Sentenza di Brescia e giustizia in Italia: ne vogliamo parlare?

Ce lo aspettavamo: assoluzione per tutti. Leggeremo le motivazioni, ma già temiamo di sapere quel che leggeremo (anche se, in primo grado, il collegio giudicante ci riservò la sorpresa di un testo peggiore delle aspettative, già molto basse). Ma restiamo ugualmente in attesa non pregiudiziale.
Quando arriveranno le motivazioni, potremo capire perché, quello che a noi appariva come un convincente quadro indiziario grave, univoco e convergente (sufficiente a condannare a norma del cpp), non è apparso tale al collegio giudicante ed, eventualmente, formuleremo le nostre obiezioni oppure riconoscere le ragioni di chi ha assolto. Prima ancora che garantisti siamo laici ed, in quanto tali, riconosciamo che un giudizio corretto lo si può formulare solo dopo aver ascoltato senza pregiudizi le ragioni altrui, per cui, pur conoscendo bene il fascicolo processuale ed essendo convinti, per ora, di certe cose, attendiamo il ragionamento della corte per verificare le nostre convinzioni. Ma, quale che sia l’esito di questo specifico caso, resta un problema: come mai, sistematicamente, i processi per strage si concludono con sentenze assolutorie e non si riesce mai a trovare i colpevoli?
Sin qui il “bottino della giustizia” in materia di stragi si riduce ad un reo confesso (Vinciguerra, ma è inesatto considerare Peteano una strage, trattandosi di un attentato mirato e non indiscriminato), un arrestato in flagranza di reato (Bertoli) ed un paio di condannati per la strage di Bologna. Un po’ pochino, soprattutto dove si consideri che la sentenza per Bologna è molto discussa e, comunque, individua due soli responsabili di un evento che non può non aver avuto molti altri corresponsabili. Negli altri casi zero al quoto.

Può anche darsi che gli imputati siano colpevoli ma le prove a loro carico siano insufficienti, oppure può darsi che gli imputati siano sempre innocenti, resta il problema che le stragi qualcuno le avrà anche fatte e che lo Stato non è capace di trovare il respossabile. Dunque, se gli assolti (a torto o a ragione poco importa, a questo punto) escono dalla gabbia degli imputati, dentro ci entra lo Stato con i suoi apparati (di sicurezza, di polizia ed anche giudiziari. ) quantomeno per la sua incapacità. La magistratura, sin qui, si è chiamata fuori ponendosi  solo come l’ultimo arrivato che mangia il piatto preparato da altri. C’è un curioso scaricabarile: i collegi giudicanti scaricano tutto sugli organi inquirenti che non hanno saputo fare l’inchiesta come avrebbero dovuto, per cui sono “costretti” ad assolvere perché l’accusa non ha saputo fornire le prove necessarie.

Le Procure dicono che è il giudicante che non ha letto il fascicolo con sufficiente attenzione o imparzialità e, talvolta, se la prendono con gli organi di polizia  -più spesso passati che presenti- per i depistaggi, gli errori, le collusioni ecc; gli organi di polizia accusano i servizi segreti di aver depistato, coperto, colluso; i servizi segreti dicono di aver fatto il loro dovere ma nel passato recente e di non rispondere per quelli che erano al loro posto trenta anni fa e che, invece… E tutti sono bravissimi ad invocare le eccezionali difficoltà di questo tipo di casi: complessità, lontananza nel tempo, ampiezza dello spettro di indagine, timore dei testimoni, difficoltà di far entrare casi così smisurati nella cornice processuale ordinaria pensata per casi ben più semplici  ecc. cc.

Effettivamente le difficoltà oggettive ci sono: ad esempio, pretendere che i collegi giudicanti si leggano fascicoli di 1 milione di pagine o anche più, in qualche mese di tempo e che digeriscano il tutto è pretesa non da poco, poi fare un giudizio 30 anni dopo il fatto non è uno scherzo.  Ma se eccezionali sono le difficoltà, eccezionale è anche la gravità di questi casi che esigono, appunto, un impegno speciale dello Stato. E di questo impegno speciale non si è vista traccia, anzi, l’impressione è che si sia fatto molto di meno dell’ordinario.

