALE non può fare default perchè può produrre dal nulla qualsiasi quantità di moneta sia necessaria (moneta fiat) alle sue esigenze.
Gli interessi sul debito pubblico vengono decisi a tavolino dalla banca centrale in accordo col tesoro, non dal “mercato”.
Esattamente quello che ci è mancato dal 1981 a causa del divorzio fra tesoro e banca d’Italia voluto da Andreatta e Ciampi:
http://keynesblog.com/2012/08/31/le-vere-cause-del-debito-pubblico-italiano/
Per favore adesso non dite che questo creerebbe inflazione perchè l’inflazione non dipende se non in minima parte dalla produzione di moneta. Una semplice dimostrazione:
1) ci sono 10 euro in tutto: Tizio ne ha 1, Caio 1 e Sempronio 8 -> poiché la maggior parte della gente ha pochi soldi da spendere ci sarà poca richiesta nel mercato e i prezzi tenderanno a calare (deflazione)
2) ci sono 9 euro in tutto: Tizio ne ha 3, Caio 3 e Sempronio 3 -> poiché tutti possono spendere ci sarà più richiesta nel mercato per cui i prezzi tenderanno a salire (inflazione) anche se la massa monetaria totale è minore di prima (9 al posto di 10).
La dimostrazione empirica (pratica) di questo è la curva di Philips che dimostra una relazione diretta fra inflazione ed occupazione.
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/e/e3/NAIRU-SR-and-LR.svg/469px-NAIRU-SR-and-LR.svg.png
L’unica eccezione alla curva di Philips avvenne negli anni ’70 col drastico aumento dei prezzi del petrolio. La vera genialità di Milton Friedman non sta nell’aver ideato la teoria economica monetarista, sta piuttosto nell’essere riuscito a far credere che un’eccezione alla curva di Philips fosse la regola.
Tuttora con la manovra della BCE che sta immettendo liquidità comprando i titoli di Stato in possesso alle BANCHE ci si aspettatterebbe inflazione che invece non c’è e non ci sarà mai almeno finchè non vedremo quei soldi comparire nelle nostre tasce sotto forma di STIPENDI non sotto forma di prestiti ad interesse che inevitabilmente aumenteranno il debito privato complessivo.
Andrea T
Ok. Rileggendomi riconosco di essere stato (forse inutilmente) lungo, poco chiaro nelle conclusioni e di essere apparso sterilmente polemico nei confronti del Prof. Giannuli (che in questi anni mi ha spesso illuminato con le sue analisi).
Me ne scuso.
Non era questo il mio intento.
Purtroppo non è facile entrare nel merito e argomentare in maniera estensiva con un commento, per esprimere chiaramente le critiche ad un ragionamento articolato, che sono altrettanto articolate.
Il punto è che mi pare che l’analisi del prof. Giannuli (così come le precedenti sul tema) sia viziata dall’adozione di diversi “mattoncini” teorici che non sono altro che pietre miliari della teoria economica friedmaniana. E questo, in un pensatore come Giannuli, mi sorprende e mi indigna.
Tra le tante inesattezze che ho letto ne cito una particolarmente rappresentativa: “come per qualsiasi privato, il fallimento [dello Stato] interviene forzatamente quando non ci sono i soldi per pagare gli interessi”. Questa assimilazione dello Stato al privato è il più diffuso e velenoso rigurgito delle teorie economiche che hanno aperto la strada e giustificato il neoliberismo (detestato da me come dal Prof. Giannuli, che io sappia) e la redistribuzione della ricchezza dal basso verso l’alto.
Tutto qui.
Soltanto un invito ad approfondire alcune questioni che nella teoria economomica contemporanea sono, se non già sconfessate (magari dagli stessi autori, ex post, oltre che dai dati), quantomeno messe in discussione.
Detto questo vorrei chiudere dicendo alle persone di sinistra che non masticano molta economia (è questo a me pare un paradosso perché, come mi ha insegnato Aldo Giannuli, la critica dell’economia politica un tempo era il principale strumento analitico della sinistra) o che diffidano degli economisti (tutti) una cosa che ritengo molto importante capire, decisiva nel dibattito contemporaneo :
la SCIENZA economica esiste. I fatti economici sono misurabili e regolarmente registrati. Sbaglia chi pensa che un economista sia un chiaroveggente (uno che deve “prevedere”) L’economista legge i dati del passato e interpreta le relazioni sottostanti.
Questa interpretazione dei fatti economici non è universalmente condivisa e la TEORIA economica è fortemente divisa tra diverse scuole (che – si badi bene – non giocano ad armi pari, perché alcune sono copiosamente finanziate e diffuse con effetto lavaggio del cervello attraverso i media di massa). Questo accade – e occorre capirlo – perché l’economia è una scienza POLITICA. Attualmente nel dibattito pubblico passa l’idea che ci siano delle ricette di politica economica OBBLIGATE e universalmente condivise da tutti gli economisti: ricette “tecniche”.
QUESTO NON È VERO.
ESISTONO FIOR DI ECONOMISTI (anche con premi nobel) che hanno spiegato e continuano a spiegare che stiamo andando a sbattere.
