
Sinistra radicale: “che proponi”? Dieci cose da fare.
Uno degli interventori di questo blog, commentando il mio pezzo sulle prospettive della sinistra radicale, mi chiede secco secco: “bè allora cosa proponi in concreto?”. Giustissimo:; se uno fa critiche deve dare almeno un minimo di alternativa e non voglio fare l’ingraiano della situazione che fa analisi che spaccano il capello in sei, ma poi non propone nulla di pratico e di comprensibile.
Due premesse necessarie: Primo, di fronte ad un disastro di queste dimensioni, non ci sono formule miracolistiche, nessuno ha la bacchetta magica ed occorre rimboccarsi le maniche e ricominciare da zero.
Secondo: senza una feroce autocritica degli errori passati non si fa niente perché fatalmente si ricade in essi. Quindi si lascino perdere le alchimie elettorali e si parli in termini politici più profondi e concreti: basta con questa storia di fondare forze politiche partendo da un cartello elettorale.
Pertanto, senza avere la pretesa di dare una risposta esaustiva, faccio alcune semplici proposte, che possono servire a una rifondazione della sinistra radicale in Italia e ve la propongo in forma da decalogo, che enuncio per poi argomentare:
1. fare una federazione di tutto quello che rimane (Sel, Rifondazione, Pdci, Sinistra Anticapitalista ecc ecc)
2. rottamare la dirigenza attuale,
3. rompere ogni alleanza con il Pd (anche localmente) e dichiararsi apertamente nemici
4. basta con il partito dei funzionari e con i soliti noti nelle istituzioni
5. responsabilizzare i dirigenti
6. essere sinistra “radicale” e non limitarsi a far finta di esserlo
7. riprendere a far politica, a pensare a studiare
8. ripensare i modelli organizzativi e inventare nuove forme di partecipazione, basta con la routine
9. trovare forme di comunicazione adatte ai tempi
10. Sfondare sul fianco del Pd, dialogare con il M5s
In breve:
1. Non ha senso continuare in questa dispersione ridicola di forze lillipuziane, utili solo a mantenere una schiera di pseudo dirigenti grandi e piccoli che fanno la parte “d’o gallo n’coppa a munnezza”. Non è realistico sciogliere immediatamente questi partitini, va bene, ma almeno che si faccia intanto una federazione, si inizino ad unificare le sedi e promuovere iniziative comuni (in prospettiva liste comuni), promuovere regolari assemblee comuni ecc.
2. Le dirigenze attuali hanno frantumato tutto, ridotto l’area ad una pozzanghera elettorale in via di disseccamento, mi pare che il meno che si possa fare è accompagnarle gentilmente alla porta anche se magari sarebbe meglio ruzzolarle dalle scale. Dunque, escludere dai gruppi dirigenti, tanto della federazione, quanto delle singole organizzazioni, tutti quelli che hanno avuto responsabilità nazionali (istituzionali o di partito) dal 2008 in poi, quindi deputati, senatori, parlamentari europei, membri delle segreterie nazionali, segretari delle principali federazioni che facciano altro: giardinaggio ippica, bricolage. Non siano rieletti neppure segretari di circolo. Eventuali eccezioni meritevoli potrebbero essere proposte a referendum con maggioranza qualificata (devono ottenere almeno i 2/3 dei voti favorevoli) essere recuperate. In politica chi sbaglia deve pagare e senza sconti.
3. La sinistra radicale ha fatto il cespuglio del Pds-Ds-Pd per oltre un quindicennio, morale: è finita fuori dalle istituzioni e giustamente, perché non aveva alcuna utilità. Se la sinistra radicale non è davvero alternativa alla sinistra ufficiale (oggi diventata destra a pieno titolo) e ne è solo la ruota di scorta, a che serve? E, infatti, oggi lo spazio è occupato dalla “sinistra” di governo di Renzi e dall’opposizione del M5s, in mezzo c’è una inutilissima nicchia di nostalgici che si avvia all’estinzione. Se si vuole riavere un ruolo occorre rompere con il Pd a tutti i livelli: dal Parlamento all’ultimo consiglio comunale. Basta con gli equivoci.
