Referendum: ma se Renzi perde deve andarsene?
Come si sa, Renzi ha annunciato che, nel caso di sconfitta al Referendum, si dimetterà ritirandosi dalla politica. Ora sembra ci stia ripensando perché nel ”Giglio magico” alcuni, preoccupati per le vicende giudiziarie, o per le amministrative che buttano male, o forse temendo che la promessa possa ingolosire troppo gli italiani, gli starebbero suggerendo di non insistere. Quindi, piano B, per il quale resterebbe al suo posto anche in caso di sconfitta ritenuta non più impossibile. Bene: ammettiamo che Renzi faccia finta di nulla o si faccia pregare di restare al suo posto e ci resti. E’ accettabile? E che costi politici avrebbe?
Questo avrebbe un costo di immagine elevatissimo sia nel partito (dove persino quella cosa inutile di Bersani alzerebbe la voce) sia nell’elettorato. Aggiungerebbe discredito alla sconfitta senza calcolare che la Corte Costituzionale dovrebbe pronunciarsi sull’Italicum ed una nuova sentenza di bocciatura metterebbe il governo in una condizione insostenibile.
Ma il problema più serio, in ogni caso (che Renzi insista a minacciare le dimissioni o no, che la Corte si pronunci sfavorevolmente sull’Italicum o no) è accettabile, sul piano della correttezza costituzionale, che Renzi non si dimetta?
Se il governo pone la fiducia su un provvedimento legislativo e una delle Camere gliela nega, le dimissioni sono un atto dovuto ed il governo non può far finta di nulla dicendo “Scherzavo”.
A maggior ragione questo è vero se la smentita viene dal corpo elettorale. Una permanenza in quel caso sarebbe intollerabile. Riflettiamo su come sono andate le cose, riassumendo il percorso che ci ha portati a questa situazione: le elezioni del febbraio 2013, grazie al premio di maggioranza previsto, davano la vittoria alla Camera alla coalizione di centro sinistra, ma non al Senato e lo stallo veniva superato con la trovata del governo di unità nazionale. Che però era cosa ben diversa da quella che gli elettori avevano votato, sia perché il Presidente del consiglio era persona diversa da quella indicata, sia perché la coalizione vincitrice si era sciolta con il passaggio di Sel all’opposizione, mentre il governo era il prodotto dell’alleanza Pd-Sc-Fi. E già questo fa sorgere dubbi sulla correttezza costituzionale di questa prassi.
A dicembre giungeva una sentenza della Corte che dichiarava incostituzionale il premio di maggioranza (per la sua entità) e l’elezione senza preferenze. Di fatto il Parlamento era delegittimato perché eletto su un presupposto non più esistente (quel dispositivo di legge). Infatti le sentenze della Corte dovrebbero produrre effetti anche retroattivi, in quanto non di annullamento si tratterebbe, ma di nullità assoluta, per cui gli effetti della legge dovrebbero cessare tam quam non esset. Però, per il principio della conservazione degli atti, il Parlamernto venne ritenuto formalmente legittimo per cui potette restare in carica. Si sarebbe potuto, però, provvedere alla nuova ripartizione dei seggi senza tener conto del premio di maggioranza, anche perché le procedure di verifica e proclamazione degli eletti non erano ancora perfezionate ed ultimate, ma, siccome una parte degli eletti era stata proclamata, non si poteva dichiarare nulla l’elezione di quelli che ancora non lo erano e che, per caso, erano ancora non proclamati. Il pasticcio venne risolto facendo prevalere nuovamente il principio della “conservazione degli atti” per cui il Parlamento restò nella composizione determinata dalla legge dichiarata incostituzionale.
E già qui si capisce come il testo costituzionale sia stato stiracchiato all’inverosimile per arrivare a questa soluzione. Ma, se, con molto sforzo, si poteva giustificare la sopravvivenza del Parlamento su un piano formale, sul piano della correttezza sostanziale, sarebbe stato necessario sciogliere le Camere, dopo gli adempimenti più urgenti, ed andare a votare al più presto. Ma il Presidente della Repubblica (l’inimitabile Giorgio Napolitano) ritenne che questo avrebbe causato ingovernabilità (chissà perché) e che invece occorresse rifare la legge elettorale e superare il bicameralismo, per cui alle elezioni si sarebbe andati dopo le riforme. Decisione opinabile ma, comunque, la Costituzione affida alla discrezionalità del Presidente la decisione sullo scioglimento anticipato delle Camere, per cui la cosa venne risolta in questo modo, mentre veniva insediato un comitato di saggi per la riforma della Costituzione, in assoluto contrasto con quanto previsto dall’art. 138, che però fece naufragio.
