Risposta a Goffredo sulla Storia

Goffredo Adinolfi, che fa lo storico come me, mi obbliga a dare una risposta alle sue osservazioni su storia, ideologia, avalutatività ecc.
Partiamo da una cosa: Bidussa non faceva alcun riferimento all’influenza del Pci sulla nascita della storia contemporanea (anche se il suo pezzo si inseriva oggettivamente nel dibattito aperto da Gilda Zazzara con il suo recente “La storia a sinistra”, ampiamente recensito da Paolo Mieli con i toni abituali), ma faceva un discorso più ampio.
D’altra parte è noto a tutti gli addetti al mestiere che il primo ordinario di storia contemporanea fu  il repubblicano Giovanni Spadolini, che il raggruppamento concorsuale fu costituito essenzialmente ad opera di Renso De Felice (che non era più comunista da un pezzo e che i concorsi per ordinario erano oggetto di una spartizione partitica alla quale partecipavano voluttuosamente anche repubblicani, socialisti e democristiani sia di destra che di sinistra.
Bidussa diceva semplicemente che, nonostante quel “peccato d’origine”, la storiografia di quegli anni ha lasciato una importante eredità, ma che ormai quella stagione è chiusa perchè, a suo dire, storia contemporanea e politica vanno ognuna per proprio conto . Tuttavia la storia contemporanea può avere ancora un ruolo nella formazione delle nuove generazioni, per cui, quello che ci resta da fare, è preparare gli insegnanti per i nostri figlio, possibilmente in sinergia con agli archivi e le fondazioni come il Gramsci, la Feltrinelli, lo Sturzo eccetera.

Personalmente ritengo questa versione dei compiti della storia troppo minimalista e che si sia in presenza di mutamenti epocali che esigono nuovi paradigmi storiografici.
Goffredo deve aver fatto un salto sulla sedia quando ha letto che parlavo di un metodo storiografico avalutativo  e non ideologico.
Non era detto ironicamente: lo dico sul serio.
Però capiamoci sulle parole.

In primo luogo ideologia: se le diamo il significato di complesso di idee avente una propria coerenza interna, allora tutti siamo inevitabilmente immersi nell’ideologia che riguarda anche la lingua,  la fisica, la matematica o qualsiasi altra attività umana. E dunque anche la storiografia. Ma se per ideologia intendiamo un particolare indirizzo politico (ideologia marxista, liberale, fascista o cattolica) non è affatto chiaro perchè le soluzioni metodologiche che lo storico adotta devono dipendere dalla sua latitudine ideologica. Si può essere liberali, marxisti o venusiani, questo non c’entra con i criteri di autenticazione e verifica del contenuto di un documento. D’altro canto, anche un medico è condizionato dal proprio bagaglio culturale-scientifico e dalle proprie opzioni politiche, ma un’operazione di angioplastica o la diagnosi  su una disfunzione renale si fanno allo stesso modo sia che il medico sia anarchico, sia che simpatizzi per Berlusconi. Ed altrettanto potremmo dire per un fisico o un chimico.

Qualcuno obbietterà che le cose cambiano se si passa dalle scienze naturali alla storiografia che è una scienza umana. Già, ma allora perchè la storiografia non può essere avalutativa e la sociologia (come ci insegna Weber) o la politologia si? Magari quel qualcuno penserà che, infatti, anche per la sociologia, politologia, economia ecc. l’avalutatività è solo una maschera ipocrita dietro cui si celano opzioni politiche presentate come neutrali. Questo equivale a dire che non esistono le scienze sociali ed economiche, perchè non esiste la possibilità di giungere a conoscenze condivise ottenute attraverso metodi di lavoro, se non uguali, almeno simili. Quindi anche le categorie marxiste (come classe, profitto, ecc) non hanno alcun valore scientifico ma sono solo punti di vista ideologici che funzionano solo all’interno di un discorso politicamente qualificato e sono intrasferibili in contesti ideologicamente  diversi.

Fortunatamente le cose non stanno così ed, anche se sociologi, economisti o politologi non sono affatto univocamente concordi nell’adozione di determinate categorie  -come ad esempio quella di classe che diversi respingono in toto ed altri declinano con diversa accezione-  il processo di osmosi fra le diverse scuole di pensiero è continuo, così come accade di frequente che, anche fra gli appartenenti ad uno stesso indirizzo scientifico, non ci sia affatto comunanza ideologico politica.