4. Il ceto politico della sinistra radicale di questo ventennio è stato solo una banda di cialtroni e di parassiti, che hanno lautamente banchettato e senza produrre nulla. La federazione milanese di Rifondazione, tanto per fare un esempio, aveva un apparato di 5 funzionari con un segretario strapagato, a cosa è servito? Il partito si è ugualmente liquefatto. I gruppi parlamentari non hanno mai avuto il coraggio di presentare un rapporto di attività, perché non hanno fatto nulla oltre che scaldare i seggi. In più i funzionari erano solo lo strumento per falsare i congressi e garantire la rielezione perpetua del gruppo dirigente. Quindi, fatto salvo l’apparato tecnico strettamente necessario, ed un minimo di dirigenti nazionali (giusto la segreteria ristretta), nessun funzionario politico: non servono, costano e sono dannosi. Basta anche con le liste fatte dai gruppi dirigenti nell’ombra delle segrete stanze. Magari il metodo delle primarie, opportunamente ripensato e forse limitato ai soli iscritti al partito, potrebbe essere già un modo diverso di formare le liste. Comunque mai più di due mandati. Lo slogan sia: Organizzazione si, burocrati no.
5. Nel Pci c’era un’abitudine da riprendere e perfezionare: ogni mese i dirigenti a vario titolo (di partito o istituzionali), dovevano presentare un rapporto di attività nel quale indicare minuziosamente cosa avevano fatto nei 30 giorni precedenti (assemblee, proposte di legge, studi di settore, comizi, interventi in aula o in commissione, riunioni di organismi ecc.) Sarebbe il caso di adottare immediatamente questo sano costume, per giudicare cosa fa ciascun dirigente e magari pubblicare mensilmente on line, l’omissione del rapporto per più in un quinto delle volte dovrebbe portare all’estromissione dalle liste successive (nel caso di parlamentari o consiglieri locali) o dagli organi di partito nel successivo congresso. Il rapporto finale di attività dovrebbe essere sottoposto al giudizio di approvazione della base del collegio o circoscrizione elettorale (per i parlamentari) o della regione (nel caso dei dirigenti di partito e, qualora non superato, porterebbe all’esclusione dalla successiva tornata elettorale o congressuale. Basta con i parassiti nullafacenti. Allo stesso modo, il bilancio del partito (o della Federazione), sia di previsione che consuntivo, deve essere pubblicato on line e sottoposto alla discussione dei militanti: vogliamo sapere come si spendono i soldi, quanto all’iniziativa politica, quanto ad un eventuale apparato, quanto alla stampa ecc. (Rifondazione ha speso cifre da capogiro per un quotidiano inutile, malfatto ed illeggibile e non letto da nessuno per anni: che non si ripeta più una cosa del genere. E per essere più chiari: se un eventuale giornale o sito o quel che vi pare, non va, si licenzia senza nessuno scrupolo, perché la gente deve guadagnarsi da vivere ed uno stipendio non è una sinecura.
6. Una sinistra radicale non è una sinistra un po’ più riformista dell’altra o che grida più forte. La sinistra radicale, soprattutto, deve mantenere il suo carattere anticapitalista, altrimenti che sinistra radicale è? E non funziona il metodo di rinviare l’alternativa di sistema ad un futuro lontanissimo e privo di verifiche, in attesa del quale accucciarsi placidamente ai piedi della sinistra “perbene”. Occorre tendere nel presente al massimo di destabilizzazione possibile del sistema. Ad esempio è il caso dell’Euro, ma qui non mi ripeto.
7. I voti non si fanno sugli slogan o su quanto sia fotogenico il sorriso del leader, si fanno sull’iniziativa politica articolata in campagne su obiettivi precisi (casa, fisco, occupazione, giustizia, democrazia economica, riforma universitaria ecc.) e sostenute con la più ampia gamma di forme di azione (referendum, proposte di legge di iniziativa popolare, manifestazioni, scioperi, class action, denuncia giudiziaria, controinformazione ecc.). Ovviamente sarebbe suicida disperdersi su tutto, soprattutto in mancanza o in scarsità di mezzi necessari (soldi, accesso ai mass media ecc.), quindi sarebbe opportuno scegliere un paio di campagne per volta e puntare su quelle, cercando di avere qualche risultato anche solo parziale. Ma per fare questo occorre avere idee chiare e saperle comunicare. E questo richiede che si riprenda a studiare e discutere. Qui non studia più niente nessuno se non a titolo personale. Ad esempio, perché non pensare ad un centro di elaborazione e studio della federazione di cui si diceva prima?