In ogni caso, occorrerà entrare nel merito per stabilire le responsabilità di ogni singolo pezzo dello Stato: servizi segreti, polizia giudiziaria, magistratura inquirente e a giudicante. Sin qui si è molto parlato delle responsabilità di polizia e servizi segreti le cui responsabilità sono ormai cosa acquista, tanto in sede storica quanto in sede giudiziale. Sembra una ironia mancano i responsabili delle stragi, ma ci sono i responsabili dei depistaggi con tanto di sentenze passate in giudicato che condannano carabinieri, poliziotti ed agenti dei servizi. Questo però vale per il passato più che per il presente: avendo partecipato per quasi 15 anni alle inchieste per le stragi di Piazza Fontana, via Fatebenefratelli, Brescia e casi minori, posso testimoniare che il comportamento degli organi di polizia giudiziaria è stato, nella grande maggioranza dei casi, assolutamente impeccabile sia in termini di lealtà che di professionalità.

Per i servizi segreti il discorso è un po’ diverso: non che nel passato recente ci siano stati clamorosi depistaggi o sottrazione di prove, ma qualche volta si è avvertita una certa ritrosia a collaborare. Diciamo così: non hanno avuto fretta di dare quel che era in loro possesso e che poteva essere utile alle indagini. Comunque di servizi e polizia si è abbondantemente parlato e non staremo qui a ridire.

Molto meno si è detto della magistratura e di questo conviene parlare.
Ci sono state  5 istruttorie per Piazza fontana, 2 per Fatebenefratelli, 3 per Brescia, 2 per Gioia Tauro,  1 per l’Italicus ed 1 per Bologna, senza considerare quella per Savona mai approdata in aula. Un totale di 14 procedimenti, quasi tutti falliti. Delle due l’una: o gli inquirenti sono degli incapaci totali che non hanno mai imbroccato la via giusta,  o qualcosa non va nella formazione del giudicato.

La magistratura inquirente presenta un bilancio un po’ contraddittorio che varia da caso a caso: meno brillante  nel passato che nel presente, non è andata esente da trascuratezze, errori ed insufficienze (anche di recente) ma, nel complesso, le ultime inchieste hanno riscattato molte inerzie passate. Alcune di queste inchieste (Grassi-Mancuso per depistaggi Bologna bis e Italicus, Salvini-Piazza Fontana e Fatebenefratelli, Brescia) hanno prodotto una mole di materiale documentario e testimoniale assolutamente imponente, per molte centinaia di migliaia di pagine e, pur senza cogliere il risultato della sentenza, hanno ottenuto (Brescia a parte) significativi riconoscimenti anche nelle motivazioni di sentenza. In ogni caso forniscono un materiale storico di straordinario interesse ed è già qualcosa. Sul valore probatorio delle risultanze di queste inchieste occorrerebbe una analisi caso per caso che qui non abbiamo la possibilità di fare.

E veniamo al punto dolente di cui non si è mai parlato: la magistratura giudicante verso la quale ci sono occasionali ondate di indignazione in occasione delle sistematiche assoluzioni, ma che, in assenza di un esame di merito, si risolvono in una sterile deprecazione priva di conseguenze effettive: è colpa delle stelle che ci sono state sfavorevoli.

Anche per la giudicante non abbiamo lo spazio necessario per passare in rassegna le singole sentenze (ma, magari, un po’ alla volta lo faremo), qui ci limitiamo ad osservare alcune linee generali, considerando come casi di strage piazza Fontana, Gioia Tauro, Fatebenefratelli, Brescia, Italicus, Savona, Bologna. Non consideriamo né i casi per così dire “remoti” (Portella e quelli di banditismo siciliano o Malga sasso e quelli legati al terrorismo altoatesino) né quelli più “recenti” (904, Capaci, via D’Amelio, Gergofili, via Palestro, ecc.). Questo perché il gruppo “centrale” presenta caratteristiche comuni e punti di contatto reciproci, mentre i casi “remoti” e quelli “recenti” appaiono meno omogenei fra loro ed assai diversi da quelli del gruppo considerato. Non abbiamo incluso Peteano in quanto, come già abbiamo detto, non è corretto considerarlo come un caso di strage, mancando il carattere indiscriminato che è caratteristico delle stragi, essendo piuttosto un attentato “mirato” contro i carabinieri, dunque più inquadrabile nella fattispecie penale dell’omicidio plurimo.  I casi indicati hanno queste costanti:

a-gli indiziati giunti a dibattimento sono sempre stati militanti di organizzazioni estrema destra  (Avanguardia Nazionale per Gioia Tauro e Piazza Fontana, Nuclei Armati Rivoluzionari  per Bologna, Ordine Nuovo per P. Fontana, Fatebenefratelli, Brescia, Italcus). Eccezioni: piazza Fontana, dove a giudizio furono rinviati anche anarchici (poi assolti) insieme a quelli di On e la prima istruttoria per Gioia Tauro che vide imputati 4 dipendenti delle Ffss anche essi assolti

b-in tutti i casi (salvo Savona) sono risultati implicati uomini dei servizi segreti o dei corpi di polizia o come correi o favoreggiatori, o per successivi depistaggi

