Risposta ad Andrea Marluzzo
Ringrazio Andrea Marluzzo per la sua attenzione al mio blog e per le critiche che mi muove. Il tono civile e la fondatezza delle osservazioni mi obbligano a replicare, precisando alcuni aspetti del mio pensiero.
Per la verità, non ho mai detto che i massimi responsabili della crisi sono quelli che definivo con ironia i “grandi geni dell’economia”. La frase incriminata (“I maggiori responsabili sono gli economisti…”) non si riferisce tanto alla crisi in sé -che ovviamente è il prodotto dell’azione concreta degli operatori finanziari e delle autorità politiche- quanto all’incapacità di capirla, frutto della loro cecità culturale.
Io rimprovero a questi “economisti” di aver fatto da coro all’ondata neo liberista, sfornando una serie di certezze totalmente infondate, che hanno contribuito ad ingannare tanto gli operatori finanziari quanto i governi. E di riproporre oggi la stessa visione, senza riuscire ad analizzare quel che sta accadendo, perché affetti da pregiudizio ideologico al limite del fanatismo.Non mi è chiaro in che senso Marluzzo ritiene errato affermare che la maggior parte degli economisti abbia negato la crisi sino alla sua vigilia immediata (nel mio “2012: la grande crisi” riporto molte citazioni in proposito con nomi e cognomi abbastanza illustri); mi sembra di capire che sostiene che non si è trattato di un’ incomprensione di quel che stava per accadere, ma di una voluta reticenza, in attesa di uno sgonfiamento graduale ed indolore della bolla. E’ possibilissimo (ed anzi probabile) che una parte degli economisti neo liberisti abbiano fatto un calcolo del genere, ma resto dell’idea che la maggioranza è stata semplicemente vittima dei propri pregiudizi ideologici. Ma, se anche fosse vero che non di cecità ideologica si sia trattato, ma di deliberato calcolo, staremmo dicendo che c’è stata la più colossale truffa mai ordita, basata su una incredibile disonestà intellettuale. Mi sembra un giudizio ancora più duro di quello che avevo formulato.
Peraltro sono d’accordo con Marluzzo quando afferma che “i politici generalmente ascoltano gli studiosi solo nella misura in cui i loro studi supportano (magari con alcune forzature interpretative) le politiche che hanno già in mente di fare”. Verissimo, tuttavia è anche vero che, nel formulare i loro piani, i governanti sono influenzati dalle idee correnti che gli rimbalzano dalla stessa opinione pubblica e che sono formate in buona parte proprio dagli specialisti del settore. Il rapporto fra intellettuali e politica non è così lineare e diretto come potrebbe far pensare l’immagine del suggeritore del Principe, ma è più complesso, sfaccettato ed indiretto. E questo implica che c’è sempre una responsabilità dell’intellettuale che non può cavarsela dicendo: “il politico non mi stava a sentire e comunque mi ha capito male”.
Dove la critica di Marluzzo si fa molto puntuale è sulla questione dell’egemonia culturale neo liberista connessa alla questione della peer review. Anche qui qualche puntualizzazione non guasta. Intanto l’autore mi chiede “Perché neo-liberista?”, intendendo che si tratti della semplice prosecuzione degli orientamenti classicamente liberisti e che quel neo non si giustifichi. Le cose non stanno così: nessun economista classico (a cominciare da Walras e Schumpeter) si sarebbe riconosciuto nelle manipolazioni dei mercati finanziari prodotte dai derivati, dall’hft, dal fantasioso sistema di cambi monetari ecc. che caratterizzano la nostra epoca e che, invece, sono teorizzati, avallati e, qualche volta, inventati proprio da questi “nuovi” “liberisti”. E si pensi alle formule di Scholes e Merton su cui erano basati quei “prodotti finanziari” che portarono al crollo della Long Term Capital Management. Quindi, quel “neo” ha una sua funzione, proprio perché ci sono postulati dell’economia classica che fanno parte anche del pensiero marxista o keinesiano e che, paradossalmente, sono traditi proprio da questa nouvelle vague di “economisti”.