Dunque, non si vede perchè per gli storici della essere diversamente.
Sia chiaro che non sto proponendo quell’araba fenice che è lo storico “obbiettivo” e neutrale: “l’obbiettività (in storia) è un’illusione, l’onestà intellettuale un dovere” disse una volta Salvemini (e fu una delle tre o quattro cose giuste che disse in tutta la sua vita). Certamente lo storico è di parte sia perchè ha, inevitabilmente, le sue convinzioni politiche, sia perchè ha una sua formazione scientifica a sua volta di parte e la cosa più onesta è non nascondere le proprie opzioni, in modo che l’ascoltatore possa filtrare criticamente il messaggio che gli giunge.   Nella prima lezione che faccio, ogni anno, fornisco agli studenti  le mie coordinate ideologiche, scientifiche e politiche, avvertendoli che non è la voce dello Spirito Santo quella che sentiranno nel corso delle lezioni, ma quella di una persona che, per quanto possa cercare di essere intellettualmente onesta, può sempre subire i condizionamenti ed è giusto che loro possano valutare quello che gli viene detto avendo tutte le informazioni necessarie su chi gli parla.

Il problema è capire cosa c’è da fare. Se si pensa (come Croce ) che lo scopo dello storico sia essenzialmente quello di giungere al giudizio morale sui diversi protagonisti o sulle diverse correnti ideologiche cha hanno attraversato la storia, perchè lo storico debba essere innanzitutto maestro di virtù civiche, è evidente che l’opzione ideologica è condizione preliminare per procedere. Ma se si pensa che questo non sia affatto il compito dello storico è evidente che le cose cambiano.

Se il mio compito è spiegare attraverso quali nessi causali si sia giunti alla formazione dell’ordine mondiale bipolare, alla spartizione della Germania o alla formazione di Israele, stabilire che Hitler sia stato il più solenne farabutto della storia o che, invece, aveva le sue buone ragioni per mandare nelle camere a gas gli ebrei non fa assolutamente nessuna differenza. Fa differenza (e quale differenza!) da un punto di vista morale, per cui la seconda affermazione è una bruttura, ma da un punto di vista analitico non incide di un millimetro. Ma allora dovremo parlare della shoa  senza apprezzamenti di sorta, come se parlassimo dello sviluppo delle ferrovie nell’Europa del XIX secolo? Neanche per sogno. Un simile cinismo sarebbe semplicemente ripugnante perchè lo scienziato ha pur sempre obblighi morali: anche l’economista o il demografo non possono ritenere l’dea di decine di milioni di bambini che muoiono di denutrizione come un dato indifferente ed è lecito attendersi che le loro analisi siano in qualche modo utili ad evitare che questo possa accadere, ma non è dai loro scrupoli morali che essi ricaveranno le indicazioni per capire le cause del fenomeno e, dunque, le premesse per evitarlo.

Allo storico, inteso come analista dei processi storici spetta fare lo stesso tipo di studio: capire le cause dei fenomeni e le loro conseguenze. Il giudizio morale, la formazione etica della gioventù ecc possono riguardare lo storico ma non in quanto tale, bensì in quanto soggetto politico o educatore, cose distinte e non necessariamente sovrapponibili alla prima.

E dunque, il giudizio morale è estraneo in quanto tale alla ricerca storiografica, ma attiene piuttosto alla politica. Ne volete una prova?
Eccola: che giudizio morale date di Tamerlano? Possiamo definire un sanguinario Cortez? Cosa pensate di chi afferma che non è vero che gli imperatori romani davano davvero i cristiani in pasto alle belve e che, in fondo, Diocleziano aveva le sue ragioni a perseguitarli un po’? Credo che la risposta più diffusa a questi quesiti sarebbe un salutare “E chi se ne frega!?!”. Giustamente, perchè ove stabilissimo che Tamerlano, Cortez e Diocleziano erano dei delinquenti e mettessimo il relativo voto in condotta, questo non ci cambierebbe assolutamente nulla nella nostra concezione del Mondo. La nostra reazione a chi giustifica Diocleziano sarebbe ben diversa da quella che abbiamo verso chi nega la Shoa, ovviamente, perchè quello è un fenomeno prossimo a noi i cui effetti perdurano e, soprattutto, perchè noi mettiamo questo in relazione alla  condanna del fascismo, che è un fenomeno politico presente (per quanto in dosi fortunatamente omeopatiche). Dunque una reazione giustissima, ma tutta politica che con la storia c’entra poco.

