Isis: come se ne esce?

Appurato che il piano Obama non si mantiene né in piedi, né seduto, né sdraiato e che, seppure avrà un inizio, è destinato al fallimento, ne deriva che qui corriamo rischi anche peggiori la situazione si incancrenisce. Dobbiamo realisticamente prendere atto che con l’Isis non esistono possibilità di trattativa, perché semplicemente non c’è un interlocutore disposto a trattare. D’altro canto, la persistenza del cosiddetto “Califfato” rischia di destabilizzare l’intera area e non per dar vita a regimi più democratici e tolleranti, come poteva esser tre anni fa per la primavera araba, ma, al contrario per alimentare tutte le spinte fondamentaliste verso la guerra santa. Il che può portare ad esiti molto più gravi di quello che potrebbe essere un intervento militare oggi.

Per cui, l’Isis va semplicemente tolto di mezzo: il problema è come. Dato per scontato che l’intervento militare è inevitabile, c’è da stabilire chi e come deve farlo, ma, soprattutto, se puntare la totalità (o la maggior parte) delle speranze sull’aspetto militare o scegliere una strada diversa, che riduca al minimo il ricorso alle armi.

Il piano Obama è sulla prima strada e si propone una guerra “per procura” alla “coalizione di prima linea”, armata e supportata dalla coalizione arabo-sunnita ed occidentale con la copertura aerea americana. Di tutte le soluzioni, la peggiore: sanguinosa, lenta e di incertissimo esito. Se va fatto il frontale militare, va fatto di urto e con tutta l’energia che la situazione richiede. Salvo poi ritrovarsi lo stesso con il problema di un Medio Oriente totalmente destabilizzato e con tutti i problemi aperti (d’accordo!) ma, almeno, avremmo tolto di mezzo il cancro dell’Isis prima che cresca troppo.

L’altra strada è quella di una complessa ed articolata manovra politiva che, pur non escludendo affatto il piano militare, lo circoscrive all’indispensabile. Occorre partite dalla constatazione che una alleanza reale si fa cominciando dal “dopo”, la semplice avversione all’Isis non basta: se vogliamo mettere insieme curdi, sciiti e sunniti di Iraq, bisogna decidere prima che si fa dell’Iraq: mantenere lo stato unitario? Con che garanzie per tutti? Scinderlo in tre stati indipendenti o, magari, federati con vincoli molto deboli? In questo caso il nodo maggiore è quello del petrolio: i pozzi sono tutti o in zona curda, intorno a Kirkuc o sciita intorno a Bassora. I sunniti hanno ben poco, per cui occorrerebbe garantire una parte della rendita petrolifera anche ai sunniti per ottenerne l’assenso (o cedendo parte dei territori petroliferi o costituendo una società ad hoc suddivisa in quote percentuali concordate, garantendo la partecipazione sunnita).

Questo si collega strettamente ad un’altra questione, quella del recupero della componente baatista che venne liquidata dagli americani con la decisione di sciogliere il Baat e quella ancor peggiore di sciogliere l’esercito iraqueno nel novembre 2003, con il risultato di fornire alla resistenza i quadri militari di cui aveva bisogno. Il successo dell’Isis è stato fortemente favorito dalla alleanza con i baatisi che si sentivano (non del tutto a torto) discriminati nel nuovo assetto istituzionale iraqueno a vantaggio soprattutto degli sciiti. Per di più, questa è stata una delle componenti militari di maggior peso nella resistenza contro l’occupazione americana ed oggi è quella che regge l’apparato amministrativo del Califfato.

Per la verità, la convivenza fra Isis e baatisti non è esattamente idilliaca e uno diffida dell’altro, per cui la fessura che separa gli uni dagli altri è lo spazio in cui infilare la lama: separare i sunniti dagli jhiadisti sarebbe la prima grave sconfitta politica di questi ultimi, compromettendone decisamente sia la capacità fiscale che quella militare. E questo già ridimensionerebbe l’entità dello sforzo militare.