Detto questo, è ovvio che non c’è mai stata uniformità totale nelle comunità accademiche occidentali, neppure negli studi economici (se è questo che vuol dire Marluzzo, nessun problema a riconoscerlo), solo che qui si è prodotta una inaudita egemonia culturale di un singolo indirizzo (poi possiamo giocare con le parole, ma il senso politico è quello) e che tale egemonia, più che per merito della bontà scientifica di quella scuola, è stata il risultato dell’intervento della artiglieria finanziaria delle grandi banche, dell’appoggio delle corazzate dei grandi mass media e dell’assalto degli ascari che sono sempre al seguito delle armate con grande potenza di fuoco. Non una operazione scientifica ma militare. E’ stata insieme la causa e l’effetto di quel “pensiero unico” che si è imposto dagli anni novanta in poi (in fondo, la frase “There are no alternative” non l’ho inventata io, ma la Tatcher, proprio a dire di quella unicità di indirizzo che la politica avrebbe dovuto seguire).
Certo, la totale uniformità di indirizzo non si è raggiunta (e meno male!) ma le scuole “eterodosse” rispetto alla valanga neo liberista sono state marginalizzate e ridotti a piccole riserve indiane. Quanto al Nobel: la prevalenza dei liberisti è stata schiacciante e proprio il Nobel, ad Hayek prima ed a Freedman dopo, fornì la primissima legittimazione su cui si sarebbe basata l’offensiva nei liberista contro il keynesismo. Certo, il premio lo hanno avuto anche Stigliz e Krugman, ed Amayrta Sen, ma a parte il fatto che sono solo tre in circa trenta anni, il che mi pare un po’ pochino (ed anche se ne dimentico qualcuno, i rapporti cambierebbero di poco) vorrei ricordare che Krugman lo ebbe solo a crisi conclamata e la cosa non mi pare del tutto casuale e che, peraltro, è un keynesiano molto sui generis. Quanto al Nobel a Merton e Scholem: che esso rimanga ad imperitura vergogna della Banca di Svezia.
Uno dei modi per imporre questa sfacciata egemonia neo liberista è stato la peer review, su questo punto, però, riconosco di essere stato troppo frettoloso (d’altra parte in un articolo non si può dire proprio tutto) ed aver dato l’impressione di essere ostile alla peer review in quanto tale –magari per un qualche vezzo conservatore dell’accademia italiana-. Niente di tutto questo: non sono affatto ostile né alla peer review né a metodi un po’ più oggettivi di valutazione delle opere scientifiche e nemmeno all’applicazione di parametri numerici. Anzi, la cosa sorprenderà Marluzzo, ma sostenni la peer review in un mio articolo del 1995 e sono tutt’ora favorevole. Il punto è come si fanno le cose: se il confronto avviene alla pari nessun problema, ma se esso è falsato dall’intervento dell’artiglieria finanziaria privata, per cui quelle riviste, quegli istituti, quelle università e solo loro hanno i mezzi per imporsi sulla scena, mentre gli altri devono dire messa pezzente per rimediare tre centesimi per un convegno, si capisce che la gara è un po’ truccata. O no?!
Cordialmente ed ancora grazie per l’attenzione
Aldo Giannuli
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Elia
Vorrei congratularmi per la sua disponibilità al dialogo e per l’apertura alle critiche che purtroppo, molti pensatori italiani si guardano bene dal prendere in considerazione quando riguardano la propria persona. Devo dire che oggi è veramente raro trovare dei personaggi che hanno raggiunto una certa notorietà che riescano ancora a confrontarsi con le persone con tono costruttivo e soprattutto realmente aperto a nuove idee. Complimenti!!
aldogiannuli
grazie ma forse io non ho tutta quella notorietà che Lei mi attribuisce.
Angelo Iannaccone
Alla logica, completezza e chiarezza espositiva di Aldo c’e’ poco da aggiungere. Personalmente credo che la nefasta prevalenZa degli economisti si manifesta in molte scelte infelici dei politici ed in pessime leggi, la cui finalita’ nonon e’ quella di rispondere alle esigenze dei cittadini, ma quella di fornire continuamente salvagenti ad una incapace e deficitaria gestione imprenditoriale o favorire cambiamenti nel senso richiesto dal grande capitale finanziario. Anche il livello sempre più’ basso delle nuove leggi anche europee si spiega con il fatto che le stesse sono non solo ispirate, ma anche scritte dagli economisti in materie, da cui gli stessi dovrebbero stare solo lontani, concentrandosi piuttosto sulla loro modesta capacita’ di gestire imprese ed. Economia. Angelo Iannaccone