Romanzo di una strage, il libro di Cucchiarelli, le critiche di Sofri e gli anarchici indignati

Il film di Giordana su Piazza Fontana è stato duramente criticato da Corrado Stajano e malamente stroncato da  Goffredo Fofi (che parla di “cine panettone” e di lavoro non decente). C’è da segnalare, poi, una indignata presa di posizione degli anarchici romani, reduci del 22 marzo, che sostengono di non riconoscere sé stessi e le persona a loro vicine nel ritratto fattone da Giordana che ritengono caricaturale.
Non sono un critico cinematografico e non mi permetto di competere con un “mostro sacro” come Fofi, riconosco a Stajano autorità ed intelligenza per cui riesce ad essere illuminante, anche quando è eccessivamente severo e riconosco ai compagni anarchici le ragioni della loro irritazione, però mi sembrano giudizi troppo inclementi verso un fil che io giudico, invece, positivamente. Ho l’impressione che Giordana paghi lo scotto dell’accostamento al libro di Cucchiarelli che, a suo tempo, abbiamo recensito e del quale dicemmo, pure con cortesia, essere un libro brutto e più ricco di illazioni indimostrate che di effettive scoperte investigative.
Non torniamo, quindi, sul libro di Cucchiarelli di cui si occupa Adriano Sofri in un libretto web che consigliamo vivamente di leggere, a tutti quanti siano interessati. Un aureo scritto che leva la pelle a Cucchiarelli dimostrando quanto superficiale sia stato il suo studio delle carte.
Torniamo al Film che, nell’inquadratura finale, si dice “tratto liberamente dal libro di Paolo Cucchiarelli….”. Ma avrebbe dovuto dirsi “molto liberamente tratto” perché del libro nella pellicola resta poco e nulla.

Il libro sostiene che:

a-le bombe alla Bna erano due, una innocua, messa da Valpreda e l’altra “cattiva” messa da Sottosanti

b-che c’erano due taxi e due sosia

c-che anche in tutti gli altri casi di bombe seminate in giro quel giorno ce ne era una dimostrativa messa dagli anarchici” ed una vera messa dai fascisti

d-che Pinelli, accortosi di quanto era in atto e della trappola in cui erano caduti i suoi compagni, andò in giro per fermare le altre esplosioni e si inventò un alibi che poi non resse alla prova dei fatti

e-che Calabresi era nella stanza e forse partecipò al defenestramento fisico di Pinelli

f- che dietro di tutto c’era una regia unica che dirigeva tanto i fascisti quanto gli anarchici nella posa delle bombe.

Nel film: sparisce ogni coinvolgimento degli anarchici e soprattutto di Valpreda (la cosa è chiarita dalla conversazione immaginaria fra Calabresi e D’Amato), sparisce la regia unica, sparisce l’azione di Pinelli per frenare le supposte altre bombe, spariscono il doppio taxi ed il doppio sosia, Calabresi non è nella stanza al momento della caduta di Pinelli. Resta solo l’ipotesi della doppia bomba (ci torniamo fra poco).
Come dire che il film distrugge il libro più di quanto non se ne serva. Ma, allora, direte, perché dichiarare il film ispirato a quel libro? Lo spiega lo stesso Giordana sul Corriere: perché, prima ancora che fosse scelto il regista, la produzione aveva (sconsideratamente) acquistato i diritti del libro e quindi c’era un obbligo contrattuale in questo senso.

Alla fine, quella sponsorizzazione si è rivelata un autogoal, però il film ha dei meriti innegabili.
Vorrei ricordare che le due inchieste svolte dall’Isec fra gli studenti delle medie superiori milanesi nel 1999 e nel 2009 avevano accertato che la maggioranza degli intervistati riteneva la strage opera delle Br (quasi il 40%) o della Mafia (circa il 20%) mentre solo l’8% parlava dei fascisti ed il 4% dei servizi segreti. E questo, nella città dove ogni 12 dicembre c’è un corteo studentesco per ricordare la strage. Dunque, partiamo da questo dato.

Il film indica chiaramente le responsabilità del gruppo Freda-Ventura (anche se lascia fuori quello che è emerso nell’inchiesta Salvini), indica le coperture che i servizi italiani gli dettero prima e dopo la strage, parla del ruolo dei colonnelli greci e dei servizi americani. Non dice apertamente, ma lascia intendere chiaramente che Pinelli non è caduto giù per disgrazia o suicidio, favole inventate dalla Questura per cavarsi dall’accusa di omicidio.

Scusate se è poco: in tempi come questi ci vuole coraggio per sostenere cose così. E se noi delle generazioni over cinquanta queste cose le sappiamo per averle vissute ed aver letto tanto nel quindicennio successivo alla strage, le generazioni più giovani queste cose le ignorano. Da docente a contatto con i ragazzi che arrivano freschi dalle medie superiori e che hanno idee molto approssimative sulla storia recente del nostro paese, devo dire che questo film è uno strumento prezioso da non sottovalutare.

Poi ci sono molte omissioni, come lamenta Stajano, siamo d’accordo, ma un film deve far stare dentro tutto in due ore e deve operare tagli anche brutali, soprattutto quando ha per le mani una storia intricata come Piazza Fontana.

Ci sono anche passaggi che ci lasciano perplessi (Borghese che si scaglia con veemenza contro i “macellai”, episodio storico di cui non si ha notizia ed assai improbabile peraltro non necessario nell’economia del film; un po’ troppa glassa zuccherosa su Calabresi e Moro; una versione un po’ caricata di Saragat e degli anarchici e di Valpreda, ecc.) ma, a guardare la cosa nel complesso, si tratta al massimo di “peccati veniali” ampiamente compensati dai meriti del film.

Bene invece la scelta di tenere la violenza politica di quegli anni in sottofondo e non perché si debba occultare questo aspetto della vicenda, ma perché, in questi ultimi venti anni, c’è stata una overdose di attenzione a questo aspetto che ha finito per fagocitare tutto, mettendo in ombra moltissime altre cose di quella stagione troppo complessa per essere ridotta a questa sola dimensione.
Anche cinematograficamente si possono fare critiche al film, ma parlare di panettone  e lavoro non decente sembra fuori luogo: non salviamo neanche l’interpretazione di Pinelli-Favino? A chi scrive è parsa superba.

Veniamo ai due punti delicati del film che possono attrarre delle critiche di merito: la doppia bomba (unica cosa che Giordana riprende dal libro) e la presenza di Calabresi nella stanza al momento del volo di Pinelli (cosa che contrappone Cucchiarelli a Giordana). Dichiamo subito che (allo stato dei fatti) sia sull’una che sull’altra cosa non ci sono prove che possano stabilire definitivamente una verità ma che ci si sta muovendo sul terreno infido delle ipotesi.

Doppia bomba: l’unica “prova” che Cucchiarelli adduce è il ritrovamento della miccia che, però, nel fascicolo processuale non compare. Anche se fosse, si tratterebbe di un indizio, anche interessante, ma non di una prova definitiva. Nulla peraltro esclude che essa possa esserci stata: se la versione di Cucchiarelli (doppia bomba in attuazione di un unico piano e coinvolgimento di Valpreda) fa acqua da tutte le parti e non merita di essere presa seriamente in considerazione, l’ipotesi che possano esserci state due bombe alla Bna in attuazione di due diversi piani criminosi, non è in sé illogica. Riflettiamo su un dato: quel giorno ci furono diversi attentati a Roma e Milano, quelli romani hanno la caratteristica di essere stati a bassissimo potenziale, di aver fatto ben poco danno e di essere attribuibili agli uomini di Delle Chiaie, quella milanese, al contrario, è stata micidiale ed è attribuibile al gruppo veneto di On. Le bombe sono esplose più o meno alla stessa ora, con una sincronia che non può essere casuale, ma che è rimasta non spiegata, perché tutte le volte che abbiamo cercato (sia in sede giudiziaria che parlamentare o giornalistica) un collegamento  fra le bombe romane e quella milanese, non abbiamo trovato assolutamente nulla che lo provasse. Di qui è sorta l’ipotesi che si trattasse dell’azione terroristica di un gruppo nella quale si era infilato un gruppo rivale.