Ma per ottenere questo risultato, occorre reintegrare la componente baatista nel sistema, senza di che non sarà mai possibile normalizzare l’Iraq o quel che ne residuerà. Nel frattempo, naturalmente, occorre fermare l’espansione del Califfato e qui va bene l’azione della “coalizione di prima linea” con il supporto aereo americano. Ma per andare avanti occorre altro.

In primo luogo, è necessario, se non risolvere, almeno attenuare l’acerrima rivalità fra Iran da un lato ed Arabia Saudita e Quatar dall’altro, raggiungendo uno status che riporti entro limiti accettabili il contrasto fra i due maggiori paesi dell’area del Golfo.

C’è poi da sciogliere il nodo curdo, mediando fra le aspirazioni curde all’indipendenza ed i timori turchi. Così come c’è da decidere che si fa in Siria: se si vuole l’appoggio dei siriani alawiti, e, pertanto, dell’Iran e della Russia, occorre “digerire” Assad, al massimo cercando di ottenere garanzie per l’opposizione “moderata”.

E, magari, in tutto questo, avviare seriamente a conclusione il conflitto israelo-palestinese che è una ferita sempre aperta: e si illude Israele se pensa di avere un tempo infinito per chiudere la partita. Di tempo ne ha molto meno di quel che suppone, dopo di che la situazione diverrà sempre meno favorevole.

Ma, soprattutto, l’operazione ha possibilità di riuscita se a cooperare c’è l’altra grande potenza interessata all’area: la Russia. Senza Mosca o, peggio, contro Mosca, il quadro non si compone. E questo significa chiudere al più presto lo sciagurato contenzioso ucraino, accettando la costituzione della Novorossiya e garantendo l’indipendenza di Kiev, chiudendo così la questione. D’altro canto, la Crimea è andata e non si sente l’esigenza di nuovi corridoi di Danzica, l’Europa in crisi non è in grado di reggere l’urto dei rincari petroliferi dovuto all’effetto congiunto della guerra in Iraq e delle sanzioni contro Mosca. E gli Usa non sono in grado di reggere un doppio impegno militare in Iraq ed in Ucraina. Quindi, tanto vale prendere realisticamente atto della situazione e mettere mano ad un vasto piano di riordino, almeno momentaneo, dell’area giovandosi dell’appoggio russo.

Beninteso: non si tratterebbe di una pace di Westfalia in chiave mediorientale, ma più semplicemente di una prima intesa di emergenza per limare i principali contrasti e rendere possibili le operazioni militari congiunte necessarie.

Questo isolerebbe l’Isis e, di conseguenza, richiederebbe uno sforzo militare più contenuto e magari affidato ad una forza multinazionale delle Nazioni Unite che, se non altro, avrebbe il merito di annacquare i troppi motivi d’attrito fra sunniti, sciiti, curdi, iraniani, siriani, turchi ecce cc. rendendo più praticabili le operazioni di guerra. E, magari, questo potrebbe richiedere un prezzo di sangue minore, molto minore di quello di un brutale intervento militare esterno, senza alcuna mediazione politica precedente. O di quello che, peggio ancora, richiederebbe lo stillicidio del Piano Obama che, dopo una lunga scia di sangue, ci lascerebbe al punto di prima, con la conseguenza di uno scontro ancora più feroce.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (22)

  • “Dato per scontato che l’intervento militare è inevitabile…”
    Ma sì! Facciamola questa guerra. Dopo di che?
    Ammesso e non concesso (è una pia illusione, ma le esperienze passate non ci hanno insegnato niente) che si arrivi a distruggere l’Isis, il risultato è scontato: una pace provvisoria e un aumento dell’odio nei nostri confronti. E questo da parte non solo dei popoli della zona, ma di chiunque possa assimilarsi anche solo marginalmente alle posizioni di questi fanatici.
    Così vedremo in breve tempo la nascita di un’altra organizzazione (o più di una) che non vede l’ora di farcela pagare. E saranno più cattivi dell’Isis. E allora che facciamo? Continueremo a dire che l’intervento militare è scontato?

