Scozia: hanno vinto gli indipendentisti.
Il referendum del 18 settembre? Ma è chiaro: lo hanno vinto gli indipendentisti. Non ve ne eravate accorti? Certo, la conta dei voti ha dato un po’ più del 54% al No e, nell’immediato, non c’è alcuna secessione. Ma la politica è qualcosa di più del calcolino ragionieristico e non sempre il vincitore è quello che ha preso 1 voto più dell’altro. Un po’ come agli scacchi, dove puoi vincere dando matto, anche avendo la metà dei pezzi dell’avversario, perché quello che conta non è tanto quanti pezzi hai, ma come sono disposti. Fuori di metafora: gli indipendentisti hanno vinto in primo luogo perché hanno ottenuto il riconoscimento del diritto al referendum, che quindi, potranno richiedere ancora in seguito. Tanto più che il loro referendum sta aprendo la strada ad una valanga di consultazioni simili nel resto d’Europa.
Un paese non resta unito per uno scarto dell’8 o 9% dei voti: agli unionisti sarebbe servito andare oltre il 60% per cantare vittoria, considerando anche che quel margine è stato ottenuto in gran parte grazie agli ultrasessantacinquenni. Questo vuol dire che in meno di 10 anni, per un mero meccanismo demografico, quella maggioranza non ci sarà più.
Però, qualcuno potrebbe dire, per ora il Regno resta il Regno Unito, il resto non conta perché il futuro, come si sa, è sulle ginocchia di Giove. Il che sarebbe perfettamente conforme all’ottica di brevissimo periodo propria di questa epoca. Ma neppure questo può essere detto, perché, di fatto, la secessione del Regno Unito si è messa in moto. Londra, per vincere questa prova, ha dovuto promettere una super devolution (dopo che la prima devolution aveva clamorosamente mancato l’obiettivo di tenere gli scozzesi legati al suo carro) ma questo non fa che trasferire ulteriori poteri dal centro alla periferia, allentando, di conseguenza il vincolo unitario.
Per di più, sarà costretta, come già dichiara lo stesso Cameroon, ad estendere la super devolution anche agli altri: gallesi, irlandesi e… inglesi, visto che non c’è ragione per la quale i soli scozzesi debbano avere questi privilegi. E, conseguentemente, già si manifesta l’idea di un parlamento che non legifera per tutto il Regno, ma solo su una parte di esso, escludendo i deputati delle altre parti. Ed, in una dinamica del genere, è logico prevedere una frammentazione degli stessi partiti nazionali: conservatori, liberali e laburisti, se vorranno ottenere qualche seggio in Scozia, Galles o Irlanda, dovranno sempre più caratterizzarsi come partiti locali.
La stessa Ukip, data anche la distribuzione del suo voto, tenderà a mettere radici dove ha maggior seguito ed a trasformarsi prevalentemente nel partito regionale dell’Inghilterra orientale e della Cornovaglia (dove pure covano fermenti indipendentisti). Il che avrà una implicazione ovvia sulla forma di governo, perché l’esecutivo centrale dovrà fare affidamento su maggioranze variabili. E non è difficile immaginare che, soprattutto in momenti particolarmente critici (la partecipazione ad una missione di guerra, una forte crisi finanziaria ecc.) il governo dovrà negoziare i voti dei partiti regionali con sempre maggiori concessioni: nel giro di meno di 10 anni scopriremo che la devolution è solo una secessione a rate.
E voi dite che hanno vinto gli unionisti?
Aldo Giannuli
aldo giannuli, etnoregionalismo, europa, inghilterra, partiti scozzesi, referendum scozia, regno unito, ukip, unione europea
luigi
Caro Professore,
vedo che ha aggiornato il criterio di giudizio circa i risultati del referendum per l’indipendenza della Scozia rispetto al post precedente nel quale sosteneva che “Se dovesse affermarsi con nettezza la tesi unionista (con uno scarto di almeno 8-10 punti percentuali) la questione sarebbe chiusa.”