8. Il vecchio partito piramidale, con le vetuste procedure congressuali è una venerabile reliquia del passato, che ha reso ottimi servigi ma è superato già dagli anni settanta. Va da sé che ci vuole una articolazione territoriale e che il web non basta, ma è necessaria una cosa che integri le due cose. Sicuramente l’articolazione territoriale deve avere una sua strutturazione ai livelli delle istituzioni locali, che ci vuole un gruppo dirigente nazionale stabile e collegiale e che ci vogliono regole di garanzia democratica che difendano i diritti della base e delle eventuali minoranze. Detto questo dobbiamo trovare modi meno vetero: ad esempio, si ad assisi nazionali e regionali di discussione, ma basta con i congressi in cui io delego uno, che delega un altro, che delega un altro a eleggere (o fa finta di eleggere) il gruppo dirigente nazionale. Non va bene neppure il metodo delle correnti o delle “mozioni” che diventano partiti nel partito. Forse sarebbe preferibile, per la definizione della linea politica, procedere con referendum interni su singoli punti chiave e poi affidare alla mediazione in direzione nazionale la rifinitura di dettaglio o le questioni minori. Per l’elezione del gruppo dirigente si potrebbe evitare il metodo della proporzionale su liste di mozione e votare con candidature individuali e voto plurimo (da 3 a sei preferenze, per esempio), in modo da date più spazio alla scelta del singolo dirigente. Soprattutto una cosa: chiamare i militanti ad una partecipazione più attiva, il che significa basta alla routine. Basta con i festival di partito, con le attivazioni solo nei periodi elettorali e con gli iscritti che si riuniscono solo per decidere come fare affissioni, volantinaggi, banchetti ecc. Militanza non è sinonimo di manovalanza e, dunque, se pure una parte del lavoro di questo tipo certamente va fatta (e non farebbe male ai dirigenti parteciparvi ogni tanto), non è questo l’aspetto più importante della militanza. Quello che è essenziale è la partecipazione costante al dibattito politico, che è l’unico modo per mettere gli iscritti in condizione di avere le idee chiare e, quindi, svolgere azione di propaganda (per usare questo termine un po’ vintage). I circoli che si riuniscono solo per organizzare volantinaggi, affissioni ecc, vanno semplicemente sciolti ed i loro iscritti dispersi fra gli altri circoli.
9. Peraltro nel 2015, volantinaggi, affissioni, ecc sono un modo un po’ arcaico di fare propaganda: vanno già meglio i banchetti per strada, dove discutere con la gente e, se il militante è ben preparato, può fare utilmente lavoro di diffusione delle idee. Poi ci sono altre forme di comunicazione: le forme di spettacolarizzazione, le mostre, l’attività culturale di quartiere, l’animazione per strada… Ma poi, esistono i social forum, le mail, i blog per suscitare discussioni, comunicare un evento, diffondere notizie. Ma è mai possibile che i siti della sinistra radicale sano così poco seguiti? Non sarà che sono fatti male, non si sostengono a vicenda, non hanno supporto ecc ecc? Io non ho il mito del tutto on line che piace tanto ai miei amici cinque stelle, ma, nel 2015, non è possibile fare politica senza usare anche (ho detto anche, non solo) questa forma di comunicazione. C’è poi un’altra cosa che andrebbe riscoperta: la partecipazione alle assemblee nel proprio posto di lavoro. E magari ci sta anche il volantino distribuito all’ingresso per poi discutere nella pausa pranzo: perché no?