Allora, se interessa capire qualcosa, la soluzione non è chiudersi a riccio contro tutti gli economisti (a prescindere) e le scuole di pensiero economico. Al contrario bisogna approfondire e scardinare diversi luoghi comuni “di destra” che sono fortemente radicati in tantissime persone “di sinistra” (e parlo per esperienza personale).
Aldo Giannuli
fiedmaniano a me?! Mha, mi sa che non ci capiamo probabilmente perchè non sono chiaro…
Andrea T
La seguo da tempo e so benissimo che lei non è friedmaniano.
Quello che evidenzio è che – ciononostante – le sue analisi mi sembrano (ma magari sbaglio io) scontare inconsapevolmente dei tasselli teorici che sono retaggio di quelle teorie (o consimili). Ed è proprio questo il problema che intendevo sollevare!
Per questo invito lei e tutti i lettori ad approfondire per riconsiderare questi tasselli (come è capitato a me).
Che ne dice ad esempio dell’assimilazione dello Stato ai privati (che è veramente diffusa a sinistra, non solo tra l’elettore medio, e deleteria proprio perché impedisce ai più di comprendere quale politica economica andrebbe invocata)?
Potrei farle anche un altro esempio.
Quando lei parla del (falso, secondo me) problema di”ripagare” il debito pubblico sbaglia di grosso. Pone proprio la questione in maniera sbagliata dal punto di vista concettuale, perché non è mai accaduto e né mai accadrà che il debito di un Stato sia totalmente ripagato. A ben vedere questo non interessa NEMMENO AI CREDITORI (che se hanno della liquidità in surplus evidentemente hanno anche la necessità di investirla in qualche modo e se hanno scelto l’emittente sovrano avranno avuto i loro buoni motivi, ad esempio per il basso rischio, in teoria – se l’emittente batte la moneta nella quale si indebita – praticamente nullo). L’importante, per qualunque debitore, è che si trovi su una traiettoria che lo rende solvibile agli occhi dei creditori per tutte le future scadenze. Per questo, quando si parla di “soglie” del debito, in una visione statica, si è completamente fuori strada. Se io oggi percepisco un reddito di 500 euro e contraggo un debito di 5000 euro secondo quale “soglia” dovrei essere considerato solvente o insolvente? Come è facile dimostrare, non ha alcun senso porre la questione in questi termini: infatti, nel caso in cui io già sapessi che domani potrò esigere un credito di 50000 euro, con tutta evidenza potrei essere considerato un debitore solvibilissimo perchè già da domani – senza nemmeno prendere in considerazione la struttura delle scadenze del debito – sarei in grado di saldarlo in una sola tranche senza particolare sforzo patrimoniale; nel caso in cui, invece, io sapessi che oggi è il mio ultimo giorno di lavoro e che da domani sarò a spasso (e quindi non avrei più alcun reddito) evidentemente potrei già considerarmi virtualmente insolvente. Non so se così sono più chiare le ragioni per cui – al di là dell’errore materiale di calcolo – il paper di Rogoff è spazzatura.
E tenga presente, tanto per restare in tema, che le ho fatto l’esempio di un DEBITORE PRIVATO. Giusto per aggiungere altra carne al fuoco, diciamo anche che mentre per debitore privato variabili come l’inflazione e il reddito (che influiscono sulla sua solvibilità) possono considerarsivariabili esogene (cioè date), per il debitore statuale, che manovra (o dovrebbe essere in grado di manovrare) le leve della politica economica, il reddito (che per lo Stato è il gettito fiscale) e l’inflazione sono sempre (almeno parzialmente) condizionabili.
Dal punto di vista della finanza pubblica, poi lo stock di debito va considerato come un polmone che si può espandere o contrarre a seconda delle esigenze di politica economica.
E attenzione: non sto dicendo che lo Stato sovrano (quello che batte la moneta in cui si indebita) non abbia vincoli di politica economica. Ci ritorno meglio sotto rispondendo alle sue due domande.
Aldo Giannuli
capiamoci: ovviamente penso che l’assimilazione dello stato ad una famiglia sia una sciocchezza. Poi io non dico che sia necessario ripagare tutto il debito pubblico, ma che oltre una certa soglia è bene rimborsare la parte eccedente, sia per evitare un trasferimento di ricchezze dai contrinuenti ai creditori, sia perchè se pompi troppa liquidità nelle casse dello Stato, poi ce n’è poca per finanziare l’economia reale.
Ok sulla distinzione fra debitori interni e debitori esteri, ma se la moneta non è quella nazionale ma, in qualche modo, è una sorta di moneta estera per tutti i partecipanti alla moneta “comune” ikl discorso si complica maledettamente
leprechaun
CCompletamente (ed ovviamente) d’accordo con le osservazioni di Andrea T.
Aggiungo solo una nota sull’inflazione. L’inflazione è un indicatore, non un fenomeno. I fenomeni sottostanti al fatto che quell’indicatore sale (supponiamo) sono tanti e diversi. Un’iniezione di liquidità nel sistema può alimentare una velocità di crescita del prezzi, ma solo se si trasforma in una velocità di crescita della domanda (superiore alla velocità di crescita dell’offerta), ma che questo avvenga non è obbligatorio, dipende dalle condizioni generali dell’economia.
