8000 comuni sono troppi?
Guardano al resto d’Europa bisognerebbe rispondere a questa affermazione pronunciando un secco “no”. Sia la Francia, con i suoi 36.000 comuni, che la Germania con 12.000, “superano” ampiamente l’Italia. Senza addentrarsi in un confronto dettagliato, fra il numero degli abitanti in rapporto al territorio, l’impressione che traspare è comunque chiara: gli 8.000 comuni italiani non sono troppi. Anzi sembrano pochi. La realtà, tuttavia, non risiede nei semplici numeri. Non risiede nemmeno nella volontà di “tagliare i costi della politica” come qualcuno potrebbe pensare. Risiede nei modi in cui i comuni italiani erogano funzioni e servizi ai cittadini. Infatti, se è vero che i comuni di Francia e Germania sono sì maggiori in termini assoluti, è anche vero che hanno strutture e metodologie di funzionamento notevolmente differenti.
La scarsa dimensione dei comuni francesi, che in media non raggiungono i 2000 abitanti, non permette alle amministrazioni di esprimere grandi potenzialità e di godere di margini operativi sufficienti ad erogare servizi complessi ai cittadini. Questa è una delle motivazioni che ha spinto più volte gli inquilini dell’Eliseo a favorire una legislazione che prevedesse la creazione di enti amministrativi nuovi, volti a incentivare una “gestione associata” di funzioni amministrative fra più comuni. Orientamento legislativo che appare, molto chiaramente, anche nel progetto di riforma delle amministrazioni territoriali voluto da Hollande.
Si tratta, complessivamente, di innovazioni giuridiche aventi profonde radici storiche, apparse nel lontano 1890 con la creazione del SIVU “ Syndicat Intercommunal à vocation unique ”. Un istituto giuridico a cui si poteva far ricorso per realizzare l’erogazione di un servizio in maniera condivisa fra più amministrazioni comunali.
Nel 1959 vennero poi creati i SIVOM, enti pubblici volti a realizzare la gestione associata di una molteplicità di servizi, e per ultimi gli odierni EPCI, enti pubblici di cooperazione intercomunale, dotati di autonomia amministrativa e personalità giuridica.
In Francia oltre il 95% dei comuni fa parte di un EPCI. Ente che riunisce mediamente più di dieci comuni, per un totale di circa 20.000 abitanti. All’interno di un EPCI le scelte politiche vengono assunte da un’assemblea eletta dai comuni che fanno parte dell’EPCI stesso. Questo ente dispone inoltre di bilancio finanziario e personale dedicato, ed è sostanzialmente il reale amministratore del territorio.
La cifra di 36.000 comuni è, quindi, poco più che simbolica. Non corrisponde, nei fatti, a 36.000 amministrazioni comunali che realizzano, ognuna a suo modo, servizi e funzioni.
Istituti simili sono presenti anche in Germania, dove troviamo le comunità di lavoro intercomunale, le unioni di scopo e i “comuni complessi”. Istituto, quest’ultimo, a cui hanno fatto ricorso oltre il 60% dei comuni tedeschi e descrivibile come un consorzio di comuni erogatore di servizi. Le realtà austriache e svizzere sono anch’esse molto simili: prevedono consorzi di comuni e comunità amministrative.
Nel complesso, i “sistemi di comuni” che sono nati e si sono sviluppati in diverse parti d’Europa rappresentano una realtà che in Italia fatica ancora a concretizzarsi. Nel nostro paese è ancora presente un’eccessiva frammentazione amministrativa. In particolar modo fra i comuni medi e piccoli, che molto spesso si trovano ad assolvere compiti senza, o con poco, dialogo fra loro. Questo fa sì che divenga particolarmente difficile erogare servizi in maniera condivisa, migliorandone la qualità e riducendone i costi, realizzando delle economie di scala e specializzando il personale a disposizione.
Per raggiungere questi scopi, 8000 comuni che molto spesso si muovono in ordine sparso, ed effettuano scelte anche aperta contrapposizione gli uni con gli altri, sono effettivamente “troppi”.
Negli ultimi anni i governi hanno tentato di affrontare il problema, con soluzioni differenti: prevedendo l’obbligo di avviare delle “gestioni associate” di funzioni fra più amministrazioni, introducendo la possibilità di realizzare delle “unioni” di comuni, nonché favorendo le fusioni fra comuni. Tuttavia, i risultati ottenuti sono stati scarsi.
Il “taglio dei comuni” non è quindi volto a realizzare il “taglio delle poltrone” dei politici, ma semplicemente è indirizzato a creare delle istituzioni idonee ad operare in un contesto politico ed economico notevolmente cambiato rispetto al passato.
Lorenzo Adorni
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