10. Allo stato attuale la gente che potrebbe essere interessata a campagne di sinistra radicale si distribuisce in tre direzioni: astensione, Pd e M5s. L’astensione è il bacino più grande, ma anche più eterogeneo, non organizzato e difficile da raggiungere se non attraverso i grandi canali di comunicazione ai quali, allo stato attuale, forse solo Sel può arrivare e per piccolissimi spazi. Quindi è l’area da cercare per ultima, quando si abbia la forza organizzativa per poterlo fare. Restano le altre due, con una differenza che impone atteggiamenti diversi. Il Pd è il partito di governo ed è un nemico cui sottrarre la maggior quantità di consensi possibile: dunque, il problema si pone in termini antagonistici e va esercitata la massima pressione per una sua scissione e poi si vedrà in quali forme e se possibile collaborare con i fuorusciti che, in ogni caso, non mi sembrano tanto radicali. Diverso il caso del M5s che è un movimento di opposizione, nel quale non pochi elettori e militanti sono persone che militavano in Rifondazione, Idv e Pd e se ne sono andate disgustate (con qualche ragione direi). Non sto proponendo liste comuni (che il M5s non accetterebbe) ma più semplicemente un dialogo basato su quella che Nenni chiamerebbe la “politica delle cose”: che facciamo per l’occupazione? Che ne dite di appoggiare questa campagna sulla casa o l’università? Possiamo organizzare una discussione comune sul problema della giustizia? Ci sta bene il vostro referendum sul tale problema, a voi piace la nostra proposta di legge di iniziativa popolare su quest’altro tema? Lo so che i 5stelle sono piuttosto chiusi e non sarà facile iniziare il discorso, ma su temi precisi e con una forza politica che abbia caratteri non “partitocratici” la cosa potrebbe diventare possibile. In ogni caso, questo sottintende che sia abbandonato l’attuale atteggiamento isterico ed infantile (sa tanto di sindrome da “rosicamento” per il successo avuto dagli altri) e, pur mantenendo le differenze di cultura politica e ruolo, questo potrebbe aprire una fase diversa di rapporti utile sia agli uni che agli altri.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, che fare?, idee per la sinistra, m5s, movimenti, sinistra radicale

ilBuonPeppe
Condivido al 100%.
Chissà se c’è ancora vita su questo pianeta…
leopoldo
direi che nel caso di unità produttive dove i componenti sono di diverse imprese con tipologie di contratto diverse, cioè la totalità del mondo del lavoro oggi. Parlare o rivendicare uniformità di inquadramento sarebbe auspicabile per la stabilità del lavoro e della società, peccato nessuno lo faccia. Chi sa i diretti interessati forse sono troppo ricattabili allora si preferisce parlare di calcio terreno neutro dove esporre il proprio pensiero senza destare sospetti e cmq l’offerta ideologica rimane limitata. Ovvio che anche oggi la stabilità lavorativa esiste, anche se bisogna garantire la precarietà, e si fonda in uno stato di aggressione seminascosta di tutti contro tutti, di micro associazioni pseudo mafiose in perenne stato di ansia e ricattabilità.
L’africa sta esplodendo e noi siamo sulla strada.
benito
Io sono quello del “be’ allora cosa proponi?” Ma questa domanda in realta’ era rivolta ad un intervento che mi era parso un po’ fumoso, non so’ come non si sia posizionata subito dopo quell’intervento, forse ho sbagliato a cliccare. Ad ogni modo vorrei aggiungere alla lista del professore una questione contingente che ritengo di enorme importanza: la crisi in Ucraina.
Da molto tempo Giulietto Chiesa parla di una possibile guerra occidente-Russia. Ma ora non e’ piu’ soltanto quel comunista complottista di Chiesa, anche personaggi conservatori e moderati come Mario Monti e Sergio Romano nutrono delle preoccupazioni in tal senso, oltre a qualche articolo qua e la sulla stampa. La sinistra dovrebbe mobilitarsi su questo tema cercando anche delle alleanze trasversali, e’ in gioco la nostra sopravvivenza
leopoldo
non so di quale articolo parli, forse hai sbagliato a cliccare ?-:D
benito
se c’e’ ancora qualcuno che pensa che cio’ che sta accadendo in Ucraina non ci riguarda, vada e su questo sito: http://www.pandoratv.it e selezioni il filmato “PTV speciale, come gli USA preparano la guerra” E’ l’intervento di un esperto governativo americano di geopolitica ad un convegno tenutosi a Chicago. Ormai i piani bellici sono fatti a carte scoperte, mentre qui ci preoccupiamo ancora chi potrebbe vincere le prossime elezioni amministrative. La sinistra e non solo la sinistra, dovrebbe immediatamente mobilitarsi per l’uscita dalla nato se solo riuscisse a svegliarsi dal coma profondo. Mi meraviglio che il prof. Giannuli non appaia preoccupato per una situazione cosi grave, e’ in ballo la pace e la sopravvivenza di noi tutti italiani ed europei comunque la pensiamo
Aldo Giannuli
sono preoccupatissimo imvece e ci scriverò
Sergio Mauri
Sono d’accordo al 100%. I dirigenti devono andarsene e invece sono ancora lì, accarezzati da molti, magari per il posticino di lavoro. C’è quindi anche un problema di quadri intermedi. Inoltre: le organizzazioni della cosiddetta sinistra sono piene di gente che non s’informa e non studia. Dialogare col M5S mi sembra giustissimo, purtuttavia, in Rifondazione c’è gente che vede il M5S come dei nazisti. Fondamentale, poi, tagliare col PD.