Infine: per avere un parametro che dia la misura del successo delle inchieste, abbiamo attribuito un punteggio convenzionale di tre ogni caso, per cui 3 indica la piena individuazione dei potenziali responsabili (mandanti, organizzatori, esecutori) e 2 o 1 un risultato parziale che individui solo uno o due dei diversi “livelli”.
Fatta questa premessa osserviamo che in 5 dei 7 casi considerati, non si è giunti all’identificazione dei responsabili, mentre negli altri 2 l’identificazione è stata solo parziale, riguardando gli esecutori (ma nel caso bolognese l’effettivo ruolo di Mambro e Fioravanti non risulta del tutto chiaro) mentre sono restati in ombra mandanti  ed organizzatori. Per cui abbiamo un “indice di successo” di 2 su 21 (cioè un indice inferiore ad un decimo).

Per avere un indice più particolareggiato, consideriamo il numero degli imputati delle varie inchieste che assommano a  61 (alcuni sono stati imputati in più procedimenti) e di essi risultano condannati tre, quindi meno di 1 su 20.  La media nazionale dice che i condannati definitivi nei processi penali sono il 17%, cioè, 1,7 su 10 contro lo 0,5% dei casi di strage. Se poi consideriamo i casi più gravi (mafia e terrorismo di sinistra) la percentuale dei condannati definitivi oscilla fra il 28 ed il 36%, cioè fra le 5 e le 7 volte in più dei processi di strage. Una disparità statistica che, di per sé appare  molto inquietante e da spiegare.

In secondo luogo osserviamo come in primo grado, spesso ci sono state condanne che poi sono cadute in appello o in Cassazione, che si è rivelata il giudice meno favorevole alle tesi d’accusa e più comprensivo verso quelle di difesa. In particolare colpiscono alcune differenze fra alcuni casi, ad esempio in termini di credibilità del collaboratore di giustizia. La Corte di Cassazione ha ritenuto, nella sentenza su Piazza Fontana, non credibile Carlo Di Gilio e questo ha avuto ricadute anche su Brescia. Si badi che Di Gilio era riscontrato direttamente su diversi punti da Siciliano, indirettamente da Vinciguerra ed altri testi, inoltre le tesi di Di Gilio erano coerenti con il quadro complessivo formatosi in questi anni e si incrociavano anche con diverse note confidenziali. Vero è che Di Gilio è caduto in contraddizione su diversi punti, ed ha ricevuto alcune (limitate) smentite da elementi fattuali o documentali. Ma gli elementi a conferma, almeno dal punto di vista numerico, prevalevano nettamente.

Confrontiamo il caso Digilio con quello del collaboratore di giustizia che ha accusato Sofri nel processo Calabresi, Leonardo Marino: smentito su circostanze decisive da alcuni testi (alcuni dei quali sostenevano che alla guida dell’auto c’era una donna e non un uomo, come sostenuto da Marino), smentito da diversi elementi materiali e da dati di fatto (come la via di fuga prescelta che, all’epoca era un senso vietato), contraddettosi ripetutamente e sprovvisto di testi a riscontro, ma creduto credibile dalla Cassazione in ripetute pronunce (salvo una che lo riteneva non credibile neppure nell’auto accusa) sulla base di un’unica deduzione: non avrebbe avuto alcun interesse ad autoaccusarsi.

Che Di Gilio abbia subito un pregiudizio sfavorevole lo si ricava anche un piccolo elemento: egli aveva parlato di un alto ufficiale inglese di stanza presso la base Nato fornendone le generalità, la Cassazione ritenne trattarsi di una sua bugia in quanto tale ufficiale non sarebbe mai esistito, non risultando nulla che ne confermasse l’esistenza. E, invece, non solo l’ufficiale esisteva, ma era stato anche intervistato dalla Bbc.

Un altro aspetto degno di attenzione è quello del trattamento del reato associativo. Nel caso delle Br una giurisprudenza costante (e molto, molto discutibile) stabilì una sorta di inversione dell’onere della prova, per cui l’affiliato all’organizzazione rispondeva di tutti i reati compiuti da essa, salvo dimostrazione di prova contraria. Fu la premessa del famoso “non poteva non sapere” con il quale furono inquisiti i segretari di partito nei processi di tangentopoli.

