Simboli elettorali e crisi della politica: la corsa ai personalismi.
L’ubriacatura generale della Seconda Repubblica passa anche per i simboli elettorali, che sono forse l’emblema più rappresentativo della sua involuzione, ma anche del cambiamento sostanziale della costituzione materiale di cui parla il Prof Giannuli in uno dei suoi ultimi libri. Tutto è cominciato con il passaggio nel 1993 dal sistema proporzionale al sistema maggioritario, che sembra appunto aver cambiato la nostra forma repubblicana, trasformandola in una Repubblica Presidenziale o simili.
Nella nostra Repubblica le elezioni non servono a eleggere il Governo o il Presidente del Consiglio dei Ministri, come accade per esempio in Inghilterra (si potrebbe dire anche Francia o USA, ma l’equivalente italiano in questo caso sarebbe il Presidente della Repubblica), ma il Parlamento e da sempre è stato così. Mai in nessuna elezione, fino al 1993, ci fu l’indicazione – addirittura nel simbolo elettorale – di una certa personalità come Presidente del Consiglio. Addirittura, fino alla rottura imposta da Spadolini nel 1981, era prassi non scritta che nessun segretario di partito potesse essere Presidente del Consiglio, polemica che riesplode periodicamente di solito nei partiti che si rifanno ad ideali della sinistra. Questo non accade nei partiti tipicamente di destra perché ormai diventati partiti verticistici o personalistici. Forza Italia senza Berlusconi non esisterebbe, discorso che forse è più attenuato per la Lega, che è più un partito verticistico.
Nel nostro paese il Governo viene nominato dal Presidente della Repubblica, dopo i normali colloqui, su indicazione della maggioranza che esce dalle urne o della coalizione formatisi in seguito. Quindi ci sono tecnicamente gli estremi per considerare incostituzionali (o truffaldini), se non di fatto per lo meno in modo sostanziale, i simboli elettorali che individuano un candidato Premier (dizione oltretutto ancora più impropria, perché l’Italia è molto lontana da essere un Premierato). Appunto perché come abbiamo appena detto, con le elezioni non si elegge il Presidente del Consiglio, ma il Parlamento.
Tale involuzione culturale, potremmo ricondurla in parte, all’involuzione che vede ormai tutti i partiti dell’arco costituzionale puntare più sull’aspetto personalistico e mediatico rispetto al programma. Sono ormai le persone che fanno la differenza e non i programmi, lo ha detto anche Bertinotti recentemente apparso a Tagadà su La7: “noi siamo chiamati a votare su chi va al Governo, ma non su che politiche fa”, come se cosa fa chi va al Governo non fosse più affar nostro. Processo anche questo involutivo dato dalla globalizzazione neoliberista, ci preoccupiamo della personalità che più sta meglio sui palcoscenici televisivi, che parla meglio, che ci racconta meglio di come vanno bene le cose, per poi disinteressarci il giorno dopo di quello che fa, di che politiche porta avanti. In linea con il concetto di uno Stato minimo, che deve fare strade, condannare la gente, far funzionare le infrastrutture materiali che servono all’industria, ma non intromettersi in nient’altro.
Forse andrebbe riscoperta una nuova dimensione politica, di militanza, di capacità, di meritocrazia. Il neoliberismo si fa vanto di considerare il merito come ossatura principale del valore di una persona, ma poi di pari grado in politica sembra dimenticarsene, forse perché le menti migliori ritiene che debbano andare alla finanza. Ormai è un processo venticinquennale di abbandono, da parte della classe politica, dirigenziale e di Governo, di competenza e abilità, dato anche dal fatto che crediamo di votare in un certo modo, ma la nostra forma Costituzionale parla chiaro e sarebbe forse giusto diffidare di quei partiti che ritengono di dover mettere il nome del candidato Premier nel simbolo elettorale. Non foss’altro che per una questione meramente di numeri, perché nessuno di quelli presenti sui simboli diventerà Premier, sono perciò destinate ad essere delle promesse decisamente vuote.
Ivan Giovi
aldo giannuli, ivan giovi, seconda repubblica, simboli elettorali
mirko g. s.
Articolo molto interessante. Tuttavia non concordo su una cosa: si danno troppe colpe a Segni e al passaggio al maggioritario. L’involuzione politica nel personalismo e sulla capacità di comunicare mettendo in secondo (terzo) piano i contenuti non è un problema (penso) di sistema elettorale ma della svolta che ha dato il B. alla politica, entrandoci avendo alle spalle Mediaset ed i suoi programmi spazzatura. Egli non ha fatto altro che porsi come venditore e trascinarsi dietro guitti come Sgarbi, non è quindi un problema di maggioritario ma di come una persona abbia impresso un modo di far politica a botte di slogan pubblicitari e volgarità, venendo poi emulato dai suoi “competitor”.
Allora ditelo
Le involuzioni sono più di una.
Dal 1948 il voto è diretto e non si è mai inteso si votasse per i simboli dei partiti (brand fidelity)
Le liste aperte consentono all’elettore di influenzare l’indirizzo politico delle “associazioni di persone” proprio sulla base delle differenze tra i candidati di una stessa lista
http://blogs.lse.ac.uk/politicsandpolicy/the-effect-of-changing-the-electoral-system-in-european-parliament-elections/
I programmi consentono al massimo di valutare le distanze politiche approssimative tra vari schieramenti.
La concezione originaria della Costituzione era fornire un contesto per risolvere consensualmente conflitti politici (dovuti ovviamente a differenze programmatiche).
Si presume che nessuna fazione potesse realizzare unilateralmente il proprio programma ma dovesse collaborare per giungere ad un compromesso che riscuotesse il più vasto consenso.
Tecnicamente il divieto di mandato imperativo proibisce una visione contrattualistica del voto sulla base del programma (il contratto con gli italiani o il contratto IBC).
Quello che rimane sono proprio le persone e la possibilità che devino dai programmi se ne vedono ragione. http://oll.libertyfund.org/titles/659#Burke_0005-04_79
Alla fine gli elettori valuteranno comunque il risultato secondo i propri criteri (non quelli dei rappresentanti che hanno contribuito ad eleggere né dei capi politici “sacerdoti” dell’ortodossia).