cinico senese
Che fare? discorso lunghissimo; prof le sue considerazione sono di tipo organizzativo, che devono però venire dopo la definizione del CHI SIAMO CHE VOGLIAMO CHI SONO I NOSTRI NEMICI. Alcuni spunti:
1) non chiamarla più né sinistra né anticapitalista perché è roba che è stata sconfitta nel secolo scorso preglobalizzazione; puzza di Unione Sovietica, povertà, roba per operai che non esistono più.
2) il nemico n.1 è il nuovo fascismo: la globalizzazione liberista angloamericana che è questo: a) distruzione degli Stati nazionali e del senso di appartenenza di un popolo alla sua terra b) eliminazioni di leggi diritti limiti (ossia il welfare state) c) sottomissione a poteri non eletti da nessuno (ce lo impone la BCE, FMI, commissioni europee, organi di conciliazione sovranazionali vedi TTIPP etc ) d) liberalizzazione dell’immigrazione globale per creare un esercito di riserva infinito di manodopera a basso costo in concorrenza a cui poter attingere (0il dovere della solidarietà); e) guerre continue fredde e calde: caro il mio popolo che non conta un c….se non ti sottometti con le buone, ti abbatto con le cattive (vedi la fine che farà la Grecia) f) stato di guerra geopolitica contro i concorrenti Cina e Russia; g) il fine ultimo è: esiste solo il mercato, chi è ricco comanda, chi è povero soccombe perché se lo merita
3) nemico 2: l’euro i regolamenti EU imposti e l’austerity. Se stai nell’euro comanda la Germania e devi applicare l’austerity. Ne consegue: uscita dall’euro, moneta nazionale, banca nazionale sotto il controllo governativo
4) nemico n.3: il PD: esso esiste perché non esiste una destra. Sicchè esso è destra.
5) deve essere nazionale e popolare. Tipo Putin, Le Pen etc…
6) deve essere il partito di chi non ha rappresentanza e viene danneggiato dall’euro: precari, disoccupati, piccoli imprenditori e loro lavoratori, dipendenti pubblici che vogliono cambiare, pensionati poveri, giustizialisti antimafia.
Tenerone Dolcissimo
deve essere il partito di chi non ha rappresentanza e viene danneggiato dall’euro: precari, disoccupati, piccoli imprenditori e loro lavoratori, dipendenti
Cinico, i piccoli imprenditori sono stati depredati per anni da tasse esosissime imposte dalla sinistra e soprattutto da qualla radicale e finalizzate a pagare le prebende dei parassiti protetti dalla sinistra e soprattutto da qualla radicale . un imprenditore in una sede della sinistra ci può entrare solo per strangolare gli iscritti. Quanto ai lavoratori, nel settore privato si stanno svegliando. Rimangono i pubblici, cioè i parassiti e quelli effettivamente stanno virando in massa a sinistra, perché sono abituati a capire al volo dove si pappa. Forse hanno letto la frase della Thatcher IL SOCIALISMO E’ L’IDEA DI VIVERE CON I SOLDI DEGLI ALTRI.
Saluti
Mario Bioletti
Quindi Lei non si è mai rivolto alla sanità pubblica perchè medici e infermieri sono parassiti, non è mai andato in comune, all’agenzia delle entrate, al catasto, tutti parassiti, non ha mai avuto bisogno dei carabinieri, altri parassiti, non cammina sui marciapiedi del comune perchè sono stati voluti da sindaci e assessori, altri parassiti, idem per le strade pubbliche, Lei usa solo l’elicottero, ma perbacco anche gli eliporti sono pubblici. Sa cosa Le dico? Si fa in fretta a sputare nel piatto dove si mangia. Se odia così tanto lo Stato, vada a vivere dove lo Stato non c’è: in Somalia! Ma finché resta in Italia e usufruisce dei purtroppo sempre minori servizi statali, stia zitto.