Poi vennero il governo Renzi (nuovo Presidente del Consiglio senza investitura popolare e con maggioranza nuovamente modificata), il patto del Nazareno, mentre, man mano, si produceva una ondata di scissioni in Forza Italia, di espulsioni nel M5s, di fatto si scioglieva Scelta Civica e c’erano alcuni abbandoni individuali nel Pd per cui un terzo dei parlamentari cambiava casacca. E senza contare gli avvisi di garanzia (per numero inferiori solo al periodo di Mani Pulite) e richieste di autorizzazioni all’arresto. Una situazione paradossale per la quale il Parlamento meno rappresentativo della storia repubblicana, eletto su una base incostituzionale e segnato da una grandinata di avvisi di reato, restava in carica e:
1. eleggeva per ben due volte il Capo dello Stato
2. eleggeva 5 giudici costituzionali
3. eleggeva un terzo del Csm
4. varava una riforma del sistema elettorale che, peraltro, riprendeva aggravandoli i difetti di costituzionalità riscontrati dalla Corte
5. varava la più ampia riforma della Costituzione in 60 anni
6. varava una serie di provvedimenti importantissimi (come quello sulla Banca d’Italia, quello sul job act eccetera)
Nessun Parlamento “normale” ha mai assunto tante decisioni di questa importanza. A rafforzare la posizione del governo, venivano le elezioni europee che, attribuendo quasi il 41% dei voti al Pd, creavano la sensazione che si fosse sanato il difetto di disrappresentatività della maggioranza parlamentare. Sensazione falsa perché si trattava di elezioni di diverso tipo e che segnavano sostanzialmente il passaggio degli elettori di centro al Pd, quel che non alterava il dato di fondo, inoltre, trattandosi di un fenomeno temporaneo, come dimostreranno le elezioni amministrative successive che segnalavano un calo medio del 6-7% del Pd.
In ogni caso, la legittimazione dell’esistenza di questo Parlamento era sostenuta dalla necessità di dargli il tempo necessario per attuare le riforme istituzionali. Ne deriverebbe che, con il referendum di conferma, il suo ruolo è esaurito comunque vadano le cose: se il referendum conferma la riforma, il processo si è compiuto e questo Parlamento non ha più nulla da fare, se, invece, la boccia, a maggior ragione il Parlamento deve essere sciolto e, per conseguenza, in ogni caso il governo decade.
In fondo, Renzi è stato il più onesto di tutti (mi costa ammetterlo, ma è così) dicendo che in caso di sconfitta si ritirerebbe dalla vita politica dimettendosi da tutti gli incarichi. Nella mia città di origine si usa dire: “Passasse l’Angelo e dicesse Amen”.
Magari lui non lo ha fatto per un atto di onestà intellettuale (cosa di cui non lo sospettiamo capace) ma per drammatizzare la consultazione e spingere a votare si, ma le intenzioni non contano. Quel che conta è che è l’unico ad aver capito che questo Parlamento non può sopravvivere al referendum come vada (e, infatti, la riserva mentale è con ogni evidenza quella di sciogliere le camere ed andare a votare in caso di vittoria).
Il punto è che succede se perde. Semplice: se ne deve andare e bisogna andare a votare (a parte scriveremo della legge elettorale). Ogni permanenza ulteriore sarebbe un abuso intollerabile ai limiti del colpo di Stato.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, cosa succede se renzi perde il referendum, giorgio napolitano, referendum costituzionale
Lorenzo
I suoi ragionamenti, caro Giannuli, sono encomiabili, ma la politica è il regno degl’istinti aggregativi e dei rapporti di forza (provvisoriamente cristallizzati in forma giuridica) e non della correttezza intellettuale. Man mano che questa società allo sfascio corre verso la rovina le procedure consolidate tendono e tantopiù tenderanno a sciogliersi come neve al sole.
In caso di no referendario Renzi e i poteri che lo hanno intronato valuteranno se adottare un basso profilo o dare un ulteriore spintone all’agonizzante architettura repubblicana. E si può esser certi che valutazioni dottrinarie e considerazioni di correttezza istituzionale giocheranno poca parte nell’orientarne la decisione, anche perché chi controlla i media controlla l’appercezione del gregge.
gaz
@Lorenzo
Ma che dottrina .. illo vale un Armando Feroci !