Proprio il maggioritario ha rafforzato la visione contrattualistica sacrificando la rappresentatività per consentire la gestione unilaterale del potere (per applicare programmi vaghi e lacunosi a prova di “difetto di conformità”)
Eppure sussiste comunque un abisso tra un partito (mai visto) che pubblichi prima delle elezioni 1000 progetti di legge completi da promulgare nella successiva legislatura ed uno che pubblichi un “menu da asporto” di poche pagine chiedendo di immaginare il miracolo.
Naturalmente per alcune questioni non tutti gli elettori hanno bisogno di dettagli: che dire degli schieramenti che hanno anche solo accarezzato temporaneamente un progetto di legge elettorale che consentisse di raggiungere la maggioranza dei seggi con solo il 35% dei consensi (e legiferare a prescindere dal consenso col rimanete 65%)?
Venceslao di Spilimbergo
Buonasera Esimio signor “Allora ditelo”
Perdoni il disturbo che le vengo inopportunamente a recare ma non ho saputo trattenermi dal scriverle una volta che ho letto il suo interessante commento. Prendendo atto del suo legittimo punto di vista, sarebbe mio desiderio soffermarmi su un particolare argomento tra i vari da Lei sollevati: mi riferisco al suo punto conclusivo, ove si interroga se fosse/ sia conveniente e/o legittimo che una forza politica avente il 35% dei consensi possa disporre di una maggioranza (artificiale?) nel Parlamento, potendo così legiferare a dispetto del restante 65% dei cittadini. Non me ne voglia Esimio ma, a mio personale parere, la risposta alla sua domanda è si. Fin dalle origini del cosiddetto sistema “Democratico Liberale” (ovvero del regime che abbiamo adottato) è prassi che a governare non sia una forza politica maggioritaria a livello della popolazione (quasi mai successo) bensì la più “forte minoranza”, necessariamente sovra rappresentata nelle assemblee legislative. Così ha sempre funzionato negli Stati Uniti e in Gran Bretagna (luoghi di origine delle cosiddette “Liberaldemocrazie”); così è sempre stato (salvo brevi momenti) presso la Repubblica Francese e il Regno del Canada. Immagino che Lei, legittimamente, porrà alla mia attenzione come in Italia le cose andassero invece diversamente durante la cosiddetta “Prima Repubblica”… ma, con il dovuto rispetto, la sua sarebbe una osservazione errata: appare evidente che dal 1946/48 al 1992/94 circa il nostro Paese fu una anomala eccezione, venutasi così a sviluppare in conseguenza ad una serie di molteplici fattori, tanto esterni quanto interni. Come giustamente evidenziò anni fa l’Esimio Professor Cassese, con la fine della cosiddetta “Prima Repubblica” il Belpaese è uscito dalla anomalia in cui viveva immerso e ha invece iniziato a somigliare maggiormente alle cosiddette Democrazie Liberali più “mature”, abbandonando alcuni costumi che (per quanto ancora cari a qualcuno) non costituivano in realtà una ragione di maggiore forza del nostro sistema bensì erano una delle conseguenze dei suoi profondi problemi… problemi, di carattere politico, in buona parte terminati con la fine della cosiddetta “Guerra Fredda” e poi sostituiti da altre problematiche, ora diverse ora simili alle precedenti. Forse sarebbe opportuno lasciare che lo Stivale segua l’evoluzione istituzionale e giuridica cui il Fato lo ha, con il consenso della maggioranza netta della popolazione, indirizzato.
Scusandomi nuovamente per il disturbo, la saluto augurandole ogni bene e una buona serata
Aliquis
Egregio Venceslao, il suo intervento mi stimola ad intervenire (in favore del proporzionalismo puro, inteso non solo come tecnica elettorale, ma come “filosofia politica”, anzi, come “Spirito”) ma avverto che non posso farlo in questo momento; mi riprometto di tornare qui quando posso. Per ora dico solo che lei (dal suo punto di vista) ha detto delle grandi Verità, nel senso che qui si confrontano due concezioni politiche contrapposte tra loro; ed è vero che, sul piano mondiale, la sua concezione,
signor Venceslao, è nettamente prevalente. Da qui nascono i problemi dell’umanità, che non ci sarebbero (o sarebbero di gran lunga minori) se l’intero pianeta si basasse sul proporzionale puro. Articolerò le mie riflessioni quando ne avrò la possibilità.
Allora ditelo
Caro Venceslao la domanda era intesa a dimostrare (ostensivamente) che non sempre abbiamo necessità del livello di dettaglio dei progetti di legge per pervenire a valutazioni politiche.
Rendere il 65% inferiore al 35% dà proprio il senso di un voto uguale (in entrata), non trova? 😛
A meno che con quel 35% di voti una minoranza possa conseguire addirittura i 2/3 dei seggi e modificare la Costituzione (senza possibilità di referendum):
Allora sì che sarebbe un risultato manifestamente sproporzionato ed irragionevole. 😀
La corea del nord si definisce democratica. L’Inghilterra si diceva democratica anche quando la prassi elettorale dei borghi putridi era una tradizione.
Dunque per intenderci le “liberaldemocrazie del 35%” sarebbero “liberali E consensuali” oppure “liberali ma-anche non consensuali”?
Il Suo contributo è benvenuto e se lo ritiene La prego di andare oltre l’appello alla tradizione a beneficio di chi non conosca argomentazioni a sostengo di tale violazione del “principio di maggioranza”.
Non potendo beneficiare delle delucidazioni pertinenti del giudice emerito della Consulta, (già favorevole a revisioni estese della Costituzione ancora vigente) concediamoci il beneficio del dubbio senza stabilire se la concezione originaria della Costituzione Italiana fosse di concretizzare un contesto per risolvere consensualmente conflitti politici oppure -più prosaicamente- stabilire meramente “chi comandi”.