Chi scrive queste righe è convinto che si trattasse di una bruttura giuridica e non invoca certamente l’applicazione di questo orientamento ad altri, tuttavia, se è da respingersi questo ribaltamento dell’onere della prova, possiamo però mantenere l’appartenenza ad una organizzazione cui si attribuisce la strage come un indizio (ripetiamo: un indizio, non una prova conclusiva in sé) di colpevolezza. E, invece, la corte d’Assise d’Appello di Milano che procedeva per piazza Fontana, ha sostenuto che colpevoli della strage con certezza, ma non più processabili, perché assolti definitivi, furono Freda e Ventura (la cui assoluzione, nonostante l’esistenza della piena prova, fu dovuta “al clima del tempo” che influenzò la corte del tempo: come vedete certe cose le dicono gli stessi collegi giudicanti) ma non ha minimamente tenuto in considerazione che gli imputati sottoposti al suo giudizio appartenevano alla stessa area politica di cui facevano parte i precedenti.

Da un punto di vista tecnico, punti su cui si sono infrante tutte le recenti istruttorie per strage sono stati essenzialmente due: il forte rigore nell’ammissione delle prove (la questione si è riproposta proprio nel processo di appello per Brescia, dove l’ammissione fra le prove di una registrazione avrebbe probabilmente fatto pendere la bilancia dalla parte della condanna almeno per alcuni) e la ricostruzione del quadro di insieme.

In un processo di tipo indiziario è decisivo l’elemento della convergenza degli indizi, quel che attribuisce un ruolo di grande rilevo al contesto in cui essi si inseriscono. Ma, se il giudicante si dedica allo smontaggio pezzo per pezzo di ogni singolo elemento, perdendo di vista l’insieme, la convergenza degli indizi sfuma. Ed è esattamente quello che è sistematicamente accaduto per piazza Fontana, Fatebenefratelli e piazza della Loggia (almeno per il primo grado, per il secondo grado vedremo leggendo le motivazioni).

Ma un esame più in dettaglio lo faremo in altra occasione. Qui ci limitiamo a segnalare le disparità di valutazione degli elementi di giudizio rispetto ad altri casi e la tecnica giuridica di formazione del giudicato. Quel che ci permette di affermare che, se nella prima ondata di giudizi furono determinanti i depistaggi della polizia giudiziaria e dei servizi, nel caso delle sentenze più recenti il problema sta tutto nell’atteggiamento delle corti giudicanti assai poco inclini verso le tesi dell’accusa.

Ci sembra di poter dire che si è formato una sorta di “pregiudizio sfavorevole” alle tesi accusatorie verso gli imputati di estrema destra, che incide pesantemente nell’esito finale. Diversamente riesce difficile spiegare quel dato statistico così irragionevolmente basso. Non pensiamo che i giudicanti siano ideologicamente affini, né che ci sia un interesse politico attuale a coprire le responsabilità dell’estrema destra o che attualmente ci siano elementi di apparati dello Stato coinvolti in quelle vicende. Tutto questo è superato. Il problema si pone in termini diversi: la corporazione giudiziaria si ritrae di fronte alla necessità di smentire il suo operato precedente, è assai poco disposta a condannare uomini dell’Arma, dei servizi o della polizia (per quanto ormai in pensione) per quella “collusione corporativa” che tutt’ora produce le sistematiche assoluzioni di poliziotti e carabinieri accusati di violenze e persino di morte di comuni cittadini (Diaz, Giuliani, Aldovrandi, Spaccarotella, Cucchi… devo continuare?).

La continua campagna –cui hanno dato manforte Alte cariche dello Stato ed importanti mass media- contro le “dietrologie” che osano parlare di “strategia della tensione”, “strage di Stato”, “doppio Stato” contribuiscono ad indirizzare  la magistratura in questo senso. E così, in particolare la Cassazione si è rivelata assai ricettiva  di questo clima ed ha formato una “giurisprudenza di indirizzo” cui le corti sottostanti si sono ben presto conformate. Anche la carriera ha le sue esigenze.