A favore di questa ipotesi stanno questi elementi:

a-dallo studio dei documenti emergono due costanti: Avanguardia Nazionale di Stefano delle Chiaie porta sempre all’Ufficio Affari Riservati del Ministero dell’Interno ed Ordine Nuovo porta sempre ai carabinieri ed al servizio segreto militare. Non si verificano mai rovesciamenti di questo schema

b-On ed An erano divise da una acre concorrenza.

c- anche fra Uaaarr e Sid in quegli anni c’era una competizione durissima. Sappiamo che il Sid cercò di scaricare la cosa su An e che, copertamente, fece arrivare documenti al collettivo della “strage di Stato” sempre per alimentare la pista Delle Chiaie

d-sappiamo che Di Luia era il terminale milanese di Delle Chiaie (anche se con qualche polemica ed allontanamento), cha a lui faceva riferimento Sottosanti e che, nel marzo successivo alla strage, cercò ed ottenne un incontro riservato con Silvano Russomanno (braccio destro di D’Amato allo Uaarr) per fare rivelazioni sul ruolo avuto il 12 dicembre.

e-sappiamo documentalmente che l’ “operazione anarchici” fu predisposta dallo Uaarr sin dall’agosto precedente la strage (con il, depistaggio sulle bombe ai treni e poi con l’iscrizione di Valpreda a “modello Z” sin dal 30 settembre), mentre carabinieri e Sid puntavano piuttosto su Feltrinelli

In questo quadro, non appare del tutto irrealistica l’ipotesi di una doppia bomba: una di An, nel quadro di una azione dello Uaarr mirante a gestire la tensione dell’autunno caldo, l’altra collocata dal gruppo mestrino-veneziano di On nel quadro di una operazione di appoggio ai colonnelli greci e per porre le premesse per scatenare violenze di piazza il 14 dicembre durante la manifestazione già convocata dall’estrema destra (ipotesi più volte affacciata -e con elementi a sostegno- da Vincenzo Vinciguerra).

Prove che questa seconda bomba ci si stata non ce ne sono, se non i labili indizi raccolti da Cucchiarelli (l’odore di mandorle amare ed il mal di testa dei presenti, la difficoltà di far entrare sei chili di esplosivo in  quella cassetta jewell ed, infine, quel pezzetto di miccia che poi scompare), quindi siamo solo nel campo delle ipotesi. Però non è una eresia da anatema maggiore dire che possa esserci stata, pur se la spiegazione non può essere quella data da Cucchiarelli, mentre più accettabile logicamente appare quella che D’Amato dà nell’immaginario dialogo che chiude il film.
Anche perché, doppia bomba o non doppia bomba, resta ancora da risolvere il problema del parallelismo fra gli attentati romani e quello milanese di cui si è detto.

E veniamo al problema Calabresi. Il Commissario disse subito di non esserci stato, i suoi superiori (soprattutto Allegra) prima lo smentirono, poi confermarono ma sempre in modo assai ambiguo. Ovviamente sia la parola dell’interessato quanto quella dei suoi colleghi e sottoposti non vale granché, perché si tratta di persone direttamente interessate a difendere una tesi. Unico elemento resta la testimonianza di Valitutti che ha sempre sostenuto di non aver visto il Commissario uscire dalla stanza poco prima del trambusto durante il quale Pinelli precipitò. Parola che non abbiamo motivo di mettere in dubbio, ma che non risolve la questione, perché scarsamente probante. L’affermazione di Valitutti avrebbe ben altro valore se egli avesse detto: “Ho visto Calabresi entrare nella stanza subito prima di aver sentito quel rumore…” oppure “Ho visto Calabresi uscire da quella stanza negli attimi successivi a quel rumore”.
Queste sarebbero affermazioni di segno positivo, mentre la sua è una affermazione di segno negativo “Non ho visto Calabresi uscire…” il che non esclude che il commissario si sia allontanato dalla stanza in un momento di disattenzione di Valitutti che potrebbe non averci fatto caso o aver guardato da un’altra parte o aver avuto un colpo di sonno in quel momento.

Dunque, niente prove certe neanche in questo caso. Ma alcuni elementi portano a credere che effettivamente Calabresi non stesse lì in quel momento, fra l’altro alcune note confidenziali reperite da chi scrive queste righe molti anni dopo. Più che altro, indirizza in questo senso lo strano gioco dei vertici della polizia: oltre che le ambiguità di Guida e Allegra sule dichiarazioni di Calabresi, ricordiamo che il commissario venne letteralmente “scaricato” in occasione del suo processo con Lotta Continua. E si tenga presente che le norme impongono che un funzionario di polizia debba ottenere il permesso della sua amministrazione per sporgere querela per calunnia: quindi Calabresi venne autorizzato e scaricato. Infine, oggi sappiamo che le notizie alla controinformazione sulla sua presunta partecipazione ai corsi Cia negli Usa venero ispirate dall’agenzia Anipe, molto vicina allo Uaarr (il film ne parla e sono documenti che ho trovato personalmente). Poi Calabresi non venne trasferito -cosa che lo avrebbe in qualche modo tutelato- e non era protetto in alcun modo, al punto che un ignoto killer (e scrivo ignoro intenzionalmente non essendo affatto persuaso del giudicato penale che lo individua in Bompressi) potè avvicinarsi da solo, colpirlo alle spalle ed andar via senza nessuna fretta.

Dunque, dobbiamo chiederci perché al Ministero dell’Interno Calabresi parafulmine della campagna della controinformazione faceva comodo. Ed è un altro punto da chiarire ancora oggi. Questo non toglie che Calabresi avesse responsabilità pesanti per il trattamento imposto a Pinelli (assolutamente illegale) e, soprattutto, per la copertura data ai suoi uomini dopo il fatto. Insomma, il Commissario non era quel mostro che la controinformazione ha dipinto per anni, ma non era neanche quella “Alice nel paese delle meraviglie” che il film mette in scena.

Detto questo il film ha i suoi punti deboli, come abbiamo detto, ma resta un’opera coraggiosa che ci aiuta a far sapere ai più giovani cosa fu quella stagione di storia repubblicana. Con buona pace di quanti vorrebbero dimenticare che, oltre che i fascisti, in quella storia c’erano bei pezzi di Stato. Le collusioni ed i depistaggi non furono l’opera di qualche mela marcia annidata fra le pieghe della polizia, dell’Arma, dei servizi ecc (e di mele marce, da questo punto di vista ve ne furono davvero molte) ma di elementi che sia a livello basso che alto si muovevano all’interno di una teoria come quella della “Guerra rivoluzionaria” che non era la trovata di qualche giornalista, ma la dottrina ufficialmente adottata dalla Nato dal 1958 al 1974.
Quello che conta è questo, il resto sono solo minuzie.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (52)

  • maria grazia meriggi

    giordana è colpevole della Meglio gioventù, un film indecente…ma sono d’accordo sull’effetto informativo, lo vedrò domani. ottimo il libro web di sofri…per una volta

  • Un filo sottile che in epoca di Guerra Fredda unisce Casa Bianca, National security Council, CIA, NATO, “eserciti” Stay Behind, logge massoniche, movimenti di Estrema Destra, Servizi di Intelligence e Ministri dell’Esecutivo.

    E’ la “Democrazia”, bellezza… e tu non puoi farci niente.

  • Salve, non sono d’accordo sulla sua recensione che mi pare comunque troppo positiva. In generale, ma non vorrei soffermarmici troppo, l’approccio del “meno peggio” mi pare davvero ingiustificato. Che nella canea disinformativa non tutto del film è nagativo e in parte migliora le fregnacce del libro-bufala di Cucchiarelli lo trovo come dire…sconfortante. Con certri budget e tanto materiale si poteva dire la verità, almeno quella acclarata per quanto non esauriente, e dirla filmicamente comunque bene.
    Ad ogni modo ciò che mi preme di più confutare è la scarsa considerazione della posizione di Valitutti che al contrario da come la scrive non è affatto povera di conferme, la si può leggere integralmente al link sottostante. Questo è quanto ha sempre detto e quanto è stato sempre ignorato eppure è l’unico testimone che non ha mai cambiato versione. si noti il passaggio sulle dichiarazioni di Calabresi oltre alla circostanziata affermazione sul corridoio.
    Grazie comunque per il suo giudizio che ho letto con interesse.
    Stefano raspa
    http://stragedistato.wordpress.com/tag/testimonianza-di-lello-valitutti/

  • Grazie Professore. Resto convinto che se il cinema italiano si fosse occupato prima di Piazza Fontana forse oggi accanto alla verità storica avremmo anche quella giudiziaria. Spero che il film venga visto soprattutto dai giovani. Cucchiarelli? Offre spunti ma semina un mucchio di ipotesi non provate. Lo ripeto io quel maledetto venerdì ho sentito lo scoppio di una sola bomba. Il giudizio sul film da involontario protagonista è complessivamente positivo.
    La sola constatazione che ne parlano tutti contribuisce a riproporre l’impegno a continuare ancora a cercare ogni frammento di verità.
    Fortunato Zinni

  • Eccolo! Devo dire che il film è piaciuto anche a me. Non ho particolarmente apprezzato la mancanza di rispetto cronologico degli eventi: se non ricordo male si comincia col 19 novembre, poi c’è la lite primaverile tra Valpreda e Pinelli, dopo ancora la riunione di Padova. Ma mi rendo conto delle esigenze cinematografiche. Altra cosa che non ho particolarmente apprezzato, ma che comprendo cinematograficamente, è il fatto che siano stati lasciati troppi punti sottointesi questi risultano godevoli per gli addetti ai lavori e totalmente incomprensibili per i non addetti che, dai commenti che ho raccolto all’uscita dal cinema, sono stati addirittura considerati inutili e fini a se stessi. Qualche esempio: la morte di Feltrinelli, Aurisina, le bombe di agosto (più volte richiamate, ma mai spiegate), la riunione di Padova.
    Nonostante queste piccole cose e qualche impreciosione sparsa il mio giudizio è sostanzialmente positivo. Ora sta agli spettatori aprire google e approfondire..
    igor

  • Ottimo articolo, è impressionante il fatto che quegli anni sono una matassa atrocemente intricata, studiosi come lei sono basilari per dipanarla.