Venceslao di Spilimbergo
Buonasera Esimio signor “Allora ditelo”
Se da un lato la ringrazio sinceramente per la cortese risposta che ha concesso al mio intervento di cinque giorni fa, dal altro la prego di accettare le mie scuse per il ritardo che purtroppo ho avuto nel scriverle. Prendo atto del suo sempre interessante punto di vista Esimio ma, sperando non me ne vorrà per questo, non riesco a farlo mio; la diversa educazione fa si che si possa dialogare, oltretutto civilmente… però le distanze riguardo le idee permangono; anche vistosamente talvolta. In conseguenza a tale constatazione (nonché in coerenza con essa) le sarei grato se mi permettesse di esporre pochi incisi per quanto concerne il contenuto della sua risposta:
a) Riguardo a cosa possa e/o debba essere considerato un “risultato manifestamente sproporzionato ed irragionevole”, preferirei non esprimermi… essendo un simile definizione, per sua natura, totalmente relativa al contesto e pertanto soggettiva;
b) Riguardo la Repubblica della Corea del Nord non vi è dubbio che essa si consideri… e possa venire considerata… una Democrazia. Certamente però non può essere denominata come un regime Liberale (ne mai Pyongyang ha mai voluto presentarsi come tale, invero). Da Conservatore sono personalmente dell’idea che non sia tanto importante osservare se un Paese sia Democratico oppure no; è l’essere o meno Liberale la vera e più profonda discriminante che dovrebbe venire presa in considerazione da un punto di vista giuridico;
c) Riguardo invece la Gran Bretagna del 1800 mi permetta di solo di ricordare come mai essa si fosse considerata (ne avrebbe potuto esserlo) uno Stato Democratico;
d) Io sono personalmente del parere, Esimio, che le cosiddette Democrazie Liberali non siano ne “consensuali” ne “non- consensuali”; esse sono quello che sono sempre state, per loro natura: dei regimi “aristocratici (poliarchici) limitati”, ovvero dei sistemi di governo ove le Elite condividono il loro potere con la gran parte popolazione a esse soggette;
e) Posso comprendere che la formula “argumentum ad antiquitatem” (a cui, a dire il vero, cerco di appellarmi il meno possibile) possa non beneficiare delle sue simpatie e dalla sua approvazione… questo però non toglie come essa, piaccia oppure no, stia alla base del nostro vivere quotidiano (come ben sanno nel mondo cosiddetto “Anglosassone”, ove tale formula non è ritenuta una “fallacia”… a patto che sia dovutamente argomentata e dimostrata)
Ringraziandola nuovamente per la sua sempre squisita cortesia, la saluto augurandole ogni bene e una buona serata
Allora ditelo
nel 1800 la Gran Bretagna era invero una monarchia ma chi partecipava nelle assemblee parlamentari la definiva uno “Stato libero” e costituzionale innanzi a propri elettori:
«:We are Members for a free Country; and surely we all know, that the machine of a free Constitution is no simple thing; but as intricate and as delicate, as it is valuable. We are Members in a great and ancient Monarchy; and we must preserve religiously, the true legal rights of the Sovereign, which form the Key-stone that binds together the noble and well-constructed Arch of our Empire and our Constitution. A Constitution made up of balanced Powers must ever be a critical thing. As such I mean to touch that part of it which comes within my reach.»
http://oll.libertyfund.org/titles/659#Burke_0005-04_81
Nonostante i sistemi elettorali “erano quello che erano”
https://en.wikipedia.org/wiki/Unreformed_House_of_Commons
In ogni caso intendevo sottolineare con quegli esempi che certe definizioni si prestino ad ambiguità già ritenendo che non siano sufficienti a “giustificare” un preciso “stato delle cose”:
Si qualifica uno “stato delle cose” con un termine o un altro per intendersi velocemente con chi li utilizzi con la stessa accezione ma non si invoca un termine a “dimostrare” che uno “stato delle cose” sia giustificato.
Prendo atto che nella Sua accezione la “democrazia liberale” possa prescindere dal consenso della stragrande maggioranza dei consociati “detentori di diritti” e che non abbia ritenuto di indicare motivazioni idonee a giustificarlo.
«Si dicono per definizione democratici o liberi i metodi i quali consacrano il diritto della maggioranza a governare e quello della minoranza a criticare, ma una maggioranza la quale sia tale soltanto perché una legge l’ha trasformata da minoranza in maggioranza non può non eccitare ira ed avversione nel corpo elettorale. Affermare nelle leggi che il 40% equivale a più del 50% è dire cosa contraria a verità […]» Luigi Einaudi in qualità di Presidente della Repubblica Italiana
http://www.luigieinaudi.it/doc/osservazioni-sui-sistemi-elettorali-nellipotesi-che-la-scelta-cada/
SI rileva comunque che poi suggerisse un sistema elettorale che avesse gli stessi risultati in modo meno appariscente per l’elettore medio che il PDR paragonava a pecore.
Allora ditelo
Corrigenda.
prassi elettorale dei borghi putridi
https://it.wikipedia.org/wiki/Borghi_putridi
Gaz
” nessuno di quelli presenti sui simboli diventerà Premier, sono perciò destinate ad essere delle promesse decisamente vuote.” (giudizio politico)
“Quindi ci sono tecnicamente gli estremi per considerare incostituzionali (o truffaldini), se non di fatto per lo meno in modo sostanziale, i simboli elettorali che individuano un candidato Premier” (simboli elettorali incostituzionali di fatto, simboli elettorali incostituzionali in modo sostanziale, simboli incostituzionali truffaldini di fatto, simboli incostituzionali sostanziali: qualche problema di logica ?)
Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una NORMA di legge
o di atto avente forza di legge, la NORMA cessa di avere efficacia dal giorno
successivo alla pubblicazione della decisione. (art. 136 Cost. ).
Vuoi vedere che il papa impose i braghettoni al Giudizio Universale di Michelangelo, perché era incostituzionale?
Per non essere incostituzionali bisogna avere sana e robusta costituzione?