Tuttavia lo Stato (quando lo è, cioè non come accade nell’eurozona) può “stampare moneta” (anche se non ne ha il “monopolio”) e quindi può pagare il suo debito o meglio gli interessi del suo debito in questo modo. Se questo produca o meno inflazione, dipende. Di questi tempi, produrre inflazione è durissima, come vediamo.
La questione della “sostenibilità” del debito pubblico è semplicemente insensata. Anzitutto il debito pubblico, per un paese, è debito solo nella componente estera, pe la contradizion che nol consente (un debito è qualcosa che si deve ad un altro, non a sé stessi). Il Giappone è al 320% e paga meno interessi della Svizzera, e il suo debito è tutto interno, cioè non è debito del Giappone, ma solo del suo Stato verso alcuni Giapponesi (aziende e banche, prevalentemente).
Secondo, nessun debito, in linea di principio, può essere “ripagato”. Neanche quello privato. Se uno ha i soldi, cosa li chiede in prestito a fare? Il problema del creditore – che se sano di mente non vuole che il debito gli venga restituito, perché vive della vendita di credito, e non s’è mai visto nessuno che voglia perdere clienti – è la capacità di pagare gli interessi, e il fatto che il debitore non faccia default (fallimento), perché in tal caso il creditore accuserebbe una perdita su tutto o parte di quel credito.
Un debitore è quindi solvibile se la sua economia va bene, per dirla breve. E’ un problema se la sua economia va male. Ed è un bene se la sua economia va bene e se resta un debitore in eterno.
Il paper di Reinarth e Rogoff va gettato nel gabinetto, e senza previamente usarlo a nessuno scopo. Primo: perché una correlazione non fa nesso causale (e, viceversa, una non correlazione non fa assenza di nessi causali). Secondo, perché quella correlazione, a conti rifatti, non c’è. E, motivo n° zero, che quei conti non funzionassero l’avevano già detto, con un paper su Vox dove quegli stessi conti erano fatti con una metodica un tantino più corretta e meno pedestre, Panizza e Presbitero qualche settimana dopo l’uscita del lavoro in questione. Quel paper è solo frutto di Stampa&Propaganda. Nessuno sa dire quale sia il livello di debito pubblico oltre il quale diventa “insostenibile” per il semplice motivo che la domanda è sbagliata. E le risposte a domande sbagliate non sono sbagliate: non hanno senso.
leopoldo
leprechaun quindi come è la sequenza delle domande?
Poi come mai sembra che ai politici e agli economisti non interessi che la gente possa spendere denaro, per cui introducono liquidità (qe) ma non arriva ai salari [in un certo senso direi che manca di forma (h/lavoro) o prende una forma che io non conosco ]?
leprechaun
La domanda che bisogna farsi è se l’economia di un paese sta funzionando o meno.
E non si tratta solo di crescita del PIL. Questo può crescere grazie all’accumulo di debito privato verso l’estero (ivi inclusi gli investimenti esteri, che sono debiti) in maniera distorta. E’ stato il caso durante la stagione dell’euro prima della crisi di Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia, che tutte hanno conosciuto ad esempio bolle immobiliari provocate dal credito facile proveniente dall’estero (Banche tedesche e Francesi soprattutto).
A me ad esempio è venuto un colpo quando ho saputo, avendola conosciuta prima dell’euro, che a Salonicco i prezzi delle case avevano superato quelli di Milano. E’ chiaro che era una “crescita drogata”. Dalla quale si poteva uscire gradualmente, certo, ma ad opera di chi? Non certo dei direttori di Banca, che non sono uomini di Stato ma uscieri al servizio degli azionisti, e devono prestare danaro (che è il mestiere delle banche) e farci soldi. La moneta unica ha creato le condizioni per questo disastro.
Bisogna sempre ricordare che nel mondo il debito privato supera di ordini di grandezza quello pubblico.
E la fonte dei problemi, salvo rarissime eccezioni, è lì.
Quanto a economisti e politici, gli economisti con il sale nella zucca sanno benissimo che i soldi se non finiscono nelle tasche dei consumatori, cioè non fanno “domanda”, si arenano nel circuito debito-credito (privato) per così dire, non sbloccano la stagnazione. Poi è vero che ci sono i matti e gli svitati, quelli delle “politiche dell’offerta”. Il problema che abbiamo, che si chiama “trappola della liquidità”, è che nessuno sa come far arrivare soldi alla domanda. Non resta quindi che la spesa pubblica (stimolo di bilancio). Ma vallo a dire agli ordoliberali – quelli che fanno parte dei matti e degli svitati – che ragionano come neanche il mio salumaio.