Ritengo comunque che il criterio attuale sia più vicino alla realtà dei fatti sopratutto per quanto riguarda la dinamica referendaria innescata nelle altre nazioni.
aldogiannuli
Luigi: esatto, il problema è proprio l’effetto domino
Giuseppe Piazzolla
Salve prof. Ma un bel post su De Bortoli? Recapita pizzini o si toglie sassolini in previsione di una discesa in politica? Certo è che ci sarebbe piaciuto tanto un De Bortoli così sempre e non solo in scadenza del mandato …
aldogiannuli
giuseppe piazzolla
aspetta che ci sto pensando
giandavide
l’inghilterra è troppo grande e disomogenea per attuare un modello scandinavo, senza contare che dopo la tatcher l’unico modello di sviluppo possibile passa per la finanza di londra e si ferma là. in un periodo come questo, in cui il modello di stato nazione mostra chiaramente la sua completa inadeguatezza a raccogliere le sfide della modernità, entità come il regno unito sono molto a richio, dato che al contrario di paesi come la francia, non hanno investito per rinsaldare i legami culturali indispensabili per tenere unita la baracca. e noi non ci troviamo in una situazione molto diversa, dato che lo stato italiano è stato monopolizzato da lobby, corporazioni e ordini professionali i cui privilegi resistono al tempo, e i cui aderenti sono gli unici cittadini di serie a. forse abbiamo avuto un’occasione per uscirne dopo le scorse politiche, ma è stata sprecata, sempre se i contendenti non fossero in malafede (cosa sicura per parte del pd, probabile per il m5s). ora l’impressione è che bisogna ricominciare tutto daccapo. in casi del genere è logico che la gente ci si butti in questi referendum: quando la morte istituzionale ti circonda, quale soluzione più invitante di provare a risvegliare il morto con un bello shock?
leopoldo
aldo però tieni presente che ha votato l’85% degli aventi diritto, secondo me l’asticella si sposta ben più in là nel tempo. oltretutto organizzare uno stato exnovo comporta un bel po’ di problemini coi loro bei dubbi che non sono riusciti a dipanare. La questione che rimane aperta è con quale formula un territorio può uscire dalla UE?-;
Germano Germani
L’autodeterminazione dei vari popoli europei, con l’indipendenza e l’autonomia, può essere la carta vincente alla sfida della globalizzazione.Lo stato nazione ha fallito, sono costruzioni artificiali, frutto di monarchie decadenti e volontà massoniche. Per tornare alla nostra penisola e alla “vexata questio” del Veneto,ricorderò ai nemici del popolo Veneto,che questa nazione con cinque milioni di abitanti quanti la Danimarca,con una prosperità economica al pari di altri paesi della Mitteleuropa, assieme alla Lombardia sono, i maggiori contribuenti dell’Italia, che in pratica mantengono intere aree e popolazioni del sud della penisola.La città di Monza paga di ICI sulla prima casa, più dell’intera regione Calabria. Con quale faccia si può difendere un simile abominio? Fino a quando la popolazione subirà simile tirannia?Esiste anche il diritto alla resistenza dei vari popoli.Semplicemente si sta avverando la nemesi storica, preconizzata dal cancelliere austriaco, principe Metternich, che sosteneva saggiamente che l’Italia non era un popolo e una nazione, ma una espressione geografica.Una cosa è certa i Veneti, maledicono il massone Garibaldi e la casa Savoia,il plebiscito farsa del 1866 con l’unificazione al regno dei Savoia (consiglio la lettura dei libri di Ettore Beggiato) mentre rimpiangono la saggia e illuminata casa degli Asburgo e l’Austria felix.
paola sala
posso aggiungere un’ovvieta’? uesti fenomeni centrifughi guadagnano momentum nei periodi diforte crisi economica e la Scozia ne ha risentito, negli ultimi anni, forse piu’ che il resto del Regno Unito. E’ dai tempi di Margaret Thatcher che citta’ come Glasgow o Dundee (uniche due citta’ della Scozia dove il SI ha vinto) non riescono a superare un livello di disopccupazione allarmante,particolarmente nelle aree piu’ popolari della citta’, infatti, guarda caso, una citta’ come Aberdeen, che e’ fra le piu’ ricche di tutto il Regno Unito,con livelli di disoccupazione bassissimi, ha stravinto il NO. L’esempio del Veneto come esempio di autodeterminazione dei popoli mi sembra decisamente fuori luogo, perche’, a mio avviso, questa rivendicazione non ha basi storiche, la Scozia e’effettivamente uno stato distinto mentre il Veneto se non ricordo male faceva parte del defunto impero Austro-Ungarico, inontre il problema delle regioni settentrionali italiane e’ quello di essere ingiustamente vessate dall stato centrale che non ha fatto nulla per la loro economia durante un momento di crisi cosi’ drammatica come quella che stiamo ancora attraversando e non di appartenenza alla nazione stessa. Cio’ dicendo io continuo a sostenere un devolution del quadrante nord-ovest di Roma e un’annessione al rinato Stato Pontificio, vediamo chi e’ piu’ nostalgico…