Gaz
Vogliamo sapere chi ha ucciso la Norma ! Nome, cognome, gruppo sanguineo, codice fiscale, taglia, impronte digitali e peso e possibilmente anche accento.
https://www.youtube.com/watch?v=tg6avnq-b-k
Ivan
La prima frase che lei ha citato non è per niente un giudizio politico, è una questione di numeri, al momento (a meno di un exploit incredibile del centrodestra) i voti per governare non li ha nessuna forza in campo. Oltretutto anche se il centrodestra vincesse non sarebbe presidente del consiglio ne Salvini, ne Berlusconi, perché nessuno dei due accetterebbe l’altro, ma sceglierebbero un nome condiviso più o meno equidistante. Però sui simboli elettorali di Lega Nord e Forza Italia sono presenti i nomi dei due relativi candidati Premier e questo è la motivazione della frase di prima. Ma anche se vincessero le altre coalizioni, nessuno avrebbe i voti per governare e per scegliere in autonomia il Presidente del Consiglio.
Per quanto riguarda i problemi di logica, c’è solo un piccolo refuso al posto di “di fatto” andava scritto “formalmente”, e di questo me ne scuso, aggiusteremo la frase.
Gaz
Fu Pannella che per primo pose il suo nome sul simbolo di una lista ?
foriato
Il suo nome sul simbolo di una lista? Dilettante!
https://santiagonzalez.files.wordpress.com/2014/07/logo-pablo-iglesias.jpg
Gaz
Propongo di votare il Papa a suffragio universale e diretto. Almeno Lui ha l’infallibilità.
Bertinotti mi sembra papabile.
Gaz
Arco costituzionale nel 2018 ?? A sesto acuto, o a tutto tondo?
Ohibò !
Ma è crollato a causa di un sisma, oppure sfida il tempo ?
Na tre quarti e na gazzosa
Hai fatto di nuovo le ore piccole?
Gaz
@Na ..
🙂 Una volta ho guidato un’auto tedesca, la cui cosa più apprezzabile era il colore: giallo.
Una volta. Una sola volta.
Gaz
O.T.
Una specie di suprematista bianco di casa nostra ha detto bisogna correre ai ripari, prima che la “razza” bianca si estingua.
C’è qualcuno che gli spieghi che gli europei solo da 7-8.000 anni sono di pelle chiara. Prima erano di pelle scura. Chi gli spiega la ragione genetico migratoria per cui gli spagnoli e gli italiani sono più bassi degli altri europei ?
Viva le giapponesi !
Gaz
O.T.
Bravò Moscovici, continua ad intervenire nella campagna elettorale italiana.
La Mekel pende dalle tue labbra.
Trump non può sedersi se non ti consulta.
Gli italiani si fanno due baffi delle tue solenni cavolate.
Grazie a te abbiamo saputo come vota Macron/Asterix, che vota come quel tipo che scrive sul giornale, che vota come la Merkel ..
Che noia !!
Chi se importa delle tue preoccupazioni .. elettorali. Fatti i fatti tuoi.
Pensa a fare bene il tuo lavoro !
Aliquis
LO SPIRITO DELLA PROPORZIONALE
Democrazia significa essenzialmente due cose; governo del popolo e uguaglianza.
Uguaglianza che, a maggior ragione dopo l’esperienza storica del XX secolo,
deve affiancarsi alla Libertà. E’ la triade della Rivoluzione Francese. Soffermiamoci
e limitiamoci qui, vista la natura specifica di questa discussione, alla questione del sistema
elettorale, che è comunque fondamentale. Nell’ antica Grecia, in particolare ad Atene nel V
secolo avanti Cristo, tutti i cittadini avevano pari diritti politici. Non c’era il problema della
corrispondenza tra l’assemblea e i cittadini perchè le due cose, essendo la democrazia diretta,
coincidevano. Ovviamente era sempre una minoranza ad esercitare i diritti politici, perchè solo
una minoranza godeva dei diritti di cittadinanza. Tuttavia, nell’ambito dei cittadini, non c’erano
preclusioni; qualsiasi cittadino poteva prendere la parola nell’assemblea ed essere ascoltato.
Le decisioni prese a maggioranza corrispondevano alla reale maggioranza dei cittadini.
Il problema che si pose due millenni dopo, quando la democrazia tornò all’ ordine del giorno,
è che la democrazia diretta, vista la grande estensione dello Stato, non era più possibile. Per
esercitare i propri diritti di sovranità i cittadini dovevano per forza di cose eleggere dei rappresentanti. Il problema che si pose fu quello della corrispondenza tra elettori ed eletti
e sul rapporto tra di essi. Sia Spinoza che Rousseau cercarono delle soluzioni, ma di fatto
non le trovarono; si limitarono ad enunciare dei principi. Altri, più moderati di loro, non cercarono
nessuna soluzione; si limitarono ad accettare le cose così come si delinearono spontaneamente; cioè
eleggere, o nominare, un rappresentante locale, unico per tutto un territorio, senza considearare i
diversi interessi e le diverse opinioni in esso presenti. Era un sistema che derivava direttamente dalla struttura feudale. Questo sistema fu ratificato tacitamente dalle prime rivoluzioni borghesi,
in particolare da quella inglese e da quaella americana (ma anche dalla precedente rivoluzione olandese). Nel passaggio tra democrazia diretta e democrazia indiretta si perse quindi un anello
fondamentale: la reale rappresentatività di tutti i cittadini. Nell’assemblea ateniese tutte le opinioni
dei cittadini, indipendentemente dalla loro consistenza numerica, erano naturalmente presenti, anche quella espressa da un unico cittadino. Nell’assemblea dei rappresentanti non era più così:
i rappresentanti venivano eletti solo da una parte dei cittadini; altri cittadini, con i loro diversi interessi e opinioni, non erano rappresentati. Tale fatto fu evidenziato dal socialista Considerant
nel 1846, ma era già stato sollevato, senza trovare soluzione, dal conte di Mirabeau durante la Rivoluzione Francese. In effetti, soltanto la rappresentanza proporzionale, in base alla quale gli
eletti corrispondono matematicamente e precisamente ai voti espressi (una testa un voto, e non un
voto collettivo per territorio, residuo feudale) si può ricreare la corrispondenza tra cittadini e assemblee elettive, anche se non perfettamente. E permettere, indipendentemente dalla consistenza