Peraltro, queste inchieste –a differenza di altre più fortunate- non sono venute da punti forti interni alla magistratura (Procure particolarmente importanti, personaggi noti ed influenti, sostenuti da questa o quella corrente della Magistratura ecc.) ma da uffici periferici o da singoli magistrati non adeguatamente sostenuti all’interno della corporazione. E, dunque, il corpo del potere giudiziario ha finito per sentire questi processi come estranei a sé, non funzionali agli assetti di potere interno (quante brillanti carriere sono state aperte da qualche cause cèlèbre ?) e non  sostenute neppure da un diffuso allarme sociale (come i procedimenti per mafia). Insomma casi rognosi e poco produttivi ai fini degli obiettivi politici della corporazione.

Tutto questo pone una volta di più il problema di come funziona la giustizia in questo paese. Il nefasto ventennio berlusconiano ha fatto passare sotto silenzio l’emergenza giustizia che c’è in questo paese e della quale occorrerà tornare a parlare. Nella formazione del giudicato penale più rilevante si avverte con chiarezza che pesano troppi elementi extraprocessuali e questo non è più tollerabile.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (19)

  • Strage impunita? Tranquilli, ci faranno un bel filmone che in un piacevole dopocena appagherà l’anelito democratico dei più; pure meglio di una sentenza. Non state a guardare il capello.

    Per quelli che invece pensano che quando succedono queste cose la campana suona per tutti, e sono disposti a considerare altre versioni oltre a quelle che hanno libero corso, una testimonianza sul servilismo di forze di polizia, magistratura, sinistra e gente comune rispetto ai poteri che allora vollero la bomba e che oggi continuano ad essere serviti in altri crimini:

    Giustizia per Piazza Loggia

    http://menici60d15.wordpress.com/2012/04/17/giustizia-per-piazza-loggia-lequazione-impossibile/

  • La collusione corporativa ha prodotto in questi ultimi anni una serie di ricostruzioni giudiziarie al limite della barzelletta, come nei casi Giuliani e Sandri, nei quali ambedue i giovani carabinieri avrebbero sparato verso l’alto con il proiettile “deviato” in entrambi i casi (sic) in direzione della vittima.

  • Forse le responsabilità ai livelli più alti della strategia della tensione in Europa sono indicibili perchè il sistema geopolitico di riferimento non è cambiato. L’Italia è ancora una base strategica attraverso la quale condizionare e manipolare le politiche europee, oggi più di ieri. Non a caso usciamo da vent’anni di Berlusconi, abbiamo 100 basi Nato e oggi come premier un membro della Commissione Trilaterale.

  • Sono “perfettamente d’accordo a metà” con Aldo: al di là dei limiti, dell’impreparazione, del carrierismo, delle difficoltà oggettive c’è – evidentissimo – un aspetto politico in queste vicende. Ed è un aspetto politico estremamente attuale: condannare Rauti avrebbe voluto dire condannare Alemanno, Fini, Larussa proprio perchè non potevano non sapere. Avrebbe riportato alla memoria la presenza di De Eccher nel senato italiano, di Paglia ai vertici della Rai, di Brutti in quello che dovrebbe essere un partito d’opposizione.
    Condannare Delfino avrebbe significato: “da Spiazzi a Delfino, noi del ministero della difesa abbiamo sempre avuto riconoscenza per chi non ha fatto emergere la verità sulle bombe che abbiamo fatto mettere. E’ per questo che abbiamo sempre elargito promozioni a questi personaggi per i loro meriti giudiziari.”
    Ma ti immagini se poi qualcuno avesse detto: “e allora perchè d’Ambrosio non ha mai chiesto l’unificazione dei due processi di Milano con quello di Brescia, quando imputati e reato contestato erano gli stessi?”
    Magari ci si sarebbe accorti che assieme a Casson, altro encomiabile servitore dello Stato, il nostro ha ruoli non secondari nel principale partito del centrosinistra.
    L’effetto domino sarebbe potenzialmente devastante, perchè smuovere certe puzze non conviene a nessuno, neanche a sinistra. Meglio così, va’….
    Al di là dell’onestà e della professionalità dei singoli individui (che voglio credere siano numerosi in tutte le istituzioni), la magistratura, esattamente come la polizia e i militari, è sempre stata fedelmente asservita al potere politico. Il problema non è questo (la separazione dei poteri esiste solo nelle fantasie dei liberali), il problema è che il potere politico che la dirige è impresentabile.