Per la storia è importante solo stabilire se la Shoa sia effettivamente avvenuta, che dimensioni abbia avuto, quali cause e quali conseguenze. Questo se restiamo sul piano della formazione del metodo e della conseguente analisi.
Se parliamo della formazione di un più generale paradigma storiografico le cose si fanno più complesse, ma magari ne parleremo in un’altra occasione.

Aldo Giannuli

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Aldo Giannuli

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Comments (13)

  • Maurizio Melandri

    Per me l’influenza dell’ideologia, nello storico, sia più profonda che in altri scienziati e influenzi anche il metodo di studio.
    O è un caso che gli storici di scuola marxista tenderanno a spiegare gli avvenimenti storici su base economica (Zangheri o Villari, ma anche Hobsbawm, per esempio) mentre i non marxisti potrebbero dare basi diverse all’analisi storica.

  • Premetto che sono un lettore di testi di argomento storico, ma che l’ultimo mio rapporto con la Storia come attività professionale è stata la preparazione dell’esame di maturità (portai “Stella Rossa sulla Cina” di E.Snow) nel lontano… be’, lasciamo perdere. Insomma: non sono un addetto ai lavori. Detto questo, vorrei esprimere un certo disagio nel vedere usato il termine “ideologia” come “visione del mondo legata a una scelta politica” che mi sembra troppo arrendevole verso il senso comune. Personalmente preferisco la definizione marxiana di “falsa coscienza”, ovviamente non per contrapporla a una “vera coscienza” assoluta, ma per sottolineare il costante conflitto fra l’accettazione di un’idelogia (operazione in sé sempre conservatrice, anche e forse soprattutto quando si ammanta di una fraseologia “rivoluzionaria”, “di sinistra” ecc.) e il lavoro di ricerca, di approfondimento, di confronto critico coi dati e con i fatti, così come anche di franco cambiamento di punto di vista quando una rivoluzione paradigmatica si rende necessaria. Insomma, un’onestà intellettuale laboriosa e inquieta come unica alternativa alla “falsa coscienza”. In questo momento, molto più dell’attività professionale di ricerca storica, mi sembra la triste e vuota politica contemporanea completamente dominata dalle ideologie, peraltro anch’esse di scarso spessore intellettuale (a incominciare dall’ideologia largamente egemonica nel mondo, il liberismo). Mi sono convinto che una politica nuova uscirà soltanto da una generazione di cittadini e di militanti che ritroverà il gusto della ricerca, della discussione e della consapevolezza dei fenomeni storici. Una generazione che percepirà “il presente come Storia”. Fino ad allora, non ci sarà trippa per gatti.