  • Che dopo quaranta anni ancora non si è giunti alla verità mi lascia sconcertato. Giustifico il regista che tra tutte le supposte verità, ne trae una sua interpretazione personale e che avrebbe fatto meglio a non citare il libro cui si è ispirato: chi, come noi, ha vissuto quegli anni militando nella sinistra ha odiato Calabresi, ritenendolo un attore protagonista, il film ne ridimensiona la figura del cattivo rendendolo più umano. Ritengo che il merito maggiore di questo film sia stato quello di avere risvegliato le coscienze e il dibattito che ne sta venendo fuori ne sia testimone

  • Di piazza Fontana si è detto molto e spesso a vanvera proprio perchè essendo un’azione di servizi segreti, la matassa è talmente intricata che dipanarla è pressochè impossibile; comunque è certo che gli anarchici centravano anche se erano degli sprovveduti; i neonazisti centravano perchè è sicuro che comprarono i timer; i servizi pure perchè ne parlarono a lungo troppi politici. Ma mi preme dire una parola a difesa di Borghese che era un militare di onore anche se ha ucciso partigiani e alleati in guerra: sicuramente lui quell’azione la detestava perchè un militare una bomba tra i civili non la mette. Grazie Vittorio Zanuso

    • chiedo scusa, ma la certezza che gfli anarchici c’entrino qualcosa con piazza Fontana da cosa deriva? Io dopo 25 anni di studio della materia noin ho trovato nulla in questo senso

  • Dimitri Deliolanes

    Caro Aldo,
    ti asprimo anche pubblicamente quanto ti ho già detto in privato: il tuo giudizio sul film è saggio, equilibrato e competente. Lo condivido in pieno. Come condivido la tua posizione sulla tesi della doppia bomba. Fin dalla pubblicazione del libro di Cucchiarelli questa tua pagina web ha respinto la insulsa accusa contro questa tesi, che cioè riproponeva gli “opposti estremismi”. C’è una pagina web dei difensori a oltranza del Circolo 22 Marzo che continua tutt’oggi a dire le stesse cose di 40 anni fa! Mi fa piacere che da tanto autorevole fonte come sei tu si mettano i puntini sulle i.

  • Vittorio Zanuso: che gli anarchici centravano lo dice solo lei e oggi Cucchiarelli, su che basi però non è dato sapere. Sul fatto che “un militare una bomba tra i civili non la mette” evidente deve aver visto un film diverso in questi due secoli di militarismo e guerre oppure s’era distratto perchè una cosa è certa e cioè che la stragrande maggioranza delle vittime dei militari sono proprio civili, da Hiroshima all’Afhanistan, passando per una cinquantina di guerre e strategie delle tensioni varie in mezzo mondo, italia compresa. E che bombe direi anche.

  • lieto di leggere questa incursione del buon aldo nella critica cinematografica, sono anche d’accordo sulle conclusioni: pretendere da un’opera destinata al grande pubblico un grado di informazione adatto a un testo serio rivolto a un pubblico serio è cosa improbabile: l’importante è che il prodotto faccia pensare il basso target a cui è rivolto, piuttosto che orientare i target più elevati (che se pensano di andare al cinema per accrescere le loro conoscenze sono degli illusi) che dovrebbero essere in grado di leggersi qualcosa che gli permetta di farsi un’idea propria. infatti anche per questo ho trovato perfettamente vedibili anche i film di sollima, sebbene non sia stato convinto in pieno riguardo al trattamento di fatti e personaggi.
    anzi per dirla tutta, ritengo che un buon film non avrebbe bisogno di appoggiarsi a “storie vere” per essere tale, specie quando queste “storie vere” debbano poi essere trasfigurate totalmente per esigenze di fiction. ma mi accontento anch’io, e a meno che il regista non sforni roba indigeribile, chiudo tranquillamente un occhio e tento di ignorare completamente i riferimenti a fatti reali, o almeno a vederli come una lettura secondaria.

  • I familiari delle vittime di Piazza Fontana approvano il Film di Giordana, a noi basta.
    Tutti gli altri sono mestieranti , che lasciano intendere di saperla lunga , tanto lunga che in più di quarant’anni hanno solo prodotto fiumi di parole inutili per la verità giudiziaria e sicuramente compromesso la verità storica.
    Giovanna Maggiani Chelli

  • Credo il libro di Sofri abbia chiuso definitivamente la partita con i teoremi di cucchiarelli; il film invece lo reputo un’occasione perduta proprio perchè non riesce a ricostruire l’ambiente.
    Prof. proprio per quella spinta educativa, che come te ritengo importante, era necessario fare capire quel clima così lontano e speriamo irripetibile.
    Altro errore, se si vuole costruire un lessico civile in tema di memoria, non bisogna uniformare tutto, appiattire, pacificare, altrimenti c’è il rischio di ripetere ciò che è stato fatto con la resistenza.
    Un tale di nome Violante, mi pare, nel suo insediamento come presidente della Camera, affermò che bisognava capire anche le ragioni dei “ragazzi di Salò”………

  • Di seguito, documento sui fatti di piazza Fontana, distribuito a Palermo in occasione dell’uscita nelle sale cinematografiche de “Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana.

    ***

    QUELLA STRAGE NON FU UN ROMANZO

    La memoria dei fatti di piazza Fontana dovrebbe essere un patrimonio collettivo ben piantato nelle teste e nei cuori di tutti gli italiani.
    Eppure, soprattutto tra i più giovani, la conoscenza delle circostanze legate all’orribile strage del 12 dicembre 1969 non è assolutamente scontata.
    Dietro a questa inconsapevolezza non ci sono soltanto i depistaggi e le tante menzogne che per anni hanno garantito l’impunità dei massacratori e dei loro complici, ma ci sono anche i vecchi e nuovi revisionismi della storia, le speculazioni di chi confonde l’opinione pubblica per promuovere una irrispettosa “pacificazione” tra vittime e carnefici.

    Quella di piazza Fontana fu una strage di stato. L’estrema destra fascista, con la regia dei servizi segreti italiani e americani, massacrò 17 persone e ne ferì 88. Si trattò del primo grande attentato terroristico (già preceduto da altre provocazioni simili) che inaugurò la strategia della tensione. In un momento di grande effervescenza
    della società italiana (si pensi alle proteste studentesche, alle lotte dei lavoratori, al profondo cambiamento culturale del paese), la risposta dello stato doveva essere durissima e spietata: creare un evento traumatico per terrorizzare l’opinione pubblica, trovare un capro espiatorio, criminalizzare l’opposizione sociale e soffocare le lotte di emancipazione attraverso una svolta autoritaria.

    Per questa strage furono subito incolpati gli anarchici. Giuseppe Pinelli, un compagno anarchico che di lavoro faceva il ferroviere, fu interrogato per tre giorni di seguito su disposizione del commissario Luigi Calabresi. La sera del 15 dicembre veniva scaraventato dalla finestra dell’ufficio di Calabresi, al quarto piano della questura di Milano. La polizia si affrettò a precisare, con una serie di palesi bugie, che si era trattato di un suicidio dettato dal rimorso. E invece, Pinelli era innocente, e gli anarchici con quella bomba non avevano proprio niente a che fare.

    La campagna di controinformazione promossa dagli anarchici, dalla sinistra extraparlamentare e da autorevoli figure della cultura e del giornalismo del nostro paese riuscì a stabilire la realtà dei fatti: la bomba l’avevano messa i fascisti per conto dello stato. Dopo un drammatico calvario processuale, l’anarchico Pietro Valpreda – accusato di aver piazzato la bomba – fu assolto.

    Anche se, dopo quarantadue anni, i veri colpevoli sono rimasti impuniti (perché difficilmente lo stato condanna se stesso), in numerose sentenze sono più volte emerse le chiare responsabilità e le oggettive complicità degli apparati dello stato e della manovalanza neonazista.

    Questa è la storia della strage di stato, e non ce ne sono altre.
    Una storia dannatamente vera.

