Rossana Rossanda
ROSSANA ROSSANDA
Anche se la nostra attenzione è oggi occupata dal referendum, dalle regionali, dalla cronaca delle elezioni americane e dal preoccupante andamento del covid, non posso non scrivere -ed a caldo- sulla scomparsa di Rossana Rossanda, l’ultima grande figura non solo del Manifesto ma del comunismo italiano, con tutto il carico di slanci generosi, di intelligenza ma anche di errori, cadute, anche ingiustizie che questa storia grande e terribile porta con se.
Dopo le scomparse di Pintor (2003), Magri (2011), Parlato (2017), Rossanda chiude il ciclo degli esponenti storici del Mafifesto (di cui resta solo Luciana Castenni,a, piu giovane di una decina di anni). Ma di tutti la Rossanda è quella che ha lasciato l’impronta più profonda.
Fu alleva di Banfi, fu nella Resistenza, fu dirigente milanese del Pci negli anni difficili, quando essere comunisti significava rischiare molto. Fu la testa più brillante della sinistra del partito, incomparabilmente più lucida, onesta e coraggiosa del suo massimo esponente, Pietro Ingrao, che di coraggio e lucidità non ne ebbe mai molti. Anche negli errori, Rossanda aveva una coerenza ammirevole per la quale andava sino in fondo, battendosi senza concedere nulla a chi non la pensava come lei. Non ho intenzione di scriverne una agiografia, che, oltretutto stonerebbe sulla penna di chi, come me ha sempre avversalo lo stalinismo (ed almeno sino al 1971-2, la Rossanda fu stalinista) ed il maoismo (e la Rossanda fu sempre maoista, anche se decisamente sottotono dal 1978-9 in poi).
Quando mori Turati, che di errori ne aveva fatti una caterva, Carlo Rosselli gli dedicò un opuscolo biografico nel quale non gli perdonava nulla, pur riconoscendolo come suo maestro, e che si concludeva dicendo che Turati era così grande che tacergli una critica sarebbe stato fargli torto. E’ l’atteggiamento più corretto che si possa avere, perché forse i maestri insegnano più quando sbagliano che quando hanno ragione.
Peraltro la Rossanda rivide spesso le sue posizioni sviluppandole: la scoperta della Luxemburg (collaborò alla scenografia del film dedicatole) e dei temi della democrazia di partito e del protagonismo delle masse e dei loro movimenti spontanei, solo qualche anno prima gli sarebbe parsa eresia maggiore da rogo in piazza. La coperta del garantismo, che non era certo nelle sue corde originarie, la portò alla giusta battaglia in difesa di Negri accusato di reati che non aveva mai fatto (ma la portò anche al catastrofico errore di accettare le tesi dei brigatisti sul caso Moro che non stava in piedi neanche con il busto ortopedico). Negli anni novanta, quando già era arrivata ad una età in cui le convinzioni si cristallizzano e non tollerano neppure ampliamenti, si mise a studiare la finanza ed i suoi meccanismi, ricavandone una delle critiche più lucide del neo liberismo. Dunque, persona che sapeva riflettere sui fatti e adeguare la sua visione del Mondo.