  • se devo essere sincera e questo ecco non vuole essere una critica, io per quello che dici tu Roberto Copetti, non sono del tutto daccordo una cosa e’ la colpa delle ideee, un altra e’ la colpa delle azioni.,.Il disgraziato delfino ha depistasto, certo non solo lui, anche altri e lui magari ha eseguito ordini, ma da un passo comincia anche il viaggio piu’ lungo, quindi… secondo me andavano condannati,.
    ciao

  • e anche per quel che riguarda Rauti… che le sue idee sono nefaste e marcie, che non lo sa? che tanti ai piani alti le condividano e’ vergognoso, ma lui HA LE COLPE, e non solo morali…
    io non sono ne una letterata, ne sono una persona di chissa’ che cultura etc, ma se facciamo di tutta l’erba un fascio, chi ha fatto davvero le stragi, anche solo fianche ggiato non paghera’ mai! e questo io lo vivo come una profonda ingiustizia… nella piazza della loggia a bs, il grigiore, non lo lavera’ via niente, nemmeno il peggiore dei temporali,
    anna

  • Cara Anna, mi dispiace che le mie parole siano state fraintese. Il mio tono voleva essere sarcastico e se rileggerai attentamente il mio post troverai fin troppa indignazione.
    Io volevo dire che condannando Rauti e Defino si sarebbero inevitabilmente colpiti anche i vertici e sarebbe emerso tutto il marcio, ma proprio tutto.
    Come avrebbero potuto spiegare che elementi condannati per strage facevano pubblicazioni finanziate dal ministero della difesa (Rauti) o venivano promossi fino ad arrivare generali (Delfino, capitano all’epoca dei fatti)? La storia di “mele marce”, “deviazioni” e favolette varie sarebbero venute a crollare, lo scandalo avrebbe investito le istituzioni nella loro interezza e soprattutto la classe politica: se arriviamo a Rauti, arrivamo anche a Servello-LaRussa e Almirante-Fini. E una volta colpito l’MSI sarebbe potuto crollare tutto.
    La vera questione morale d’Italia è il fatto che personaggi come Rauti e Zorzi avessero rapporti strettissimi con i vertici degli apparati militari e polizieschi nati dalla Resistenza. E tacciare Aloja e D’amato per ufficiali infedeli è piuttosto difficile perchè non parliamo di brigadieri di provincia.
    Se si ammettesse la responasbilità nelle stragi di elementi così ben inseriti ai vertici, come potrebbero restare in piedi le storie che ci raccontano da 40 anni?
    Le uniche condanne riguardano solo Peteano e Bologna (oltre al caso di Bertoli). Nel primo caso il responsabile ha dovuto combattere per aver riconosciuta la propria responsabilità, che hanno cercato in tutti i modi di negare. Nel caso di Blogna la condanna riguarda dei ragazzini che si potevano tranquillamente scaricare all’epoca dei fatti, perchè tramite loro non si sarebbe riusciti a ricostruire la filiera che giunge ai vertici. Condannare Rauti, Maggi, Delfino, Zorzi, Fachini, Giannettini, Ventura o chi vuoi sarebbe stato pericolosissimo. Assolvendo tutti, lo Stato assolve anche se stesso.
    Personalmente, mi avrebbe sorpreso il contrario.
    A noi non resta che esprimere tutto il nostro disgusto, non pretendere di avere giustizia da chi queste cose le ha fatto, depistate, coperte, infine raccontate all’opinione pubblica come ha voluto.
    Visto che non possiamo fare altro, possiamo solo urlare che siamo schifati e che non siamo così cretini come ci credono. Per far questo bisogna trovare una forma partecipata, coordinata, non istituzionale che esprima questo sentimento, certamente più diffuso nella società civile di quanto si faccia intendere in tv.
    Un abbraccio, Massimo (non Roberto)

  • Giustizia non è imprigionare i criminali, ma valutare l’opportunità di farlo o meno per rispondere ai problemi di una certa società e soddisfare la necessità di un compromesso tra interessi di diversa natura e diseguali in peso d’incidenza sul bene comune. Ogni discorso sulla giustizia che pretenda di astrarre dal significato, da ultimo, politico di quest’ultima, e che nello specifico trascuri la subordinazione della giustizia alla politica, si può fare solo in un contesto ideale in cui la giustizia è un’entità metafisica, e la politica la sua applicazione. Ma dal momento che perlopiù si crede che le entità metafisiche non esistano finchè non acquistano una forma reale nella pratica sociale, la giustizia è da ultimo politica della giustizia. Ogni scelta politica ha il suo prezzo, anche in termini di vittime. E penso che senza quell’olocausto di vittime del terrorismo “di Stato” (o meglio a stelle e strisce) che ha evitato che i cingolati sovietici calpestassero il suolo natìo, oggi staremmo a contare un numero molto più alto di morti come fanno nelle ex ed attuali repubbliche popolari di ogni angolo del mondo. Non è cinismo… E’ che se si continua a pretendere che i giudici applichino la legge e basta, allora si è fuori dalla realtà. E per chi è fuori della realtà il dolore è maggiore perchè non è in grado di comprenderne la causa.
    Con tutto ciò non manchino comunque i miei sensi di stima a Lei prof. Giannuli, i cui libri mi hanno insegnato a guardare con più realismo la politica e la società.