O a volte fanno finta per non pagare dazio.
leopoldo
“se l’economia di un paese sta funzionando” ? Sarò un sofista ma l’economia funziona sempre, anche quando alcune migliaia si suicidano, alcune decine migliaia muoiono per disagi e milioni sono buttati per strada senza lavoro. Non mi sembra che l’economia si pone la sostenibilità dell’esistenza di tutti componenti della società, ma solo di coloro che interagiscono in essa. Poi per te sarà ovvio che una economia espansiva tende ad assorbire gli esclusi, mentre una economia regressiva tende a espellere coloro che ritiene inefficienti [ su questo inefficienti si apre un mondo, prima o poi né parleremo, tra cui il senso di colpa e giustificazioni discriminatorie]. Una mistificazione è spacciare una economia regressiva per espansiva, che è evidente che tu non sostieni, un’altra mistificazione è sostenere parametri regressivi come elementi di mancato funzionamento.
Dopo di ché, che le nostre aspettative e desideri non coincidano con gli effetti di una politica economica è il trauma sociale che stiamo vivendo, dove la capacità politica delle classi disagiate non riesce a intervenire.
(-: )-:
paola sala
non ho letto il paper a cui si fa riferimento, ma ho letto il libro seguente di Reinhart e Rogoff, ‘this time is different’ mi sembra di ricordare fosse uno studio piuttosto dettagliato sui vari defaults avvenuti nei secoli da parte di molti stati, compresi quelli europei, in diversi secoli. D’accordo, non e’ sicuramente possibile sostenere che un debito pubblico oltre una certa percentuale determini automaticamente il default da parte di uno stato, ma l’economia, a differenza della fisica e della chimica, NON e’ una scienza esatta (fatevene una ragione amici economisti). Si puo’ solo ipotizzare un’ eventuialita’ di default basata su precedenti e, secondo gli economisti citati, questa possibilita’ appare sempre piu’ concreta quando il debito raggiunge un certo livello, chiedo scusa al professor Giannuli se ripeto verbatim quello che lei ha gia’ scritto, ma sembra che gli economisti che frequentano questo blog non amino leggere quello che lei scrive ma amino molto pontificare. La questione rimane, quali strade puo’ la Grecia intraprendere affinche’ la popolazione, gia’ estremamente provata dalle ricette fallimentari, possa uscire da questa impasse senza ritrovarsi con milioni di persone in mezzo ad una strada? Agli scienziati della politica non interessano i laboratori pseudo scientifici degli economisti, ma cerchiamo di trovare una soluzione politica ai problemi reali delle persone
Paolo Federico
A Paola Sala
I suoi commenti” mettono il dito nella piaga”!
Tutto questo bailamme teorico dove viene affermato tutto e il contrario di tutto senza che si riesca a dare una risposta ad una banalissima sensata domanda.
Per quanto mi riguarda è proprio questa la demonìa del denaro, questo far credere che in definitiva con esso tutto sia possibile, debito infinito crescita infinita consumo infinito opulenza infinita ricchezza infinita.
L’unica cosa sensata e solo apparentemente banale su questo argomento l’ho sentita da Tenerone Dolcissimo “non ci sono pasti gratis in economia”, se consumi un pasto devi pagarlo, se non lo fai lo dovrà pagarlo qualcun’altro.
Junius
“cerchiamo di trovare una soluzione politica ai problemi reali delle persone”
Bell’affermazione da intervista livorosa alla Santoro: se non apri un libro senza figure neanche a pagamento è difficile che soluzioni politiche che ti vengono proposte… tu le possa non solo capire… ma neanche identificare… come soluzioni politiche!
Poi la perla dell’altro:
“non ci sono pasti gratis”
Qesto è lo slogan neoliberista per eccellenza: proprio rivolto contro lo la fiscalità ridistributiva lo stato sociale.
Continuate a rimpallarvi cazzate qualunquiste e a quotarvi nella fiera della dabbenaggine.
Complimenti.
paola sala
Junius io Santoro non lo guardo da tempo, spero di avere cose piu’ interessanti da fare e non sono affatto livorosa, anzi, piu’ che altro cerco di capire se qui si cerca di fare polemica fine a se’ stessa, dove tutti cercano di mettere in mostra le propie conoscenze economiche (allora vi avverto subito mi astengo perche’, leggasi sopra, spero di avere cose piu’ interessanti da fare come pulire la verdura o fare il cambio di stagione) oppure si sta cercando di aprire una discussione che permetta di capire se esistono soluzioni a problemi concreti. Quando vedo che nel cuore dell’Europa ci sono bambini ai quali non viene garantito almeno un pasto caldo perche’ glielo ha chiesto la Troika non mi interessa se Tizio o Caio ha detto delle imprecisioni riguardo le variabili che possono aumentare l’inflazione, il problema e’ reale erichiede scelte politiche, non solo modelli economici. non e’ mia abitudine citare canzoni soprattutto durante discussioni serie ma mi vieni in mente un pezzo dei manic street preacher che si adatta mlto bene…. if you tolerate this then your children will be next, e spero non siano i mei figli a dover pagare le conseguenze di tutto cio’
Paolo Federico
A Junius
Mi dispiace ma il livoroso sei tu. Non mi sognerei neanche di dare dell’ignorante ad una persona solo perché si permette di esprimere una opinione diversa dalla mia.