    • Buon Beppe: la guerra non andiamo a farla noi: già c’è. Questa è l’illusione di quelli che credono che la guerra ci sia solo quando c’è l’intervento degli americani o di una potenbza occidentale, per cui basta che Usa ed Europa non intervengano e la pace è salva! Non è così: la guerra c’è anche negli altri casi. Comunque sia, l’Isis non è cosa che possiamo tenerci fra i piedi senza correre rischi di cose molto peggiori di questa guerra: che ne dici se poi gli israeliani usano le atomiche tattiche? Ti sembra meglio?
      E lo so che dopo saremmo al punto di prima, è proprio per questo dico che la via più produttiva è quella di un negoziato preventivo che assicuri almeno un equilibrio di qualche anno per poter lavorare ad una soluzione più durevole e soddisfacente.
      Che alternative vedi?

  • Caro Aldo, condivido del tuo articolo la denuncia della gravità della situazione, ma purtroppo null’altro. Mi pare che le soluzioni che auspichi non hanno alcuna realistica possibilità di essere attuate. Il motivo è molto semplice, non è la bontà del piano che gli USA propongono a determinarne l’efficacia, ma l’affidabilità del paese leader del mondo che soprattutto in quelle terre è sotto lo zero.
    Ti ricordo che solo una settimana fa Netanyau ha dichiarato che la questione ISIS si risolverà in pochi anni, mentre quella iraniana è roba da parecchi decenni. Insomma, Israele se ne frega delle parole di Obama, non ha paura dell’ISIS, ha solo paura dell’Iran e della sua potenziale apaprtenenza all’esclusivo club nucleare. Il punto cioè è che il premier israeliano non tiene in alcun conto gli USA e ripetutamente prende Obama a sberle, senza che questi smetta di aiutare Israele, per il semplcissimo fatto che i banchieri ebrei appoggiano il loro popolo a prescindere, e negli USA essi fanno parte di chi realmente comanda.
    Su un altro versante, l’ultima decisione del governo turco è stato di chiudere la frontiera con Siria ed Iraq in uscita, cioè di bloccare i curdi che volevano andare da volontari a combattere l’ISIS. Per la Turchia, la difesa dei propri territori dalla possibilità dell’instaurazione di uno stato curdo è molto al di sopra della pericolosità riconosciuta all’ISIS.
    Gli USA e l’intera coalizione occidentale esce dall’intervento in Iraq con le ossa rotte, e così ha perso ogni credibilità. Mettere una firma su un’intesa vaga e che lascia sostanzialmente ad ogni paese ogni possibilità di manovra non si nega agli USA, ma serve solo su un piano mediatico.
    La verità è che nel vuoto di potere che segue al disastroso intervento contro Saddam Hussein, l’ISIS non sta in cima alle preoccupazioni degli stati della regione. Secondo me, sbagliano, in fondo da questo punto di vista Obama ha ragione, ma ha torto perchè non conta nulla su quello scacchiere. A questo punto, finirà che l’ISIS sarà lasciato espandersi, fino a che verrà riconsiderata la sua pericolosità, ma forse sarà già troppo tardi.

  • Buongiorno prof. Giannuli,

    è interessante il passaggio in cui segnala l’esigenza di “separare” i bahatisti dall’ISIS, che in effetti potrebbe essere la chiave di volta per sconfiggere l’ISIS stessa. La difficoltà però è proprio questa: bisognerebbe concedere al Bahat veramente tanto, sia in termini economici (Lei accennava ai proventi delle estrazioni petrolifere) sia in termini politici, ossia dar loro molto più potere di quello che è il loro reale seguito popolare; i nostalgici di Saddam suppongo che siano pochi, perché il nostalgismo ha sempre una sua nicchia ma da quel poco consenso non si scosta mai. E’ una regola politica.

    Inutile dire che non accadrà. Gli USA non ammetteranno mai di ammettere d’aver fatto una cretinata così grossa nel 2003. Gli Sciiti del sud non scenderanno mai a patti con i loro antichi macellai; i Curdi men che meno. Quindi l’ISIS è, purtroppo, destinato a durare.
    Saluti
    Marco

  • Eppure sta tutta lì la questione: «Westfalia»

    Il diritto ai popoli di autodeterminarsi secondo il principio per cui: «civitas superiorem non recognoscens est sibi princeps»

    Punto.