Aldo Giannuli
sbagliato: l’idea di vivere con i soldi degli altri si chiama capitalismo
Gianpaolo Cappello
Ti sei dimenticato di suggerire il taglio degli stipendi. Probabilmente sono il motivo più importante del successo del M5S
ilBuonPeppe
Una cosa da NON fare assolutamente è inseguire il M5s.
Quella degli stipendi, insieme a molte altre, è fuffa. E’ vero che su questo il M5s raccoglie consensi, ma rimane fuffa. Un soggetto politico degno di questo nome, i consensi li cerca su contenuti politici sostanziali, non sulle trovate qualunquiste.
marcello toninelli
Tutti suggerimenti che rimangono nel solco del già fatto e, dunque, non produrranno niente di nuovo. Primo: si basano su un equivoco bisecolare, cioè che il sistema di rappresentanza tramite elezioni sia un sistema democratico. Nulla di più falso. Come scrisse Simone Weil “non abbiamo mai conosciuto nulla che assomigli, neppure da lontano, a una democrazia. Nella cosa a cui attribuiamo questo nome, in nessun caso il popolo ha l’occasione o i mezzi per esprimere un parere su alcun problema della vita pubblica.” E non a caso.
Dopo le Rivoluzioni, i nuovi stati indipendenti si chiamarono semplicemente “repubbliche”, senza l’appellativo di “democratico” che, all’epoca, non riscuoteva grandi consensi. John Adams, che oltre ad aver combattuto fieramente per l’indipendenza, divenne anche il secondo presidente degli Stati Uniti, sembrava non amare molto la democrazia: “Considerate che una democrazia non dura mai a lungo. Essa non tarda ad appassire, s’esaurisce e causa la sua propria morte. Non c’è ancora mai stata una democrazia che non si sia suicidata.” E sosteneva di conseguenza la necessità di “delegare il potere dei molti a un numero ristretto dei migliori e più saggi.”
Non la pensava diversamente James Madison. Quando si trattò di adeguare gli Articoli della Confederazione del 1777 alla nuova America federale, nei “Fogli Federalisti” del 1788 scriveva: “Lo scopo di ogni Costituzione politica è, o dovrebbe essere, di ottenere innanzitutto per capi degli uomini che posseggano la maggiore saggezza per discernere il bene comune della società, e la maggior virtù per perseguire la realizzazione di questo bene. (…) Il metodo elettivo di designazione di questi capi è il principio caratteristico del regime repubblicano.”
Gli faceva eco il padre dell’indipendenza americana, Thomas Jefferson, sostenendo che esisteva una specie di “aristocrazia naturale fondata sul talento e la virtù”.
Anche tra i rivoluzionari francesi la democrazia non doveva essere molto apprezzata, se un membro della prima Assemblea nazionale come Antoine Barnave arrivava a definirla “il più odioso, il più sovversivo e, per il popolo stesso, il più nocivo dei sistemi politici.”
Tutto quello che di democratico poteva esistere nella forma iniziale di governo rivoluzionario, fu rapidamente “normalizzato”. Se infatti nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 si poteva leggere che “La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno il diritto di contribuirvi, sia personalmente che per mezzo di loro rappresentanti”, la successiva Costituzione del 1791recitava invece: “La Nazione, dalla quale promana ogni potere, non può esercitarlo che per delega. La Costituzione francese è rappresentativa.”
Lo stesso Emmanuel Joseph Sieyès, abate e politico, che pure aveva pronunciato l’invettiva “Che cos’è il Terzo Stato? Tutto. Che cos’è stato finora nell’ordinamento politico? Nulla. Che cosa desidera? Diventare qualcosa”, fece ben presto retromarcia arrivando a scrivere: “La Francia non è e non deve essere una democrazia. (…) Il popolo, lo ripeto, in un paese che non è una democrazia (e la Francia non saprebbe esserlo), il popolo non può parlare, non può agire che per mezzo dei suoi rappresentanti”.
Nel libro “Contre les elections” lo storico belga David Van Reybrouck ci informa che, nei suoi studi, il politologo canadese Francis Dupuis-Déri ha constatato che i Padri fondatori delle due rivoluzioni, di qua e di là dall’oceano, evitavano visibilmente di nominare la democrazia, considerata equivalente di caos ed estremismo, e dunque da tenere prudentemente lontana. Le repubbliche che si andavano costituendo dovevano dunque essere piuttosto aristocratiche che democratiche. E le elezioni dovevano servire a questo scopo. Insomma, il DNA di quegli stessi governi che oggi pretendono di esportare in paesi lontani la democrazia (rigorosamente basata sulle elezioni) anche a suon di bombe, è quello di una perfetta aristokratia, come la chiamavano gli antichi greci. La democrazia non c’entra assolutamente niente. È come se da duecento anni ci vendessero funghi non commestibili spacciandoli per porcini; che li si faccia trifolati, ci si faccia il risotto o li si frigga, alla fine il risultato è sempre lo stesso: si deve correre in bagno (o in ospedale a farsi una lavanda gastrica).