Al contrario i blog su internet sono pieni di persone come te che ostentano conoscenze relative alle scienze economiche che però, dette scienze, mai, ma proprio mai ci hanno messo al riparo da catastrofi. Se nelle nazioni che menzionate, dove si applicano correttamente le equazioni che proponete, sono proprio quelle neoliberiste, vuol dire che in Italia non si sta applicando il neo liberismo ma altro e se nelle nazioni che applicano correttamente i vostri dettami l’economia va bene ma la popolazione, se non peggio, non sta certamente meglio di quella italiana, allora anche ciò che predicate non è la soluzione, quindi la confusione aumenta.
So già che mi risponderai che sono un somaro, pazienza, ma il sospetto che siate proprio voi a ingenerare confusione è forte e non sto assolutamente dicendo che diciate cose errate.
Junius
“if you tolerate this then your children will be next”: avrei preferito che citassi Brecht a tema.
Comunque: visto che qui siamo proprio a tabula rasa, inizia a difendere la tua famiglia acquistando sto libro, è di un maledetto narcisista, ma è un economista esperto proprio in economia internazionale e IN SOSTENIBILITÀ DEI DEBITI PUBBLICI: “L’Italia può farcela”.
Poiché sono almeno quattro anni che non secca un’analisi NON SOLO DI POLITICA ECONOMICA, oltre a capire un po’ più di macroeconomia, ti troverai delle armi utili per capire la politica… che è dannatamente complessa.
Un caro saluto.
Paolo Federico
Siete convinti di possedere la verità, come i sacerdoti nel tempio conoscono la complessità dei riti che soli possono evocare il dio. Ma il denaro si fa beffe di noi e il primo strozzino imbroglione che passa trova sempre il modo di essere favorito da questo demone.
Lo strumento creato dall’uomo per l’uomo ora lo sovrasta lo domina e lo condiziona assumendo una vita propria e anche tu Junius sei in ginocchio davanti a lui e non te ne accorgi. Un caro e sincero saluto anche a te.
Mauro Poggi
Concordo ovviamente, con Andrea T e Leprechaun.
Caro professore, apprezzo le sue analisi storico-politiche, un po’ meno quello economico-finanziarie.
Con riferimento al 3° punto di Andrea T. aggiungerei che con il divorzio Bankitalia, dietro la giustificazione ideologica della “Banca centrale indipendente” per costringere lo stato alla morigeratezza, si è portato a termine una gigantesca redistribuzione della ricchezza dall’economia reale alle rendite finanziarie.
I più o meno 25 anni di avanzo primario sono infatti serviti non a diminuire il debito ma a pagare parte degli interessi, mentre la quota di interessi che l’avanzo non copriva ha dovuto essere pagato con ulteriore indebitamento.
Mi pare di ricordare un’interessante tabella sul blog di Leprechaun, qualche anno fa, che ne illustrava chiaramente la dinamica.
L’attuale situazione dipende da una precisa scelta politica, come del resto si evince dalle parole di Andreatta in un’intervista che risale a 10 anni dopo il “divorzio”: “Naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi di interesse positivi in termini reali [fino al 1981 erano stati sostanzialmente negativi in termini reali] si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l’escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale. Da quel momento in avanti la vita del ministri del Tesoro si era fatta più difficile e a ogni asta il loro operato era sottoposto al giudizio del mercato”.
(Un’interpretazione del concetto di democrazia piuttosto singolare – i mercati che giudicano al posto degli elettori – ma che a quanto pare, nell’Europa dell’euro, è diventato l’unico criterio ammesso).
Mi permetto di segnalarle questo articolo di Adair Turner, che molti indicano come prossimo governatore della BoE. Ovviamente Turner non si riferisce all’assurda situazione dell’eurozona, dove gli stati NON hanno sovranità monetaria e devono usare una moneta a tutti gli effetti STRANIERA, per di più con l’obbligo di procurarsela sui mercati:
http://www.project-syndicate.org/commentary/adair-turner-says-that-some-central-banks–particularly-japan-s–will-never-shrink-their-balance-sheets
Paolo Federico
Signor Mauro Poggi, non sono un esperto e pertanto le mie domande potranno apparirle ingenue.
Premesso che quanto lei afferma è assolutamente convincente e l’ho sentito esposto più volte da delle autorità in materia, lei potrebbe affermare che negli Stati Uniti la situazione della distribuzione della ricchezza sia decisamente migliore che in Italia?
Che le politiche monetarie a sostegno dell’economia abbiano una ricaduta concreta sul reale benessere della popolazione?
Junius
Caro Professore, ovviamente sono assolutamente in linea con Andrea T, Leprechaun e Mauro Poggi.
“In teoria il debito è rinnovabile all’infinito, sempre che si trovino creditori disposti ad acquistarlo e che si sia in grado di far fronte ai diversi tassi di ogni rifinanziamento.”
Ma il problema non è mai il “debito” in senso assoluto: se venisse ripagato il debito non ci sarebbe neanche più credito…. non ci sarebbero più mezzi di pagamento!