numerica, la reale espressione delle opinioni e degli interessi presenti nel popolo. Ciò consente un
dibattito politico vero e una mediazione capace di portare a una vera sintesi e quindi a una maggiore
armonia sociale. Ciò consente la vera sovranità popolare. E consente anche il dibattito delle idee, comprese le idee nuove. La proporzionale non consente il dominio esclusivo di una sola parte, di
un solo gruppo, di una sola filosofia. La proporzionale ti invita al compromesso, alla mediazione tra
i diversi interessi. La proporzionale è contro i personalismi. E Piero Gobetti, nel suo articolo “Rimpiangendo la proporzionale” apparso sulla “Rivoluzione Liberale” nel 1925, subito dopo la
restaurazione uninominale voluta da Mussolini, aggiunse: “La proporzionale ti permette di batterti
per un’idea. La proporzionale vuole che gli interessi si organizzino. La proporzionale vuole che
l’economia sia governata dalla politica”. Quest’ultima affermazione è molto importante. In effetti,
un Parlamento pienamente legittimato dalla piena rappresentanza dell’intero corpo elettorale è dotato di maggiore forza e volontà di imporsi ai potentati economici. Quindi, proporzionale significa maggiore giustizia sociale. Non è quindi un caso che le classi possidenti abbiano sempre
osteggiato la proporzionale in misura maggiore rispetto al principio stesso del suffragio universale,
perchè da loro meno manipolabile. Questo il vero motivo per cui nei Paesi più grandi del mondo non si è affermata. Lo sviluppo storico del proporzionalismo offre spunti interessanti. Il sistema elettorale proporzionale fu inventato dal professore inglese Thomas Wright Hill nel 1820 e da lui applicato, per la prima volta, nell’elezione del Consiglio della scuola da lui fondata. Suo figlio,
Rowland Hill, inviato in Australia per organizzare il municipio di Adelaide, lo fece adottare per le
elezioni comunali di quella città nel 1840; quelle furono le prime elezioni al mondo svolte con il
metodo proporzionale. Era un proporzionale definito come “voto singolo trasferibile” perchè si trattava di un voto dato ad un singolo candidato e non ad una lista. Il proporzionale di lista fu elaborato negli anni Settanta del XIX secolo dal professore belga D’Hont. Il proporzionale a voto
singolo trasferibile viene ancora oggi usato per le elezioni provinciali in Tasmania, per le politiche
nella Repubblica d’Irlanda e in due località degli Stati Uniti. Esso fu riscoperto, in modo indipendente da Hill, dal professore inglese Thomas Hare nel 1855. In quello stesso anno il ministro danese Andrae lo applicò nelle elezioni di uno dei due rami del Parlamento, anche se limitatamente
al secondo grado di elezione, vale a dire per i grandi elettori eletti al primo turno dai cittadini con sistema uninominale. Andrae aveva elaborato il voto singolo trasferibile in modo autonomo, senza conoscere le elaborazioni di Hill e di Hare. Quella danese fu la prima legge proporzionale europea.
Pochi anni dopo il filosofo liberlademocratico inglese John Stuart Mill, entusiasta del sistema di Hare, lo pubblicizzò con ogni mezzo, e diede battaglia nel Parlamento inglese perchè fosse adottato.
Famosa fu la sua frase: “La minoranza deve essere rappresentata integralmente al pari della maggioranza. Dove manca questa condizione, prevalgono l’ingiustizia e la disuguaglianza”.
Mill non riuscì nel suo intento. Ma contribuì a diffondere l’idea proporzionale nel mondo; essa fu
ripresa in modo potentemente più efficace dal filosofo e teologo ginevrino Ernest Naville nel 1864,
il quale, dopo aver assistito a violenti scontri armati nella sua città scoppiati dopo le elezioni non
riconosciute dai cittadini che erano rimasti esclusi dalla rappresentanza, trovò nella proporzionale
la soluzione a tali tragici eventi. Il 9 Gennaio 1865 Naville fondò a Ginevra l’Associazione Riformista, la prima organizzazione proporzionalista del mondo, che fece da modello a tante altre associazioni simili sorte in Svizzera, in Belgio, in Inghilterra, in America e altrove. In quello stesso anno Naville dava alle stampe il suo saggio “La patria e i partiti” nel quale enunciava i principi della
proporzionale, da lui riassunti nel motto “In uno stato democratico il diritto di decisione spetta alla maggioranza; ma il diritto di rappresentanza deve spettare a tutti”. Naville è importante anche sul piano filosofico per aver elaborato un pensiero che rifiuta ogni “Verità ultima e assoluta”; per Naville nessuno è depositario di una verità esclusiva. Nel suo saggio “La filosofia e la religione”
egli elabora una epistemologia che dà uguale importanza alla ragione e all’esperienza nella ricerca scientifica, superando la contrapposizione tra razionalismo ed empirismo, e sostiene che nessuna filosofia, nessuna scienza e nessuna religione possono esecitare un monopolio culturale. Ciò è in
linea con le sue concezioni proporzionaliste. Nel 1885 le varie associazioni proporzionaliste del mondo organizzarono una Conferenza ad Anversa. Dopo il 1889 la proporzionale divenne la rivendicazione dei partiti socialisti in tutto il mondo. Nel 1891 il proporzionale di lista fu adottato
per la prima volta nel Canton Ticino, cantone svizzero di lingua italiana. Nel 1892 fu la volta di Ginevra, città di Naville, e subito dopo di tutti gli altri cantoni svizzeri. A livello federale la Svizzera sarebbe poi passata al proporzionale nel 1918. Nel 1899 il Belgio fu il primo paese
a passare al proporzionale di lista per le elezioni nazionali. Dopo la prima guerra mondiale la
proporzionale fu introdotta in tutti i paesi europei con l’unica eccezione della Gran Bretagna.
La storia successiva ha visto continuare la lotta tra proporzionalisti e antiproporzionalisti.
Oggi, sistemi proporzionali puri sono in vigore in Olanda, in Belgio, in Svizzera, in Portogallo.