Il che, sia chiaro, non significa che abbia mai fatto un’autocritica: piuttosto che riconoscere un errore fatto si sarebbe fatta tagliare il braccio destro. La rettifica avveniva tacitamente, semplicemente cambiando posizione. Oppure aveva una tecnica particolare: autocriticava gli altri, magari concedendo di sfuggita di aver fatto parte di quanti erano caduti in quell’errore. Come quando, peraltro giustamente, riconobbe che a leggere i comunicati delle Br sullo “stato imperialista delle multinazionali” sembrava di sfogliare “ l’album di famiglia” del comunismo anni cinquanta. In questo non c’era solo l’alterigia della figlia del grande ufficiale della marina asburgica prima e italiana dopo, c’era anche l’ostinata convinzione del comunista che non avrebbe mai riconosciuto un errore del partito (salvo rarissime eccezioni) perché questo sarebbe stato darla vinta all’avversario, perdere la fede nell’infallibilità scientifica del pensiero marxista (che, appunto, era il “socialismo passato dall’utopia alla scienza”!). Ho un ricordo personale che la dice lunga: la Rossanda (siamo nel 1983-84) era venuta a Bari per una conferenza dei “giovedì letterari” e ad un certo punto, dovendo commentare l’evidente decadenza dell’Urss, il corso del comunismo cinese eccetera, disse quanto gli costava ammettere certe sconfitte: “Non sopporto di perdere una partita a carte, figuratevi cose di questa portata”. Appunto: l’atteggiamento soggettivista tipico dello stalinismo che non sopporta di dover ammettere sconfitte ed errori.
Ricordo invece una lettera nella quale Engels (che in questo momento non ho il tempo di ricercare) scrive a Marx (che palesemente concordava) come stia proprio nella capacità di individuare i propri sbagli e correggerli, la forza di un movimento. Ecco una lezione dei fondatori che il movimento comunista ha perso ben presto.
Ed ecco una virtù che la Rossanda non ha mai avuto: la laicità o la capacità di confrontarsi alla pari, “donna di periglioso contraddittorio” ne avrebbe detto Camilleri. Una volta, però, questo tornò oggettivamente a mio vantaggio. Un altro ricordo personale: nel 1974, appena formatosi il Pdup per il comunismo, chiesi la tessera del partito alla sezione barese che, però, era una cosa di mezzo fra una setta esoterica ed una comitiva di amici dove per entrare devi proporti con una donna, per non rischiare di guastare gli equilibri di coppia esistenti. E, insomma, proprio non intendevano darmela, peraltro non solo a me ma anche ad altri militanti nelle stese condizioni.
Il 9 novembre di quell’anno, la Rossanda venne a Bari per presentare il nuovo partito: l’aula puù grande dell’Università era gremita da circa 800 persone. All’indomani, attivo del partito in sede alla presenza della quarantina di iscritti alla sezione. La Rossanda chiede di vedere l’elenco degli iscritto ed allibita disse “volete farmi credere che in una città dove quasi mille persone partecipano ad una nostra manifestazione, abbiamo solo qualche decina di iscritti?” Il segretario, imbarazzatissimo balbettò che però in effetti stiamo studiando alcune richieste di adesione. La Rossanda sbottò facendo una intemerata memorabile così conclusa (più o meno): “Siete un circolo aristocratico, chiudere la sezione e riunitevi al circolo dei nobili, Ma sino ad allora, per lo meno tenete pulito il pavimento che questa è una stalla” Dopo di che, senza accettare repliche di sorta, si alzò, prese una scopa ed inizio a spazzare il pavimento pieno di cicche, obbligando tutti a fare altrettanto, umiliati ed in silenzio. E così quanti erano in attesa della tessera, fra cui chi vi sta scrivendo, la ottennero all’indomani.
Dunque un personaggio tutt’altro che facile ed accogliente. Eppure questa donna di forte carattere, cocciuta e passionale, aristocratica e comunista, ci ha lasciato una eredità politica enorme. In un prossimo articolo cercherò di analizzarne il pensiero qui mi limito a ricordarne la lezione più importante: l’invito a “pensare in grande” a cocepire sempre la militanza in termini di servizio che non richiede ricompensa, a concepire il Mondo come il campo dello scontro politico e a rifuggire ogni miserabile localismo.
Per il resto qui ricordo un personaggio che è stato molto nella mia vita per almeno 40 anni, quanti sono stati gli anni in cui quasi quotidianamente ne ho letto gli articoli, più spesso arrabbiandomi e non condividendo, ma sempre trovandone nutrimento intellettuale. Addio grande Maestra.
Aldo Giannuli
aldo giannuli, il manifesto, rossana rossanda