Gli interessi di qualsiasi stock di debito sono rimborsabili se il flusso di reddito del creditore lo permette: nel caso degli Stati nazionali fondamentale è la crescita del PIL
Uno Stato sovrano, con una Banca Centrale che faccia da tesoriere emette per definizione titoli a rischio nullo. Zero. Ovvero lo Stato, in condizioni di piena “sovranità” NON PUÒ FALLIRE: questa è politica economica del primo anno di economia.
Quindi se l’investimento azionario è il più rischioso, l’obbligazionario una via di mezzo, l’acquisto di titoli di stato è l’investimento sicuro (convenzionalmente definito a rischio nullo) del cittadino-lavoratore-risparmiatore.
Risparmio tutelato dall’art. 47 Cost.
Stiamo parlando di lotta di classe, e divulgare la dinformatja di chi gioca dal lato del capitale è deleterio… basta leggere i commenti di Paola, Laura e Roberto.
Il marxismo è vivo nella scuola post-keynesiana: che senso ha divulgare la propaganda di quei cialtroni del Washington Consensus? Quelli (come Grillo) dello Stato “che deve essere come una famiglia”, che non si indebita….
Poi arriva Casaleggio e lo pubblica su beppegrillo.it e migliaia (milioni!) di persone che dopo 8 anni di crisi continuano a non capire che a livello MACRO debito e credito è una partita di giro salvo l’eventuale deficit/surplus con l’estero a causa degli squilibri della BdP.
Squilibri che dentro l’euro sono incorreggibili se non con la compressione dei salari e la relativa distruzione della classe lavoratrice e, in definitiva, portando l’attacco finale all’art.1 Cost.
Roberto B.
Si riveda Petrolini, se ha un minimo di senso del ridicolo.
E comunque, si conferma l’assunto: tutti grandi economisti che spiegano, disquisiscono, puntualizzano e, sopratutto, sgomitano tra loro per mettersi in luce, ma nessuno che risponda a tono alle domande scomode.
Ognuno dice la sua, illustra le teorie (elaborate da altri), di cui è sostenitore, nessuno capisce dove vogliono parare: solo una cosa è chiara, sembrano l’uno contro l’altro armati ma, dopo essersele date di santa ragione, si salutano soddisfatti con grandi manate sulle spalle.
Aldo Giannuli
Risposta a junius, Andrea T e Leprechaun
che non apprezziate i miei interventi in tema di economia è vostrp pieno diritto, anche se mi fate dire cose che non ho detto e scrivete cose che mi fanno capire che leggete quello che volete leggere e non quello che c’è scritto(ad esempio mi pare di avere ben distinto fra debito estero e debito interno mentre voi mi date lezioni in merito come se non avessi detto nulla)
personalmente anche io avrei molto da dire sulle vostre convinzioni in materia di economia (e credo anche un buon docente di economia avrebbe problemi ad accettare certe risposte in sede di esame) ma passiamoci su.
Mi diverte l’associazione di una firma che allude a Rosa Luxemburg con la convinzione del “debito eterno” che non bisogna mai ripagare, che è una delle più solenni castronerie neo liberiste
Però, mi fate la cortesia di rispondere a due domande:
a. se lo Stato non può fare default perchè tamnto può emettere moneta a piacimento (e questo secondo il vostro illuminato parere non provoca inflazione e slavutazione) come mai storicamente ci sono stati casi di default statale?
b. Mi fate la cortesia di rispondere alla domanda finale: “come fa la Grecia ad evitare il default stanti le condizioni che elenco?” senza stare a girare intorno per una lenzuolata di intervento?
Mauro Poggi
La Grecia non ha moneta sovrana, quindi, al pari di qualunque altra nazione dell’Eurozona, è a rischio default.
Uno stato a moneta sovrana, e moneta di tipo “fiat money” come lo sono tutte oggi, tecnicamente non può fallire. Lo dice chiaramente Stiglitz in questo video a proposito degli USA: “Ma davvero qualcuno crede che gli USA possono fallire? Il fatto è che il governo americano può stampare moneta [NB: “stampare moneta”, non “usare l’atomica”]. Si può scommettere sul fatto che ci sarà inflazione o no, ma scommettere sul default è completamente assurdo!”.
https://www.youtube.com/watch?v=EBD7KPLrXiY
Mauro Poggi
PS:
Non ho precisato, e forse è il caso, che il discorso di Stiglitz presuppone che l’indebitamento dello Stato sia in moneta domestica e non in valuta estera.
A quest proposito vale la pena osservare che il debito della Grecia, da quando è stata “salvata”, non ha più giurisdizione greca. Questo rende ancor più problematica una eventuale grexit, poiché il paese non potrebbe far valere la “lex monetae” e ridenominare il debito nella nuova valuta.
Junius
@Roberto B.
Petrolini se lo riveda lei, che mentre c’è stato chi si è fatto un culo a ponte a studiare in questi anni e a far divulgazione DI MACROECONOMIA ELEMENTARE, gente come lei ha dedicato il suo tempo libero a guardare i sondaggi di Ballarò. Io faccio i miei interessi che sono quelli della mia comunità sociale: lei è invece una inutile piaga.