  • mah, mi aspettavo di più.
    fare una scissone netta tra giudizi di valore ed analisi dei dati storici è possibile in teoria, ma non in pratica. d’altra parte costruendo una narrazione, concatenando degli eventi, vi sono svariate operazioni intellettuali che sfuggono a qualsiasi oggettività, dato che sono basate su una base valoriale: non solo la singola scelta degli elementi della narrazione, ma anche l’ordine in cui vengono esposti gli elementi sincronici, e soprattutto il diverso “peso” che viene dato ad essi, a volte in modo poco percettibile, nell’esposizione dei fatti. la distruzione della persona dell’enunciatore in nome dell’oggettività linguistica è praticamente impossibile, e anche quando sembra si vada in questa direzione di solito si vuole solo mascherare la presenza di un’ideologia nascosta. che è quella delle istituzioni attuali, i cui intenti conservatori sono evidenti. d’altra parte la sociologia è un caso esplicativo: diffusasi come egida vincente contro il comunismo è un coacervo di giudizi di valore mascherati, ed è notevole la diffrenza di peso con l’antropologia, in italia accusata dai sociologi di pagare le sue colpe: ovvero le analisi critiche alla de martino, che miravano a cambiare l’ordine costituito. se i sociologi si permettono di fare queste accuse, è perchè lo sanno benissimo che la loro non è certo una scienza priva di ideologia, ma che ha semplicemente abbracciato l’ideologia più forte sul mercato.
    mi si potrà dire: vabbè l’analisi resta quella. no! l’analisi che non si manifesta in forma testuale non è nemmeno un’analisi, dato che non esiste, e quindi l’organizzazione testuale è un ostacolo imprescindibile per le velleità avalutative. l’analisi può (e deve) essere condotta con tutta l’onestà intellettuale possibile, ma, arrivati al momento dell’aggregazione dei dati e della loro esposizione, i criteri oggettivi che fino a quel punto potevano essere validi si dissolvono in una quantità di scelte ugualmente oneste ma correlate a universi di valori, e che possono quindi differire tra loro. è significativa l’ultima parte del suo testo, riguardo alla shoah: quando dici “quali cause”, il ginepraio è dietro l’angolo, dato che si sta parlando o di un’operazione di deduzione che in quanto tale è sempre sottomessa a un impianto valoriale che faccia da regola, o a un’operazione di abduzione che non permette di arrivare a un giudizio tanto “forte” come l’attribuzione di causalità storiche, sebbene permetta un incremento di conoscenza sull’aspetto in questione. ma si tratta di un incremento di conoscenza che necessita di prove empiriche e che nel caso storico la sua verifica si traduce in una serie di probabilità che probabilmente saranno vagliate ermeneuticamente dallo storico.
    trovo di fatto la proposta di trasformare la storia in annalistica una cosa semplicemente oscena, e credo che l’unico modo per scrollarsi di dosso queste zavorre sia rinunciare all’universalità e rassegnarsi al fatto che i libri siano sempre stati scritti per qualcuno e non per ognuno, sennò la cosa inizia un pò a puzzare di bibbia. ma la cosa che mi chiedevo prima era: per degli storici finito avalutativi messi a rimbabire gli studenti qualche istituzione miope che mette i soldi si trova sempre. ma per un’analisi storica corretta sebbene strutturata attraverso scelte narrative precise e posizionate in termini valoriali, e che quindi sono in grado di dire qualcosa su degli aspetti particolari, i soldi chi li mette? il privato? ah ah ah. rimane il partito (argh) ed eventuali lobbies che esprimono interessi particolari, ma di cui al momento non saprei trovare il riferimento empirico.

  • per il resto io non sono storico, ma provengo da discipline il cui peso accademico è molto minore, e trovo il termine ideologia un’ottimo modo per buttare le discussioni in cagnara senza accrescimenti di conoscenza. non perchè non sia d’accordo con l’accezione marxista, ma perchè oggigiorno vi è la presenza di un’ideologia dominante che non si dafinisce tale ma non si fa problemi a marchiare in tal modo le altre realtà. il risultato è un parola che necessita di frequenti disambiguazioni, e il cui potere comunicativo si è affievolito nel tempo, come nel caso di altri termini come “postmoderno”, che attualmente creano più confusione che altro. Personalmente preferisco parlare di posizioni valoriali, che in fondo di questo si tratta.

  • Veramente molto interessante come articolo e ne condivido la maggior parte, pur essendo di orientamento politico opposto rispetto a Lei, proprio perché il ricercare nella storiografia metodi che prescindono dalle convinzioni politiche è il primo passo verso la scrittura di una storia che sia finalmente condivisa, dove le differenze siano le valutazioni personali e non i fatti.
    In questo contesto, con particolare riferimento alla chiusura dell’articolo, mi permetto di aggiungere un elemento che deve comunque essere in qualche modo presente nel nascente metodo storiografico avalutativo. L’elemento è la contestualizzazione degli eventi. Per esempio, prendendo un paio di personaggi citati nell’articolo, il giudizio riguardo ad un Diocleziano non può essere altrettanto severo di quello verso un Hitler, perché separati da un paio di millenni nel corso dei quali il pensiero filosofico ed umanistico ha seguito una sua evoluzione, che ha portato a dare maggiore valore alla vita di ogni essere umano, alla dignità della persona, ai suoi diritti, ecc. Se un secolo fa un padre che mollava un ceffone al figlio era la norma, oggi ci chiediamo se quel ceffone ha un valore educativo o se non sia piuttosto una violenza, distinguendo da caso a caso. Quindi, quando si affronta la trattazione di una vicenda storica non si deve di certo omettere alcun fatto, solo perché il loro riferimento porterebbe ad un giudizio poco lusinghiero nei confronti dell’ideologia a cui l’autore aderisce, ma è lecito, direi addirittura imperativo, contestualizzarne la portata, confrontando le azioni dei personaggi storici con l’evoluzione della società. Ovviamente la contestualizzazione è la fase più critica, perché l’ideologia che si è messo alla porta con una metodologia storiografica avalutativa potrebbe rientrare dalla finestra. S’impone quindi una limitazione molto netta alla contestualizzazione: il nuovo metodo storiografico dovrebbe prevedere la contestualizzazione degli eventi, ma al tempo stesso dovrebbe individuare i limiti oltre cui tale contestualizzazione non è più da considerarsi lecita, ma frutto di visione ideologizzata e quindi di parte.