    Individualità anarchiche
    Gruppo Anarchico “Alfonso Failla” – FAI Palermo

    c/o Spazio di Cultura Libert’Aria
    via Lungarini, 23 – Palermo

  • Le sarei grato se potesse meglio esplicitare la sua tesi sull’ipotesi di una doppia regia.
    Detto su una base puramente logica, se avvengono degli eventi concomitanti come le varie bombe a Roma e quella a piazza fontana a Milano, la prima cosa che viene da pensare è una centralizzazione degli attentati, e quindi un’unica regia.
    Lei invece prende in considerazione un’ipotesi alternativa, quella suggerita da Cucchiarelli della doppia bomba, e, cosa più importante, di due separate regie.
    Ora, capisco la rivalità interna sia all’estrema destra che agli apparati dello stato, diamola pure per acclarata, tuttavia ancora non riesco a dare una veste logica all’insieme dei fatti.
    La prima questione è come due raggruppamenti così rivali tra loro da volersi perfino danneggiare si scambino informazioni. Ammettiamo comunque che siano riusciti ad acquisirle con un’azione investigativa.
    Il dubbio più forte rimane la finalità. Da persona forse troppo distratta su questi eventi, uno immagina che si volessero danneggiare gli anarchici, ma soprattutto quell’alleanza che in quel momento si manifestava tra movimento studentesco e movimento operaio: cosa c’entrano in tutto questo le beghe tra ON e AN?
    Facciamo un’ipotesi, supponiamo che l’infiltrato Delle Chiaie abbia progettato una serie di attentati a basso potenziale con scopo evidentemente dimostrativo e appunto terroristico nel senso etimologico del termine. Tuttavia, non capisco egualmente perchè altri avrebbero compiuto in contemporanea un attentato con caratteristiche stragistiche, si può davvero supporre che cose così rilevanti da tutti i punti di vista possano essere avvenute per beghe tra chi voleva essere più di destra? In che senso la bomba a piazza fontana poteva danneggiare il gruppo di cui faceva parte Delle Chiaie?
    Forse, si potrebbe piuttosto ipotizzare che la strategia soft di AN non fosse considerata adeguata da ON, che avesse così deciso di attuarne una più hard, ma in ogni caso non per questioni di rivalità ma per aumentarne l’efficacia.
    Grazie dell’attenzione che mi vorrà dedicare.

  • Maurizio Melandri

    A volte mi chiedo come mai non siamo ancora riusciti a “macinare” politicamente gli anni ’70 .

    Poi leggo del sondaggio degli studenti (solo il 58% ne aveva sentito parlare e di quel 58% solo il 18% l’attribuiva ai fascisti), leggo il libro e sento parlare del film e mi rendo conto che siamo ancora a discutere della cronaca, figurarsi se siamo in grado di discutere del significato politico di quella cronaca.

    Purtroppo, almeno per quel che penso io, questa mancanza ci ha portato a quel che succede oggi.

  • Grazie per questa ottima recensione, che fa luce su tanti punti e chiarisce (riportandovela) la complessità di un dibattito che in capo a 72 ore sembrava essersi subito polarizzato nell’eterna diatriba vero/falso; noi/voi; bianco/nero.
    E – se anche non ci fossero (e ce ne sono, anche se il film resta a mio avviso leggermente al di sotto di altri di Giordana) altre motivazioni – basterebbe questo a fare di Romanzo di una strage un film oltre modo necessario.
    Necessario a spiegare, prima di ogni altra cosa, come nella storia di Italia i racconti dei fatti si siano sostituiti ai fatti da subito (è un po’ la tesi sciasciana su Moro, che si può applicare anche qui). Dunque questo è anche un film sulla percezione, e la ricezione della storia, e sul suo uso pubblico nell’immaginario collettivo. Prova ne sia, appunto, la polifonia che ha da subito scatenato. Ne ho provato a parlare qui: http://nemoinslumberland.wordpress.com/2012/04/03/romanzo-di-una-strage/

  • «Il film indica chiaramente le responsabilità del gruppo Freda-Ventura (anche se lascia fuori quello che è emerso nell’inchiesta Salvini), indica le coperture che i servizi italiani gli dettero prima e dopo la strage, parla del ruolo dei colonnelli greci e dei servizi americani. Non dice apertamente, ma lascia intendere chiaramente che Pinelli non è caduto giù per disgrazia o suicidio, favole inventate dalla Questura per cavarsi dall’accusa di omicidio.
    Scusate se è poco: in tempi come questi ci vuole coraggio per sostenere cose così. E se noi delle generazioni over cinquanta queste cose le sappiamo per averle vissute ed aver letto tanto nel quindicennio successivo alla strage, le generazioni più giovani queste cose le ignorano. Da docente a contatto con i ragazzi che arrivano freschi dalle medie superiori e che hanno idee molto approssimative sulla storia recente del nostro paese, devo dire che questo film è uno strumento prezioso da non sottovalutare». (Giannuli)
    Si tratti di un’opera d’arte o di un saggio storico, trovo sorprendente questa affermazione. Le mezze verità concesse al “popolo bue” (nel caso le «generazioni più giovani») dal film di Giordana al posto delle menzogne o delle favole dei questurini sono solo un surrogato della verità mancante. Questa mancanza dovrebbe preoccupare. Il rischio è di assuefarsi alle mezze verità, che funzionano da surrogato soporifero non tanto diverso dalle menzogne e dalle favole. Mai le mezze verità sono state rivoluzionarie, come la storia del PCI togliattiano ha svelato. «Proteggete le nostre verità» diceva Fortini. Non le mezze verità. Quando ci si accontenta di queste ultime, vuol dire che si sono perse «le nostre». Allora tocca ritrovarle o ripartire da zero.

    P.s.
    Non per testardaggine, ma aspetto da Giannuli ancora il promesso bilancio dell’ “intervento umanitario” dei Volenterosi contro la Libia di Gheddafi.
    (A meno che non mi sia perso il post. In tal caso mi scuso)

  • Piccola correzione:

    “Questa mancanza dovrebbe preoccupare. Il rischio è di assuefarsi alle mezze verità, che funzionano da tranquillante non tanto diverso dalle menzogne e dalle favole”

  • Io trovo che sia un film discreto.

    La trama è stata composta abilmente, da un punto di vista cinematografico. Senza scadere mai nel lento o nel prolisso. Cosa molto facile in questo genere.
    Poi, come è noto, il cinema vive anche di semplificazioni ed ha i sui limiti propri come forma espressiva: chi chiede rigore, a ragione, forse farebbe meglio a leggere sull’argomento, piuttosto che aspettarsi che un film rivolto al grande pubblico, in meno di due ore, entri nei dettagli.

    Le sequenze sono incuneate,a più livelli, in modo tale da dare un quadro chiaro (almeno della ricostruzione proposta nel film), con l’abile espediente del parallelismo tra quella che potremmo definire la “sottotrama politica” (Moro, Saragat, Rumor) alternata ai fatti di cronaca e alle vicende umane (più o meno romanzate) dei personaggi . Devo dire che la riscostruzione avanzata (che differisce da quella di Cucchiarelli, come giustamente si faceva notare) non è, secondo me, neanche cosi bislacca come ci si aspetterebbe a leggere certe critiche.

    Secondo me, il punto debole del film, è la costruzione semplificata e piatta dei personaggi. Sono troppo stereotipati. A tinta unica, verrebbe da dire. Quasi riassumibili con un aggettivo ciascuno: Moro l’asceta; Saragat il “tutto d’un pezzo”, Pinelli l’idealista; Calabresi l’ingenuo che entra in un gioco più grande di lui. La moglie preoccupata, quella coraggiosa, i funzionari di polizia meridionali, e così andando…

    Francamente per un film del genere, a mio avviso, Marco Tullio Giordana non era il regista più adatto. Troppo romantico.
    Qui ci voleva un Paolo Sorrentino. Qualcuno in grado di farci sentire sulla pelle il grottesco. Il freddo del “viscidume” che ruota nel sottobosco dei servizi: anello di congiunzione tra le stanze del potere e una società complessa e manipolabile (come, già, quella degli anni sessanta) con l’aggiunta delle peculiarità tipiche italiane: i retaggi, nelle istituzioni, del precedente ordinamento autoritario “fascista” e tutti i limiti di una giovane democrazia. Fanatismi (sapientemente impastati da qualche abile chef?) compresi.

  • Vittorio Melandri

    Cortese Professore

    Non ho ancora visto il film che mi riprometto di andare a vedere, e del libro di Cucchiarelli ho solo letto quanto ne è stato scritto, ma….

    …quel venerdì ero a Milano, militare in servizio di leva.