A questo punto non stupisce che lo scrittore e umorista Samuel Langhorne Clemens, più noto come Mark Twain, già nella seconda metà del XIX secolo ironizzasse sulla reale natura delle elezioni con uno dei suoi più efficaci aforismi: “Se votare facesse qualche differenza non ce lo lascerebbero fare.” Che fare, allora? Riscoprire le fondamenta della VERA democrazia, quella della Bulé ateniese (estrazione a sorte dei rappresentanti, breve durata del mandato, non ripetibilità del mandato) e applicarle, opportunamente rimodulate per adeguarle alle necessità attuali e al conquistato suffragio universale. Con relativa abolizione dei partiti, a quel punto assolutamente inutili. QUESTO sarebbe un cambiamento REALE.
Aldo Giannuli
Intervento troppo lungo: così non lo legge nessuno, ti spiacerebbe sintetizzarlo entro le 20 righe?
Edoardo
Grazie Professore per l’incisivita’.
Tutto condivisibile; due sole note:
– il problema dell’ego mostruoso dei militanti/ dirigenti dei vari gruppetti, proporzionale alla microscopicita’ del gruppo stesso. Questo mina il suo primo punto e base di tutto ,la Federazione. Chi li mette insieme a ragionare i post-trotzkisti para-rivoluzionari con i luxemburghiani anticapitalisti e un po’ comunitaristi con i veterostalinisti vegani e con i centri sociali antagonisti ma piu’ antagonisti degli anarcoinsurezz…..e’ da pazzi.
Richiesta sincera, lei avrebbe voglia di fare da pacere/moderatore/collettore di proposte? Me li vedo e immagino…”Giannuli? per carita’…o Lenin o niente”
– Punto programmatico: la discriminante internazionalista e una chiara visione geopolitica. Volgarizzo: Russia, Iran, Libia di Gheddafi, Siria di Assad, Venezuela, Cina sono dei nostri (forse dimentico qualcuno, ma ci siamo capiti), gli altri sono nemici. Capire cosa c’e’ in gioco e quali gli schieramenti.
Che ne dice? Cominciamo a litigare?
Grazie davvero per lo sforzo, Professore.
Con stima, cordiali saluti
edoardo
ilBuonPeppe
A proposito del tuo punto programmatico, penso che si debba invece andare in tutt’altra direzione. La ricerca di amici e nemici a prescindere è una delle cause dei drammi che vediamo a livello internazionale.
In realtà la faccenda è molto più semplice: gli amici sono quelli che condividono i nostri stessi ideali. Una condivisione da verificare sui fatti e non sulle intenzioni, ovviamente. Il resto è una conseguenza.
fortebraccio
pro,ma da lei non ce lo aspettavamo proprio,che nonostante i grillini siano dei servi venduti,agli usa,li proponesse ancora! sono,come del resto il 110 percento di tutti i politici,dei pezzi di egoisti di shit!
Gerardo
Benissimo, io ci sto! E adesso? Dove vado? Il circolo di Rifondazione del mio paese è uno di quelli vetusti, antichi, obsoleti. I 5 stelle in questi anni hanno fatto aggregazione intorno ai meet-up presenti in ogni città, si dovrebbe prendere spunto. Nel mio paesello, tra l’altro, sabato ci verrà proprio Ferrero (si parla del diavolo) http://www.prcbergamo.it/torre/
Insomma, cosa faccio, vado nel circolo del mio paese e dico: “ué, baluba, fora di bal che c’è un movimento da ricreare”?