    Tutto il resto son fanfaluche.

    I politologi parlano della “debolezza dello stato nazionale” da almeno un secolo, e sono vent’anni che fanno i gargarismi con sta storia della «frammentazione».

    Cazzate: è solo (mal)sana lotta di classe del capitale internazionale che vuole lo Stato nazionale raso al suolo: ovvero l’unico ente sociale in grado di far convergere tutti i gruppi confliggenti in un unica sintesi politica.

    Il capitale è internazionale, i proletari no.

    (Capire poi perché la sovranità dell’art.1 è espressione del medesimo “soggetto” di quella dell’art.11 della nostra Carta, potrebbe essere utile per far capire ai cittadini perché il processo di internazionalizzazione europea è stato ab origine contra constitutionem¹… vero Professore?)²

    Carl Schmitt notava come la nascita degli Stati nazionali fosse stata propedeutica alla “civilizzazione della guerra”: i governi ombra sovranazionali non possono che portare alla resistenza di guerriglia atipica.

    Questo imbarbarimento è espressione di una ideologia politico-economica funzionale alla lotta di classe per un sempiterno nuovo ordine.

    Va rieducata una nuova generazione alla consapevolezza di classe, iniziando a far studiare l’economia e il diritto costituzionale alla classe dirigente.

    La didattica non può rimanere “cronaca”: deve essere “ermeneutica” del reale affinché “ciò che è successo e sta per succedere” «non si ripeta mai più».

    ______
    ¹ Aldo Bernardini: La sovranità popolare violata nei processi normativi internazionali ed europei – Editoriale scientifica, Napoli, 1997, Testo Monografico
    ² Ricordo poi che il GATT fu rigettato come “legittimato dall’art.11” da una importante sentenza della Corte: come poi un articolo, come si evince dai lavori della costituente, sia passato da essere *** esplicitamente *** rigettato in funzione dell’integrazione europea ma, al contrario, pensato rispetto alla creazione dell’ONU, a divenire il “grimaldello” per far ingollare i più becerei trattati di origine mercatista ottocentesca, è un mistero glorioso.

  • Come al solito un bellissimo post. Lo condivido in pieno e ne evidenzio una citazione: “Senza Mosca, o peggio contro Mosca, il quadro non si compone”. Parole che Obama dovrebbe tatuarsi sulla fronte per leggerle sullo specchio ogni mattina.

    @IlBuonPeppe: Mi stupisce che qualcuno non riesca ancora a capire che l’IS non è un gruppetto di quattro tagliagole esaltati (il che, comunque, sarebbe già un buon motivo per andare a toglierlo di mezzo), ma il veicolo di una potenziale saldatura della jihad dalla Nigeria all’Afghanistan. E allora sì che metterebbe davvero male.

    @Vincenzo Cucinotta: del nucleare iraniano avrei paura anch’io. Poi, magari, lasciamo stare i banchieri ebrei per favore.

  • @Giovanni
    Del nucleare irtaniano senz’altro, ma anche del nucleare israeliano, se permetti.
    Vorrei poi sapere perchè dovrei nascondere la verità, che ormai comandano i banchieri e che gli ebrei in questa categoria sono messi molto bene.
    Ma perchè tutti avete questa fissa del “politically correct”, che ci sono verità che si deve tacere perchè non sta bene dirle? Ma chi l’ha detto, chi ha l’autorità per fare questa cernita?
    Se hai qualche obiezione da farmi, sii più circostanziato.

  • Aldo, è vero che la guerra c’è già (lì come altrove), ma sei tu che hai esordito dando per “scontato che l’intervento militare è inevitabile”, salvo poi ritirarti in una posizione più moderata in cui si “riduca al minimo il ricorso alle armi”.
    Adesso mi parli di un negoziato preventivo perché tanto “dopo saremmo al punto di prima”, che è sostanzialmente quello che dicevo io. Non vedo alternative al negoziato, ma il negoziato non si fa con le bombe.
    Quanto ai rischi di cose molto peggiori, mi metterei a ridere se la cosa non fosse drammatica. Se siamo arrivati a questo punto è proprio per le scelte sbagliate fatte in precedenza: ogni volta si è scelto di non rischiare cose peggiori di quelle che c’erano al momento, e si è ottenuto esattamente quello che si voleva evitare.
    Vogliamo provare ad uscire da questa spirale?