  • mario, ma quando è dove è ma esistita una visione del mondo condivisa? si possono condividere le metodologie di analisi e i loro risutati presi singolarmente, ma quando bisogna riunirli in un quadro di insieme, non mi risulta che in vari secoli si sia riusciti a concepire e a definire i limiti oltre i quali si può parlare di ideologia e non di analisi lecita. credo che con la globalizzazione ci sia sempre il bisogno di comunicare il nostro passato a tutti, ma questo non significa che debba essere accettato da tutti. avere una Lebenswelt presuppone dei precisi riferimenti culturali ed essa acquista senso solo negli ambiti culturali in questione. Mary Douglas ha mostrato in modo chiaro come le istituzioni, per autopreservarsi, intervengono sulle conoscenze storiche e scientifiche, piegandole agli interessi di un’epoca e causando un’enorme quantità di errori epistemologici di cui ci si accorge spesso solo molti anni dopo (come pensano le istituzioni). credo che a questo punto pensare il rapporto tra storia e istituzioni sia una problematica più grossa di quella dell’avalutatività nella storia, e soprattutto una problematica da cui ogni pratica che vuole essere avalutativa dipende

  • storia condivisa: mi piacerebbe. Quando voglio capire qualcosa di storia, poniamo il franchismo in Spagna, sono costretto a leggere libri di autori con opposte ideologie perché so già in partenza che ognuno offre una sua fetta di realtà e con l’intento anche di dimostrare qualcosa. Recentemente c’è stato qualcuno del vaticano che dice di aver scritto la vera storia dell’inquisizione, Mah, non mi fido di nessuno. Ecco perché una storia scritta in maniera condivisa da autori diversi per formazione e ideologia potrebbe aiutare il lettore a capirci qualcosa. Ma poi a me piace la storia per capire la genesi degli avvenimenti e le idee che hanno guidato le persone.