@Professore, credo che quando parla di “convinzione neoliberista del debito eterno” si riferisca alla pratica neoliberale di cartolarizzare qualsiasi porcheria insolvente per cui qualcheduno rimarrà – prima o poi – con il cerino in mano.
Io facevo semplice riferimento alla contabilità nazionale: la somma totale dei debiti è uguale alla somma totale dei crediti al netto del deficit/surplus con l’estero.
b) la Grecia è già fallita, non ha più una democrazia, non è più sovrana, il suo popolo non si autodetermina e tutto il suo patrimonio è già stato privatizzato: il segnale PROGRESSIVO È L’USCITA DALL’EURO e la sua lotta per la riconquista della sovranità.
a) “l’illuminato parere” sulla “teoria quantitativa della moneta”, non è un “parere” ma è posizione pacificamente condivisa di tutta la scuola post-keynesiana (e non solo…): i default degli Stati avvengono generalmente per motivi “straordinari”, ad es.:
squilibri della bilancia dei pagamenti dovuti ad un aggancio valutario (es. Argentina e Grecia), economie in via di sviluppo con quote importanti di debito prezzato in valuta estera (es. i paesi africani), collasso delle istituzioni a causa di eventi catastrofici (es. Russia anni ’90).
I fattori sono praticamente sempre esogeni: se si accetta che gli Stati nazionali possano fare default come una comune impresa che fallisce, si accetta (come nello spin che esercita continuando ad evidenziare il default piuttosto che il ripristino SOSTANZIALE delle sovranità nazionali):
I) la progressiva abolizione delle sovranità nazionali e il principio di autodeterminazione dei popoli;
II) la privatizzazione della governance globale;
III) la fine dei diritti sociali e delle democrazie socialiste.
Rosa, come Marx, vive nella politica attiva di chi propugna le dottrine del paradigma post-keynesiano così come vuole il nostro impianto costituzionale.
La Sinistra è morta perché nei ’70 leggeva il libretto rosso di Mao invece di leggere Federico Caffé.
Ma non diciamolo in giro, prima che qualche proposta politica di sinistra – vera! – nasca realmente in Europa….
ugo
Professore, la Grecia non può evitare il default perché, stanti le condizioni che lei elenca, è già in default, bisogna prenderne atto.
Riguardo al suo punto A potrebbe acquisire un maggior peso politico solo uscendo dall’eurozona, ha già un alleato nella Russia
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-29/la-grecia-tsipras-rompe-fronte-europeo-russia-nasce-asse-putin-212811.shtml?uuid=ABxKXOmC
e certamente alla Cina non dispiacerebbe togliersi dai piedi la concorrenza occidentale per gli asset pregiati.
Allo stato attuale per limitare i danni la Grecia deve necessariamente acquisire il punto B cioè la sua sovranità monetaria, ormai lo ammette anche il buon Fassina:
http://www.lastampa.it/2015/02/24/multimedia/italia/fassina-pdla-grecia-esca-dalleuro-q93wq2qG2AlhCuZLRC5FkM/pagina.html
Il punto C, il punto D e quello E sono strettamente collegati al punto B.
Una banca centrale sovrana coordinata al tesoro può contenere il debito pubblico e stimolare l’economia.
Riguardo al punto C sugli asset: quello che vendi non è più tuo e quella che poteva essere una rendita nel tempo si trasforma in una perdita. Forse con il tempo potrebbero recuperare allo stato anche qualche asset strategico perduto o svilupparne di nuovi molto promettenti come quello che segue:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/07/07/grecia-al-via-trivellazioni-petrolifere-business-milionario-nello-ionio-e-a-creta/647451/
Le agenzie di rating occidentali ormai sono degli organi politici; in futuro la Grecia sarà certamente valutata meglio dalle nascenti agenzie di rating dei BRICS.
http://www.teleborsa.it/News/2015/02/25/altro-che-emergenti-la-banca-di-sviluppo-dei-brics-e-quasi-realta-167.html
Andrea T
1. La politica economica di uno Stato che possa indebitarsi in una valuta di cui controlla l’emissione NON è vincolata dal debito pubblico, in quanto tale, ma dal debito estero (dove per debito estero s’intende il debito emesso da operatori residenti – Stato o privati – e detenuto da non residenti) e dalla solidità delle proprie istituzioni.
L’indebitamento estero corrisponde, sulla bilancia dei pagamenti, ad un deficit di partite correnti: se un sistema-paese importa più di quello che esporta dal resto del mondo ciò può avvenire perchè il resto del mondo gli sta “prestando” i soldi per pagare la differenza.
Storicamente i paesi che hanno fatto default sul debito pubblico erano quelli costretti ad indebitarsi in valuta estera (ad esempio in dollari) perché altrimenti nessun operatore straniero avrebbe prestato i soldi in valuta locale (poca credibilità della moneta nazionale rispetto ai creditori esteri) oppure che abusavano, in maniera poco credibile, degli strumenti di politica fiscale e monetaria fino a determinare il collasso del sistema dei pagamenti interno.