    Al mattino dalle 8,30 alle 12,30 di servizio al Centro Trasmissioni del III Corpo d’Armata in via Verdi, al pomeriggio in caserma in Corso Italia. Ho ancora nelle orecchie l’urlo delle sirene che attraversavano Milano, ma ai miei sensi sono ancor molto più lancinanti e drammaticamente stridule le “urla” di dolore che in questi quarant’anni e più si sono levate dall’animo di tutti coloro che hanno desiderato, e poi sperato, giustizia, e poi assistito increduli alla giustizia più denegata.

    Ed anche leggere il “groviglio di opinioni” (Scalfari-Stajano-Sofri-Travaglio-Mauro etc. etc.) che si è appunto aggrovigliato all’uscita del film di Giordana, ci si impania in un coacervo nel quale è facile entrare leggendo blog e giornali, ma dal quale è difficile uscirne, comunque senza rimanere ammaccati, ed è doloroso.

    Le vittime e i loro famigliari sono senza dubbio i primi protagonisti, ma urge per me aggiungere che anche il popolo italiano, anche nella sua parte più disattenta, e “ignorante”, quella ben rappresentata dall’indagine fra i giovani studenti milanesi, è da annoverarsi fra le vittime di una strage che non solo non ha conosciuto colpevoli, ma nemmeno fine.

    Se si prende in esame questo punto di osservazione, mi trovo in confortante sintonia (che spero confermata in me dalla visione del film) con la sua affermazione che il film …..

    “resta un’opera coraggiosa che ci aiuta a far sapere ai più giovani cosa fu quella stagione di storia repubblicana. Con buona pace di quanti vorrebbero dimenticare che, oltre che i fascisti, in quella storia c’erano bei pezzi di Stato. Le collusioni ed i depistaggi non furono l’opera di qualche mela marcia annidata fra le pieghe della polizia, dell’Arma, dei servizi ecc (e di mele marce, da questo punto di vista ve ne furono davvero molte) ma di elementi che sia a livello basso che alto si muovevano all’interno di una teoria come quella della “Guerra rivoluzionaria” che non era la trovata di qualche giornalista, ma la dottrina ufficialmente adottata dalla Nato dal 1958 al 1974.
    Quello che conta è questo, il resto sono solo minuzie.”

    E dico questo anche ripensando con qualche amarezza al pezzo che al tema ha dedicato Eugenio Scalfari (il quale gode della mia stima) secondo il quale…..

    “destra e sinistra estrema e Stato deviato” ….. compongono il triangolo che ha impestato l’Italia per mezzo secolo ….

    ….mentre….

    misteriosi provocatori
    finanziatori di operazioni clandestine
    corruttori e utilizzatori delle istituzioni dello Stato
    un certo tipo di stampa
    i servizi segreti
    le agenzie di ‘intelligence’ di Stati stranieri
    le logge segrete para-massoniche
    la criminalità organizzata
    il Kgb sovietico
    la Cia americana
    il Mossad di Israele
    i servizi di sicurezza inglesi e francesi
    Gladio
    il servizio di spionaggio del ministero dell’Interno creato da Tambroni e guidato per molti anni dal prefetto Federico D’Amato
    la P2
    la mafia
    la camorra

    che lui stesso elenca nel suo articolo e ancora impestano il nostro paese cosa sarebbero??? ….comprimari???

    Vittorio Melandri

  • Scusa ma non so se è partita la prima parte…
    D’Amato è un po’ stretto nella parte anche se devo dire che un po’ burocrate era e si sopravvalutano moltoi alcuni aspetti della sua personalità. Ad esempio non era quel grande gourmet che spesso si dipinge ed era persona di cultura assai modesta. I litri d’acqua di colonia non valsero a dissipare l’odore di sbirro borbonico quale era.

  • Marcello Altamura

    credo che la risposta non ci sia tutta… magari potrebbe girarmela sulla posta elettronica: sarei molto interessato a conoscere il suo parere in merito

  • Vedro’ il film appena potro’.

    Intanto, seguendo il dibattito sulla stampa e in questo blog ho strana una sensazione di rabbia, dolore e impotenza.

    Abbiamo alle spalle decenni di stragi, sempre con qualche mistero da chiarire (o anche piu’ d’uno) come se per destino fossimo condannati ad essere presi per i fondelli.

    Se la strategia della tensione ed i suoi attori fossero roba del passato a quest’ora ne sapremmo abbastanza.

    Invece non e’ cosi’.

    E’ per questo motivo che ho insofferenza (qualche volta anche di piu’) quando protagonisti che si dichiarano innocenti (di qualcosa, di tutto) dicono la loro verita’ tacendo di altro.

    Il riferimento e’ a Sofri, ma potrei citare quei personaggi delle BR che hanno rapito Moro.

    Ma soprattutto e’ come se mi sentissi orfano in mezzo ad altri orfani: lo Stato, che dovrebbe essere nostra protezione e garanzia, a parte la magistratura, e’ del tutto assente anche in questa circostanza.

    Il rischio e’ che ci scanniamo (metaforicamente) tra di noi, mentre dovremmo, sempre, ricordarci che ci sono uomini e donne di Stato che dovrebbero essere ritenuti responsabili dei silenzi sia perche’ hanno avuto responsabilita’ oggettive o soggettive, sia perche’ responsabili successivi e quindi, per la loro funzione, portatori di responsabilita’ di ruolo.

    Ecco, se io fossi un cittadino della Repubblica Italiana, mi ricorderei di questo e pretenderei sempre e comunque chiarezza e verita’.

  • “Il film indica chiaramente le responsabilità del gruppo Freda-Ventura”.

    Mi spiagate una cosa, loro sono stati ASSOLTI in Cassazione. > ma tutti li reputano colpevoli..

    Valpreda > è ASSOLTO ed figura la vittima sacrificale..

    Mi sfugge qualcosa? Al di là delle teorie..più o meno suggestive. O l’assoluzione vale per tutti, o tutti sono in dubbio…

    • si: intanto che il giudizio storico non deve uniformarsi per forsa a quello poenale
      in secondo luogo nella sentenza di secondo grado dell’ultima inhiesta su piazza fontana si dice chiaramente che le prove della colpevolezza di freda e ventura ci sono tutte ma che essendo degli assolti definitivi non si può riprocessarli, ma che questo è stato il frutto delle pressioni politiche del momento

  • Ma…io leggo la cosa così:

    – Ho fatto una nuova inchiesta/processo inutile.

    – Non ho scoperto nulla nè sono riuscito a far condannare nessuno (buttando via soldi).

    – Confermo che sono Freda e Ventura…tanto so già che non sono condannabili.. (tramite uno scempio giuridico).

    Poi vabbè, in generale, in merito a quel periodo se Izzo e Vinguerra sono considerati attendibli, anche un bambino di 5 anni può scrivere un canovaccio.

    • c’è del vero in quel che dice, ma su Freda e Ventura c’è molto di più di quel che dicono Izzo e Vincigfuerra (che, per inciso, è persona credibile e lo ha dimostrato). Non si tratta del canovaccio di un bambino di 5 anni. Per convincersene legga gli atti. Cordialmente
      ùAg

  • Vittorio Melandri

    Ho visto il film.

    Il film mi è piaciuto, il paese di m… nel quale sono nato e vivo ed amo, ne esce per quello che è, appunto un meraviglioso paese di m…., gli attori sono uno più bravo dell’altro, ma francamente l’affermazione di Giordana secondo il quale si deve alla produzione che aveva firmato per i diritti al libro di Cucchiarelli, “l’inchino” alla teoria della doppia bomba che del libro, a quanto ho capito, è l’asse portante, mi lascia interdetto non poco.

    Mi lascia anche interdetto l’idealizzazione della figura del commissario Calabresi, che poteva non essere nella stanza da cui “uscì” Pinelli, ma è difficile credere che non sapesse cosa era realmente successo in quella stanza, come tutto sommato viene fatto intendere dal film.

    Calabresi era una persona onesta che non meritava di essere ammazzato, come nessuna persona merita, ma era anche il funzionario a fianco di Guida e Allegra che sostiene la versione ufficiale della Questura e di tutti i “poteri” italiani dell’epoca…. non poteva fare umanamente altro, nella sua posizione?… beh il film poteva essere più chiaro in proposito….

    Almeno quanto è stato chiaro, nella sua avarizia di frame dedicati al personaggio, alla “cialtroneria” di Valpreda, che solo come un cialtrone è stato presentato, e come non meritava, visto anche che l’unica cosa che gli è stata risparmiata è stata quella di essere ammazzato come Calabresi, per il resto non gli è stato risparmiato nulla, ed infine manco il film di Giordana e dei suoi illustri collaboratori gli risparmia nulla.

    Francamente un atto di “sciacallaggio” che non meritava.