Proporzionali impuri, cioè con soglie di sbarramento comprese tra il 2 e il 5%, sono presenti in
Germania, Austria, Repubblica Ceca, Lussemburgo, Spagna, Danimarca, Finlandia, Svezia, Norvegia, Islanda, Groenlandia, Irlanda, Iralnda del Nord, Scozia, Galles, Tasmania e Nuova Zelanda. La proporzionale è il sistema con cui viene eletto il Parlamento Europeo. Ripetuti tentativi
di introdurre la proporzionale in Gran Bretagna e in Canada non hanno fino ad ora avuto successo;
ma il dibattito continua. Russia, Giappone e numerosi paesi dell’Europa orientale e dell’America Latina hanno un sistema misto.
Roberto B.
Grazie Aliquis! Veramente ben spiegato e meglio scritto.
Venceslao di Spilimbergo
Buonasera Esimio signor “Aliquis”
Ritenendo che questo suo prezioso scritto sia la riflessione da Ella annunciata nel suo cortese commento del 16 Gennaio scorso, mi sono preso la libertà di risponderle direttamente a questa sua ultima fatica senza soffermarmi alla precedente. Ne approfitto altresì per porgerle le mie scuse per il ritardo da Ella subito in attesa alla mia risposta. Esimio, prendo atto delle sue sempre interessanti opinioni ma, sperando non me ne vorrà per questo, non riesco purtroppo a condividerle. Come avevo già messo in evidenza in precedenti occasioni e commenti, personalmente non ho nulla contro il sistema elettorale proporzionale, di cui riconosco i molteplici pregi (ma anche i diversi difetti, invero)… semplicemente ritengo che vi siano alcuni Paesi a questo mondo che possono permettersi l’applicazione di questa determinata modalità di voto (in cui, come giustamente Lei ha fatto notare, l’elemento rappresentativo è maggiormente considerato)… mentre vi siano altri Stati che, per motivi eminentemente geopolitici, non possono permettersi “il privilegio” di adottare il sistema in questione. L’Italia, piaccia oppure no, ritengo appartenga a questa seconda categoria… nella quale trovano posto tutta una serie di Nazioni aventi la pesante necessità (sia per ragioni di politica interna, sia di politica estera) di favorire nel loro ordinamento, per quanto possibile, soprattutto l’elemento della governabilità. Purtroppo non sempre i Popoli hanno le stesse possibilità; e non sempre possono adottare idee usate, ora con successo ora no, in altri contesti. Se la “Proporzionale” poteva avere un qualche senso nel Belpaese durante la cosiddetta “Guerra Fredda”, ecco che oggigiorno la realtà è così mutata che riprendere quel sistema apparirebbe impossibile. Anzi! Doppiamente impossibile, poiché sono nel frattempo venuti meno anche gli elementi (tanto intellettuali quanto pratici) indispensabili per poterlo applicare, a prescindere dalle problematiche geopolitiche esistenti: i partiti… a loro volta tramontati nel “cielo della Storia” a cagione della scomparsa del loro fondamento indispensabile: le ideologie. È pertanto mia opinione che il tempo del Proporzionalismo sia terminato in Italia non per un qualche emotivo capriccio popolare e/o per chissà quali interessi lobbistici esistenti (purtroppo è topico dei Progressisti cadere nel cosiddetto “complottismo”), quanto piuttosto perché è venuto meno l’ambiente storico presso cui quel determinato sistema di voto poteva/ può sussistere. La preferenza verso il “Maggioritario” è nello “Spirito del Tempo”… e per quanto si possa tentare di resistere o addirittura di tornare indietro, l’unica cosa che si otterrà sarà solo, forse, di ritardare l’inevitabile.
Scusandomi nuovamente per l’attesa da Lei subita e complimentandomi per l’interessante scritto offertoci, la saluto augurandole ogni bene e una buona serata
Gaz
O.T.
Donald Duck Trump sembra che sia annegato tra i gorghi della navigazione di una nave scuola molto navigata.
In tutto il mondo sanno che Silvietto ha vestito alla marinara e perciò ci hanno deriso per anni.
La stampa internazionale coglie l’occasione per criticare il fatto, i personaggi o le nazioni ?
Qualche sospetto sorge.
Gaz
O.T. @ Venceslao di Spilimbergo.
Illustrissimo,
alcuni giorni addietro abbiamo interloquito sulla questione linguistica europea.
Poco conta che mi sia stato attribuita una posizione non mia, essendo più rilevante il tuo merito di aver ripreso il tema.
Della questione si è accorto Macron Asterix durante la sua gitarella romana e lo ha risolto al suo solido modo, ovvero: francese per tutti, dappertutto e con tutti. Potrebbe essere una soluzione, ammesso però che sia in precedenza un problema in tal senso, ma non è l’unica soluzione. Ancor meno praticabile sarebbe imporre, perchè di imposizione si tratterebbe, al pescatore dell’Atlantico di parlare italiano.
Uno dei migliori articoli, se non il migliore per problematicità in termini politici, in tema è su questo sito ed è a firma del nostro (si può dire?) Professor Giannuli. Il tema gli appartiene.
Mi si perdoni il paragone, ma Dante, Petrarca, Bembo -e mi fermo qui- il problema con riguardo all’italiano se lo posero in periodi di estrema frammentazione politica.
Se quella vecchia volpe anti italiana di Metternich potette scrivere che l’Italia è un’espressione geografica, lo si deve in positivo agli uomini di lettere che ne hanno conservato e tramandato la cultura e in negativo ai politici vassalli divisi e asserviti.
Se oggi da Lampedusa a Tarvisio siamo in grado di comprenderci perfettamente, lo si deve a quegli uomini di cultura dei secoli precedenti, che lavoro dopo lavoro hanno continuato a solcare e amalgamare un patrimonio ideale comune.
Non pongo una questione di tipo tecnico linguistico, quanto politica, rispetto alla qual ultima, la prima è dipendente.
C’è questo cadavere di Europa. Dal punto di vista culturale e linguistico (leggi di opinione politica comune) cosa ne vogliamo fare?