Nico Perrone
Analisi perfetta: nulla ti è sfuggito, nulla da obiettare. Il punto chiave – sul quale tutti invece tacciono – è che si sta sfasciando la Costituzione da parte di un Parlamento eletto con una legge incostituzionale. Tu, caro Aldo, giustamente non perdi occasione per ricordarlo, mentre tutti gli altri commentatori politici se ne dimenticano. Quanto invece alle previsioni, nel caso di sconfitta di Renzi al referendum tu fai l’ipotesi di un suo ritiro dalla scena politica. Questo per coerenza con quanto Renzi stesso ha dichiarato. Io invece avrei qualche dubbio, perché temo che il Giovanotto abbia un progetto di inamovibilità: primo mandato, rielezione, secondo mandato, fino a raggiungere l’età per farsi nominare presidente della Repubblica. Tutto quest grazie a una legge elettorale incostituzionale. E grazie alla faccia tosta di Renzi, all’inesistenza e soprattutto all’incapacità politica dei dissenzienti. Per smascherare questa faccia tosta, perché non incominciamo a fare una campagna massiccia e docuentata sulle falsità fattuali che racconta?
Aldo S. Giannuli
si lui cercherò di restare ma una sconfotta come quella cambia i rapporti di forza e la prima cosa che succede è che si sfascia il Pd
Roberto B.
Referendum: ma se Renzi perde deve andarsene?
Tonto chi ci crede. E per essere sostituito da chi, poi? Elezioni subito? Per andare incontro ad un disastro? Seeeh! Lallero.
Pensiamo piuttosto alle cose serie. A proposito del post precedente su Nogarin, oggi è la volta di Pizzarotti, su esposto di un senatore PD: la gioiosa macchina giudiziaria PDina ha iniziato a macinare inquisiti nel M5S. Come avevo accennato in quel post, basta un semplice esposto presentato da chi ha interesse a gettare fango, è parte l’operazione “sono tutti uguali”. Pizzarotti cerca di difendersi come può (tra l’altro, neppure potendo contare sui vertici del Movimento), ma quello che resta nella mente delle persone semplici è che quello che vale per gli altri, non vale per i politici M5S.
Roberto B.
P.S.: a riprova del sempre valido detto “calunniate, calunniate, qualcosa resterà”, dopo neppure mezza giornata la notizia sul Fatto ha già collezionato 2000 commenti. E parliamo solo del Fatto: non ho visto gli altri!
Paolo Selmi
Professore, buongiorno,
Spero vivamente che questi motivi oggettivi siano sufficienti per far dimettere Renzi, anche perché dubito che, in caos di sconfitta, Renzi sia abbastanza uomo (per dirla alla Sciascia con il suo “uomini, mezzi uomini, ominicchi, ruffiani e quaqquaraquà”) da andarsene sua sponte. Visto come è andato al potere e come l’ha mantenuto fin’ora, avendo in testa tutt’altro che gli interessi generali del Paese, forte sarebbe la tentazione del temporeggiamento, del traccheggio, del capro espiatorio o di qualsiasi altra soluzione che lo possa salvare.
Tuttavia, una gran bella cosa sarebbe se il Comitato per il NO diventasse il punto d’incontro, l’occasione per superare vecchie e nuove divergenze fra parti e partiti comunque affini: in altre parole, il luogo per l’elaborazione di quella pars construens di cui in Italia c’è tanto bisogno. Tanto bisogno perché, come il referendum sull’acqua bene comune ha insegnato, occorre vincere la guerra: l’unico modo per impedire che il blocco attualmente al potere faccia rientrare dalla finestra quello che avremo fatto uscire dalla porta, è neutralizzarlo. Neutralizzarlo con un progetto politico condiviso e alternativo a quello che ha partorito l’obbrobrio che andremo a cestinare a ottobre. Sarebbe veramente il massimo, e avrebbe anche ricadute positive sulla partecipazione degli italiani alla vita politica, mostrando un’inversione di tendenza rispetto al disimpegno attuale. Chissà…
Un caro saluto
Paolo
gaz
Un uomo, una parola!
Aldo S. Giannuli
ma la risposta alla mia idea del riassunto in italiano da pubblicare in prima?
Herr Lampe
Perché sta scrivendo come Eta Beta?
Comunque sono d’accordo con la sua tesi di fondo, politicamente non può rimanere in sella se perdesse il suo all-in.
Aldo S. Giannuli
perchè in certi momenti della giornata ho problemi di vista. Grazie per la segnalazione, ora correggo
Gaz
@Giannuli.
.P.provo ad essere meno laconico.
Renzi e amichi fan e disfan le regole a piacimento e favore.
Dei problemi reali poco si importa.
Aldo S. Giannuli
VA BENE MA DEL RIASSUNTO DALL’INGLESE NON NE PARLIAMO PROPRIO?
Gaz
Buona sera Aldo,
dopo la mia assenza forzata, che mi è servita per leggere quasi tutto il romanzo, eccomi di nuovo qui. Il riferimento al riassunto dall’inglese mi sfugge. Forse abbiamo un problema tecnico di comunicazione. Della casella corsofrancya ho smarrito la password. Le mail da aldogiannuli@aldogiannuli.it mi tornano indietro.
Scrivimi a col.an.inno@virgilio.it
Un cordiale saluto.
Luca Colaninno