    Un ultima notazione, sono andato a vedere il film preparato, ugualmente ho dovuto poi rinfrescarmi la memoria per riprendere la figura di Nozza giornalista sì ma del Giorno non lo ricordavo e non è cosa insignificante, come non ricordavo che i ministri dell’Interno e della Difesa erano Restivo e Gui ed ancor meno che, assente nel film, ministro della Giustizia di Rumor era niente meno che Silvio Gava e che i giovani De Mita e Cossiga erano sottosegretari rispettivamente di Restivo e Gui.

    Insomma qualche didascalia in più non avrebbe guastato, ma certamente chi va a vedere il film al “buio” e senza memoria del tempo, ne esce, proprio perchè il film è “ben fatto”, con l’idea che…..

    Saragat era un mentecatto

    Moro un mistico… di Dio ed una asceta prigioniero della ragion di Stato

    Pinelli e Calabresi due bravi Cristi che portavano croci diverse ma sempre croci

    Valpreda un cialtrone

    e tutti gli altri chi facili da riconoscere chi no… tutti più o meno dei mestatori.

    Non so se abbia ragione Benedetta Tobagi ad apprezzare il film perchè farà discutere, lo spero, ma temo che dalle premesse dettate dal film stesso si possa sviluppare una discussione che lascerà chi è gia a conoscenza di quei fatti senza nulla in più fra le mani, e chi non li conosce, con una gran confusione in testa…..

    In ultima analisi mi preoccupa il fatto che il film mi sia piaciuto….. e chiedo scusa a chi passa di qui per averla fatta tanto lunga.

    vittorio melandi

  • Non capisco tutto l’accanimento di chiunque sul libro Cucchiarelli,se non altro è proprio Russomanno ad ammettere nell’intervista a Cucchiarelli dice “si lo scriva che erano due e la facciamo finita”.Era stato proprio russomanno a nascondere quel sacchetto da lei e Giraudo(se non ricordo male),ritrovato all’ufficio segreto in via Appia.su Calabresi resto sempre della stessa idea se un bambino a scuola cade dalla finestra ne è responsabile il professore,perchè un commissario non deve essere responsabile di ciò che succede nel proprio ufficio?Se anche non ci fosse stato nell’ufficio Calabresi resta il maggior responsabile della morte di Pinelli.

  • li lessi (non tutti, ammetto)..ma quel “molto di più” non ha consentito la condanna. O evidentemente, come dice Lei, la Politica allora faceva il suo mestiere e non era in balia dell’unica vera casta: la magistratura. Come ci ri-conferma l’ennesima sentenza su Piazza della Loggia…

    Chissà se un giorno verrà dismesso il teorema (mai dimostrato in aula) che vede una sinistra-libera-progressita-nonviolenta-innovatrice stroncata da una eversione-nera-altlantista-antidvorizista (democristiana?).

    Saluti.

    Ps: nel film si vede Freda che guida…mi risulta che non abbia la patente nè che sappia guidare (potrei sbagliarmi..). Dubito che gli autori del film abbiamo fatto il minimo sforzo di approfondimento…

    Ps: potrebbe far “pressione” per avere i suoi libri anche in versione Kindle? =)

  • Francesco Spinelli

    NUOVE E VECCHIE OMBRE SULL’OMICIDIO CALABRESI
    ” Calabresi era sicuramente un uomo preparato e intelligente (…) è certo che non era nella stanza quando morì Pinelli (….) conosceva me e conosceva ancora meglio Pinelli (….) sapeva benissimo che Pinelli era innocente .. ne sono convinto. La morte di Calabresi credo che alla sinistraabbia fatto più male che bene. Mentre con Calabresi vivo potevano forse emergere alcune responsabilità, Calabresi morto diventava una pietra tombale ” Pietro Valpreda “La Notte delal repubblica ”

    Gli venne tappata per sempre la bocca (il killer scese dall’auto e lo colpì alle spalle con la determinata inten­zione di escludere ogni possibilità di scampo) perché portasse nella tomba un segreto bruciante? E quale poteva essere?” Così Ibio PaoIucci il 17 mag­gio del 1974, due anni dopo l’agguato mortale, ritorna a descrivere l’omicidio Calabresi. Quale mistero custodiva Calabresi rimane un grande punto inter­roga­tivo ancora oggi, un mistero attorno al quale ruota tutta la storia di questi 28 anni. Ma i mi­steri sono tanti: il giorno che fu ucciso, Calabresi doveva in­contrare a Lugano un suo stretto collabo­ratore (cfr. Unità 25 luglio1974) che stava conducendo una delicata inchiesta in Svizzera, ma que­sti spostò l’appuntamento al giorno successivo. Questo episodio viene messo in rela­zione ad un al­tro: la sera prima della sua morte Feltrinelli si era incontrato a Lugano con qualcuno, Con chi? Non si e mai indagato per scoprirlo.

    Calabresi, di li a qualche giorno doveva essere sentito dal magistrato che in­daga sulla morte di Giuseppe Pinelli. Convinto sostenitore della pista anar­chica, ha però mutato qual­cosa nel suo atteg­giamento. Intanto ha trascinato il più a lungo possibile la decisione di querelare Lotta Continua per i pesanti attacchi subiti a seguito della morte di Pinelli. E la querela è scattata solo per il pesante intervento dei suoi superiori (cfr. Astrolabio 11.10.1970 e seguenti).

    Su cosa stava indagando Ca­labresi? Il 5 luglio del 1975 i giornali parlano di un dettagliato rapporto su un traffico di armi che coinvolge i fascisti veneti, scritto da Cala­bresi una ventina di giorni prima della sua morte. Ma di questo rap­porto non si trovano tracce. Il commissario sarebbe arrivato a individuare questo traffico partendo dall’inchiesta sulla morte dell’editore Giangiacomo Feltrinelli. Non è comunque, una traccia nuova. Già nel 1974 (cfr. Unità 17 mag­gio 1974) si era avanzata l’ipotesi di una connessione tra l’inchiesta Feltrinelli e l’uccisione di Calabresi. Sicuramente però l’uccisione del commissario si pre­sta alla propaganda tesa a riaffermare la necessità di ristabilire “ordine e autorità”. Se ne ac­corge anche, pur con un analisi rozza, il bollettino della FNCRSI diretto da Romolo Giu­liana: “L’assassinio di Calabresi, anche se materialmente eseguito da un gruppo di anar­chici o terroristi di sini­stra, na­sce dal clima creato al centro e che si serve proprio di questi perso­naggi come comparse gratuite”. E Calabresi – in accordo o su ordine del suo capo Antonino Allegra e del questore AIitto Bonanno – ha protetto con discrezione personaggi di rilievo di quello che verrà poi definito “il partito del golpe”. Dopo la sua morte si scoprirà in un suo cassetto un appunto (cfr. Gianni Fla­mini Il partito del golpe) sulla Lega Italia Unita e su Fumagalli. Marcello Bergama­schi, stretto collaboratore di Fumagalli, confesserà in carcere nel giugno del 1974: “Fumagalli mostrava, dal modo con cui ne parlava, di sa­perne molto sulla morte di Calabresi. Per la verità non scese mai in particolari, ma da come ne parlava compresi che doveva saperne molto. Diceva tra l’altro che era stata una cosa ben fatta e che nessuno avrebbe mai saputo chi era stato ad ucciderlo. Tuttavia dal modo come lo di­ceva sembrava che lui lo sapesse benis­simo” (atti inchiesta G. I. di Brescia Giovanni Simeoni).