    • Buon Beppe: che ci sia un intervento militare contenuto o spiegato al massimo, sempre intervento militare è. come dico nell’articolo per cui non c’è nessuna ritirata. Io preferisco ovviamente una cosa contenuta e fosse èper me eviterei ogni guerra, purtroppo nella maggior parte dei casi non ‘è negoziato senza bombe; è spiacevoloe ma realisticamente è così
      La guerra (alla quale sono ostilissimo, ti assicuro) non si evita solo con i desideri

  • Caro Aldo, non condivido l’impostazione del tuo articolo perché, secondo me, parte da premesse sbagliate. E’ contenuta in esso una visione sostanzialmente irenica dei fondamenti su cui si basano le relazioni internazionali e, nello specifico, quella degli USA con il resto del mondo. Io penso che nonostante tutto gli USA siano rimasti ancorati al pensiero strategico contenuto nel documento”Prospettive per un nuovo secolo americano “ del 1997. Rispetto ad allora, l’unica cosa che è cambiato è la presa d’atto dell’andamento fallimentare, per il numero di morti subiti, di alcune guerre intraprese (Afghanistan, Iraq, ecc ). Questo fatto li ha resi più prudenti dall’impiego diretto di loro truppe combattenti a terra, cosa di cui farebbero volentieri a meno, demandando ad altri stati l’assunzione di questo onere. E’ in questo quadro generale che s’inserisce anche la lotta al terrorismo. Con questa giustificazione si riescono a dare motivazioni politiche, ideologiche e militari al perseguimento dei propri interessi strategici. Siccome la guerra asimmetrica, che loro stessi provocano col loro esasperato interventismo, la continuano a definire tout court terrorismo, ecco spiegate le ragioni per cui le ragioni per il ristabilimento di una parvenza di pace risultano molto difficili.

  • Invece di mettere in piedi questo mostro, bisognava lasciare fare ad Assad, che stava facendo la cosa giusta, come la stava facendo Gheddafi.
    Invece no, abbiamo dovuto sostenere inesistenti “processi di democratizzazione” del Medio Oriente, destabilizzando interi paesi, fomentando guerre civili e causando così centinaia di migliaia di morti, dalla Libia alla Siria, passando per l’Egitto.
    Solo adesso cominciamo ad avere il pudore di usare le virgolette quando parliamo di “opposizione moderata” al regime siriano, mentre fino a ieri li presentavamo come paladini della libertà. Ormai è troppo tardi.
    Come se ne esce? Armando e sostenendo Assad, perché possa cancellare dalla Terra questo abominio, mettendo in campo tutta la forza necessaria e anche di più.
    Ma non possiamo, lui è come Hitler!

    Certo l’opzione militare da sola non basta. Allora imponiamo sanzioni economiche e politiche a Kuwait, Arabia Saudita, Bahrein, Qatar, ecc., che sono i primi sponsor del terrorismo quaedista e di questo nuovo mostro, nonché Paesi in cui la violazione dei diritti umani è sistematica.
    Ma non possiamo, noi amanti della Formula uno, là ci facciamo i Gran premi!

    Mettiamo quindi in piedi un tribunale internazionale che accerti le responsabilità dei governi occidentali e delle loro intelligence nel reclutamento e nell’invio di mercenari tra le file dell’Isis, dove ci sono migliaia di cittadini americani, inglesi, francesi, italiani….
    Ma non possiamo, mica possiamo auto-condannarci!

    Sarebbe relativamente facile uscirne, se solo lo volessimo.
    Invece continueremo a sostenere l’Isis come abbiamo fatto da subito, per poter bombardare finalmente la Siria e spodestare Assad e arrivare, in un secondo momento all’Iran. Tanto per l’Internazionale dei tagliagole sono infedeli tutti coloro che non sono disposti a bombadare la Siria, certo non Israele e gli Emirati del Golfo, nonostante tutte le basi militari americane che ospitano.
    Sarà un problema per il mondo, non certo per noi illuminati, diritto-umanisti e democratici occidentali. Al massimo qualche bombetta qua è là e un paio di stragi di stabilizzazione in giro per l’Europa, a cui noi italiani siamo ben abituati.
    Piangeremo qualche decina di morti e istituiremo una giornata del ricordo per glorificare le nostre istituzioni. Non è in fin dei conti un prezzo troppo alto.
    Perché porsi tutti questi problemi?

