Storia delle mafie in Italia: un’ipotesi interpretativa

Molto volentieri segnalo un articolo di Ciro Dovizio, mio collaboratore presso l’Università degli Studi di Milano ed esperto conoscitore e studioso dei fenomeni criminali. L’articolo è stato pubblicato tradotto anche dalla rivista accademica spagnola “Tiempo devorado”, che vi senalo. Buona lettura! A.G.

Riflessioni sulla storia delle mafie in Italia: un’ipotesi interpretativa

di Ciro Dovizio, Lapsus, Milano, Aprile 2015. Questo articolo riprende un ragionamento iniziato con la mostra “Novecento criminale. Mafia, camorra, ‘ndrangheta”, realizzata dall’Associazione Lapsus ed esposta nel febbraio 2015 a Cinisello Balsamo (MI).

Nel recente dibattito storiografico è emersa da più parti la tendenza ad inquadrare la storia delle mafie (1) italiane all’interno di una prospettiva analitica unitaria (Ciconte 2008; De Saint Victor 2012; Dickie 2011, 2013). Pur nella diversità di vedute, comune agli studiosi di questo indirizzo è l’intento di convogliare in un’unica narrazione l’insieme dei fenomeni che vengono definiti, genericamente, “mafiosi”. Il ragionamento messo in atto muove da un assunto preliminare, talvolta non esplicitato: la possibilità di estrapolare dalle esperienze storiche di Cosa nostra, camorra e ‘ndrangheta, tenendo conto delle dichiarate differenze, un modello idealtipico cui fare riferimento nel corso della ricostruzione.

Altri hanno messo più volte in guardia sul rischio di formulare «un unico schema, valido per tutte le situazioni e per tutti i tempi» (Lupo 1996a, p. 26; Lupo 2010), essendo il fenomeno mafioso «molto differenziato a seconda dei diversi contesti spaziali e temporali» (Sciarrone 2009, p. 21). La preoccupazione è fondata, poiché l’argomento è da sempre oggetto di interpretazioni deformanti, non di rado inclini al sensazionalismo e alla mitologia, spesso ricalcate su stereotipi di lungo corso, che non hanno riscontro sul piano dei documenti (Lupo 1996a). Anche letture più circostanziate hanno spesso estremizzato l’importanza di un aspetto a discapito degli altri, rendendo univoca la spiegazione di un fenomeno come la mafia che per sua natura è «multidimensionale» (Sciarrone 2009, pp. 19-23).

Ciò premesso, condizione necessaria per chi si accosta alla materia è quella di non confondere, tra le visioni contrapposte, il dato empirico con quello ermeneutico, interpretando «come proprietà del fenomeno ciò che è piuttosto uno schema di intelligibilità» (Ibid. p. 7). Ogni modello analitico, considerato il margine di genericità ad esso intrinseco, deve essere perfezionato, adeguato e precisato in relazione agli oggetti o alle linee di tendenza particolari che si vogliono approfondire (Ibid.). Un paradigma di riferimento non può essere applicato a un problema specifico senza evidenziarne la parzialità o prescindendo dalle fonti cui si rivolge. Simili precauzioni metodologiche, valide in qualunque situazione, sono ancor più indispensabili se, come in questo caso, si è alla ricerca di una nuova ipotesi interpretativa per la storia delle mafie, nella convinzione di poter giungere ad una sua più efficace periodizzazione.

Il tentativo prende avvio da due considerazioni generali: in primo luogo va rilevato che nelle opere di sintesi citate all’inizio, per molti versi di grande pregio, la narrazione è unitaria, procede per nuclei tematici e diacronici efficaci, ma non è sostenuta da un paradigma teorico in grado di far emergere dal quadro i meccanismi di rinnovamento intrinseci alla storia della grande criminalità mafiosa. In secondo luogo, l’esigenza di concetti validi sul periodo medio-lungo appare lampante se si volge lo sguardo ai modi con cui il tema viene trattato sulla scena pubblica: la piazza mediatica ci ha abituati infatti a considerare le organizzazioni criminali come soggetti fuori dal tempo, situati in una dimensione meta-storica, priva di riferimenti cronologici e in certo senso compressa in un eterno presente voluto sempre uguale a sé stesso. Prosegue qui.

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Aldo Giannuli

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Comments (3)

  • ma la mafia,essendo,un bracciolo armato dei servigi,da’ una parte dei proventi a loro,o no? viva l italia,l italia,dei co…(finisce per oni!),e dei pecoroni!

  • Poichè da pochi giorni si è rammentato Falcone, attraverso una celebrazione a reti unificate che ne ha schiacciato la figura ad innocuo santino, mi piace ricordare la sua celebre riflessione sulle menti raffinatissime (ben distinte dalla manovalanza mafiosa ed anche dalla classe politica di governo) che orchestrarono l’attentato dell’Addaura. Nonostante sia ormai chiaro a tutti coloro che hanno attraversato quegli anni che la Prima repubblica morì proprio il giorno della strage di Capaci, ancora ci si ostina a voler far credere che Totò U Curtu non fu braccio esecutivo ma addirittuta la mente dell’attacco mafioso allo Stato democratico.

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