Esempio: se un paese africano degli anni sessanta voleva costruire qualche autostrada e qualche infrastruttura aveva bisogno di importare beni e servizi (la società appaltatrice), tecnologia che non era in grado di reperire sul proprio mercato interno. Ma per pagare questi servizi (visto che la società appaltatrice difficilmente avrebbe accettato un compenso in valuta locale) aveva bisogno di procurarsi quei dollari. Come se li procurava? Emettendo debito pubblico in valuta estera.
Poi è chiaro che se si abusa delle strumento della monetizzazione del deficit (come di tutti gli strumenti di politica economica) senza tener conto delle ripercussioni valutarie e sulla capacità del paese di scambiare beni e servizi con l’estero, per dotarsi di beni e i servizi che gli servono ma di cui non dispone sul proprio mercato interno, allora è chiaro che si verificano fenomeni ipernflattivi perché la moneta locale oltre ad aver scarsa credibilità all’estero comincia a perdere credibilità anche all’interno perché la capacità produttiva si deteriora e il prodotto interno diminuisce. Il capitombolo arriva quando le persone cominciano a rifiutarsi di lavorare in cambio di moneta che perde valore quasi ogni ora (in realtà sono i prezzi che crescono a velocità supersonica perché il prodotto crolla) e dunque il prodotto crolla ulteriormente. È evidente che, quest’ultimo, è il caso diametralmente opposto a quello che sta accadendo adesso in Europa (deflazione, disoccupazione e capacità produttiva inutilizzata).
Anche la formazione del risparmio privato ha una sua importanza: è l’eccesso, anche in questo caso, ad essere nocivo.
2. La Grecia non può evitare il default perché è tecnicamente indebitata in valuta estera, sotto un duplice profilo: a) non controlla l’emissione della valuta in cui si indebita (come l’Italia e tutti i paesi dell’eurozona tranne la Germania); b) la stragrande maggioranza del suo debito pubblico (a differenza di quello italiano) è stato emesso (dopo il 2010 in particolare) under foreign law, disciplinato dalla legislazione inglese.
Quindi, se anche – per ipotesi – la Grecia dovesse uscire dall’euro (come probabilmente sarà, prima o poi, inevitabile) in punto di diritto non potrebbe ridenominare legalmente il suo debito in dracme. Se lo facesse, ai sensi del diritto internazionale privato quello sarebbe considerato un default.
paola sala
non essendo molto chiara la frase che sostiene ‘Stiamo parlando di lotta di classe, e divulgare la dinformatja di chi gioca dal lato del capitale è deleterio… basta leggere i commenti di Paola, Laura e Roberto.’ vorrei puntualizzare che
a. Non faccio propaganda
b.Dio me ne guardi se sostenessi le tesi di Friedman e i suoi croonies ovvero i Chicago boys.
c. non ho ancora capito quale risposta hai dato alle domande del post. Mi sono scocciata di leggere esercitazioni intellettuali su cosa puo’ o non puo’ aumentare l’inflazione. Le teorie economiche sono continuamente smentite dalla realta’… Un tempo ricordo che la curva di Philips era un dogma indiscutibile fintanto che non si e’ verificato il fenomeno della stagflazione che ha rimesso in discussione tutti i paradigmi.
discutiamo di possibili soluzioni, di quali sono le politiche che potrebbero essere attivate dal governo greco, visto che questo influenzera’ molto quello che potrebbe accadere in Italia…..
e basta con le polemiche sterili, vi prego!!
Junius
“il fenomeno della stagflazione che ha rimesso in discussione tutti i paradigmi”: fu un pretesto, come quello dello shock petrolifero. Un pretesto per la grande lotta di classe al contrario.
Chi “inverte la curva di Phillips” vuole la classe operaia morta.
Chiaro?
Lo vada a dire ai disoccupati di non essere polemici perché si fa del PERMEISMO sui fatti di scienza economica.
Stefano
SALVATAGGIO GRECIA: ISTRUZIONI
La Grecia per salvarsi dovrebbe riprendersi la Drakma e ridenominare il suo debito nella nuova moneta ma il problema è la bilancia dei pagamenti dello stato Ellenico. Se un’uscita dell’Italia provocherebbe una svalutazione della nuova Lira di un 15-25% perchè comunque esporta qualcosa la Grecia importa quasi tutto ed una sua uscita porterebbe una svalutazione mostruosa della Drakma che a quel punto non varrebbe niente. Poi ci vorrebbe un PIANO MARSHALL per far ripartire l’economia greca che è stata DISTRUTTA. Il PRIMO obiettivo dovrebbe essere ricominciare a crescere e con una moneta decente e con gli indicatori di nuovo normali orse riuscirà a collocare i suoi titoli con tassi decenti e pagare tranquillamente i suoi interessi.
p.s. che io sappia l’unica ( molto in discussione) cosa che abbia una certa correlazione con l’inflazione e la disoccupazione. Che io sappia non c’e nessun legame tra immissione-svalutazione della moneta.
leopoldo
qualcuno sa che fine ha fatto tito boeri?
Mauro Poggi
È impegnato a fare il presidente dell’INPS :/