  • Sarebbe forse meglio che gli USA non facessero nulla, ma proprio nulla incluso evitare di finaziare “l’opposizione siriana” così come stanno facendo. Non so quanto ascendente abbiano i sauditi e il Qatar sull’ISIS, certo che si dovrebbe impedire un’ulteriore sponsorizzazione dei tagliagola. ISIS continua ad autofinanziarsi vendendo petrolio, a chi e come non è chiaro. Per il resto che ci pensi il campo di battaglia a determinare le sorti della regione: ritengo che l’asse sciita e i curdi possano avere la meglio, certamente dopo una riconciliazione, in che termini è da vedere, con le tribù sunnite e gli ex baathisti. Tutto sommato il caos può far gioco agli USA e certamente ne fa, e molto, all’unica democrazia del Medio Oriente. Non so cosa voglia fare da grande al Baghdadi: se cercherà di attaccare le città sciite dell’Iraq allora il suo ruolo sarà funzionale agli interessi imperialistici, se muoverà invece alla riconquista dei luoghi sacri in Arabia, Egitto e Palestina allora lo prenderò sul serio… e quasi quasi tiferei per lui.

  • Giannulli nell’articolo ha posto poca attenzione al fatto che Isis ha tra gli obbiettivi più imminenti quello di aprirsi una finestra sul mediterraneo tramite il Libano. Approfitterà della situazione destabilizzata della regione anche per affermare il suo potere sugli sciiti e sui suoi alleati. Tale strategia potrebbe allora essere utile a Isreale? E in caso dobbiamo tornare a vecchie teorie complottiste sioniste?

  • […] http://aldogiannuli.it/nuovotest/2014/09/strategia-isis/ Condividi:TwitterFacebookGoogleMi piace:Mi piace Caricamento… Questo articolo è stato inserito il lunedì, 22 settembre 2014 alle 22:28 ed etichettato con giannuli, isis, medio oriente, reologia sociale, socialrheology e pubblicato in medio oriente. Puoi seguire tutte le risposte a questa voce con il feed RSS 2.0. « Operazione Isis, obiettivo Cina […]

  • non saràuna pace di westfalia certo. ma speriamo che no sia un patto molotov ribentropp, dato che una cosa sono le alleanze dovute a contingenze strategiche, un’altra cosa sono le convergenze geopolitiche. e dato che gli americani in questi ultimi decenni si sono operati per formare una compagine di alleati le cui convergenze geopolitiche sono così scarse. a parte una, che è stato il leitmotiv degli ultimi interventi del petroliere bush: fare alzare il prezzo del pertolio. per questo gli amici li trovi sempre.
    per il resto fa un certo effetto sentire al baghdadi che, oltre a un campionario di frasi a effetto che manco peppecrille, sciorina indicazioni di voto all’elettore americano, assicurandolo sul fatto che i repubblicani, loro si che la sapevano fare la guerra.
    non so, ma mi sembra tutto un pò assurdo: il fatto che si dovrebbe essere in guerra con l’is non collide perfettamente che con l’is ci si commerci petrolio, almeno per quanto mi riguarda. ed è innegabile che lo “stato canaglia” (sempre se è uno solo) che si ritrova ad avere rapporti economici così stretti con l’is debba anche avere un notevole ascendente su quest’ultimo. se per caso questo alleato fosse la tuchia come ne escono gli americani? credo proprio che non ne possano uscire semplicemente: qualsiasi successo militare contro l’is sarebbe vanificato dagli approvvigionamenti costanti che arrivano dal confine colabrodo: è come fermare il mare con un secchiello. se dovessi dare un consiglio a obama consiglierei semplicemente di fare un contro golpe in turchia: costa meno e rende di più.

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