    • le visioni del mondo ovviamente non possono essere condivise anche se è auspicabile un certo dialogo, ma esiste una soglia entro la quale la storia può e deve essere storia confivisa, almeno per quanto riguarda l’accertamento dei fatti ed il metodo per arrivarci. Posso benissimo essere convinto che Napoleone fosse un carnefice oppure al contarrio che sia stato uno dei più grandi uomini della Storia, ma non posso negasre che ci sia stata la battaglia di Austerliz o che sia stata vinta dagli austrorussi. Questo richiede che ci sia condivisione sul metodo con cui stabilire certi risultati: affermazioi basate su dicumenti sottoposti a critica della provenienza, autenticità e verifica, trattamento incrociato delle fonti ecc. Ovviamente poi il giudizio morale divergerà. Il punto delicato sta nella definizione delle cause di un determinbato fenomeno stotico e le sue conseguenze, appunto il lavoro di analisi. E’ ovvio che in questa fase gli storici di scuole diverse possano giungere a risultati diversiin base alle caratteristiche metodologiche della propria scuola (e qui la convergenza di metono tende a farsi meno chiara). Tuttavia:
      a- possiamo tenere distinte le opzioni ideologiche (intendo in senso politico) dalle metodologie di anasi: il marxismo ha ospitato nel suo seno scuole sotiografiche diverse ed abbastanza polemiche fra loro, diverse scuole accolgono studiosi di orientamento politico molto divergente, altre scuole sono caratterizzate da un certo tasso di ibridazione ecc. Comunque occorer respingere la tentazione di identificare una scuola di pensioero storiografico con un indirizzo politico-ideologico: la ricerca deve sempre mantenere una sua autonomia dalal politica, proprio per poter essere di qualche utilità alla politica
      b- l’analisi è un tratto della ricerca storica che sin qui è stato troppo subordinato all’altro tratto. quello del giudizio etico (che comunque non è eliminabile del tutto) ma io credo che sia attivato il momento di invertie il rapporto e che gli storici, quando parlano da stotico, debbano smettere i panni del tribuno per indossare il camice dello scienziato. Poi, una volta usciti dal laboratorio, sono liberissimi di praticare qualcisasi impegno politico
      c- questo diverso atteggiamento implica molta laicità, utile a far sì che fra le diverse scuole storiografiche si sviluppi un confronto sicentifico, che è cosa diversa dalla polemica poltica magari in formato rissa televisiva da Santoro. Più che un’opera collettanea a più mani fra storici di diverso indirizzo, sarebbe utile che ci fosse un costante dialogo che sappia alternare i momenti di scintro (che ci saranno sempre ed è utile che ci siano) con quelli di reciproco riconoscimento dei risultati, anche parziali, e conseguenti convergenze.
      Cred che molti intervenuti seguitio a pensare al confronto-scontro fra i tradizionali undirizzi ideologici europei o occidentali (fascismo, comunismo, liberalismo ecc) e relative scuole di partito, ma trascurino un piccolo problema: che questo tipo di articolazione ideologica non coincide affatto con quello di paesi che oggi si affacciano sulla scena mondiale anche da questo punto di vista: se voglio capire la storia indiana, cinese o islamica devo per forza misurarmi con le rispettive storiografie che non sono affatto rinchiudibili nei gusci ideologici europei. Dunque, piaccia o no, devo perforza guadagnare un punto di vista che si ponga al di là di essi per poter discutere senza pregiudizi con cui appartiene a tradizioni culturali completamente diverse.
      O no?!
      Almeno possiamo provarci

  • se i dati sono raccolti ed analizzati in modo corretto, è possibile il dialogo tra storici che hanno visioni del mondo diverse. se per scrivere un libro di storia bisogna cambiare potenzialmente ogni rigo perchè sia condiviso, il rischio, oltre a quello di produrre documenti a un ritmo più lento, è che una visione del mondo continui a imporsi sulle altre con la scusa della neutralità.

    sono d’accordo sul punto a, dato che io non mi riferivo all’analisi, ma alla produzione testuale e all’aggregazione dei risultati dell’analisi, ovvero alla parte del lavoro dello storico non sottostante a criteri oggettivizzanti
    sul punto b non sono d’accordo, sia perchè non credo che tutti gli storici fino ad oggi abbiano subordianto l’analisi al giudizio etico. il giudizio etico, anche quando non presente in forma esplicita, è deducibile dall’aggregazione dei dati. e quindi credo che lo storico, per mettersi nei panni dello scienziato, debba innanzitutto studiare la condizioni della sua produzione storica e riflettervici su, piuttosto che ignorarle fingendo di potere mettere tutto tra parrentesi, oppure rischia di fare come malinowsky in antropologia
    c) perchè ci sia un confronto, debbono esserci posizioni diverse, sennò è un confronto falsato e che potrebbe appiattitorsi su dei risultati presupposti prima di essere verificati, data la necessità di adeguarsi a una singola lebenswelt. mantenere la propria visione del mondo senza farsi troppi problemi o avere l’ideale di trasformare la storia in una sicenza “dura” significa paradossalmente riuscire a separare in modo certo il momento analitico del proprio lavoro da quello ermeneutico. e credo che sia il modo migliore per distinguere tra i due momenti dell’analisi e renderli condivisibili

    infine non sto parlando tanto di ideologie, ma di schemi valoriali in genere. il problema di molti storici fascisti non è tanto il fatto che sono fascisti, ma che non sono dei buoni storici, dato che i loro studi sono spesso caratterizzati da una parte analitica debole. e il confronto sarebbe più autentico se ci si limitasse appunto all’analisi.

    per arrivare ad opinioni condivise non è necessario avere la stessa visione del mondo

  • non tutti accettano la laicità. Prendiamo il caso del card. Stepanic, fatto beato dai cattolici e protettore degli ustacia dagli altri. E tutto perché? Perché per i cattolici Stepanic ha fatto bene perché era contro il comunismo. Gli altri invece dimostrano che i crimini ci sono stati.