marcello toninelli
Commento “condensato” su richiesta del “proprietario” del sito:
Tutti suggerimenti che rimangono nel solco del già fatto e, dunque, non produrranno niente di nuovo. Primo: si basano su un equivoco bisecolare, cioè che il sistema di rappresentanza tramite elezioni sia un sistema democratico. Nulla di più falso. Come scrisse Simone Weil “non abbiamo mai conosciuto nulla che assomigli, neppure da lontano, a una democrazia. Nella cosa a cui attribuiamo questo nome, in nessun caso il popolo ha l’occasione o i mezzi per esprimere un parere su alcun problema della vita pubblica.” (Chi vuol saperne di più in merito, vada a leggersi il commento “esteso” qui sopra) Che fare, allora? Riscoprire le fondamenta della VERA democrazia, quella della Bulé ateniese (estrazione a sorte dei rappresentanti, breve durata del mandato, non ripetibilità del mandato) e applicarle, opportunamente rimodulate per adeguarle alle necessità attuali e al conquistato suffragio universale. Con relativa abolizione dei partiti, a quel punto assolutamente inutili. QUESTO sarebbe un cambiamento REALE. Altri dati: http://nuovabule.blogspot.it/
Aldo Giannuli
come vede è molto più incisivo così
giandavide
in linea di principio sono d’accordo. ma segnalo qualche difficoltà.
innanzitutto l’aggregazione non è semplice: in grecia le iniziative di solidarietà hanno funzionato con tsipras, ma in italia c’è sempre il rischio di finire come ferrero che vendeva panini in piazza. inoltre facebook e gli altri social network agevolano la comunicazione della destra in quanto più populista, ed è oggettivamente poco efficace pensare di usarli in modo più riflessivo. certo, ci sono anche tante piccole realtà associative che potrebbero essere aggregate, ma non si tratta di un processo facile.
inoltre c’è un grosso problema in italia relativo ai corpi intermedi: giustissimo cambiare dirigenza, ma spesso bisognerebbe riflettere sugli individui ponte tra partito e istituzione, non solo quando sono parenti in attesa di perpetuare la stirpe, ma quando ragionano in modo familistico in generale. pertanto sarebbe bello parlare anche un pò di nepotismo.
infine il dialogo coi 5s. considerando gli attuali rapporti di forza, trovo estremamente difficile che i grillo considerino l’idea di dialogare con soggetti politici così tanto più piccoli rispetto a loro, se non per gli insulti: se non consideri il tuo interlocutore come un tuo pari, la sua voce ti apparirà come un semplice disturbo, un rumore di fondo. quindi l’importante è andare dritto come se si avessero cose più importanti a cui pensare (che di fatto ci sono sempre).
Aldo Giannuli
be, onestamente i M5s con me dialogano ed io sono solo una persona senza alcun seguito organizzato che, peraltro, non gli lesina critiche, molto dipende da come ti poni
Miky
Noi siamo morti a Genova Luglio 2001, così cantavano i 99 posse (parole scritte da Nichi Vendola).
Siamo morti nel momento di massima vitalità con un Bertinotti al 12% , un movimento internazionale in continua ascesa sull’onda di Seattle, ed un vangelo secondo Naomi Klein che prospettava in grande anticipo quello che stava accadendo all’economia mondiale, mettendo al centro la delocalizzazione delle imprese e lo strapotere delle multinazionali, vere problematiche di una globalizzazione inevitabile.
In quegli anni siamo morti e poi risorti, o meglio siamo spariti dal teatrino della politica per risorgere a livello istituzionale, Bertinotti alla Camera , Vendola governatore, Napolitano Presidente ed oggi la Presidente Laura Boldrini. Avremmo potuto chiedere di più da elettori di sinistra?
Quindi non solo siamo risorti, ma siamo gli unici vivi se consideriamo ancora legate le parole politica e rappresentanza: la sinistra trova il suo senso nella rappresentanza dei più deboli, tuttavia i deboli nella storia recente sono persone straniere che lavorano nel nostro paese senza diritti, gente che non potendo votare non interessava alla politica, (compagno Fini a parte 😉
Il ruolo così della sinistra radicale (che io tornerei a chiamare sinistra e basta) è stato quello: farsi invisibile per difendere l’invisibile.
Essere di sinistra non è una scelta razionale, ma sentimentale, è occuparsi di difendere chi ne ha bisogno, la bandiera rossa è stato un conforto per mio nonno nelle campagne calabresi e per mio padre in fabbrica, loro sono la falce ed il martello, non l’Urss, ed è un sollievo oggi per chi si arrampica su una gru in quel di Brescia per rivendicare diritti essenziali, se cercate la vera sinistra la trovate ai piedi di quella gru.