Asterix ha detto la sua, ma prima ancora gli anglisi avevano dato la stessa soluzione, salvo dimenticarsi della Brexit, per la quale da questo sito ho pregato in latino.
L’Unione Latina Internazionale, con sede a Parigi, è stata asfissiata per mancanza di fondi, principalmente dalla Francia, non contenta di aver a suo tempo seppellito il latino per sostituirlo col francese. La via del latino moderno non è più praticabile per l’opposizione della Francia.
Vogliamo o non vogliamo porci il problema linguistico ?
Se non vorremo, saremo condannati e pensare che quelli oltre le Alpi sono i soliti bronzi, idioti, barbari, e chi più ne ha più ne metta, mentre sotto le Alpi ci sono i diavoli, anche (im)poveri(ti), spendaccioni, maiali e quant’altro.
Allora ditelo
L’inglese è il nuovo “latino” usato nelle pubblicazioni accademiche.
La riduzione dell’analfabetismo inglese nei vari stati richiede tempi lunghi.
http://www.corriere.it/scuola/14_novembre_14/italiani-bocciati-inglese-peggio-noi-europa-solo-francia-6b132d82-6be4-11e4-ab58-281778515f3d.shtml
Gaz
@Allora ditecelo.
Mi sarei meravigliato se il filo britannico Corriere della Sera avesse sostenuto una tesi diversa, ma appunto è il Corriere della Sera. L’asimmetria non sta nel fatto che il Corriere sia filo britannico, quanto nel fatto che ciò non sia ricambiato Oltremanica, anche per demerito nostro.
Se gli inglesi scoprissero di quanto la loro lingua sia tributaria del latino, sarebbe un’ottima cosa per tutti. In questo esprimo un giudizio politico.
Rebus sic stantibus, chiamiamola lingua veicolare.
Gaz
Errata corrige: Allora ditecelo – Allora ditelo
Roberto B.
Veramente i Britanni il latino l’hanno scoperto da tempo (direi, fin da quel tal Giulio Cesare che per primo andò a rompergli gli zebedei).
E a differenza nostra, ancora lo coccolano nei loro College più prestigiosi.
Senza dimenticare che la Magna Carta, alla base del diritto anglosassone, è scritta in latino. E a tutt’oggi nessuno ancora si è sognato di farne firmare una versione in inglese i vari monarchi che si sono succeduti dal 1200 in poi.
Gaz
Roberto B.
Magari la situazione descritta fosse generalizzata a livello di popolazione e non riservata ad una ristrettissima elite.
La realtà è di segno opposto. Nelle produzioni cinematografiche londinesi i termini latini sono sostituiti dagli equivalenti anglosassoni, Questo la dice lunga sulla diffusione della cultura classica tra la popolazione. L’ultima cattedra di greco in una scuola pubblica ha avuto una vita travagliata … perchè non c’erano fondi per pagare un (1!) docente.
Ci sono stati tempi in cui il latino era conosciutissimo in Inghilterra più o meno quanto lo era nel Continente. Inutile dire che Milton è il mio preferito. Purtroppo di tempo ne è passato.
Un inglese quando parla o scrive tradisce facilmente la sua formazione.
Gaz
@Venceslao di Spilimbergo.
Tra di noi non abbiamo molta difficoltà a comprendere gli eventi nazionali.
Perchè non abbiamo la stessa facilità nel capire quel che avviene da Le Havre a Perpignano, o da Stettino a Danzica, o da Garnisch ad Amburgo … ?
Allora ditelo
Come dirvelo, caro @Gaz che ai fini della scelta non conti nulla quello che pensano gli inglesi del resto del mondo?
Ho letto che Tullio de Mauro fosse favorevole all’uso dell’inglese ma non sono disposto a pagare per conoscere nel dettaglio quelle argomentazioni.
http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/unlibroalgiorno/2015/01/19/de-mauro-in-europa-103-lingue_a765efcf-bbaf-4fc5-b801-1bf7a11213b6.html
Mi basta che (come la “gramatica” quando si parlava “volgare”) sia già usata come lingua veicolare nel mondo accademico per auspicarne ben più ampia diffusione.
Allora ditelo
Se non erro sia per il latino che per il toscano ci furono opinioni autorevoli (Dante, Bembo) che le hanno presentate iperbolicamente come “lingue artificiali” in virtù del fatto che fossero usate come lingue veicolari (in luogo dei differenti dialetti locali)
Ancora oggi l’ortoepia dell’italiana si fonda sulla pronuncia toscana invece di lasciare che l’uso comune detti la pronuncia.
Venceslao di Spilimbergo
Buonasera Esimio signor Gaz
Le porgo le mie scuse per il ritardo che Ella ha dovuto sopportare nell’attendere una mia risposta. Prendo atto del suo sempre interessante parere Esimio… e mi duole notare come vi sia stato tra di noi un “qui pro quo” dovuto, molto probabilmente, alla mia storica incapacità di esporre in maniera comprensibile le mie opinioni (per quanto possano valere); anche per questo fatto le porgo le mie scuse. Esimio, io sono in buona parte d’accordo con Lei nel cercare di salvaguardare e valorizzare, tanto in Patria quanto all’estero, la nostra bella lingua Italiana, della quale Ella ha giustamente ricordato i nobili natali; quello che io non riesco invece a fare mio Carissimo è l’idea che una simile battaglia politica (perché di tale cosa si tratta) possa riuscire… e questo non certo perché ritengo la lingua di Dante e Manzoni inferiore alle altre (Inglese e Francese in primis), quanto piuttosto perché ritengo che il nostro debole Paese non disponga ora come ora degli strumenti necessari per poter portare avanti un simile progetto… e tanto più portarlo a compimento con successo. E prego di notare, non si tratta tanto della mancanza di denari nelle casse dell’erario (simili imprese culturali costano, come ben possono testimoniare i nostri “cugini d’Oltralpe”) quanto della mancanza di visione politica… dovuta alla mancata conoscenza di quali siano i nostri interessi Nazionali, a sua volta conseguenza del fatto che (quantomeno dal 1943- 46/47) non abbiamo una coscienza di noi, non abbiamo più una identità Nazionale. Finché non risolveremo questo enorme problema, ampiamente taciuto o almeno sottovalutato durante la cosiddetta “Guerra Fredda”, io temo che non abbia neanche senso iniziare una simile sfida, ben sapendo a priori che la perderemmo. Della serie: per poter combattere qualunque conflitto di sorta occorre la forza; senza di essa tutto è impossibile praticamente. Il Belpaese, purtroppo, di forze oggigiorno ne ha tremendamente poche sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo.