  • Questi genere di discussioni non è mai facile.
    Quel che a me sembra il caso dovere sottolineare è che negli ultimi anni si èattaccata frontalmente la storiografia marxista per, tutto sommato, rivalutare o sminiuire il fenomeno dei fascismi. Da qui viene la mia cronica diffidenza nei confronti della avalutatività.
    È anche certo che lo storico deve applicare una metodologia che lo guidi e gli permetta di capire gli eventi che hanno determinato un certo fenomeno e non viceversa ricostruire gli eventi in maniera tale che questi abbiamo qualche cosa da dire rispetto alla sua ideologia.
    Eppure questa ricostruzione è sempre relativa, come dici tu Aldo, quando ai tuoi studenti dici che quello che tu dirai loro non è la verità ma la tua verità.
    Le scienze umane diciamo più sensibili alla tematica della quantificazione come la scienza politica e la sociologia non sono però meno idelogizzate. L’hai scritto tu quando parli della terza ondata di democratizzazione di Huntington. I politologi hanno costruito un loro modello tutto basato sulla teoria della competizione, anziché sul consociativismo. In Italia si è visto il risultato, ma in Francia le cose non sono andate meglio come ci ricorda Canfora.
    Tutto è relativo dicevamo, e quindi si parla avendo in mente qualche cosa che l’altro non sempre conosce. Io ho risposto ad Aldo avendo in mente, e condividendo in toto, quanto dice non nel suo intervento sul blog, ma rispetto a quanto dice sul suo libro di storia della storiografia che consiglio a tutti quelli che sono intervenuti.
    Vi si parla appunto dei nuovi canoni ci interpretazione della storia. È un libro fondamentale!!
    Ideologia come falsa coscienza? Beh certo quando milioni di persone votano per partiti che oggettivamente fanno scelte in contrasto con i loro interessi… però ideologia há chiaramente un accezione relativa a un sistema di valori che ognuno di noi ha e che inevitabilmente poi si riflette su come lavoriamo e elaboriamo la storia. In questo Gramsci è anni luce avanti Marx.

  • la storia è terreno di guerra per l’egemonia,come ogni altra materia.Non credo che essa possa esistere al di fuori di questo contesto sopratutto in tempi di cambiamenti o di ,(al contrario), consolidamenti sociali.Si parte tutti dai documenti e dell’oggettività di un evento,ma poi -giustamente- scatta la lotta per propagandare e strumentalizzare la memoria collettiva e il corso della storia.
    Si guardi a come viene gestita sui giornali delle grandi borghesie liberal-democratiche le pagine della cultura e della storia.
    Noi siamo chiamati al combattimento,alla guerra,alla lotta,per cui reputo fondamentale che la figura dell’intellettuale comunista usi i suoi e alrtui spazi per egemonizzare,contrastare,propagandare,strumentalizzare.
    Altro che porgere l’altra guancia.
    Infine l’ideologia è ben presente anche in questi stupidissimi tempi anti ideologici,per far in modo che le masse siano sempre più distanti dall’attivismo collettivo.
    Per questo lo sguardo ideologico sopratutto sulla storia va difeso e difuso.Non andiamo troppo per il sottile!^_^

  • c’era un vecchio libretto di Gunnar Myrdal “l’obiettività nelle scienze sociali”… e tutto sommato diceva che si tratta di onestà intellettuale nel trattare le fonti (dichiarare dove si prendono, cosa rappresentano e come si elaborano i numeri o i documenti) e poi di dichiarare da che idea si parte e dove si vuole arrivare… fatto questo, il resto è comunque “ideologia”, propria, di partito, nutrita da idiosincrasie o simpatie, visioni del mondo, profonde convinzioni… e quindi poca condivisione e molto dibattito… che poi è lo stesso che si sviluppa anche a livello politico(detto fra noi credo che anche su diocleziano ed il numero dei martiri si riuscirebbe a fare una bella caciara… prova a fare un post dicendo che i martiri in totale sono meno di 100..)

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