  • Chiedendo scusa dell’abuso che sto facendo di questo spazio, lancio un’iniziativa, rivolta a chi come me prova un’enorme indignazione di fronte ad una vergogna di questo tipo.
    Riunirsi ogni 2 agosto a Bologna (come il 12/12 a Milano) a urlare “ci fate schifo!!!” è sempre più doverso. A mio parere non è però sufficiente. Manifestiamo la nostra indignazione contemporaneamente, in posti diversi, da Reggio Calabria a Milano. Non in occasione di un anniversario, che arriva triste ogni anno, nè quando lo decide il parlamento con le sue patetiche giornate della memoria.
    Facciamolo quando e come lo vogliamo noi. E per noi intendo pura e semplice società civile, escludendo ogni istituzione e partito ma nessun individuo.
    Creiamo una rete di coordinamento con tutti: i parenti delle vittime in primis, quindi gli studenti delle scuole e delle università, docenti, studiosi, giornalisti, le ANPI, i circoli Arci e chi più ne ha più ne metta.
    Che ciascuno di questi gruppi della società civile faccia un “brainstorming”, si confronti, elabori delle idee sulle iniziative da farsi. Poi si stabilisca un calendario in cui le varie idee vengono confrontate e si istituisca infine un comitato di coordinamento, quale potranno aderire tutti, che avrà il compito di decidere luoghi, modi e tempi delle iniziative.
    Butto lì qualcosa tipo:
    – tutti gli insegnanti che aderiscono, in un dato giorno fanno vedere ai ragazzi lo stesso documentario su di una strage (mi viene in mente, su due piedi, quello di Dall’Accio sulla strage di Brescia)
    – nelle università i collettivi organizzano conferenze e dibattiti
    – Goia Tauro, Milano, Brescia, Bologna: iniziative analoghe e coordinate in ogni città in cui sono avvenuti questi episodi. In cui si coinvolgono gli studenti, i docenti, ma anche la casalinga e il pensionato, che assistono all’iniziativa pubblica (e sono convinto, sarebbero in tantissimi)….
    Unire cioè cultura, informazione, a partecipazione e manifestazione di indignazione. La giustizia non ce la date voi, ce la prendiamo noi!
    Con i mezzi odierni, la cosa è più fattibile di quanto si creda, basti pensare alla forma che stanno prendendo gli stati generali dell’Università con le mailing list.
    Può funzionare solo se:
    – è aperta a tutti, ma proprio tutti e tutti possono partecipare con le loro proposte
    – ogni individuo partecipante lo fa come cittadino, come membro della società civile, non come appartenente ad alcuna associazione. Le associazioni (collettivi studenteschi, circoli di ogni tipo, sindacati o chissà cosa) saranno laboratori di idee, ma non risulteranno in alcun modo tra i promotori. L’unico promotore sarà la “maggioranza non silenziosa”, cioè i cittadini.
    Le stragi hanno falciato la vita della popolazione civile italiana: non è una questione di destra e sinistra. Nessuno ha diritto di prelazione sui morti, con la sola eccezione dei familiari.
    E’ per questo che è auspicabile una partecipazione più allargata possibile, ma non cadiamo nella trappola di metterci in corteo con bandiere e simboli. Anzi, a mio parere sarebbero proprio da evitare i cortei, per evitare il gioco alla guerra tra casa Pound e Anarchici.
    Sono convinto che i anche giovani di destra, finchè sinceramente interessati, potranno fornire un contributo importante. Non escludiamoli a priori; non deveno avere il destro per boicottare l’iniziativa spacciandola per comunista. Se invece decidessero di aderire, lasciamo che si riuniscano tra loro come tutti, e che facciano avere le loro proposte al comitato, che le prendereà in considerazione assieme alle altre.
    Dirò di più: la questione riguarda anche chi lavora in magistratura, polizia, esercito o dove volete. Ognuno ha diritto di sapere ed informarsi e la loro partecipazione individuale dovrebbe essere particolarmente auspicata.
    Sto solo lanciando un sasso nello stagno. Ma a giudicare dalla gente che sabato sera era al cinema, indignazione e voglia di verità sono molto diffuse e meritano manifestazioni ben più congrue che un annuale corteo funebre. Chiedo ad Aldo e ai lettori: vi sembra del tutto imopssibile?