Sperando di essere stato in questa nuova occasione offertami maggiormente chiaro, la saluto augurandole ogni bene e una buona serata
Roberto B.
Egregio Venceslao,
non è la mia guerra, perciò non prendo posizione. La lascio all’ottimo Gaz, che è in grado certamente di condurla meglio di me.
Tuttavia c’è una sua affermazione (sua di Lei, sig. Venceslao), che mi stimola fortemente ad intervenire, trattandosi di questione che ha carattere di universalità quando si tratti di capire e giudicare le azioni umane.
Lei dice “io temo che non abbia neanche senso iniziare una simile sfida, ben sapendo a priori che la perderemmo”: ebbene, chiarissimo, se si dovessero sostenere solo le sfide e le idee per le quali ci fosse una ragionevole possibilità di averla vinta (ti piace vincere facile?), credo che questo mondo sarebbe molto più misero e miserabile.
Piuttosto, mi pare che prima di intraprendere qualsiasi avventura ci si dovrebbe interrogare a fondo se si è nel giusto, in che misura e, in sottordine, se il gioco vale davvero la candela. Questa mi pare la vera discriminante.
Spesso poi accade che una sfida persa oggi, ripresa in altro momento e da altri soggetti, possa avere un esito decisamente diverso e favorevole; ha presente il precetto evangelico per cui c’è chi semina e chi raccoglie?
Comunque sia, secondo me vale sempre la pena sostenere qualcosa o qualcuno in cui si crede (o si spera, che poi è la stessa cosa).
Sperando che Lei concordi con me nell’occasione, mi scuso per l’intrusione e La saluto.
Venceslao di Spilimbergo
Buonasera Esimio signor Roberto B.
La prego, Lei non ha alcunché di cui doversi scusare: la sua “intrusione” non poteva essere più opportuna. Anzi! Con il suo permesso vorrei ringraziarla per questo suo prezioso contributo che, in altri tempi avrei sottoscritto totalmente. Ahimè però la tarda età, i numerosi dispiaceri, le dure esperienze e una sopraggiunta misantropia (conseguente ai fattori prima rapidamente citati) hanno purtroppo spento quel ardore che noto ancora brillare in Lei. Se per me è oramai tardi poter recuperare quelle energie (e lo dico allo stesso tempo a “ragion veduta” ma anche a sincero malincuore) mi auguro però che questo non succeda anche a Lei; preservi per quanto possibile la speranza di poter migliorare il mondo Esimio e cerchi di non lasciarsi scoraggiare dalle avversità. So che la realtà che la mia generazione (e quella successiva, invero) ha lasciato in eredità non sia la migliore di quelle possibili… le posso però assicurare che è il meno peggio di quello che potevamo realizzare.
Ringraziandola nuovamente per il suo bel scritto, la saluto augurandole ogni bene e una buona serata
Gaz
Tutti gli interventori, chi più, chi meno, hanno sottolineato le implicazioni politiche di una lingua comune.
La politica culturale e linguistica, possiamo dire, che è un aspetto primario di una comunità che si riconosce e si percepisce unitaria.
Allora ditelo
Io meno molto meno. Per me la lingua è uno strumento convenzionale per acquisire informazioni.
Come dimostrano alcune feroci contrapposizioni sulle base di pretesti politici il fatto di condividere lo stesso idioma non implica alcun senso della comunità: non mi dite che sia connotazione unica dell’italiano.
Se la memoria non mi inganna ben più autorevoli tesi hanno comunque contemplato l’importanza delle barriere linguistiche e del loro consolidamento nella genesi di segregazione culturale anche sulla base di esigenze politiche (ad es. la rinuncia al latino come lingua ufficiale).
https://it.wikipedia.org/wiki/Comunit%C3%A0_immaginate
Allora ditelo
il multilinguismo estremamente disomogeneo costituisce una barriera alla mobilità del lavoro necessaria alla stabilità di aree valutarie ottimali spesso segregando lavoratori in zone a minore salario.
https://it.wikipedia.org/wiki/Area_valutaria_ottimale#Gli_shock_asimmetrici_e_le_aree_valutarie_ottimali
Gaz
Da un lato mi sovviene l’esempio della Francia, che altro non ammette se non il francese, con uno spirito fortemente nazionalista, pur avendo al suo interno delle minoranze etniche, di cui non si interessa molto; dall’altro penso all’Italia, dove in V.d’A e Sud Tritolo si parlano due lingue che italiane non sono.
Sono due modi diversi di rapportarsi alla politica linguistica e culturale, ma attenzione è pur sempre politica.
Gaz
Giannuli non pervenuto.
Allora ditelo
Non è umanamente possibile padroneggiare tutti i principali linguaggi che la politica linguistica dell’UE intende dichiaratamente preservare.
https://europa.eu/european-union/topics/multilingualism_it
Ma potrebbe darsi che il multilinguismo sia stato un escamotage iniziale che rispondeva meramente all’esigenza di agevolare l’accesso agli atti.
Ma un segnale di politica linguistica importante lo si è dato limitando la stesura dei brevetti all’inglese, francese o tedesco.
http://www.uibm.gov.it/index.php/brevetti/brevettare-all-estero/il-brevetto-europeo
L’italiano è fuori dai giochi.
Gaz
@ Allora Ditelo.
Sebbene le guerra tra entità statuali con varianti minime della stessa lingua non manchino, a naso credo che siano più numerosi i conflitti tra nazioni con lingue diverse.
Si può anche decidere di lasciare le cose come sono, ma allora ditelo che questa Europa vi piace così com’è.