  • Francesco Spinelli

    MILANO – Tra il dicembre del 1970 e il settembre del 1972 – e cioè prima e dopo l’omicidio del commissario Luigi Calabresi – il servizio segreto militare dell’epoca, il Sid, disponeva di un affidabilissimo spione nel vertice milanese di Lotta Continua. “Como”, questo era il suo nome in codice, partecipava a riunioni su argomenti molto delicati, conosceva leader come Giorgio Pietrostefani e Mauro Rostagno e tutti i dirigenti delle lotte operaie alla Pirelli-Bicocca dove, con tutta probabilità, lavorava. Un informatore preciso, un osservatore attento, capace di cogliere e segnalare tempestivamente l’intera attività della sinistra extraparlamentare: dai primi vagiti delle Brigate rosse alle azioni dei Comitati unitari di base. Un solo tema, curiosamente, è ignorato nelle ventisette informative che il Sismi ha inviato alla magistratura milanese, proprio quello più importante: l’omicidio Calabresi.
    Probabilmente è per questo che della fonte “Como” non c’è traccia in alcuna delle indagini sull’assassinio del commissario. Né in quelle degli anni ‘70, né in quelle svolte dopo l’arresto di Adriano Sofri, Ovidio Bompressi e Giorgio Pietrostefani. Nemmeno nei fascicoli, ancora aperti, dell’inchiesta-stralcio condotta dal sostituto procuratore Massimo Meroni. Peccato, perché se “Como” fosse stato individuato e interrogato tempestivamente, avrebbe potuto dire cose molto interessanti. Oggi ne dice solo una, ma chiara e allarmante: sull’omicidio Calabresi sono state svolte inchieste scollegate, settoriali, e “a tesi”: i nuovi elementi che contraddicevano la pista più “alla moda” in un certo momento storico, venivano – e a quanto pare vengono ancora – accantonati. E’ questa, del resto, la ricetta classica che ha prodotto la pozione velenosa dei “misteri d’Italia”. Ma in questo caso c’è un ingrediente in più, dal sapore speciale, resistente: s’avverte all’inizio degli anni ‘70 ma perdura, come un retrogusto sgradevole, fino alla fine degli anni ‘80, quando Leonardo Marino decide di pentirsi davanti ai carabinieri della “Pastrengo”, gli stessi che – tramite il centro di controspionaggio di Milano – vent’anni prima avevano gestito la preziosa “fonte interna”. Le informative hanno giaciuto fino al 1993 negli archivi romani del Sismi, il servizio segreto che nel 1977 ereditò l’intera produzione del Sid. Nel giugno di quell’anno, il giudice istruttore milanese Guido Salvini, (che stava indagando su vicende del tutto diverse: l’eversione neofascista) chiese alla direzione del servizio segreto la trasmissione di “tutto il materiale prodotto” da una serie di fonti riservate nelle quali si era imbattuto. Per il giudice era quasi una operazione di routine, resa possibile dall’ottimo rapporto di collaborazione instaurato col Sismi. Una operazione, a volte, improduttiva: le richieste, infatti, venivano avanzate “al buio”, senza conoscere il settore di attività della fonte. E, nel verminaio di quegli anni, non era raro che le fonti sull’estrema destra incrociassero quelle sull’estrema sinistra. Quando il fascicolo “Como” arriva nel suo ufficio, Salvini s’accorge rapidamente che quel materiale non è utile alla sua inchiesta. Lo mette da parte. “Repubblica” ha recuperato l’intera produzione di “Como” e l’ha mostrata a una quindicina di persone: ex dirigenti di Lotta Continua (Giorgio Albonetti, Luigi Manconi, Sergio Saviori), ex leader operai della Pirelli-Bicocca (Mario Mosca, tra i tanti), ex brigatisti come Alberto Franceschini. Con varie sfumature, tutti hanno concordato sul fatto che le carte prodotte dalla fonte non possono essere il frutto di un lavoro a tavolino: quelle riunioni effettivamente si svolsero, le persone citate nei documenti (anche marginali, note in cerchie molto ristrette) in quegli anni facevano effettivamente parte dei gruppi di estrema sinistra. Raffaello De Mori, per esempio: anni dopo sarebbe stato indicato da Renato Curcio come una sorta di padre spirituale, “Como” lo individua fin dal 1971 come vicino alle Br. Tutti i testimoni dell’epoca sono rimasti piuttosto sorpresi per l’assenza di notizie sul caso Calabresi. L’unica traccia della vicenda è in poche righe di accompagnamento (datate settembre 1972) a due documenti del dibattito interno a Lotta Continua che “Como” fa avere al Servizio: “La fonte informa – annota l’agente incaricato di tenere i contatti – che le due relazioni non hanno trovato consensi in quanto non lascerebbero sufficiente spazio di manovra alle bande rivoluzionarie armate”. “Como”, come si vede, era ben tarato sui sintomi eversivi, però tace sul più grave tra i fatti di eversione accaduti nel corso della sua attività di spia. “Sarebbe molto strana – commenta il sostituto procuratore Massimo Meroni – la mancata attivazione di una fonte di tale livello in presenza di un evento tanto grave”. L’uso del condizionale nasce dal fatto che il pm Meroni ha appena saputo dal cronista dell’esistenza di “Como”. Se, come comunicò il Sismi a Salvini quando nel ‘93 accolse la richiesta di trasmissione, le ventisette informative sono veramente “tutta” la produzione, si deve immaginare che sia accaduto questo: il 19 maggio del 1972 viene ucciso il commissario Calabresi. Immediatamente i sospetti cadono su Lotta Continua (anzi, come oggi ricorda Libero Riccardelli, titolare delle prime indagini sul delitto, “erano proprio i carabinieri della ‘Pastrengo’ a spingere verso quella pista”) ma il controspionaggio di Milano, cioè gli stessi carabinieri, non attiva la fonte Un comportamento inspiegabile. Ed è stato proprio Salvini a porre l’interrogativo più inquietante. L’ha fatto a metà dello scorso gennaio, durante il dibattito pubblico nel corso del quale parlò per la prima volta (ma rispetto a uno solo dei ventisette documenti e indicando un diverso nome in codice) di questo infiltrato: “Viene il dubbio – osservò – che certe azioni siano state materialmente compiute dai militanti ma che alle spalle ci fossero interessi ben diversi”. In parole povere: secondo il giudice milanese, l’infiltrato non ha detto nulla del delitto perché sapeva che il Servizio non era contrario a che fosse commesso. Un agente provocatore. D’altra parte “Como”, in una delle informative, riferisce di essersi comportato come tale: “Io appoggio la mozione”, fa sapere a proposito dell’intervento di un delegato di Bologna che aveva sostenuto la necessità che L.C. entrasse in clandestinità. L’ipotesi di un movente istituzionale nell’omicidio Calabresi non è nuova. E’ una delle piste eterne, che ciclicamente ritornano, e che mai sono state seriamente coltivate. Di certo, dopo tanto tempo, le carte prodotte da “Como” non sono sufficienti ad accreditarla. La brusca interruzione della sequenza delle informative può essere spiegata in modo più banale: che il Sismi (tradendo la “lealtà” di cui Salvini dà atto nelle prime pagine della sua sentenza-ordinanza contro i neofascisti) abbia tenuto per sè una parte della documentazione. Questo proprio quando, dall’inchiesta sui neofascisti milanesi, emergevano nuovi elementi sulle deviazioni della “Pastrengo” negli anni ‘70. Un’omissione dolosa o un errore? Chissà. Che la produzione di un infiltrato nel vertice di Lotta Continua potesse avere qualche importanza nelle indagini sull’omicidio Calabresi, non poteva sfuggire né al Sismi né ai carabinieri. Se non altro perché il generale Umberto Bonaventura, l’uomo che nel 1988 raccolse la confessione di Leonardo Marino, entrò nella “Pastrengo” nel marzo del 1972, quando “Como” era ancora in attività. Ed era al Sismi di Roma quando le carte dell’informatore furono inviate alla magistratura. C’è una sola persona che può chiarire il mistero, ed è lo stesso “Como”. “Ma – dice il sostituto Meroni – quella per l’omicidio Calabresi non è una indagine su un reato di strage, perciò il Sismi, se chiedessi di rivelare l’identità della fonte, potrebbe validamente opporre il segreto di Stato”. Forse val la pena di tentare comunque: l’ opposizione del segreto di Stato sull’identità della fonte “Como” sarebbe già una risposta.

    • Un primo passo potrebbero farlo i congiunti del Commissario Calabresi chiedendo -ai sensi della l. luglio2007- dim poter prendere visione dei documenti concernenti il caso del commissario.

  • Francesco Spinelli

    Joe Fallisi: lettera aperta a Paolo Cucchiarelli
    Da Joe Fallisi ricevo e pubblico il seguente intervento in quanto, al di là delle singole valutazioni (opinabili, ma che comunque provengono da uno storico testimone dei fatti in questione) condivido il giudizio sul libro di Cucchiarelli, una pietra miliare da cui partire per ogni futuro studio su Piazza Fontana:

    Su Pinelli

    In questo caso preferisco, piuttosto che contestare la tua, darti direttamente la versione che ritengo io più verosimile. Per sapere da una fonte non poliziesca cosa possa essere successo verso la mezzanotte del 15 dicembre 1969 al quarto piano della Questura milanese, disponiamo di una sola testimonianza utile, le dichiarazioni di Pasquale “Lello” Valitutti, che si trovava in stato di fermo nella stanza accanto a quella in cui avvenne la tragedia. A mio parere non l’hai tenuta nella considerazione che indubbiamente merita. Lello affermò ai magistrati che lo interrogarono di aver visto uscire Calabresi dal suo ufficio una sola volta e di lì entrare e rimanere per tutto il tempo nella stanza dell’interrogatorio. Dunque non è vero, stando alle sue parole di cui mi fido, che al momento della caduta di Pino Calabresi fosse altrove, come invece, ad usum Delphini, stabilì la sentenza del giudice D’Ambrosio. Che davvero non so con quale faccia di palta sepolcrale poté concludere che “L’istruttoria lascia tranquillamente ritenere che il commissario Calabresi non era nel suo ufficio al momento della morte di Pinelli” (http://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Pinelli). Ma, a parte la presenza o meno di Calabresi, sono i tempi indicati da Valitutti ad essere di estremo rilievo per la comprensione di quel che poté accadere. Egli ha sempre sostenuto che circa 15 minuti prima di udire il tonfo del corpo di Pinelli precipitato nel cortile, sentì un netto trambusto provenire dalla stanza in cui si trovava Pino. Poi silenzio, fatale. Nessun grido, nessuna esclamazione, neanche una parola. E neppure in contemporanea o subito dopo quel rumore sordo. Questo è quello che penso io: Pinelli, durante gli interrogatori, deve aver capito dell’esistenza, all’interno del Ponte della Ghisolfa e del suo stesso gruppo, Bandiera Nera, di una lurida spia che informava puntualmente la questura, Enrico Rovelli, alias “Anna Bolena” per lo Stato. I poliziotti sapevano troppe cose dell’attività per la resistenza greca di Pinelli e dei suoi compagni più intimi. E quello era proprio il cavallo di Troia e il ricatto con cui tentavano di incastrare sia lui sia Valpreda… Non escludo abbia compreso anche il vero ruolo di Sottosanti, un individuo di cui si fidava troppo generosamente, e come in realtà era avvenuta la strage… avrà detto qualcosa di troppo all’indirizzo degli sbirri e di Calabresi… Il suo stato di salute, dopo tutti quei giorni di fermo illegale, già non era buono… una percossa brutale deve avergli tolto la conoscenza… a quel punto fu presa la decisione, non immediata, di sbarazzarsi del corpo, evitando così autoambulanze, ricovero in ospedale, inchieste e scandalo sui maltrattamenti. Questo fu il “balzo felino” di cui parlò lo svergognato Allegra (ibid.), in realtà la defenestrazione e caduta quasi in verticale di un corpo già privo di sensi e con addosso entrambe le scarpe – mentre la terza rimase nella mano, anzi era la mano, dei suoi assassini.

    Pietro, Pino… riposate in pace, amici miei, compagni. Sarete ancora, ci posso scommettere, in qualche stanzetta magica, su tra le nuvole, a giocare a scopa con l’Augusta, un bicchiere di vino sul tavolo.

    Milano, 15 dicembre 2010

    http://andreacarancini.blogspot.it/2010/12/joe-fallisi-lettera-aperta-paolo.html

  • Concordo il giudizio positivo sul film, così come alcune critiche già emerse. Anche io sono propenso a mettere in secondo piano la questione della doppia bomba (che fosse una o fossero due, diventa ad un certo punto secondario, perchè il nocciolo della questione il film lo coglie).
    Ritengo invece grave, non una semplice boiata, la scena di Borghese che reagisce indignato alla notizia della strage. Dall’idea che mi sono fatto, il ruolo di Borghese nella vicenda di Piazza Fontana non è per nulla secondario, anzi. Presentarlo come non informato sui fatti – mentre Delle Chiaie, suo uomo, sembra consapevole e compiacente – disorienta lo spettatore, al quale viene proposta l’immagine di un vecchio nostalgico e idealista. Borghese invece non era certo un “er caccola” qualsiasi: nessuno più di lui godeva contemporanaemente della stima dei vertici delle FFAA, della truppa, della manovalanza fascista, degli apparati NATO. Se è Angleton in persona a metterti in salvo nella sua jeep, vuol dire che a livello internazionale di credito e influenza ne hai. Io sono personalmente convinto che, in caso di proclamazione di leggi d’emergenza, Borghese avrebbe giocato un ruolo di coordinamento di grandissima importanza. Per questo motivo la sua ombra su piazza Fontana aleggia eccome.
    In secondo luogo, vorrei soffermarmi brevemente su quanto scritto da Aldo riguardo alla dicotomia Carabinieri-On/Uaar-An. E’ vero, lo schema è una costante. Però è anche vero che c’è Aginter Press, punto di convergenza nel quale li troviamo tutti assieme appassionatamente: da Rauti a Delle Chiaie, da Merlino a Giannettini…questo rende a mio parere più difficile l’ipotesi di regie diverse dietro agli attacchi del 12/2, anche qualora le bombe fossero più d’una. Casomai, mi sembrerebbe più logico pensare ad una strategia operativa a compartimenti stagni, in cui venivano utilizzate contemporaneamente squadre diverse che agivano seguendo strutture di comando diverse – i canali Uaar e sid – che però presentavano al vertice una sorta di convergenza.
    Gentilissimo Aldo, potresti scrivere due parole due in merito a queste mie considerazioni?
    Grazie infinite e saluti a tutti

  • Non mi è piaciuto!
    1- Pessima scelta degli attori
    2- Recitazioni al limite del tollerabile
    4- Santificazione di personaggi come Calabresi e Moro (meno peggio di altri, d’accordo, ma non certo così “puri” ed inconsapevoli)
    5- Valpreda non è considerato, o meglio, non sono stati sottolineati i suoi tre anni di galera, la “legge Valpreda” ecc… Nemmeno nelle “informazioni” di coda.
    6- Mi è parso superficiale (se non sbaglio, ci sono errori per quello che riguarda la ricostruzioni degli ambienti)e incapace di fornire spunti di dibattito serio e riflessioni che possano andare oltre alle “polemiche”.
    7- Non è particolarmente “scandaloso” come si mormorava. E’ solo un pessimo film.
    Paola

  • Credo che il 90% delle persone sotto i 30 anni non sappia NIENTE non solo di Piazza Fontana, ma in generale del periodo che va dal 1948 al 1980. Per questi giovani la storia repubblicana inizia con la vittoria dei mondiali del 1982.
    Ben vengano dunque operazioni come queste, meglio ancora se romanzate in modo da renderle più appetibili al grande pubblico, stando però molto attenti a non rendere alcuni personaggi modelli facilmente emulabili come nel caso di “Romanzo Criminale” che a Roma è diventato un fenomeno sociale, dove non si contano più le nuove bande, e dove i quindicenni giocano a fare il Nero, il Freddo ed il Libanese.
    Molti, spinti dalla curiosità, dopo aver visto il film si documenteranno su internet, e chi vorrà approfondire veramente cercherà nei libri. Esattamente come feci io assieme ad alcuni amici quasi 10 anni fa: cominciammo con dei film dalla dubbia base storica, ed arrivammo ai libri del professor Giannuli, passando per gli atti delle varie commissioni.
    Un dato statistico penso sconosciuto ai più: Google Trend segnala che nelle ultime settimane le ricerche delle parole Piazza Fontana sono il quadruplo rispetto alla media degli ultimi 3 anni. E soprattutto segnala che questo picco d’interesse è stato superato negli ultimi 8 anni solo dal quarantesimo anniversario della strage.
    La statistica parla chiaro anche per dei “qualitativi” come noi.

  • ho finalmente visto il film e mi pare di poter confermare tutte le critiche di sofri (con cui non sono d’accordo da moltissimo tempo). in più si tratta di un film televisivo in cui manca completamente il movimenti di quegli anni:i corte operai (che mai avrebbero avuto scritte come quelle indicate del tutto anacronistiche), i picchetti la mattina, il lavoro alle porte, le discussioni nelle trattorie in vicinanza delle fabbriche dove gli studenti imparavano dagli operai insomma gli anni Settanta in fabbrica e nella società. Il movimento appare come una serie di fuori di testa con l’eccezione del buon Pinelli contrassegnato dalla morte di Annarumma. non si vede nemmeno un momento quella straordinaria esperienza egualitaria e allora perché il complotto “golpista” se si fosse trattato di qualche corteo violento sarebbe stata una questione di ordine pubblico…

  • […] Romanzo di una strage, il libro di Cucchiarelli, le critiche di Sofri e gli anarchici indignati, di … Approfondimento bibliografico: Paolo Cucchiarelli, “IL SEGRETO DI PIAZZA FONTANA”, di Aldo Giannuli Sentenza di Brescia e giustizia in Italia: ne vogliamo parlare? di Aldo Giannuli Strage di Brescia: guida alle motivazioni della sentenza 2010 (1° grado) a cura del laboratorio Lapsus Il commento alla sentenza del processo di Brescia 2010, di Aldo Giannuli “Chi è Stato? La strategia della tensione e le stragi impunite (1969-1984).” Mostra e convegno sulla strategia della tensione, a cura del Laboratorio Lapsus Laboratorio “La strategia della tensione. Fonti e strumenti per la ricerca storica”., a cura del Laboratorio Lapsus Su “Romanzo di una strage”: il pacto de l’olvido, la ricostruzione storica e la memoria consegnata al futuro, a cura del Laboratorio Lapsus AKPC_IDS += “5699,”;Article source: http://www.anarkismo.net/article/23259 […]

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