  • Anch’io penso che sarebbe necessario trovare una forma di diffusione del ragionamento svolto da Giannuli, che ha messo le cose in ordine.

    E’ preoccupante questa sostanziale impunita’ anche per responsabilita’ istituzionali, oltre che per difficolta’ oggettive.

    La democrazia si difende anche facendo partecipi il maggior numero possibile di persone.

  • …i condananti per Bologna sono tre, Francesca Mambro, Giusva Fioravanti, Luigi Ciavardini.

    E Spaccarotella era l’assassino, il ragazzo ucciso si chiamava Gabriele Sandri.

  • Mi pare che con una certa rassegnazione e anche un po’di rabbia dovremo accettare il giudizio della strage di Brescia sotto la categoria “stragi di Stato, anzi di Stati”visto che a quanto pare l’Italia in quegli anni era un paese a nazionalità limitata. Questo grazie alla mediocrità della nostra classe politica, dall’Unità del Regno in avanti, via via verso il fascismo e le fragili e corrotte democrazie di questi tempi. Però mi sento di poter affermare e rivendicare il fatto che, se l’Italia oggi è un Paese tutto sommato democratico e anche (più in passato) benestante, ciò è dovuto agli italiani, che non saranno uniti, ma sono certamente laboriosi e pazienti. E qui si rovescia l’ormai insopportabile assioma che la classe politica è espressione del Paese. Casomai sarà espressione delle “famiglie”.

  • “(…) tutti i processi italiani, e anche in questi (…) erano dominati dal cosidetto Teorema (…), i nostri bravi giudici partivano dal presupposto che certamente (i colpevoli) venivano dalla Destre, alle quali si attribuiva – sempre per Teorema – questa idea: “Creare questa tensione nel paese in modo da impaurire gli italiani e metterli alla scelta: o la libertà o l’ordine” (….)” E’ un Teorema che ha sempre cercato una dimostrazione ma non l’ha mai trovata. > Indro Montanelli.

    Il punto è questo, altri non ce ne sono.

  • Ha ragione Montanelli, non è mai stato dimostrato che le Destre ponessero la scelta tra libertà e ordine. Il progetto delle Destre era solo l’ordine, e quelli dell’aquila dalla testa bianca hanno faticato non poco per contenerne le brame ed orientarle affinchè si ponesse proprio quella scelta tra libertà e ordine.

  • Anna,l’argomento per cui siamo ancora qui , pif9 nsoremui e benestanti, perdonami, non e8 significativo, e Malthus non e8 superato.L’aumento delle rese agricole e l’enorme sviluppo tecnologico di cui ci siamo giovati finora non ha risolto la resa dei conti uomo-Natura prospettata dal mitico abate inglese; l’ha solo rinviata, e l’ha virtualmente ingigantita.Oltre alla demografia e all’economia esiste un terzo parametro da mettere in conto, l’ecologia ovviamente, ed e8 questa che fa la differenza. Perche9 questo incremento demografico, con il parallelo sviluppo economico e8 avvenuto a prezzo di un enorme danno ambientale. Da 25 anni l’umanite0 va costantemente in overshoot, e il nostro pianeta non e8 gie0 pif9 quello di allora.Sono solo state superate certe scadenze -certe previsioni di scadenza- sbagliate, come quella di Ehrlich a cui ti riferivi. Ma la tendenza di fondo no. Solo forzando la capacite0 di carico della Terra siamo arrivati al punto in cui siamo.Ora tu confidi nella scienza. Ammetterai che la tua formulazione di questa fiducia e8 molto generica. E non certo per tua mancanza; e8 che non potrebbe essere diversamente. Fare previsioni in fatto di scoperte o miglioramenti scientifici e8 quasi impossibile, sai questo meglio di me; e mentre aumentano i consumi globali e il numero dei consumatori, aumentano anche i deserti (60mila kmq l anno in media), i suoli disboscati (80mila kmq) e i mutamenti climatici non sono pif9 una minaccia, ma una drammatica realte0. Il cibo sare0 sempre pif9 costoso e meno disponibile in futuro, mentre la domanda sare0 comunque fortissima. Alla lunga la Terra non puf2 farcela, per una semplice e tragica questione di logica (ansiogeno anch’io, scusami:)ciao, grazie

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